Antonio Caccianiga
Il bacio della contessa Savina
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XIX.

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XIX.

 

Amore e sdegno risvegliarono la mia musa; il miraggio della gloria ritornò a inebbriarmi, i sogni teatrali di Milano vennero nuovamente a cullare le mie speranze, ripresi la tragedia, ispirato dalle diverse passioni che mi agitavano l'anima innamorata e sdegnosa.

Scrivevo lunghe tirate di versi da perdere il fiato, volavo all'empireo sull'ali dell'iperbole, vedevo gli uomini al basso piccini piccini che si raggiravano come formiche intorno al formicaio, e la mia elevazione mi lusingava di giungere agli astri.

Finalmente finito, corretto, messo in netto, declamato nella solitudine della mia stanza, il mio Lucchino Visconti mi parve un capolavoro. Desideroso di farne una prima prova, senza esporre il mio nome, dissi di aver ricevuto da un amico di Milano il manoscritto di una tragedia, e pregai l'Agata di fare degli inviti per darne lettura.

Per tale trattenimento letterario venne fissata una domenica, si apparecchiarono dei rinfreschi e si mandarono ad invitare i notabili del villaggio e dintorni. Tutti coloro che senza saperlo mi avevano servito di modello facevano parte del pubblico: il parroco, il medico e sua moglie, il farmacista, l'organista, il signor Nicola, e per giunta i miei colleghi del circondario, i curati delle vicine parrocchie, i cappellani, i fabbricieri, i sagrestani, i segretari comunali e i cursori.

Alla sera del giorno fissato io giunsi col mio manoscritto sotto il braccio, e trovai la società raccolta che mi attendeva con grande aspettativa. Il salotto era stato apparecchiato opportunamente, le sedie formavano un semicerchio intorno d'un tavolo coperto d'un tappeto verde, e munito d'un bicchier d'acqua e d'una lucerna. Il paralume, concentrando la luce sul manoscritto, lasciava nella penombra gli uditori, ch'io non vedevo. La lettura incominciata alle otto finì alle dieci. Tutto concentrato in me stesso io declamava con passione, con impeto, con ardore o con tenerezza secondo i casi. Alla fine d'ogni atto mi riposava pochi istanti, ed allora scoppiavano degli applausi clamorosi che raddoppiavano la mia forza.

Finita la lettura, il battere delle mani e dei piedi, le acclamazioni iterate, le esclamazioni di sorpresa, gli elogi enfatici ed entusiastici annunziarono un vero trionfo.

- È un capolavoro28!... stupendo.... inarrivabile!... - dicevano in coro, - è un'opera destinata ad uno strepitoso successo.... l'autore è un genio.... altro che Alfieri!...

Incominciò il rinfresco; vini fini, pasticcerie, salumi, liquori, caffè, una gozzoviglia improvvisata, ma abbondante e saporita; tutto si consumava, tutto scompariva nelle bocche spalancate come voragini, i tavoli forniti di squisiti manicaretti restavano spogli come le campagne dopo il passaggio delle cavallette. Uguccione della Fagiuola, l'uomo più mordace del paese, non aveva il tempo da biasimare la tragedia: la maldicenza tace quando ha la bocca piena.

Calmato il primo furore dell'entusiasmo e dell'appetito, s'erano formati dei gruppi secondo le condizioni e le tendenze delle persone, chi per digerire in pace e tranquillità quanto aveva divorato, chi per sputare sentenze, chi per udire modestamente le opinioni dei giudici più competenti.

Il dottore, colla solita prosopopea, lisciandosi i capelli, alzando la testa, accomodandosi i solini, circolava pettoruto e tronfio come un diplomatico ad un ballo di corte, ascoltando le conversazioni con un sorrisetto beffardo, alzando le spalle di tempo in tempo in aria di canzonatura, con evidente desiderio d'essere invitato a dire il suo reputato parere.

Molti se ne avvidero, e finita la refezione, divorate perfino le bricciole, e tracannata fino all'ultima goccia, egli venne pregato da varie parti di presentare una critica assennata e sapiente di quel lavoro letterario, lasciando da parte le opinioni volgari ed incompetenti, pronunziando un giudizio definitivo e inappellabile. Dopo essersi fatto pregare alquanto, colle solite giustificazioni della falsa modestia, finse di cedere per cortesia al voto generale, e andò a sedersi nel centro dell'uditorio, come un professore che deve dare la sua lezione. Incominciò a soffiarsi il naso e a tabaccare con gravità, poi chiuse gli occhi e si passò una mano sulla fronte, come per raccogliere i reconditi pensieri che vagavano nelle cellule del suo cervello, e finalmente, accennando di far silenzio, diede un'occhiata all'intorno e incominciò in questi termini:

- Signore... e signori, è cosa ardua ed ardita ad un tempo il voler giudicare un lavoro importante dopo una sola audizione. Tuttavia, senza veruna pretesa, eccovi per sommi capi il mio giudizio: prima di tutto questa produzione drammatica non può dirsi tragedia, a stretto rigore di termine, e secondo le classiche tradizioni. Se gli antichi devono essere maestri, essi ci fecero vedere che ogni catastrofe che non finisca col ferro non ha diritto di vestire il coturno....

Siccome la maggior parte dell'uditorio non intendeva niente alle elucubrazioni dottrinarie del dottore, così le trovava sublimi. Per gl'idioti il sublime sta nell'ignoto. Egli continuava con sussiego magistrale:

- Il brando e il pugnale sono i soli arnesi degni degli eroi da tragedia, il veleno è cosa volgare, buono pei drammi prosaici dei teatri diurni. La tragedia vuol sangue!... sangue, non droghe!... Lucchino avvelenato fa la figura d'un marito babbeo vittima di un farmacista!...

Qui scoppiarono delle risa da varii punti della sala, il farmacista fremeva, la signora Pasquetta si dimenava sulla sedia come se fosse seduta sulle spine. Soddisfatto dell'effetto prodotto, il dottore sorrise alla sua volta, e poi riprese il discorso:

- L'intervento della farmacia mi guasta la tragedia, il decotto fa nausea, il tiranno colla colica diventa ridicolo.

Allora le risa ripresero con maggior forza di prima, e l'oratore dovette subire una lunga interruzione. Egli stesso cercava invano di frenare la ilarità che lo invadeva, e non riusciva che a singhiozzi interrotti.

Finalmente si giunse a ristabilire il silenzio ed egli riprese:

- Se il tiranno è un babbeo, suo fratello, l'arcivescovo Giovanni, lasciato in disparte negli affari di Stato, fa la figura d'un idiota!...

- È giusto.... - disse il parroco don Vincenzo Liserio.

- Ed Uguccione della Fagiuola, - soggiunse il dottore, - è un imbecille!...

- Verissimo! - esclamò Tobia.

- Ma ciò che toglie all'azione ogni dignità, ciò che fa cadere il fatto principale a livello degli intrecci comici di Pulcinella, si è la balordaggine del protagonista che non s'avvede d'essere tradito dalla moglie....

La signora Pasquetta diventò pallida, il farmacista si fece rosso, il pubblico non osava fiatare, e il dottore imperturbabile proseguì:

- Per me dichiaro apertamente che Lucchino Visconti non merita gli onori della tragedia, la quale non deve occuparsi che degli eroi... o degli scellerati, e lasciar da banda i minchioni. L'eroe, tradito nell'onore, immerge la spada fino all'elsa nel cuore dei traditori!...

La signora Pasquetta diede un guizzo dal raccapriccio, ma uno sguardo rassicurante del farmacista parve calmarla.... Il pubblico rideva sempre di più.

- Avete ragione di ridere, - continuava il dottore, - i mariti ignoranti non sono fatti per la tragedia, ma per la commedia. Lucchino è una vittima come se ne vedono tante! La moglie infedele lo rende ridicolo facendolo morire nel suo letto per mezzo di un farmacista, dopo d'avergli gettato nel fango la corona ducale, e d'avergli messo sulla testa la corona... del martire!...

A questo punto le risa sbardellate divennero convulse, non si sentivano che gemiti e guaiti, pareva che subissasse la camera, anzi la casa; la mimica che accompagnò le ultime parole del dottore era riuscita irresistibile. Bisognava ridere o morire.

Il critico ebbe un successo molto superiore a quello ottenuto dal tragico; così alla tragedia promessa era succeduta una farsa impreveduta, e lo spettacolo fu completo.

Il dottore assaporava il successo con ebbrezza, vedeva in lui l'uomo felice, e a chi gli faceva degli elogi, egli rispondeva:

- Ecco, io son fatto così!... non ho riguardi per nessuno... a chi tocca tocca... io intendo la critica in questo modo... tanto peggio per le vittime... non c'è merito... la franchezza del mio carattere è un dono di natura.

Così finì allegramente quella serata, con grandissima soddisfazione degli intervenuti, e specialmente del dottore, che ritornandosene a casa a braccetto della moglie, gongolava del suo trionfo e ripeteva al farmacista che li accompagnava:

- Dite la verità, Gaspare, vi pare che io abbia sfoderato dello spirito?... Non voglio adulazioni, ma dovete confessare che ero in vena. È inutile, ci vogliono delle occasioni favorevoli per farsi conoscere. Io era nato per il fôro e la tribuna!... sarebbe la mia passione demolire gli avversari. Povero Lucchino Visconti, l'ho polverizzato!... Ma è un fatto positivo: il tempo delle tragedie è finito!...

All'indomani, entrando in casa Bruni, il signor Nicola mi venne incontro dicendomi:

- Ti prego per carità di non venirmi più a leggere delle tragedie, se non vuoi farmi morire dal ridere... mio Dio! Dopo iersera mi duole ancora la milza!...

Io corsi dall'Agata per sentire il suo parere, essendomi stato impossibile di chiederglielo la sera antecedente.

- Avrei due cose da dirti in proposito, - mi rispose, - ma non posso dirtene che una sola.

- Bene, intanto sentiamo questa.

- Tu sei l'autore della tragedia.

- È vero. Chi te l'ha detto?

- L'ho sentito dentro di me. Oramai ti conosco, e quando si conosce l'albero, si conoscono le frutta.

- Questa è un'idea... orticola. Ma nelle lettere non è così: l'arte copia la natura, o crea degli esseri immaginari che non hanno verun rapporto coll'indole dell'autore.

- Scusami, ma io scopro sempre l'autore nel libro, qualunque sia il suo prodotto.

- Dunque tu credi che un autore che racconta una storia di briganti omicidi abbia nell'anima qualche cosa dei delitti de' suoi personaggi?

- È tutto il contrario. Io credo invece che i briganti assassini d'un racconto abbiano sempre qualche cosa dell'autore... che li ha messi al mondo. Per esempio: un'anima mite e serena non è capace, non solo d'inventare, ma nemmeno di copiare esattamente dal vero personaggi turbolenti e feroci; una mente fiera, esaltata, rabbiosa sarebbe capace di creare tipi delicati ed angelici.

- Potrei citarti mille esempi contrari a quanto asserisci....

- Contrari in apparenza, ma in realtà no... sarebbe assurdo; dovresti provarmi che in un libro manca l'autore... L'uomo non vede che la superficie, e quando tiene in mano un bel pomo non si immagina che dentro vi sia un verme che lo divora. Il crogiuolo per fondere le anime non è ancora trovato, quindi non è possibile scoprire ciò che si mescola a questa parte ignota dell'uomo; però sappiamo che la natura ha le sue armonie, e possiamo dedurre dal noto all'ignoto che, come ogni rosa ha le sue spine, ogni limpido ruscello il suo fango, così può anche darsi che nell'anima dell'uomo più mite ed onesto si nasconda qualche punto nero che sfugge ai nostri sguardi, come nell'anima dell'uomo tenebroso si rifletta qualche raggio di luce.

- Potrebbe essere così, ma nel caso concreto della mia tragedia io non vedo che un marito tiranno, un rivale ribaldo, una moglie infedele, un amante insidioso... o vuoi forse farmi figurare sotto le spoglie dell'amante insidioso?

- Non dico questo... lo vedremo in seguito; finora veramente non ti posso ravvisare sotto quel triste soggetto.

- Dunque ove mi vedi?...

- Ti vedo e non ti vedo... ti sento piuttosto, mi pare di scorgerti fra le linee, dietro i punti e le virgole. Tu cerchi di nasconderti nei vani... dietro una parentesi... ti metti in maschera... ma io ti conosco, e sento il tuo alito.

- Il tuo occhio inquisitore mi fa paura!

- Non fare il male... e non abbi paura.

- In ogni modo, questa è una teoria affatto nuova....

- Ebbene, domanderò il brevetto d'invenzione, col privilegio di tenerlo a mio vantaggio per un decennio.

- Siamo intesi.... Ora ritorniamo alla tragedia, e dimmi francamente la tua opinione.

- Questa è la seconda parte... che non posso dire.

- Cattivo segno!... vedo che non ti piace.

- Ti prego di dispensarmi da un giudizio... io non so mentire... e temo che l'esser sincera mi faccia torto.

- Nulla può farti torto nel mio cuore; anzi la tua sincerità mi sarà grata, come una nuova prova della rettitudine del tuo carattere.

- Ebbene, poichè vuoi assolutamente che ti dica la verità, devo confessarti che la tragedia in generale non piacque....

- Ma e gli applausi?

- Meno poche eccezioni, dormivano tutti. Quando alla fine dell'atto non intendevano più il suono della tua voce, si svegliavano ed applaudivano con frenesia, per far credere che ascoltassero. Gli applausi più clamorosi li udisti alla fine, e volevano dire: finalmente è finita la noia, e incomincerà la refezione. È vero che i più intelligenti ascoltavano, ma non potevano dissimulare interamente la fatica; a certi punti tragici ridevano per alcune analogie trasparenti....

- E il dottore non li vedeva ridere?

- Sai bene che il dottore non vede niente!

- Ma dimmi finalmente la tua opinione.

- Giudica dall'effetto generale... la tragedia riuscì a tutti noiosa.

- Ma io non faccio caso di quel pubblico... idiota. Tu sei più intelligente di tutti coloro... e tu non dormisti.

- Non tieni conto del mio affetto?... ogni tuo lavoro non può che interessarmi assai... ma altro è l'interesse dell'affezione... altro un giudizio imparziale e spassionato.

- Dunque il tuo giudizio imparziale si è che la mia tragedia è noiosa?

- In complesso è noiosa... è inutile farsi illusioni. Vi sono però varie parti interessanti. Per esempio, quando parli d'amore vi sono espressioni vere, sentite profondamente, veramente ispirate e sublimi!... ma il resto è troppo lungo, prolisso... insomma noioso.

- Ti ringrazio, - io conchiusi, - apprezzo il valore della tua sincerità, e saprò trarne partito.

- Ma figurati!... nemmeno per sogno! - e parlammo d'altro.

Ora confesso che non solo m'ero offeso, ma dentro di me avevo giudicato l'Agata una saccentina sconclusionata, incapace di dare un giudizio apprezzabile sopra un simile lavoro. Dissimulai la stizza dell'amor proprio oltraggiato, e presi le mie misure in segreto per ottenere un giudice competente.

Avendo saputo che c'era a Sondrio in quel momento un capocomico generalmente stimato come uomo esperto nell'arte sua non solo, ma altresì di molto merito letterario, gli mandai il manoscritto pregandolo di leggerlo, e di dirmene francamente la sua opinione.

Pochi giorni dopo mi restituì la tragedia, con una lettera cortesissima, ma sincera. Mi diceva in poche parole: "Non voglio ingannarvi, adularvi, sarebbe far torto a chi non lo merita. Si vede in voi un giovine ingenuo ed onesto, esaltato da una passione che gl'ispira pensieri elevati, sogni poetici, qualche buon verso. Tutto il resto non ha valore.

"Non siete chiamato pel teatro, ne ignorate completamente l'arte, e tutti gli amminicoli che assicurano il buon successo, e vi manca la scintilla che rischiara la via. Smettete l'immane sforzo che deve costarvi un lavoro letterario; e pensate che la mediocrità si affatica invano per arrivare alla gloria, riservata al solo genio.

"Attribuite la mia severità al desiderio d'esservi utile. Una indulgente reticenza che vi lasciasse nel dubbio potrebbe nuocere al vostro avvenire. Basta talvolta una vana speranza per mantenerci sulla via dell'errore.

"Credendo di saper nuotare, l'uomo s'affoga; invece di fargli animo a proseguire con nuovi tentativi è meglio prenderlo addirittura pei capelli, e gettarlo sulla riva. Il vostro lavoro rivela un intelletto ricco di molti doni di natura. Ogni uomo intelligente e laborioso può raggiungere una meta che ricompensi le sue opere. Voi avete fallato indirizzo, siete entrato in una foresta piena di triboli. Uscite di , cercate altrove la vostra strada, e vivete felice."

La parola franca ed onesta di quell'uomo dabbene fece svanire intieramente il sogno de' miei trionfi e della fortuna chimerica che aveva illuso la mia gioventù, e risparmiò al pubblico dei teatri quelle noie alle quali è condannato sovente dalla caparbietà dei mediocri, che, prendendo per genio la loro boria, si ostinano a voli ripetuti, i quali finiscono in vergognose cadute.

Icari della scena, colle ali saldate a cera, e che, per uscire dal labirinto sociale, vanno a cadere nel mare drammatico; gente cui torna più caro un biasimo che la classifica fra le persone in marsina, di un elogio che la metta colle giacchette; vogliono essere piuttosto autori seccanti e fischiati che onesti pizzicagnoli: aristocrazia della democrazia!...

Ma non si deve disputare dei gusti.

Io invece ringraziai il capocomico con pari sincerità della sua, ed ho avuto mille occasioni di benedirlo. Senza la sua leale franchezza, chi sa di quanti piaceri mi sarei privato nella vita, di quanti ameni passeggi mattinali pei campi, di quante buone letture sul canapè!... per abortire qualche sconcia tragedia, o qualche dramma turpe e sonnifero! - Benedetto il capocomico che mi ha aperto gli occhi, tenendomi abbassato il sipario.

Cadutomi il velo che mi offuscava la vista e riconosciuto l'acume che avea guidato l'Agata nel suo giudizio, le confessai francamente la colpevole diffidenza che mi spinse al nuovo tentativo; manifestandole in pari tempo l'effetto ottenuto e chiedendole scusa del mio stolto orgoglio, le giurai che la mia prima tragedia sarebbe stata anche l'ultima.

- Ho tracannato un fiasco solenne!... - le dissi, - e ne sono morto. I fiaschetti ubbriacano, i fiasconi uccidono addirittura. Se almeno mi fossi contentato del tuo giudizio!... ma la vanità si ribella alle critiche sincere e benevole; l'orgoglioso si ostina a credersi un destriero, fino a che un giudice competente gli dica chiaro: sei un ciuco!... Ho avuto torto! e ti ringrazio della tua sincerità....

- Ho preferito il coraggio di dirti il vero, quantunque amaro, alla viltà d'una menzogna, - essa mi rispose; e dopo breve pausa, riprese: - ho sempre pensato che questa deve essere la norma costante di coloro che vogliono vivere insieme onestamente, formando una famiglia proba e leale fino allo scrupolo... Del resto, - essa aggiunse, - se ti manca l'attitudine a scrivere pel teatro, ti confesso alla mia volta che non ne sono troppo dolente, e mi pare, da quello che ne dicono i libri e i giornali, che dietro le scene non si tenga scuola di morale, e piuttosto si celino dei pericoli per la pace delle famiglie, che è miglior cosa evitare.

- Saresti forse gelosa?

- Sì.... sono molta gelosa, te lo dichiaro. Chi non teme non ama. Non ambisco se non a ciò che ho diritto d'ottenere, ma non ammetto restrizioni ai miei diritti: ad un affetto leale e santo esigo condizioni pari. Le doppiezze e l'inganno nella vita domestica mi paiono delitti; il giorno in cui il cuore vacilla è meglio dirlo francamente, e dividersi subito: preferisco la più atroce lacerazione all'onta d'una finta carezza; la morte non mi fa paura, ma l'oltraggio si!... - Tutto o niente!... ecco il mio motto... se non sai custodire il pensiero... siamo ancora in tempo... puoi scegliere altrove altra moglie.

Le baciai la mano con effusione d'affetto, dicendole:

- Ti prometto sull'onore che divido perfettamente le tue idee su questo punto. Ho sempre detestato ogni inganno, ma nel matrimonio lo trovo obbrobrioso. Se il cuore esce di casa, uscite con lui... ma uccidere col ridicolo chi porta il vostro nome, è peggio che uccidere col coltello.... No, mai... te lo giuro: sarò fedele per la vita.... e caso mai.... caso impossibile.... ma lo noto per rassicurarti.... caso mai non mi sentissi più degno di te.... non mi vedrai più!... saprò scomparire dalla terra.... Non ti domando nemmeno se il tuo cuore sarà costante....

- Il mio cuore!... è tuo per sempre....

- E pel tuo amore io rinunzio a tutto!...

- No, questa sarebbe un'ingiusta pretesa, - soggiunse, - e non l'accetto. Se hai un'attitudine qualunque che possa renderti utile alla società e alla famiglia, non posso che incoraggiarla, e desiderarti la migliore riuscita. La buona moglie divide col marito le pene e gli onori. Studia, lavora, e se ti senti inclinato alle lettere, scrivi dei libri.

- Veramente non ne sento proprio il bisogno. I clamorosi successi del teatro mi sorridevano con abbagliante prestigio. Mi elettrizzavo all'idea della folla plaudente in massa, e vedevo in sogno delizioso il bagliore delle faci, lo splendore delle gemme e dei fiori sulle donne eleganti, commosse alle mie parole. Dopo il trionfo, la fama porta il nome dell'autore da un capo all'altro del paese e racconta a tutti quella notte di entusiasmo che fece palpitare il cuore di mille persone, raccolte e frementi davanti la scena.

- Il libro non mi presenta tali attrattive. Dopo le lunghe fatiche che costa la sua composizione, esso si presenta modestamente nelle vetrine dei librai, confuso co' suoi confratelli di tutti i colori, taluno anche più vistoso di lui. La folla passa, e non se ne cura. Chi lo guarda il povero libro?... qualche raro letterato con pochi soldi in saccoccia, che esamina le novità, e che vorrebbe anche comperarne taluna, se lo stomaco non fosse più esigente del cervello, e il trattore più indispensabile del libraio. Il giornalista non parla che degli amici, il critico volgare non esamina che i libri che gli vengono offerti in dono, l'artigiano vuol leggere a macca, e trova nelle biblioteche popolari, come nelle cucine economiche, da saziare la fame.

Il ricco ha altro per la testa! il lusso dei libri è l'ultimo della casa; esso vien dopo gli arredi, la cucina e la stalla, meno le eccezioni delle famiglie veramente29 distinte per solida e completa educazione, che sono tanto rare. Come farà dunque il povero libro a farsi largo tra la folla, a farsi conoscere, ad entrare nelle famiglie, e cadere sul tavolo degli sfaccendati, a penetrare nello studio del marito e nel salotto della dama?... Ci vuol altro!... è una lotteria; per essere fortunati, bisogna avere un buon numero; ma molti sono i chiamati e pochi gli eletti.

Intanto i nuovi volumi cadono come valanghe sul dorso del povero libro in aspettativa, e il libraio, costretto di far posto ai nuovi venuti, lo relega negli ultimi scaffali della bottega, all'ombra, sotto la polvere e le ragnatele, ove non uscirà dalla nicchia se non per mano d'un modesto bibliofilo, che si contenta di conservarlo intonso nelle sue collezioni; o per bocca d'un ardito sorcio che lo riduce in frantumi.

In conclusione, se la scena m'invitava alle sue lotte, la vita solitaria del libro mi spaventa. Ce ne sono anche troppi, e non so a che cosa potrà un giorno servire tanta carta imbrattata d'inchiostro. Bando dunque anche ai libri.... cioè ai miei libri!...

- Hai torto di preferire la vampa alla cinigia. Essa è luminosa come una meteora, ma abbaglia più che non riscaldi, è una baldoria che presto passa, scottando gl'imprudenti, e non lasciando talvolta che l'impressione del fumo.... e dopo la sua scomparsa l'aria sembra più fredda di prima....

Al contrario la cinigia, più modesta, non abbaglia, è vero, ma non nuoce, incomoda, e col blando calore, riscalda lungamente.... Con ciò intendo dire che il trionfo d'un dramma può essere clamoroso, ma effimero. Talvolta un'arte sottile lo impone alla folla che cerca forti emozioni, ma il suo rapido effetto non dura. I lumi non sono ancora spenti, la folla plaudente non è ancora dispersa, e già nuovi pensieri la occupano, nuove correnti la travolgono, nuovi piaceri la chiamano. Del dramma non resta altro che una debole memoria, misurata alla stregua d'un'ora perduta.

Il libro invece non fa tanto chiasso, anzi fugge dai luoghi clamorosi, ma, modesto e tranquillo, va a trovare chi lo accoglie come un amico. Esso racconta, istruisce, diverte, riposa dalle gravi fatiche del giorno, fa dimenticare le lunghe sere del verno alla famiglia raccolta, consola il solitario e il derelitto, riempie gradevolmente le notti insonni, distrae l'ammalato da' suoi dolori, il convalescente dalla noia, porta fuori del carcere il prigioniero, fa sopportare al soldato il tedio della vita di guarnigione, al viaggiatore gl'incomodi del viaggio, alle donne la vita casalinga! Onorato dalle lagrime, dai sorrisi, dalla simpatia dei suoi amici, il libro li accompagna dovunque, e sovente riposa con loro sotto al capezzale. Le impressioni che produce, essendo più prolungate, sono maggiormente durevoli di quelle del dramma, e se ha saputo meritarsi la nostra stima e la nostra riconoscenza per le buone ore che ci ha fatte passare, vien legato in pelle con fregi d'oro come un gioiello, e conservato con cura. Finalmente, il libro rappresenta l'autore che sopravvive a stesso; è una parte della sua anima che rimane sulla terra dopo la morte, è il suo pensiero che vola attraverso i tempi, e manifesta ai venturi una voce del passato!

Daniele, essa concluse, dovresti fare un buon libro.

- Preferisco, - io risposi, - passare la vita in pace al tuo fianco, lavorare per la famiglia, contento di sopravvivere nei figli, e di rivivere nell'eternità indiviso dalla mia compagna.

- Così, - ella mi disse, - potrai un giorno servir di modello a qualche autore che voglia descrivere il tipo d'un marito perfetto.

- Non c'è pericolo!... non si scrivono che le vite degli uomini illustri.... e quelle dei bricconi.

- Se fosse possibile scrivere la vita d'ogni persona, io credo che molti terrebbero una diversa condotta, per non passare alla posterità come cattivi arnesi.

- Non lo credo. La pubblicità delle cause celebri non ha impedito un solo assassinio. In quanto al gusto dei lettori, è positivo che le gesta degli assassini vengono sempre preferite a quelle dei galantuomini, e lette col più vivo interesse. Nella vita sociale il galantuomo è stimato, ma in letteratura riesce noioso. Io sono convinto che la vita veramente felice d'un uomo possa raccontarsi in una mezza pagina, in istile epigrafico o telegrafico. Si dicono fortunate quelle nazioni che non hanno storia; io credo parimente fortunate quelle famiglie che non hanno romanzi.... o avventure romanzesche.

- È ben vero!... il turbinìo delle passioni mi spaventa.... mi piace meglio l'idillio....

- È un genere falso, ma molte volte è preferibile al vero. Non ti ricordi la nostra lettura sulla rivoluzione francese? Le scene pastorali di Trianon erano false e mi piacevano tanto!... Maria Antonietta, vestita da pastorella, distribuiva il latte delle sue cascine, pescava nello stagno, leggeva sotto l'ombre profumate del parco fra i figli e il marito... una regina che preferisce la vita rustica agli splendori del trono!... è falso!... ma a me piaceva quella falsità. La prigione, gli insulti d'una plebe selvaggia, i processi, il patibolo... furono veri... e mi fecero raccapriccio.

- Prendiamo la vita come viene, - io dissi, - senza forzarne gli avvenimenti. Non sarà un idillio, un romanzo, ma avrà giorni lieti e tristi come al solito.... sarà una vita naturale.... senza artifizii.

- E nemmeno questo mi piace, - rispose con vivacità. - Non faremo romanzi, idilli, ma dobbiamo fuggire il male con fermezza, volere il bene con energia e pertinacia, e prendere per guida d'ogni azione la virtù....

- E l'amore.... - io soggiunsi.

- Siamo intesi; - e con dolce sorriso mi porse la mano, ch'io baciai con tale tenerezza ch'ella fu costretta di ritirarla.

E così facevamo sovente lunghe conversazioni, con divagazioni interminabili, e le ore volavano rapide, mentre stavamo predisponendo a modo nostro l'avvenire... l'avvenire sempre incerto, che dipende in parte da forze superiori alla nostra volontà, e ci apparecchia soventi volte sorprese imprevedute.

 

 

 





28 Nell'originale "capolovoro". [Nota per l'edizione elettronica Manuzio]



29 Nell'originale "veramenie". [Nota per l'edizione elettronica Manuzio]



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