Maria Savi Lopez
Nani e folletti
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Laurino

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Laurino

La memoria delle lotte durate fra numi antichissimi per l'acquisto o la liberazione di una sposa, immagine raggiante della primavera per tante genti indo-europee, era largamente diffusa nel Medioevo, conservando maggior freschezza nella poesia e nelle tradizioni dei popoli germanici, e ritrovandosi anche fra altre genti con la semplice forma della leggenda popolare, della novellina o della fiaba raccontata ai fanciulli.

Nei canti epici che contenevano tanti ricordi degli antichi numi, e nelle novelle popolari in cui si raccontavano queste lotte, non potevano mancare le strane e deformi figure dei signori della terra, dei padroni del regno oscuro dove era nascosto l'oro fulgido, immagine del sole, del quale doveva impossessarsi un cavaliere fortissimo prima di liberare la bella donna, la sposa dannata ad una triste prigionia finché regnava sulla terra il triste inverno.

Questi mostri erano spesso custodi della donna, o, per una di quelle stranezze tanto frequenti nel riprodursi del racconto mitico, finivano qualche volta con l'aiutare il bel cavaliere chiamato a liberarla. Laurino, malgrado la sua affinità con Oberon e con l'Alberico dell'Ortnit, rapisce invece per sé la bellissima Kunhilde, sorella dell'eroe Dietleib principe della Stiria; ed è più vicino, a dispetto della sua piccolezza, al possente Ade signore dell'inferno, che toglie a Persefone il sorriso della terra, anziché ai nani compiacenti. Ma non manca, nel poema Il re Laurino scritto in onore del nano tirolese, la liberazione della principessa; e questa avviene per opera di Teodorico, signore di Verona (Dietrich von Bern), e dell'eroe Dietleib, fratello di lei, anche egli famoso nella poesia germanica del Medioevo.

È molto probabile che la redazione a noi rimasta del Re Laurino, anche detto Il piccolo giardino di rose per distinguerlo dal Grosser Rosengarten, sia stata composta fra il 1195 ed il 1210. Avvenne dunque che mentre si spargeva in Francia ed altrove la gloria di Oberon, i menestrelli della Stiria e del Tirolo ripetevano nei castelli e nei villaggi la canzone epica in lode di Laurino e del suo vincitore Teodorico.

Il suono della viola si univa allora al canto del menestrello, il quale forse si compiaceva della barbara ed ingenua opera sua, se gli riusciva di aggiungere nuove varianti o nuova armonia di versi alla vecchia leggenda.

Non erano lungi dagli uditori le foreste selvagge e le cime nevose dei monti, dove Teodorico e Wittich avevano combattuto col nano. E verso quelle foreste e quelle cime si volgevano gli sguardi desiosi degli uditori, mentre il poeta descriveva il meraviglioso regno di Laurino e parlava dell'oro rosso, dell'argento, delle gemme, che valevano più di tutti i regni della terra.

Nessuno metteva in dubbio l'esistenza di Laurino, re dei nani, e dei suoi tesori fra quella gente che credeva popolati di nani malefici o cortesi i campi e le caverne, le foreste e le case. Ah! Se avessero posseduto quegli uditori gli anelli incantati, che avevano messo Teodorico ed i suoi compagni in grado di vedere i nani e di vincerli! Forse allora avrebbero sfidato tutti i misteriosi abitanti delle montagne; tutto il terrore che destavano in loro i boschi di faggi e di abeti e le alte cime dei monti, non ancora calpestate dall'uomo; ed avrebbero cercato lassù il giardino bello come il Paradiso terrestre, e l'oro rosso, le gemme, l'argento dei nani! Poi il menestrello interrompeva il canto per raccomandarsi alla generosità dei suoi uditori, come usava anche il poeta di Oberon. Allora dalle cime nevose, dai boschi di faggi e di abeti, dall'invida ammirazione dei tesori del nano, le menti tornavano alla prosa della vita. Ma quando ricominciavano il suono della viola ed il canto, Laurino e la nobile Kunhilde, Teodorico ed i suoi compagni, i nani valorosi ed i giganti riapparivano alle fantasie accese, mentre tutti seguivano di nuovo con interesse il racconto delle lotte fra i guerrieri famosi ed i piccoli nani. A queste assisteremo anche noi, e non saranno meno terribili di quella che l'eroe Siegfried, luminoso come il sole, invulnerabile come Achille, sostenne contro il nano Alberico, misterioso custode di profonde caverne e di tesori.

Vi era dunque in Verona (Bern) un cavaliere chiamato Teodorico, più valoroso di tutti gli altri guerrieri. Un giorno Wittich, il figlio del fabbro, levava alle stelle le sue lodi, quando il sapiente maestro Ildebrando fece notare ai cavalieri che Teodorico non aveva ancora combattuto nella «montagna vuota», dove era il regno dei nani. Chi osava assalirli si esponeva a grande pericolo, perché uccidevano molti eroi. Teodorico sarebbe stato degno di lode soltanto se gli fosse riuscito di punire la loro prepotenza.

Teodorico, giunto in mezzo ai cavalieri, udì il discorso d'Ildebrando, e s'adirò contro di lui. Perché non gli aveva parlato prima di quell'impresa? Ildebrando gli disse che conosceva un nano dell'altezza di un palmo, chiamato Laurino, il quale aveva già troncato a molti eroi le mani ed i piedi. Laurino, re dei nani, era degno di lode, ed era anche l'eroe più audace che si potesse immaginare. Il suo giardino di rose nel Tirolo non era cinto da un muro, ma da un laccio di seta. Chi spezzava quel laccio veniva punito severamente, e doveva lasciargli il piede destro e la mano sinistra.

Questo giardino meraviglioso, il laccio di seta, il tributo di sangue che il nano esigeva dai cavalieri imprudenti, hanno una lontana e misteriosa origine. Si può vedere nel giardino di rose una di quelle imagini del Paradiso terrestre, che, secondo le credenze di molti alpigiani, si trovava sulle Alpi? Non dovremmo, invece, ricercare in esso qualche misteriosa dimora dei morti? Ed il tributo imposto da Laurino non può avere qualche relazione con quello richiesto alle tristi anime dei morti, e ricordato nelle mitologie di popoli diversi, dalla Grecia e dall'Egitto fino ai regni degli Aztechi?

Teodorico volle partire subito per andare a cogliere le rose di Laurino. Il prode Wittich si offrì per seguire il suo signore e aiutarlo a distruggere quelle rose. I cavalieri montarono a cavallo, e quando giunsero nel Tirolo, percorsero sette leghe in mezzo ad una foresta di abeti, prima di arrivare sul prato verdissimo presso il giardino pieno di rose, che il piccolo re Laurino aveva ornato con lacci d'oro e con gemme fulgenti.

Nel descrivere questo giardino, il poeta mostra per la bella natura un'ammirazione che non si trova con molta frequenza nella poesia del suo tempo; quando neppure il poeta di Oberon seppe descriverci con vivi colori il «gaut18 ramé» dove imperava il nano, e non ebbe una parola d'entusiasmo per quelle terre d'Oriente che pur doveva conoscere dalle descrizioni di tanti pellegrini e crociati. Ma non sappiamo se la bellezza delle montagne, dove fioriscono le rose alpine, abbia parlato al cuore del poeta di Laurino come parlò forse a quello del cantore di Ortnit l'incanto del nostro lago di Garda; o se fu qualche reminiscenza classica a farlo indugiare alquanto nella descrizione del giardino meraviglioso. In ogni modo, non credo che il poeta di Laurino abbia imitato la descrizione del grande giardino di rose di Worms, nel quale entrò anche in forza del suo valore il re Teodorico, con l'impetuoso Wolfhart, il vecchio Ildebrando ed altri eroi. In effetti, anche il giardino di Worrns, così somigliante a quello di Laurino, era pieno di oro rosso e di tesori, e vi regnavano la pace e la felicità. Ma vi sono nel Grande giardino di rose certi elementi satirici che ci possono indurre a crederlo posteriore al Re Laurino, almeno nella redazione che di esso ci rimane. Le rose del nano emanavano una viva luce, e Teodorico, il cavaliere senza macchia, disse a Wittich:

– Questo è certamente il giardino del quale parlò Ildebrando, e saremo presto aggrediti. Come è soave il profumo delle rose! Resterei sempre qui, notte e giorno, se Laurino me lo permettesse.

Wittich non si lasciò sedurre dalla bellezza del giardino, e disse all'eroe di Verona che se pure Laurino fosse stato aiutato dal diavolo, avrebbe dovuto rendergli conto della sua superbia. Egli indusse il suo signore a smontare da cavallo; poi strappò le rose e prese a calpestare nella polvere i lacci spezzati.

Scomparve allora la luce delle gemme, e tutta la bellezza del giardino fu distrutta. Svanì il profumo delle rose, al pari della viva luce, e questo fu cagione di molta pena per gli eroi. Il laccio fatale era spezzato!

Ben presto seguì all'offesa la vendetta. Gli eroi, seduti sull'erba, dimenticarono ogni loro affanno quando il nano furioso si avvicinò ad essi. Teneva in mano un'asta ornata d'oro, come usavano i principi, ed alla sua estremità si spiegava una bandiera, sulla quale erano dipinti due mastini. Quando il vessillo era mosso dal vento, questi sembravano vivi, come se inseguissero una preda.

Il cavallo del nano, alto come un capriolo, aveva la pelle maculata, e lo copriva una gualdrappa tempestata di gemme, che emanavano nella foresta una luce pari a quella del sole. Anche le redini d'oro splendevano, ed il piccolissimo nano le stringeva nella sinistra, movendo verso i principi. La sella era d'avorio massiccio, adorna di brillanti e rubini; la corazza di Laurino, coperta d'oro, era stata resa invulnerabile dal sangue di un drago, e mandava una viva luce. Il nano portava anche una piccola cintura incantata, che gli dava la forza di dodici uomini. Benché la sua spada fosse lunga un palmo, fendeva le pietre e l'acciaio, e l'elsa gemmata valeva più di un regno. Sulla sua sopravveste di seta sfolgoravano molti gioielli preziosi, disposti in settantadue file, e Laurino l'indossava sempre, nelle tempeste e nelle battaglie. Anche l'elmo del nano era coperto di gemme, che potevano dare alla notte più buia tutto lo splendore del giorno. Sul cimiero si scorgeva una corona meravigliosa, adorna di uccelli che sembravano vivi. Tutte queste cose erano fatte con grande arte e per opera di magia.

Lo scudo d'oro del nano non era mai stato guasto dalle spade, e su di esso si vedeva un leopardo che sembrava, come il piccolo re, pronto a combattere.

Appena i cavalieri scorsero il nano, Wittich esclamò: – Ci aiuti la grazia di Dio, o Teodorico! Questo nano è forse un angelo, poiché cavalca come San Michele. E probabile che venga dal Paradiso.

Il signore di Bern gli disse che gli piaceva di vedere l'angelo, e soggiunse: – Intanto lega bene il tuo elmo d'acciaio. Temo che ci sia nemico, ed ha ragione di assalirci.

Il nano rivolse con rabbia la parola ai cavalieri, domandando perché stavano nel giardino che gli apparteneva, e volle che pagassero il solito tributo di sangue. Teodorico l'ammonì, perché osava chiedere quel tributo. Le rose sarebbero fiorite di nuovo nell'estate, purché Iddio mandasse l'aura propizia, ed egli doveva chiedere solo un tributo d'oro e d'argento.

Mentre continuava il discorso fra Teodorico e Laurino, Wittich s'accese d'ira contro il suo signore, perché ascoltava con tanta pazienza il nano invece di fare quanto si conveniva ad un re valoroso. Teodorico disse al compagno che Iddio dava prova della sua grandezza anche nelle piccole cose. Senza la sua protezione, il nano non avrebbe osato parlargli con tanta audacia, e colui che aveva per sé la protezione di Dio non doveva essere offeso dagli uomini.

Laurino sfidò Wittich alla prova delle armi, e disse che il loro duello sarebbe stato degno della presenza di un imperatore. L'eroe, che il poeta chiama spesso «la degna spada», smontò subito da cavallo per aggiustare la bardatura, e balzò di nuovo in sella senza far uso delle staffe, cosa che piacque a Laurino. Entrambi si assicurarono bene gli elmi sul capo, e poi si slanciarono l'uno contro l'altro come due falchi, l'uno grande e l'altro piccolo, «avendo Laurino le gambe corte».

Wittich non poté colpire il nano, che invece lo ferì al ginocchio, e niente aveva mai dato all'eroe tanto dolore quanto la ferita fattagli dal piccolo Laurino. Questi scese sul prato, volendo esigere dall'eroe il solito tributo, cioè il piede destro e la mano sinistra, e l'avrebbe ottenuto, se Teodorico non si fosse interposto mettendo la sua spada fra Wittich ed il nano. Non poteva permettere che si facesse quell'offesa all'eroe, suo compagno da lunghi anni.

Il nano superbo sfidò Teodorico, al quale doveva dare una prova terribile di quel che valevano la sua astuzia e la sua forza. Anche il sire di Bern era colpevole di aver distrutto le rose, e doveva essere punito. Se il nano si fosse trovato di fronte mille e anche duemila cavalieri pari a Teodorico ed a Wittich, non li avrebbe temuti!

Teodorico accettò la sfida del nano, montò a cavallo tenendo stretta la lancia, e per cortesia lasciò che il nano desse il primo colpo. Mentre incominciava il duello, giunsero sul prato il maestro Ildebrando, il furioso Wolfhart, che non aveva mai evitato i combattimenti, e l'eroe Dietleib. Tutti furono inquieti, vedendo che il loro re combatteva col nano.

Caro signore, – gridò Ildebrando all'eroe di Verona, – ascoltami, perché se disprezzi il mio consiglio perderai l'onore. Non conosci tutte le astuzie del nano, ed è vana cosa assalirlo. Tu che sei stato vittorioso in ogni duello sarai vinto da lui. Ora ti conviene scendere sul prato e combattere a piedi. Non hai forza che basti per lottare con Laurino, poiché le sue armi sono terribili. Se vuoi ferirlo, devi dargli un colpo sull'orecchio con l'elsa della spada, affinché sia stordito, Se Iddio vorrà aiutarti, potrai vincerlo solo in questo modo.

Teodorico seguì il consiglio d'Ildebrando e discese sul prato, dove ebbe principio una delle lotte più terribili celebrate dai poeti. Laurino spezzò lo scudo di Teodorico; questi fece cadere il suo e cercò di colpirlo sull'elmo. Quando finalmente vi riuscì, il colpo risuonò così forte che il rumore giunse fino al cielo.

Laurino, stordito, non sapeva più dove stesse. Trasse allora da una tasca il suo berretto per coprirsi il capo, e sparì innanzi al suo nemico. Mentre era invisibile, lo ferì parecchie volte, tanto che il sangue dell'eroe grondava sulle sue armi. Teodorico combattè inutilmente contro il nano invisibile, e fece con la spada una spaccatura enorme nella roccia. Ildebrando gli consigliò di lottare corpo a corpo col nano; questi gettò la spada, al pari di Teodorico, e lo afferrò alle ginocchia. Il guerriero gigantesco ed il piccolo nano caddero insieme sul prato.

Ora, – gridò Ildebrando al suo padrone, – devi rompere la cintura del nano, che gli la forza di dodici uomini.

Teodorico, furente, che mandava fuoco dalla bocca, afferrò il nano per la cintura, lo alzò dal suolo e lo buttò sul prato; allora la cintura si spezzò, e Ildebrando la raccolse. Il nano vinto gridò con tanta forza per il dolore, che la sua voce echeggiò sulle montagne e nelle valli. Poi giurò obbedienza a Teodorico implorando la sua misericordia, e gli offrì quanto possedeva.

Il Veronese non volle ascoltare le preghiere del nano, e lo fece cadere sul prato con un colpo. Laurino invocò l'aiuto dell'eroe Dietleib con forti lamenti, e gli disse di aver rapito sua sorella Kunhilde. Allora Dietleib, in nome dell'amore e dell'onore di tutte le donne, ed anche della gloria e dell'onore di tutti i cavalieri, pregò Teodorico di dargli il nano. Teodorico ricusò alteramente di cedere a quella preghiera, e s'accese fra i due cavalieri una violenta contesa. Dietleib afferrò il nano, e senza curarsi dell'opposizione di Teodorico lo trascinò sul prato, portandolo via per sottrarlo alla morte, e lo nascose in una foresta fra gli abeti; poi tornò per affrontare l'ira terribile di Teodorico.

Incominciò una lotta feroce fra questi e Dietleib, e i colpi di lancia e di spada giungevano fino alle ossa e alle midolle. Ildebrando disse a Wittich ed a Wolfhart che era tempo di separare i combattenti. Ildebrando prese il Veronese per mano e riuscì a calmarlo; gli altri cavalieri atterrarono Dietleib e lo costrinsero a rimettere la spada nel fodero per evitare altre sventure. Ildebrando propose i patti della pace, che furono accettati dagli eroi, e poiché fu stabilito che Laurino non sarebbe stato offeso, egli uscì dal bosco.

Dietleib chiese subito notizie di sua sorella al nano, e Laurino gli disse in qual modo aveva rapito la dolce signora, alla quale aveva sempre pensato durante l'affanno dei combattimenti, e che doveva diventare regina di tutti i nani nella «montagna vuota». Egli soggiunse:

– Il castello nel quale dimorava quella donna simile ad un angelo si chiama Steir, come sai. L'ho rapita mentre ballava con parecchie sue compagne in un prato, all'ombra di un tiglio, ed era sotto la custodia di due servi armati. Sono andato a cavallo sotto il tiglio senza che nessuno potesse vedermi. La fanciulla era tanto bella che sembrava la luna innanzi all'esercito delle stelle. Ho preso la sua mano bianca e le ho posto sul capo il berretto incantato, che l'ha resa invisibile; poi l'ho messa sul mio cavallo e portata nel mio regno, senza che nessuno si avvedesse di quel ratto.

Laurino disse ancora che la fanciulla era servita da molti nani e da piccole nane. Egli aveva messo tutte le ricchezze che possedeva ai suoi piedi, e queste erano in tale quantità che, se avesse coperto di gemme tutto il paese, gliene sarebbero rimaste ancora tante che avrebbe potuto comprare tre regni. Intanto Kunhilde non era ancora sua moglie.

L'eroe Dietleib fu contento nell'udire che sua sorella non aveva ancora sposato Laurino, e si disse felice di essersi esposto a grave pericolo per il nano combattendo contro Teodorico. Voleva andare subito a vedere Kunhilde, e se Laurino non aveva mentito, l'avrebbe data volentieri a lui, perché lo preferiva a qualsiasi cavaliere.

Una pace più salda fu stretta fra i cavalieri ed il nano, che volle condurli nelle caverne della sua montagna, dove tutto ciò che possedeva sarebbe stato messo a loro disposizione. In quella montagna avrebbero visto molti nani e molte nane coperti d'oro e di gemme, e sarebbero stati rallegrati dal canto e dal suono.

I cavalieri chiamarono in disparte Ildebrando e gli domandarono consiglio. Il maestro disse che non si poteva respingere quell'invito senza vergogna. Non accettando sarebbero stati chiamati codardi in tutti i paesi.

I cavalieri stabilirono subito di andare con Laurino, e l'eroe di Verona disse al nano che doveva mantenere le sue promesse e non trarli in inganno.

Il nano affermò di nuovo che potevano fidarsi di lui. I cavalieri lo seguirono, ma Wittich faceva quel viaggio di malavoglia, perché non credeva nell'amicizia di Laurino.

Il mattino seguente giunsero innanzi alla montagna dove si trovava il regno del nano, e si fermarono sopra un prato bellissimo, all'ombra di un tiglio fiorito. Gli eroi smontarono da cavallo sul prato coperto di fiori, che mandavano un profumo soave. Si udiva in quel luogo il canto di tutti gli uccelli del mondo, e animali d'ogni specie si trastullavano in pace sull'erba. Erano ammaestrati, e già da lunghi anni avvezzi a vivere su quel prato. Chi vedeva tutte quelle cose belle era costretto a dimenticare ogni tristezza. Disse il Veronese: – Ogni mio affanno è cessato –. Il selvaggio Wolfhart disse a sua volta: – Iddio ci ha fatti venire in questo luogo per metterci in grado di raccontare più tardi, nelle nostre case, dopo lunghi pellegrinaggi, tutti questi prodigi.

Ildebrando ammonì gli eroi perché non si lasciassero ammaliare da tanta bellezza. Anche a lui piaceva quel luogo, ma i savi non dovevano lodare il giorno prima che venisse la sera.

Questo prato bellissimo di Laurino somiglia in qualche modo al giardino descritto nel Lancelot du lac, poema attribuito a quell'Arnaldo Daniello che doveva nel Purgatorio far udire la sua dolce parola al nostro sommo poeta. In questo poema, che ci venne conservato nella traduzione tedesca di Ulrico di Zazichoven, si dice che la bellissima Yblis, la quale aveva per compagne cento fanciulle scelte fra le più belle e graziose del suo regno, possedeva un giardino delizioso. Quando coglieva un fiore, ne sbocciava subito un altro al posto di quello, come sulla spiaggia del Purgatorio, innanzi al tremolar della marina, rinasceva l'umile giunco divelto.

Una primavera eterna regnava nel giardino di Ywaret, padre d'Yblis; tutti gli alberi erano carichi di fiori e di frutti; le piante avevano la virtù di guarire tutte le ferite e le malattie. L'aria che spirava in quel giardino toglieva all'uomo ogni forza morale, o mutava questa in vana audacia. In quel luogo Ywaret vinceva sempre, battendosi coi cavalieri che ambivano la mano di sua figlia, finché non restò vinto a sua volta da Lancelot du Lac, il quale sposò Yblis, la dolce amica dei fiori.

Tornando al prato di Laurino, dirò che il valoroso eroe Wittich pregò i compagni di non lasciarsi ingannare dal nano, il quale era molto astuto. Questi volle che gli eroi lasciassero ogni sospetto per pensare solo a divertirsi, e disse che avrebbero provato una gioia maggiore all'interno della montagna. In quel prato i nani uscivano per godere dell'aria pura sotto il cielo, e per intrecciare ghirlande di fiori o ballare. Non cessavano mai i loro divertimenti, ai quali gli eroi dovevano prender parte. Il Veronese credeva che fosse finito per lui ogni dolore; invece i cavalieri erano minacciati da grave sventura.

I principi lasciarono i cavalli sul prato per seguire Laurino nella montagna. Presso la porta videro dodici fanciulle bellissime che li salutarono, ed un nano che chiuse la porta alle loro spalle. I sospetti di Wittich non cessavano, ed il nano ripeté le sue promesse di fedeltà.

Gli eroi videro nella caverna tutte le ricchezze del mondo. Vi erano cavalieri con abiti bellissimi, ed ovunque l'oro emanava una viva luce. Da ogni parte si vedevano gli ornamenti più preziosi e i gioielli più rari.

Laurino usò grandi cortesie agli eroi. Le panche sulle quali sedettero erano d'oro tempestate di gemme; e li servivano, intorno alla tavola imbandita, innumerevoli nani. Altri li rallegravano con danze e giuochi, nei quali davano prova di grande maestria. Alcuni piccoli nani cantavano con tanta dolcezza, che ogni dolore veniva meno nell'animo di chi li ascoltava.

Dirò più tardi del canto meraviglioso degli elfi, del quale abbiamo già trovato un ricordo nel suono del corno di Oberon. Ora pensiamo alla bellissima principessa Kunhilde, che venne a salutare i suoi ospiti accompagnata da fanciulle con indosso abiti ricchissimi di seta coperti d'argento, d'oro e di gemme. Ella salutò con molta cortesia l'eroe di Verona, e disse che lo stimava enormemente, perché la fama delle sue imprese era giunta fino a lei, ed egli non aveva mai mancato all'onore. L'eroe ringraziò la giovine Kunhilde, che riconobbe in mezzo agli eroi il fratello e si gettò fra le sue braccia.

Dietleib le domandò subito se era contenta, o se voleva lasciare la montagna vuota ed il nano. Kunhilde gli rispose che si trovava fra l'abbondanza di ogni cosa, e che il suo cuore era pieno di gioia, ma non le piaceva vivere in quel modo, perché la razza dei nani era cattiva, ed essi non credevano in Dio. Ella metteva la sua speranza nell'affetto del fratello, pronta a seguire i suoi consigli.

Dietleib promise di toglierla al nano. Intanto, mentre gli eroi sedevano presso la tavola del banchetto senza armi, Laurino raccontò in disparte a Kunhilde le offese ricevute. Se Dietleib non fosse stato con gli eroi, si sarebbe già vendicato. La principessa pregò il nano di non ucciderli: egli le promise quello che volle e mise alla mano destra un piccolo anello, che gli diede la forza di dodici uomini.

Laurino chiamò Dietleib in una caverna, e gli promise di dividere con lui quando gli apparteneva, purché abbandonasse i suoi compagni. Il giovane respinse con sdegno la proposta, e disse che era pronto a morire anziché compiere un tradimento. In ogni modo voleva dividere la sorte dei compagni. Laurino, che aveva tanta astuzia, lo chiuse nella caverna dicendogli che vi sarebbe rimasto finché non avesse mutato pensiero.

Il nano fece mescere agli eroi un vino che li stordì, e quando non furono più capaci di difendersí, li gettò in una caverna dove soffrirono molto. In questo modo Laurino tradì gli eroi nell'interno della montagna, ed essi non si sarebbero salvati se Teodorico, acceso d'ira, non avesse gettato dalla bocca un fuoco che distrusse le catene che li tenevano avvinti. Ma erano disarmati, e per quattro giorni restarono chiusi nella caverna, prigionieri del selvaggio popolo dei nani.

Kunhilde intanto, andata presso Dietleib, gli donò un anello che doveva consentirgli di vedere i nani quando divenivano invisibili innanzi agli uomini; poi lo liberò dalla dura prigionia, gli ridiede le sue armi, e gli raccomandò di stare in guardia contro le astuzie di Laurino. Dietleib prese anche le armi dei compagni, e le portò nella caverna dove erano chiusi. Quando furono gettate davanti agli eroi, risuonò un terribile fragore nella montagna. Laurino l'udì e sonò il corno; allora tutti i nani si armarono, e tremila di essi si raccolsero intorno al loro re.

Dietleib, tenendo l'anello, vide tutti i nani che l'assalirono e si difese eroicamente, uccidendone molti. Gli altri eroi erano usciti dalla caverna e sentivano il fragore della battaglia, ma non vedevano i nani. Il maestro Ildebrando diede a Teodorico una cintura che gli permise di vederli come li vedeva Dietleib. L'eroe di Verona prese a combattere con grande valore, dicendo che non aveva mai veduto un esercito più numeroso, ma non gli riuscì di atterrare Laurino. Già durava da lungo tempo il duello fra il nano ed il Veronese, quando questi gli tolse dal dito l'anello che gli dava tanta forza, e lo porse a Ildebrando.

Un piccolo nano, vedendo la sconfitta di Laurino e dei suoi compagni, corse a suonare il corno presso la porta della caverna, e nell'udirlo cinque giganti corsero in aiuto del loro signore e dei nani. I cinque cavalieri, i quali avevano gli anelli incantati che Kunhilde aveva dato a ciascuno di loro, assalirono i giganti e li vinsero. Laurino, avendo perduta ogni speranza di vittoria, s'inginocchiò innanzi a Teodorico, implorando pietà per sé ed il suo popolo.

Teodorico, furente, non voleva ascoltare l'umile sua preghiera; allora Kunhilde, la nobile regina, lo supplicò di darle Laurino con i suoi sudditi, in nome dell'onore e dell'amore di tutte le donne. Teodorico pareva irremovibile nel suo proposito di vendetta, e Kunhilde gli disse: – Nobile principe, dammi una prova dello splendore così vivo della tua virtù! Ascolta la mia preghiera, e sii generoso verso di me.

Dietleib e Ildebrando unirono le loro preghiere a quelle di Kunhilde, e Teodorico si piegò a lasciare la vita a Laurino, dicendo che l'avrebbe condotto seco a Verona come prigioniero; poi comandò a Wittich ed a Wolfhart di mettere fine alla crudele battaglia, e di lasciar vivere il piccolo popolo dei nani, ai quali concedeva di stare in pace con lui.

I principi affidarono la montagna ed il governo dei nani a Sintram, che era, dopo Laurino, il più nobile e valoroso fra essi; poi raccolsero una grande quantità d'oro e di gemme dalla montagna, e partirono in compagnia di Kunhilde per andare a Verona, dove condussero anche Laurino.

Dietleib e Kunhilde passarono alcune settimane in quella città, e quando ebbero ottenuto da Teodorico il permesso di tornare nella Stiria, la nobile regina implorò ancora l'eroe di Verona per Laurino, prima di partire. Ella si era adoperata contro il nano, e nessuno dei cavalieri l'avrebbe vinto, se non fossero stati soccorsi da lei. Una triste mercede era dunque toccata a Laurino, dopo che l'aveva fatta padrona di quanto possedeva e con tanto amore si era sottomesso ad ogni suo volere. Per questa ragione ella pregava il re Teodorico di cedere alle sue preghiere.

Egli le disse: – Fanciulla, tutto quello che domanderete vi sarà concesso.

– O nobile principe, – disse Kunhilde, – raccomando Laurino alla vostra bontà ed alla vostra cortesia! Fate che riceva il battesimo, e dopo dategli la vostra amicizia, affinché sia da tutti onorato. L'avete già punito abbastanza per il fallo che ha commesso mancando alla parola data! – O fanciulla, – disse Teodorico, – farò volentieri quello che mi domandate!

Kunhilde volle vedere ancora una volta Laurino, e gli disse: – Amato mio Signore, vi raccomando a Dio. Debbo partire con mio fratello e lasciarvi. Non posso evitarlo! – Il nano gemeva sulla sua felicità perduta, e disse: – Ti avevo scelta perché tu fossi il mio conforto; ma ora sono finiti per me i giorni della gioia. Ah! Se potessi avere di nuovo i miei tesori, li darei tutti, purché ti lasciassero con me! – Laurino piangeva e gridava con tanto dolore che la nobile regina Kunhilde, nell'udirlo, incominciò anch'ella a piangere ed a lamentarsi. Suo fratello Dietleib la condusse via, e le dette per marito un uomo valoroso, col quale ebbe molta gioia fino al termine della sua vita. Quando fu partita Kunhilde, il savio Ildebrando disse a Teodorico di tenere sotto buona guardia Laurino, perché si sapesse se avrebbe scelto senza inganno la nuova fede. Il nano fu affidato al pio Ilsung, che doveva insegnargli la legge dei cristiani, ma per dodici settimane Laurino non volle cambiare religione, ed i valletti del principe lo schernivano. Finalmente deliberò di convertirsi, pensando che i suoi dèi non gli avevano dato un aiuto efficace contro i cristiani, e disse il suo proposito a Ilsung, cosa che diede molta gioia al Veronese, che gli fu padrino nel giorno del battesimo.

Dopo la cerimonia solenne, Teodorico lo condusse nel suo vasto palazzo, e gli fece un giuramento di fedeltà e d'alleanza. Con lui avrebbe diviso la fortuna ed i beni sino al termine della sua vita, e volle da lui lo stesso giuramento. Laurino gli si gettò ai piedi, ed era tanto commosso da non poter parlare. Teodorico lo sollevò, ed il nano disse che gli consacrava la sua vita. Allora si giurarono una fratellanza che durò fino alla loro morte, e Laurino fu sempre onorato.

Il nano del Tirolo non ha avuto nel mondo la gloria di Oberon, ma la sua fama si è diffusa alquanto nel Medioevo, quando i menestrelli della Stiria e del Tirolo cantavano a gara le sue gesta. Pare che il poemetto sia stato noto anche in Danimarca.

Nel secolo XVI fu stampato in parecchie città della Germania, poi cadde nell'oblio, e solo col rifiorire dell'antica poesia tedesca, tornata con onore fra gli eruditi ed il popolo, Laurino è riapparso, col vessillo spiegato e le gemme splendide come il sole, in mezzo ai nani raccolti nella montagna vuota.

Il suo poeta, più ingenuo di quello di Oberon, non ha pensato a dargli un'origine illustre che potesse avvicinarlo ai fasti di Roma, ed in mezzo ai versi rozzi e brevi, alle ripetizioni frequenti come ritornelli di canzoni, alle incoerenze che non mancano nel poema, ci ha tramandato nel nano una delle figure più complesse ed importanti che si siano formate nel confondersi di miti diversi. Laurino è dunque un elfo della luce, come Oberon, uno di quegli spiriti luminosi ricordati nell'Edda ed in altre poesie più antiche delle genti indoeuropee. Eppure, come padrone di un regno sotterraneo, ed a cagione della sua astuzia e del tradimento che compie nella montagna a danno dei cavalieri cristiani, appartiene strettamente agli elfi neri, padroni di tesori e perfidi nemici degli uomini.

Lo splendore delle gemme che lo coprono e possono fare di lui un mito del sole mal si accorda col ratto di Kunhilde, che ha compiuto per condurla nel mondo sotterraneo dal quale, come già ho detto, avrebbe dovuto invece liberarla. Laurino non è soltanto padrone di un regno nella montagna. A lui appartengono pure il mistico giardino delle rose fulgenti ed il prato verde, simili alle regioni beate sospiro delle antiche genti indoeuropee, dove gli uomini possono dimenticare ogni dolore poiché pare che vi regni la beata età dell'oro.

Laurino possiede il berretto famoso dei nani, che manca ad Oberon e che rende invisibile chi lo porta sul capo, ed ha pure la cintura e l'anello che gli danno la forza di dodici uomini. Quest'anello è pari a quello che possiede Hagen nel poema Gudrun, Hütler nel Grande giardino di rose, ed altri eroi, fra i quali vanno ricordati anche certi nobili cavalieri della Tavola Rotonda.

La figura mitica del nano diventa umana quando piange mentre Kunhilde gli l'ultimo addio; e s'intende ch'ella vale per lui molto più di tutti i suoi tesori e del regno perduto. La regina non si rallegra allora della sua liberazione, come dovette rallegrarsi Persefone resa per breve tempo alla luce del sole, ma piange col nano, che è costretta ad abbandonare per sempre.

Verso la fine del poema, si vede chiaramente che un poeta cristiano ha rimaneggiato questa leggenda dalle origini così lontane, ed ha provato molto compiacimento nel parlarci della conversione di Laurino. Questi ha perduto rapidamente la forza, la potenza e l'astuzia, e la sua immagine pagana, che il poeta ci aveva mostrata in tutto il suo fulgore, è infranta come quella di un idolo. Alla vittoria tutta materiale di Teodorico e dei suoi compagni, che hanno domato in lui e nella montagna vuota le forze malefiche delle tenebre, del freddo e del triste inverno, segue la vittoria spirituale e definitiva. Laurino non torna più nel suo regno per rapire di nuovo la bella primavera e raccogliere sotto la sua custodia tutte le ricchezze della terra, ma punito della sua perfidia, che ci fa quasi vedere in lui uno spirito malvagio, diventa subito fedele a Teodorico e resta nella sua corte.

Dopo questa conversione, la neve farà piegare ancora i rami degli abeti sui monti del Tirolo. Tutti i fiori delle Alpi moriranno nel triste inverno, vicino ai ghiacciai, ai laghi solitari e alle case abbandonate dai pastori, ma rifioriranno più tardi nell'alternarsi benefico delle stagioni per volere di Dio, senza che i poeti di nuovi secoli vengano a raccontarci altre lotte cruente fra gli eroi luminosi ed i re delle montagne. E benché al finale del Re Laurino manchi nella forma ogni grandezza epica, possiamo avvicinare in qualche modo la conversione del nano al Crepuscolo dei numi ed alla fuga del vecchio Wäinämöinen, il grande eroe dei Finni, il quale, innanzi al trionfo del cristianesimo, si slanciò nella sua barca di rame per andare verso l'orizzonte lontano, nello spazio inferiore del cielo.

Benché la conversione del nano si debba in gran parte a Teodorico, possiamo ritrovare in lui uno dei personaggi mitici più importanti della leggenda originale. Per questa ragione combatte come un possente eroe solare, come Apollo, Ercole, Sigurd, contro un nemico formidabile della luce o un nume della terra. Ed anche per questa ragione è sopraffatto dall'astuzia del nano, diventa suo prigioniero, e finisce col liberare Kunhilde, la bellissima regina rapita e tenuta prigioniera nel mondo sotterraneo.

Il poeta di Laurino, il quale si serve delle stesse immagini che hanno dato argomento a gran parte della poesia più famosa dell'antichità ed a quella dei suoi contemporanei, non ne conosce né l'origine, né la storia, né il valore, e segue spesso la sua fantasia come altri usarono prima di lui. Così, mentre Laurino risplende come Febo, Teodorico manda fuoco dalla bocca come la Chimera ed altri mostri, avendo in sé certi attributi degli dèi infernali. E forse il signore di Verona, che ritroveremo più tardi fra queste pagine, ha nei Nibelunghi una figura più umana di quella delineata dal poeta di Laurino.

Del Re Laurino furono scritte imitazioni, ed anche un seguito: Valberan. Questi era un parente del nano che cercò di liberarlo; ma Laurino stesso fece stringere la pace fra lui e Teodorico. Nel nome di Walberan si vuole trovare una certa somiglianza con quello di Oberon e Alberico.

Un altro re dei nani chiamato Goldemar aveva rapito, come Laurino, una fanciulla. Teodorico combattè contro di lui, lo vinse, e liberò la fanciulla. Del poema in cui si raccontava questa impresa non ci restano che pochi versi.

Il Re Laurino, Walberan e Goldemar diedero forse origine ad una tradizione secondo la quale il Veronese alla fine della sua vita fu portato via da un nano. Il Grimm suppone che la leggenda tedesca voglia farci intendere che Teodorico si trovi, come Tannhaüser od il leale Eckhart, nel seno di una montagna in casa di qualche Frau Venus, nella quale si potrebbe vedere una regina degli elfi sotterranei. Certamente il nome di Teodorico, vincitore dell'Italia e confuso con antichi miti della poesia eroica, era molto rispettato in Germania, ma non potrebbe questa leggenda tedesca collegarsi a quelle italiane, in cui si dice che Teodorico fu portato via da un cavallo nero che era il diavolo, e gettato nel cratere dello Stromboli?

Nelle canzoni epiche della Russia troviamo un eroe che possiede ricchezze pari a quelle di Laurino, ed abiti sfolgoranti come la sua armatura. Quest'eroe si chiama Diouk, e non è un nano. Ma dobbiamo notare che le canzoni epiche russe (biline) nelle quali si parla di lui sono state raccolte fra il popolo russo in questo secolo. Benché sia possibile ritrovare in esse molte figure mitiche, il cui ricordo si è conservato per tanti secoli solo col mezzo della tradizione orale, queste si sono confuse con personaggi storici, subendo maggiori trasformazioni di quelle dei poemi germanici del Medioevo, pur avendo la stessa origine.

Quando l'ultimo poeta di Laurino cessò di cantarne le lodi, e la sua mano inerte non seppe più trovare le corde della viola, l'immagine del nano venne conservata fulgida e bella per i secoli futuri in mezzo alle pagine dei vecchi manoscritti, e noi la vediamo, dopo circa seicento anni, come era allora. Quella di Diouk, invece, si è trasformata ancora in questo tempo, e benché si voglia giustamente vedere in lui un mito solare, non credo che questo gli impedisca di appartenere anche al mondo sotterraneo e di avere una stretta parentela con Laurino ed altri nani famosi. Diouk – il figlio del principeparte dalla Gallizia per andare a vedere la corte del re Vladimiro, famoso fra i grandi guerrieri che seggono intorno alla sua tavola, come sedevano quelli della Bretagna vicino al re Artù. Vladimiro domanda al giovane il nome di suo padre e quello di sua madre, vuol sapere da quale paese è venuto e a quale orda appartiene.

Il cacciatore Tchourilo, che è seduto alla destra di Vladimiro, insulta il giovane, dicendo che non è il bojardo Diouk, ma uno schiavo, un ladro, e che ha rubato il bel cavallo sul quale è venuto. Le cortesie di Vladimiro fanno dimenticare queste insolenze al giovine Diouk. Ma Vladimiro s'avvede che egli, a tavola, avendo due pani ne mangia uno e getta l'altro. Quando gli danno due coppe di vino, getta da una finestra il contenuto di una di esse. Diouk finisce col confessare che quel cibo non gli piace, e che la famosa ricchezza di Vladimiro non gli sembra dissimile da una grande miseria. Nel suo paese ed in casa di sua madre vi sono venti sotterranei pieni d'oro, d'argento e di perle. Col contenuto di uno solo di quei sotterranei potrebbe comprare le città di Kief e Tchernigof.

Vladimiro vuole sapere se Diouk ha detto il vero, e manda in Gallizia alcuni eroi, che guardano con molta meraviglia le immense ricchezze accumulate nel palazzo del giovane. Le scuderie sono d'argento e le mangiatoie d'oro; le botti d'argento con i cerchi d'oro. I messi di Vladimiro, tornati presso di lui, gli dicono che, se vuole fare l'inventario di quei tesori, deve vendere Kief e Tchernigof per comprare l'inchiostro e la carta necessari.

Diouk e Tchourilo scommettono d'indossare ogni giorno, durante tre anni, un abito nuovo, e fanno a gara per mettere in mostra gli abiti più belli e ricchi. Colui che sarà sconfitto nella gara perderà la testa. Diouk scrive alla madre, e affinché ella possa avere la lettera, la mette sotto la sella del suo cavallo sapiente, e lo manda in Gallizia. La madre del giovane si spaventa nel vedere il cavallo senza il suo padrone, e teme che alla corte di Vladimiro abbiano ucciso Diouk. Quando trova la lettera e la legge, si rassicura, e rimanda il cavallo in Russia con abiti ricchissimi da portare al giovane. Diouk mette questi abiti per andare alla corte di Vladimiro, ed essi risplendono in modo meraviglioso perché sono d'oro e d'argento. Sul davanti del berretto si vede il sole rosso, sul di dietro la luna, in cima risplende una gran fiamma.

Tchourilo si rovina nella gara, e intanto Diouk rimanda il cavallo nel suo paese, dalla madre, ed esso gli riporta un abito adorno di certi bottoni, che ruggiscono come belve o fanno un fracasso simile al rimbombo del tuono, il quale spaventa il re Vladimiro ed i suoi guerrieri. Tchourilo chiama Diouk ad un'altra prova: debbono attraversare il Dnieper con un salto dei loro cavalli. Diouk si sgomenta, ma il suo cavallo gli dice di accettare la sfida, perché servendosi delle sue ali gli farà ottenere la vittoria. Infatti, il buon cavallo passa con un salto sul Dnieper, mentre Tchourilo, sconfitto ancora una volta, cade nel fiume. Ma Diouk, che si mostra generoso, l'afferra e gli salva la vita. Le frecce lanciate da Diouk risplendono come torce infiammate nel luogo dove cadono. Certe canzoni celebrano anche la sua lotta contro Chark il gigante.19

Vero è che senza l'aiuto della madre Diouk non avrebbe gli abiti meravigliosi, e questo fatto avvicina molto l'eroe ad Achille, che riceve le armi sfolgoranti per mezzo di Teti, ed al re Ortnit, che le ottiene, come vedremo, dal nano Alberico per cagione della madre. Ma Diouk è chiamato ladro da Tchourilo. Questo nome, che gli viene dato senza una ragione apparente nella canzone epica russa, è spesso meritato dai nani, e già vedemmo che Laurino e Goldemar rapirono le fanciulle amate. Diouk possiede sottoterra tesori di valore inestimabile, ed è anche padrone non già delle frecce d'oro che possedeva Apollo, ma del fulmine che viene fabbricato nelle fucine sotterranee. Come Laurino ed altri nani, combatte contro un guerriero che possiede una forza terribile, e non credo d'ingannarmi trovando qualche somiglianza fra lui ed il piccolo re del Tirolo, perché la poesia epica russa ha una stretta relazione con la germanica, derivando dalle stesse fonti. Ed ora lasciamo Laurino, che la paterna amicizia di Teodorico non compensò certamente della perdita di Kunhilde, e che forse piange ancora in qualche misteriosa caverna del Tirolo il suo amore perduto, e seguiamo il re longobardo Ortnit sulle sponde del nostro lago di Garda, dove incontrerà il nano Alberico.





18 Il bosco.



19 Rambaud, La Russie épique, p. 109.



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