Antonio Caccianiga
Il bacio della contessa Savina
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XXI.

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XXI.

 

La scuola progrediva migliorando, per le buone massime ch'io inculcava agli scolari, e m'avvedevo che un padre di famiglia è più opportuno d'uno scapolo all'insegnamento; le sue idee sono più posate, la moralità più sicura, la pazienza più longanime32, e l'amore verso i fanciulli più naturale e sincero. E il maestro ammogliato trova esso pure maggiori compensi alle sue fatiche, perchè rientrando in famiglia dopo le ore di scuola, si rasserena alla vista dei bambini che gli corrono incontro, della moglie che gli sorride, del desco che lo attende, povero sì, ma consolato dalla presenza de' suoi cari. Eppure certi paesi civili che soppressero i conventi, ove il celibato spontaneo trovava una famiglia di confratelli, condanna i poveri maestri, con un meschino stipendio, a vivere nel celibato forzato senza famiglia.

Chi deve istruire i giovinetti, apparecchiando i materiali del futuro edifizio sociale, non conosce sovente le fondamenta della società: la famiglia.

La sua povera condizione l'ha costretto ad abbandonare il tetto paterno per recarsi lontano a guadagnarsi il poco pane che basta appena per la sua esistenza, e quindi gli viene interdetto il matrimonio dalla povertà. Egli non ha mai veduto una moglie affettuosa nella sua casa deserta, non ha mai udito il caro vagito dei bimbi, la voce stridula dei fratellini maggiori, non ha mai parlato di sante affezioni intorno al suo squallido focolare... esso è cieco, sordo e muto!... e deve mostrare la luce ai figli altrui, e udire le loro obbiezioni, e parlare il linguaggio paterno ad estranei.

Dura condizione, e funesta al paese!

Io era una delle rare eccezioni, e la mia vita diveniva sempre più lieta per le cure affettuose di una moglie che metteva la sua gioia nell'amore della figlia e del marito, e impiegava tutta la giornata a farli felici. Al mio ritorno dalla scuola l'Agata mi aspettava sulla porta colla bimba in braccio, e le insegnava a farmi festa. Io le baciavo entrambe, prendevo la piccina con me fin che la madre apparecchiava la colazione od il pranzo, e si mangiava lietamente, colla bambina sui ginocchi, godendo de' suoi attucci, de' suoi movimenti vezzosi, del sorriso, della grazia colla quale chiedeva di far bombo, o mostrava di volere il cucco. Dopo pranzo, sparecchiata la mensa, la piccina vi danzava sopra sostenuta da sua madre, ed io passava un'ora senza accorgermi a farle il bau bau; e questo era il mio teatro. Altro che tragedie!...

Mia moglie si compiaceva di farmi delle grate sorprese. Un giorno trovavo sullo scrittoio del mio studio un bel mazzo di fiori, un'altra volta un lavoruccio di panno per pulire le penne, o una ghiotta pietanza in tavola, o un bel piatto di frutta. E sempre con qualche delicata attenzione mi faceva vedere che pensava a me anche quando ero assente. Se aveva delle buone notizie da darmi, mi veniva incontro per annunziarmele più presto; e mi faceva parte d'ogni minuzia, dicendomi che tutto doveva essere in comune nella vita domestica, e non mi risparmiava nulla:

- Sono nati i poponi; i piselli sono maturi, la magnolia ha fiorito, e ti aspettavo per condurti a vederla.

Un'altra volta trattavasi di casi più gravi. Erano nati venti pulcini da ventidue uova, uno s'era rotto, l'altro non si sapeva perchè si fosse ostinato a restare nel guscio. Un giorno poi la nonna aveva mandato in dono alla sua mimma un bel dente di cinghiale guarnito in argento, con una campanellina, da appendere al collo, e quello fu un vero avvenimento.

Ma quando aveva da darmi delle cattive notizie mi disponeva a poco a poco a riceverle con rassegnazione, evitandomi la scossa delle impressioni dirette e imprevedute, e così me le rendeva meno dolorose. Talvolta me le lasciava anche ignorare per evitarmi inutili amarezze, ed ordinava a tutti il silenzio. E se me ne accorgevo più tardi, e chiedevo conto d'un tacchino o d'un vaso di porcellana che non vedevo più, tutti, tutti d'accordo mi rispondevano: «Eh, eh!... è tanto tempo che è morto!... sono tanti mesi che è rotto!...» e non se ne parlava più. Non c'era rimedio, e se tutti s'erano consolati, non mi restava che a fare come gli altri.

Ma chi potrebbe descrivere con verità l'entusiasmo materno e paterno alla prima parola balbettata dai propri figli? Ma qual lingua è più eloquente di quella d'un bimbo che dice per la prima volta mamma e babbo?

Forse chi non ha mai inteso questo linguaggio dai proprii figli troverà più ameno e interessante un discorso accademico. Per me protesto altamente contro tale eresia. E chi potrà spiegare fedelmente l'effetto prodotto nei genitori dai primi passi della loro creatura? quantunque il bimbo si regga appena col sostegno d'una mano sotto l'ascella e avanzi esitando il piede tremante, tuttavia la mamma esclama con ammirazione:

- Vedi.... Vedi come cammina bene!...

E il primo dentino che spunta, ancora impercettibile, che appena si sente col dito, esso è più prezioso pei parenti del dente d'avorio d'un elefante trasportato in Europa colle carovane attraverso le steppe e i deserti!

Queste sono le piccole gioie e i piccoli dolori della vita domestica, ma pur troppo vengono anche i grandi. È appunto coi dolori della dentizione che incominciano le prime ansietà e le prime paure. Talvolta tali sofferenze producono la febbre. Quando un bambino ha la febbre, la buona madre non vive più, prostrata davanti la culla essa studia tutti i moti, gli sguardi, i gemiti più lievi e i sospiri del piccolo infermo, lo ricopre con somma cura e delicatezza, gli tocca la testa e le gote accese, lo bacia e lo inonda di lagrime. Vorrebbe dare la vita per vederlo guarito, e non può fargli nulla. Per essa quella febbre è il più grande avvenimento del giorno. Annunziatele la morte d'un uomo illustre... la perdita d'una battaglia... la caduta d'un regno... essa non se ne cura, non ascolta, non intende nulla; il suo bambino è ammalato, essa attende ansiosamente la visita del medico, e quando esso è giunto davanti la culla gli racconta minutamente i più piccoli sintomi scoperti e indovinati dalla sua chiaroveggenza e colle pupille intente nel volto del dottore ne indaga le intime impressioni, ne scruta il pronostico sulla fisonomia, teme d'essere ingannata per pietà, e vorrebbe indovinare il futuro.

Le malattie dei bambini!... ecco l'amaro realismo che attossica il dolce idillio, ecco il primo scoglio che incontra la felicità coniugale. Quante angosce, quanti spasimi che succedono imprevveduti e repentini alle delizie della culla!...

Eppure gli stessi dolori servono a serrare sempre più il sacro nodo che stringe la famiglia, e ne rende più prezioso il legame. Che cosa resta nella sventura se manca il compianto di chi ha divisa la gioia?!...

Nei giorni nefasti, quando la mia Giuseppina cadde ammalata per la dentizione e il morbillo, la desolazione aleggiava sulla casa, e la nostra vita sembrava sospesa. Agata non abbandonava un minuto la sua creatura, di giorno di notte; beveva appena qualche sorso di brodo per sostenersi, e non chiudeva gli occhi oppressi dal sonno che col capo appoggiato al capezzale della piccola inferma, svegliandosi al rumore d'una mosca. Mia suocera era accorsa ad assisterci e a farci coraggio, la Menica aiutava la Rosa, Bitto non lasciava che di rado la camera dell'ammalata, ed io avevo perduta la testa, e non servivo che d'imbarazzo.

Ogni gemito della bambina ci gettava tutti nell'angoscia, ad un suo sorriso i nostri volti si illuminavano come l'orizzonte alla comparsa del sole, e quando migliorava sensibilmente, era una gioia universale.

Giuseppina era dotata d'una costituzione robusta; sua madre colle cure intelligenti del cuore aiutava potentemente la natura e la scienza, e grazie al cielo nostra figlia ci fu conservata, e passate le burrasche d'infanzia crebbe in buona salute, acquistando vigore dall'esercizio delle membra nell'aria pura ed elastica delle montagne.

Agata la sorvegliava e dirigeva con intelletto d'amore, secondando il bisogno costante dei fanciulli di muoversi, di correre e saltellare, ma occupandosi in pari tempo dello sviluppo del corpo, della mente e del cuore. Non rispondeva mai alle sue domande con quelle erronee asserzioni che lasciano nei fanciulli un lievito d'idee false e di pregiudizî33. Le spiegava ogni cosa con verità e precisione; evitando soltanto ciò che sfiora il candore e l'ingenuità giovanile, ma aguzzando il suo intelletto, ed alzando il suo pensiero ad elevati concetti; coltivando nel suo cuore i sentimenti più nobili, delicati, gentili, che avvezzano a pensare agli altri prima che a , godendo maggiormente del bene operato in favore altrui, che d'un piacere personale. E la bambina cresceva sana e affettuosa, forte e sensibile, e con gusti semplici.

Quando muoveva i primi passi ancora incerti, si abbrancava al pelo dello schiena di Bitto, e si teneva salda al suo appoggio, ed egli andava avanti pian piano, l'aiutava a camminare, mostrandosi altamente compreso della sua responsabilità. Bitto fu il primo amico di Giuseppina, e certo il più devoto e fedele; compagno inseparabile della sua infanzia, fu in pari tempo il suo protettore e la sua vittima. Egli la seguiva dovunque, coll'intento evidente di sorvegliare i suoi passi, e guai se un uomo od una bestia le bazzicava troppo vicino! egli li avvertiva con un grugnito significante, di passare al largo, e nessuno se lo faceva dire due volte, aveva voglia di scherzare quando il guardiano mostrava i denti.

Quando il cane si sdraiava maestosamente sulla soglia, la bambina andava a sedergli in grembo, egli si acconciava in semicerchio per riuscire più comodo, e talvolta essa, appoggiando la bionda testa ricciuta sul nero pelo del suo amico, s'addormentava tranquilla; e non c'era pericolo che Bitto si movesse fin che durava quel sonno. Quando essa apriva gli occhi egli la guardava con affezione, e se la piccina piangeva, le lambiva il viso e le mani per consolarla.

La vita intima e solitaria sprona naturalmente alle confidenze. Parlavamo con mia moglie del passato, dei parenti morti, dei giuochi d'infanzia, delle prime conoscenze, si voleva che nulla rimanesse segreto fra noi. Agata mi raccontò i primi anni della sua vita, passati come la nostra Giuseppina fra le carezze dei genitori e i fiori del giardino; la sua dolorosa partenza pel collegio di Como, i giuochi colle compagne, le amicizie, le gelosie di quel piccolo mondo, i sogni color di rosa dell'educanda, il lieto ritorno alla casa paterna, i giorni sereni passati accanto alla madre, le occupazioni della vita domestica, i piaceri del giardino e dell'orto, i passeggi, le letture, le opere di carità verso i poveri e finalmente la mia fatale comparsa.

Pare ch'io portassi meco da Milano una cert'aria che produsse l'effetto dei venti alisei sul mare in bonaccia. Io ascoltava con naturale soddisfazione le ingenue confessioni dei primi torbidi prodotti dalla mia presenza in quell'anima pura. La mia fredda indifferenza ispirandole piena fiducia, essa si era abbandonata senza timore, e senza sospetti, a studiare il fenomeno interessante della caduta d'un Milanese in Valtellina. Ma non si scherza col fuoco, signorine!... ed è certo che l'amore intenso che ardeva nel mio petto per la contessa Savina emanava un calore latente, che pervenne a scottare il cuore dell'Agata.

Potrei paragonarmi ad una stufa ignara delle sue facoltà.

Da tali confidenze venni anche a scoprire che la simpatia dell'Agata sul mio conto fu dapprima combattuta da' suoi parenti, e ritengo per fermo che ciò abbia contribuito non poco a sviluppare l'amore successivo, perchè le figlie d'Eva conservano sempre una tendenza ereditaria pel frutto proibito; perciò avviene sovente che l'opposizione ad un matrimonio fa l'effetto del mantice nella fucina: ravviva la fiamma.

Le mie scappatelle offersero validi argomenti ai signori Bruni per farmi la guerra, ma l'Agata mi difendeva accusando i perversi compagni che mi trascinavano mio malgrado sulla strada del male e così dimostrava senza saperlo che i cattivi soggetti sono talvolta più fortunati dei buoni anche presso le donne oneste. Ed è naturale: i piatti ghiotti non sono i più semplici.

Le dissidenze domestiche rimasero sospese fino al momento della mia dichiarazione d'amore, la quale avendo gettato della paglia sul fuoco fece divampare un incendio irresistibile. Allora i parenti cedettero perchè non siamo più ai tempi dei Capuleti e Montechi; essendo soppressi i conventi, Giulietta non trova più il frate Lorenzo che le somministri il sonnifero, e i buoni genitori volendo vedere l'unica figlia felice, lasciano che sposi il suo Romeo, anche se questi non è che un povero maestro rurale.

D'altronde le idee dell'Agata erano assai modeste. Essa non aveva che un solo desiderio: trovare un marito che non fosse un piffero di montagna, e vivere vicino ai genitori, nel villaggio ove era nata, occupandosi del suo compagno, dei figli, coltivando i fiori, allevando degli animali, e rendendo tutti felici, uomini e bestie. Era convinta che non occorre cercar la felicità da lontano, che sta dentro di noi, e che da per tutto le buone mogli fanno i buoni mariti, e viceversa.

Non faccio per vantarmi, ma essa poteva dire di aver guadagnato al lotto, sposando un galantuomo, che in fine dei conti non era un allocco un povero, essendo milanese e nipote d'un zio canonico.

Io pure alla mia volta le feci le mie confidenze esplicite, franche ed ingenue, senza restrizioni mentali. Le raccontai per filo e per segno il mio amore petrarchesco per la contessa Savina, muto ma profondo come il silenzio, e condensato come l'acqua bollente nelle caldaie a vapore; alimentato dalla fiamma di due occhi più vivaci del sole. E non le tacqui le mie ridicole illusioni intorno all'amore e alla gloria, le feci mistero del mazzetto di fiori raccolto e del bacio respinto, e le narrai fedelmente le mie follie, le lagrime versate, le ansietà e le speranze, i disinganni e i dolori che furono le conseguenze di questo errore giovanile.

Agata mi ascoltava attentamente richiedendomi sempre nuovi particolari, e obbligandomi di disotterrare le minuzie insignificanti che stavano sepolte nella mia mente sotto la motta degli anni. Poi si arrestava a considerare tutti i motivi che potevano aver spinto la contessa Savina a raccogliere il mio mazzolino di fiori, a mostrarsene soddisfatta, e poi a non corrispondere al mio bacio. Analizzava con sottili argomenti il cuore della fanciulla, e volendo giudicarla dai risultati, conchiudeva accusandola di leggerezza, d'ambizione, di civetteria. Tale giudizio sembrandomi ingiusto, la difendevo, forse con troppo calore, e allora l'Agata mi guardava fisso e impallidiva... e io tacevo.

Talvolta voleva una esatta descrizione della persona e delle vesti, e doveva spiegarle come era pettinata, quali fossero i suoi gioielli e i colori preferiti, e tutto questo mi faceva ripensare a molte cose dimenticate, e in fine si soffriva tutti e due.

Ero quasi pentito d'aver toccato un tasto doloroso; forse commettevo un'imprudenza scoprendo una mina che non aveva scoppiato, ma mi sembrava un dovere di coscienza non aver segreti per mia moglie, alla quale avevo oramai dedicata tutta intiera la vita.

Siccome il cielo non può rimanere sempre sereno, ed anche nei climi migliori si vedono delle nuvole, così la più onesta e felice esistenza ha i suoi giorni burrascosi. La gelosia venne a intorbidare la nostra pace, una gelosia retrospettiva, la peggiore di tutte; e perchè è impossibile annullare il passato, e siccome è una passione cieca, che si pasce di vani fantasmi, che si adombra del vuoto, così la ragione non basta a calmarla, a premunirci contro le uggiose sorprese di questa strega, che rode stessa e rende ingiusti e cattivi. Erano piccoli attacchi, ma essendo immeritati, irritavano il mio carattere onesto, mi toglievano la pace, e mi mettevano di pessimo umore.

Agata, prendendo nelle braccia la nostra bimba, mi diceva:

- Ti pare che rassomigli alla tua contessa?

La mia contessa!... questa parola mi urtava i nervi, e rispondevo con troppa vivacità, o con sdegnosa ironia.

- Ecco!... - essa continuava, - non si può parlare di lei senza metterti in agitazione.

- Ma non è perchè mi parli di lei, che mi fai dispetto, sibbene perchè ne parli come non hai diritto!...

- Scusami se manco di rispetto... ad una civettuola.

Io prendevo il cappello e fuggivo, coll'intenzione di lasciarla sola un paio d'ore per infliggerle una punizione e tenerla nell'inquietudine... ma dieci minuti dopo tornavo indietro per darle un bacio e la trovavo cogli occhi rossi.

- Ma, santo Dio!... che cosa hai adesso?... Che cosa vai sognando per intorbidare la nostra vita onesta e tranquilla?... Grazie al cielo nessun dolore ci opprime, nessuna pena ci affanna, e tu vai cercando il pelo nell'uovo!... Che cosa hai bisogno di andare a pescare in un passato remoto... che è scomparso per sempre!...

- Per sempre!... - essa riprendeva, - chi ti assicura per sempre!... Puoi tu conoscere quello che ci riserva l'avvenire?... Ho sempre udito dire che il fuoco più pericoloso è quello che cova sotto la cenere... la contessa è ancora giovane... e poi che può fare l'età?... gli anni passano egualmente per l'uno e per l'altro, e così si resta eguali. Le passioni più violente non sono le prime, ma le ultime... se poi sono le prime, riprese dopo un desiderio infinito, allora ti voglio!...

- Ti prego in grazia, lasciami tranquillo; sei ingiusta e un po' troppo caparbia!... non rispetti la mia onestà... e nemmeno l'evidenza... noi siamo in34 Valtellina, e la contessa è a Milano... o forse altrove.

- Le montagne stanno ferme, ma gli uomini camminano.

- Insomma non mi seccare... e basta.

Essa abbassava il capo e taceva, ma si sentiva nella stanza la temperatura della Siberia; io non mi potevo rassegnare, e saltava su nuovamente.

- Dimmi, Agata... tu hai dunque perduto la stima di tuo marito?

- No... ma...

- Ma che cosa?

- Che so io?... ho sempre un pensiero molesto che mi tormenta, e che cerco invano di soffocare... o almeno di rinchiudere in me sola....

- Qual è questo maledetto pensiero!

- Penso a quel bacio!...

- Ebbene quel bacio... che cosa significa quel bacio?... Allora io non ti conoscevo, non avevo ancora vent'anni, ero un ragazzo senza testa... ma libero delle mie azioni... ti ho confessato che ero innamorato... come tutti i giovani della mia età... e non mi pare d'aver perpetrato un delitto... irreparabile per aver mandato un bacio ad una ragazza... a venti e più metri di distanza!... e che essa non ha nemmeno restituito!...

- Si vede che te ne dispiace ancora!...

- Invece ti giuro che adesso non me ne importa affatto!

- Essa forse non pensa così!... e vorrà pagare il suo debito!

Per non cadere in escandescenza io fuggivo precipitosamente, chiudendo le porte con violenza, e correvo attraverso i prati decapitando col mio bastoncello tutti i fiori che alzavano la testa sugli altri e maledicendo la sorte, il passato, il presente, ed avrei mandato a rotoli il mondo.

- Come mai!... - io dicevo fra me, - come mai!... un marito fedele... una moglie virtuosa, con una bimba diletta!... che si adorano, vivono onestamente, non hanno disgrazie, e non possono essere felici!... Che diavolo! il mondo è dunque una trappola, dove si trovano dei sorci arrabbiati che si divorano fra loro?... ma l'onestà non è dunque altro che un infame chiappoleria per ingannare i babbei!... e mandava sospironi che minacciavano di convertirsi in bestemmie....

E meditando sul mio caso speciale io ritornava su quel misero bacio, un bacio in aria, una puerilità, una bolla di sapone, scoppiata da tanti anni! e quella inezia aveva la forza di farmi infelice! ma perchè?... perchè mia moglie mi amava talmente, che era gelosa perfino del passato!... Dunque era l'eccesso della mia felicità che mi rendeva infelice! era la dolce sorgente d'amore che avvelenava i miei giorni, era il miele che mi sembravaamaro!... era per un bacio e in mezzo a due amori che io mi struggevo d'odio contro la vita!...

I paradossi mi riconducevano al domicilio coniugale, rassegnato a vivere o a morire, secondo il destino.

Non ho potuto mai sopportare lungamente i musi lunghi, ho sempre preferito l'odio al rancore, la morte ai tormenti; perciò dopo le lotte fui sempre il primo a presentare i preliminari di pace, e siccome l'avversario aveva quasi sempre consumate le munizioni e bruciate tutte le polveri, così si andava presto d'accordo. A poco a poco il barometro segnava il sereno, ed il termometro indicava una temperatura più calda.

Ma le vicissitudini dell'atmosfera e i quarti di luna esercitano realmente una costante influenza sul carattere della donna: e mi era impossibile di realizzare sotto al piccolo tetto domestico la felicità della pace perpetua, sognata da certi filosofi per l'umanità tutta intiera.

Un nonnulla dava soggetto talvolta alle nostre beghe; uno scherzo degenerava in alterco, o finiva in considerazioni melanconiche.

Un giorno, passeggiando in giardino, l'Agata venne a posarmi un fiore nell'occhiello dell'abito. La ringraziai con un bacio sulla fronte, ed essa mi disse:

- Te lo pongo a credito... ma a condizione che se l'altra paga, io sospendo i pagamenti.

- Che cosa vuoi che paghi?... - io risposi con qualche impazienza, - nessuna donna ha debiti verso di me.

- Sta zitto!... - riprese, - non negare almeno che sei in credito d'un bacio!...

- È una strana pretesa davvero, - io soggiunsi, - la tua gelosia ti esagera di molto il diritto degli innamorati. Essi non tengono conto scrittura doppia dei crediti e dei debiti delle loro passioni, possono esigere la liquidazione di partite abbandonate da un pezzo.

- Eppure scommetto cento contro uno che la contessa desidera pagarti il suo debito.

- Prima di tutto questo è un oltraggio che offende gratuitamente una persona onesta, ma è il solito della gelosia. In secondo luogo ti ripeto per la millesima volta che la contessa non ha verun debito verso di me... io non le ho fatto cambiali, e se un bacio è una cambiale, essa non l'ha pagata alla scadenza, io non le ho fatto in tempo il protesto, e quindi non ho più diritto all'esazione. Metti che sia fallita, e finiamola.

- Io conosco dei falliti galantuomini, - essa riprese, - che sono andati a far fortuna in America, e al loro ritorno hanno soddisfatto interamente ai loro impegni.

- Consolati, sono casi tanto rari, - io le risposi, - che non hai nulla a temere.

Ed essa di rimando:

- Ciò che è raro non è impossibile!... - e dopo una lunga pausa, quando io sperava che fosse caduto il discorso, essa esalò un profondo sospiro e riprese: - le donne hanno una seconda vista e presentimenti che non fallano. Io sento dentro di me che un giorno tu riceverai un bacio dalla contessa Savina!...

- No... no... mille volte no, essa vorrebbe darmelo, io vorrei riceverlo; i nostri cuori vennero separati per sempre, noi non siamo più liberi, siamo onesti, abbiamo figli e famiglia che non vorremmo tradire, e sante affezioni che c'impongono dei doveri....

- I doveri cedono sovente alle passioni... che sono più forti della volontà. Verrà un giorno!... - e qui alzava il braccio in aria fatidica, quando io le chiusi la bocca con una mano, e con l'altra arrestai il gesto minaccioso, dicendole:

- Basta così... Agata, tu metti troppo a cimento la mia pazienza, e la tua ostinazione nelle accuse ingiuste e irritanti potrebbe condurci nostro malgrado a ciò che vogliamo e dobbiamo fuggire!... basta così.

La nostra bambina col suo celeste sorriso comparve tra i fiori, come un angelo disceso dal cielo a calmare le nostre anime, raddolcite dall'amore... e amareggiate dalla gelosia.

 

 

 





32 Nell'originale "longamine". [Nota per l'edizione elettronica Manuzio]



33 Nell'originale "pregiudizi". [Nota per l'edizione elettronica Manuzio]



34 Nell'originale "in in". [Nota per l'edizione elettronica Manuzio]



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