Maria Savi Lopez
Nani e folletti
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Verso il polo

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Verso il polo

Nei canti dei pirati scandinavi, che conservarono nelle loro tradizioni tanti racconti mitici degli antichissimi Arii, il nano Regin ci appare come uno spirito perverso del male e del fuoco sotterraneo; un'immagine della notte e della morte che odia il luminoso Sigurd, nel quale si trova certamente un mito del sole. E forse Regin, fra tutti i nani ricordati nella poesia di popoli diversi, è il più feroce e perfido. Anzi, nel secondo canto della vecchia Edda, scritto a gloria di Sigurd vincitore del drago Fafnir, si dice che Regin, figlio del re Hreidmar, superava per astuzia tutti gli uomini, aveva malvagità pari alla sua dottrina e conosceva la magia.

Regin volle educare il giovine Sigurd, che prima amava molto, e quando gli raccontò la storia dei suoi antenati, gli disse pure in che modo Odino, Hogni e Loki giunsero presso la cascata dove si trovava il nano Andvari. In quella cascata, fra molti pesci, dimorava Andvari, che essendosi trasformato in luccio, trovava nell'acqua il suo nutrimento. Anche un fratello del nano Regin, chiamato Otur, viveva nella cascata sotto forma di lontra. Un giorno Otur mangiava un salmone presso la sponda, quando il dio Loki l'uccise con un colpo di pietra. I numi presero la pelle della lontra e la portarono in casa del re Hreidmar, al quale mostrarono la loro preda. Il re chiamò gli altri suoi figliuoli, che erano il nano Regin e Fafnir, ed essi si gettarono sui numi, ed imposero loro di coprire d'oro rosso la pelle della lontra, come prezzo del sangue.

Il dio Loki partì per cercare l'oro, e andò presso Ran, moglie di Œgir, dio del mare. Egli le chiese la sua rete, e andò a gettarla dinanzi al nano Andvari, che era ancora nella cascata sotto forma di pesce. Il nano fu preso nella rete, e Loki gli disse:

– Che pesce è questo, che nuota nel fiume e non sa sfuggire alle insidie? Se vuoi salvare la tua testa dalla morte, dammi la fiamma delle acque, l'oro brillante.

Il nano rispose: – Mi chiamo Andvari, sono figlio di Odino, e posso attraversare molte cascate.

Loki gli disse ancora: – Se vuoi tornare fra i mortali, dimmi quale pena deve colpire i figli degli uomini che mancano alle loro promesse.

Terribili pene li aspettano: sono gettati nel fiume infernale, e lungo è il loro tormento.

Loki domandò ad Andvari tutto l'oro che possedeva. Quando il nano glielo consegnò, il nume vide che teneva ancora in serbo un anello e lo volle. Il nano gettò una maledizione sul tesoro dicendo:

– Tutto quest'oro cagionerà la morte di due fratelli e di otto nobili guerrieri. Nessuno potrà godersi l'oro mio!31

L'anello di Andvari, tanto celebre nella poesia scandinava, era chiamato Andvari-nant. Dava al suo possessore la facoltà di procurarsi tutto l'oro che desiderava. ma poiché era colpito dalla maledizione del nano, fu cagione di sventura per tutti quelli che ne divennero padroni.

I numi diedero l'oro a Hreidmar, ma esso non bastò a coprire la lontra, e vi si dovette aggiungere l'anello di Andvari. Il dio Loki gettò un'altra maledizione sull'oro del nano, dicendo al re Hreidmar che gli avrebbe portato sfortuna, perché sarebbe stato causa della sua morte.

Quando i numi furono liberi, il nano Regin, per la brama dell'oro, ferì con l'aiuto del fratello Fafnir suo padre, che aveva ricusato di dividerlo con essi. Prima di morire, il re chiamò le figliuole e le pregò di vendicarlo.

Una di esse gli rispose che non doveva compiere la vendetta sui propri fratelli.

Il re Hreidmar morì, e Fafnir prese tutto l'oro per sé, mentre invano Regin domandava la sua parte dell'eredità.

Regin vegliava sul giovane Sigurd, che doveva divenire il più valoroso di tutti gli eroi e riempire l'universo con la fama delle sue gesta. Mentre Sigurd stava col nano, questi gli disse che Fafnir, mutatosi in drago, custodiva l'oro, e fabbricò per l'eroe una spada famosa chiamata Gram. La sua lama era tanto sottile che, essendo immersa nel Reno, tagliò un fiocco di lana messo nella corrente.

Con un colpo solo della spada, Sigurd divise in due parti l'incudine di Regin, e questi cercò d'indurlo ad assalire subito il drago Fafnir; ma Sigurd volle prima vendicare la morte di suo padre.

Sigurd, condotto più tardi da Regin nel luogo dove il drago custodiva l'oro, riuscì ad ucciderlo usando la buona spada che il nano gli aveva dato. Prima di morire, Fafnir disse all'eroe: – Ti predico che quest'oro dal suono rimbombante, questo metallo dai riflessi rossi e questi anelli ti uccideranno.

Gli disse Sigurd: – Ciascuno desidera possedere delle ricchezze fino all'ultimo suo giorno; ma tutti gli uomini debbono discendere nella tomba. Qui troviamo un fatto che non è stato forse notato come si doveva. Fafnir dice che, mentre era coricato sul tesoro, è stato a lungo protetto dall'elmo di Œgir, dio del mare. Per la virtù di quell'elmo, egli era più forte di tutti gli altri uomini, e non trovava nessuno che potesse resistergli. Ora Fafnir, il custode dell'oro che si muta in drago e possiede un elmo dal quale dipende la sua forza soprannaturale, ha una grande affinità con i nani, anche a causa della sua stretta parentela con Regin.

Non si potrebbe dunque trovare in lui un altro nano?32

In ogni modo Fafnir dice all'eroe: – Regin mi ha tradito, ed anche tu sarai tradito da lui.

Regin si era allontanato mentre Sigurd uccideva il drago, e tornò vicino all'eroe mentre egli asciugava la spada sanguinosa.

Regin si accostò a Fafnir, gli tolse il cuore e bevve il sangue che usciva dalla ferita; poi disse all'eroe: – Mentre dormirò fai cuocere il cuore, perché voglio mangiarlo.

L'eroe rimproverò il nano, perché si riposava mentre egli aveva combattuto contro il drago. Regin gli disse che Fafnir sarebbe stato ancora vivo, se Sigurd non si fosse servito della sua buona spada.

Sigurd gli fece notare che il coraggio valeva più del ferro, quando due valorosi venivano alla prova delle armi; poi fece arrostire allo spiedo il cuore di Fafnir, e avendolo assaggiato, intese subito quello che dicevano quattro aquile posate sui rami. Queste dissero che Sigurd avrebbe fatto bene a mangiare il cuore, poiché Regin, coricato, pensava al modo di tradire colui che aveva fede in lui inventando false accuse. Quell'artefice di sventure pensava a vendicare il fratello.

Le aquile indussero l'eroe ad uccidere il nano perverso, quel Jote dal cuore freddo, ed a rubargli le sue ricchezze.

Sigurd uccise il nano, bevve il suo sangue e mangiò il cuore di Fafnir.33 Allora le aquile gli dissero di prendere il tesoro e di cercare una donna bellissima che splendeva come l'oro. Sull'alta cima di un monte si trovava un castello circondato di fuoco. Dei guerrieri possenti l'avevano fabbricato con l'oro brillante, fiamma delle acque. Sulla roccia dormiva la vergine delle battaglie, e il fuoco domato la toccava appena. Odino le aveva messo una spina nel velo, nel velo della fanciulla che voleva uccidere gli uomini.

Le aquile dissero ancora: – Tu puoi, o uomo, contemplare sotto il suo elmo la vergine che il cavallo Wingskornir portò lontano nella mischia. Nessun guerriero può interrompere il sonno della Walkiria Sigurdrifa prima che giunga il tempo stabilito dalle Norne!

Sigurd andò nella dimora di Fafnir, che era aperta ed aveva la porta di ferro. L'oro era nascosto sottoterra. Sigurd trovò un immenso tesoro e ne riempì due casse; egli prese anche l'elmo di Œgir, l'armatura, la spada e molte altre cose preziose, che caricò sul cavallo Grani. Questo non volle muoversi finché Sigurd non fu montato in sella. Wagner ha reso troppo nota anche in Italia la bella Walkiria, perché io possa soffermarsi su di lei raccontando in qual modo fu destata dal lungo sonno ad una vita nuova ed all'amore. Noterò soltanto che ella, immagine della primavera, non poteva essere liberata dal brillante dio del sole, Sigurd, se prima questi non si fosse impossessato dell'oro, cioè della luce, con l'uccisione di Regin e di Fafnir. Questi ultimi dovevano avere un aspetto orribile, visto che rappresentavano in qualche modo la notte invernale, che toglie così lungamente alla terra la luce del sole nelle terre vicino al Polo.

Tornando all'anello di Andvari, debbo ricordare che la predizione si avverò, e ch'esso fu anche cagione della morte di Sigurd, che lo donò alla Walkiria dopo averla liberata, e ne ricevette da lei un altro in dono. In seguito, infatti, mentre la Walkiria (che essendo divenuta una semplice mortale si chiamava Brynhilde), e Gudrun, moglie di Sigurd, lavavano i loro capelli in una limpida corrente, Brynhilde disse con orgoglio che l'acqua non doveva dalla testa di Gudrun ricadere sulla sua, perché suo marito Gunnar era più valoroso di Sigurd. Gudrun le rispose con ira che Sigurd era stato l'uccisore di Fafnir e di Regin. Brynhilde volle dare ancora il primato a Gunnar, dicendo che aveva compiuto un'impresa più difficile, passando in mezzo alle fiamme che la circondavano. Poche parole di Gudrun le rivelarono il vero, provandole che il sedicente Gunnar, che era passato in mezzo alle fiamme e aveva aperto la sua corazza con la spada fiammeggiante donandole l'anello d'Andvari, era stato Sigurd. Allora l'antico amore si riaccese nel petto di Brynhilde, ma ella era vendicativa, come parecchie donne famose della poesia classica che trassero a morte coloro che amavano, e Sigurd venne ucciso per colpa sua. Poi, disperata per la morte dell'eroe, Brynhilde distribuì alle sue donne molti tesori, mise la sua armatura d'oro, e si ferì mortalmente con la spada. Prima di morire, la Walkiria rivolse un'ultima preghiera al marito, e gli disse: – Innalza nella campagna un rogo così grande da bruciare tutti noi che moriamo con Sigurd. Circonda quel rogo di scudi e di drappi, di ricchi lenzuoli funebri e della folla dei morti; e Sigurd sia bruciato accanto a me da un lato; dall'altro si mettano i miei servi, ornati di ricchi gioielli, e anche due cani e due falconi. Ma si metta fra me e Sigurd la sua spada brillante.

L'anello di Andvari ebbe dunque, come già notai, la stessa influenza malefica delle armi date dal nano Alberico al re Ortnit, e si può anche immaginare che una maledizione del nano Regin pesi ancora sull'eroe Sigurd, quando la bella spada da lui lavorata deve essere messa sul rogo fra il re e la Walkiria! L'anello del nano Andvari è certamente l'immagine del disco solare, intorno al quale si formarono tante leggende presso popoli diversi.

È quello stesso anello che Teseo andò a riprendere nel mare, e che ritroviamo nelle leggende del pescatore ed in tante canzoni ancora popolari in Francia ed altrove, in cui si dice che viene gettato in un fiume o nel mare, e causa quasi sempre la morte dell'imprudente che si slancia nell'acqua per riportarlo ad un re crudele, oppure ad una fanciulla amata.

La morte di Sigurd sul rogo a causa dell'anello di Andvari, e per colpa della moglie che non sapeva di cagionargli tanto danno con la sua imprudenza, può essere paragonata a quella di Ercole, il quale arde anch'esso sul rogo prima di salire presso i numi immortali, e cerca di strapparsi di dosso la tunica, dono fatale di Dejanira, sulla quale pare che abbia anche mandato una maledizione il centauro morente Nesso. Nella morte di Ercole, dopo l'ultimo suo viaggio dall'est all'ovest sino al monte Œta, sul quale fu innalzato il suo rogo, si vuole trovare l'immagine del sole, verso il quale, nell'ora del tramonto, salgono all'orizzonte densi vapori e pare che il cielo fiammeggi intorno al suo disco, che sparisce vinto dalle tenebre invadenti della notte, immagine della morte.

Anche l'eroe Sigurd arde in mezzo al rogo fiammeggiante, come l'eroe fortissimo della dolce terra greca; ma questa volta la fantasia del poeta scandinavo, avvezzo a vedere truci immagini sotto il suo povero cielo, sale ad un'altezza che supera quella del racconto mitico greco. Brynhilde, la donna innamorata, arde col sole che l'aveva richiamata alla vita. La maledizione del nano, terribile come un decreto di quel Fato contro il quale combattevano invano gli invitti figli della Grecia, non impedisce che ella sia unita nella morte all'amato Sigurd!

Dirò più tardi quali furono le origini mitiche dei nani Andvari e Regin; ora debbo ricordare che, seguendo un'opinione del Grimm, si volle trovare nel drago Fafnir molta somiglianza col Pitone ucciso da Apollo, e che teneva prigioniero il ruscello benefico di Delfo; cioè impediva che dalla nube scendesse sulla terra l'acqua che doveva darle la fertilità. Questa nube poté essere aperta soltanto con la folgore uscita dalla fucina di Efesto.

Non possiamo credere che Fafnir, ucciso con la spada di Regin, sia derivato dal mito del Pitone ucciso da Apollo; ma entrambi trassero certamente la loro origine dall'immagine del serpente Ahi, famoso nella mitologia indiana per la sua forza e l'orribile aspetto.

Con la spada di Regin, Sigurd compie dunque nei canti dell'Edda un'impresa simile a quella compiuta dal dio Indra e celebrata negli inni vedici, quando colpì il serpente Ahi, mito della nube che passa nel cielo, e il drago celeste Vritra, per rendere la fertilità alla terra. Il significato reale di questa lotta fra l'eroe luminoso e le malefiche potenze del cielo è chiaramente palese nel Rig Veda, tra l'allegoria del racconto mitico,34 ed essa si ritrova sotto molteplici forme in gran parte della poesia indiana ed in quella di altre genti. Dovrò più tardi riparlare di queste lotte spaventose, perché spesso gli eroi luminosi, prima della vittoria, presero la forma di nani. Ma tale non è certamente nei canti dell'Edda l'aspetto di Sigurd, il quale per lo splendore della persona, per la forza invincibile delle armi, la facoltà di diventare invisibile ed il canto della vittoria sul drago, si avvicina alla grandezza epica degli antichi numi trionfanti.

Nel celebrare la vittoria di Indra sul serpente Ahi e sul drago Vritra, un poeta ario ci dice: – Voglio cantare le antiche imprese che hanno reso celebre lo sfolgorante Indra. Egli ha colpito Ahi, ha sparso le onde sulla terra, ha scatenato i torrenti dalle montagne celesti. Ha colpito Ahi che si nascondeva nel seno della montagna celeste; l'ha colpito con l'arma fragorosa fabbricata per lui da Twachtar,35 e come le vacche che corrono verso la loro stalla, le acque si sono precipitate verso il mare... Indra ha colpito Vritra, il più nebuloso dei suoi nemici: con la folgore potente e micidiale gli ha rotto le membra, mentre Ahi, come l'albero colpito dalla scure, giaceva disteso in terra... Come una diga rovinata è disteso in terra, ed è coperto dalle sue acque, il cui aspetto rallegra ancora il nostro cuore. Le onde che Vritra abbracciava con tutta la sua grandezza opprimono adesso Ahi atterrato.

In altri inni, Indra uccide le tenebre, invece di squarciare col fulmine la nube. Questo mito, pur continuando ad essere diversamente delineato nei poemi indiani, acquista sempre più un carattere umano, che si avvicina alle forme che prenderà presso i Persiani, i Greci, i Germani e gli Slavi, ed avrà qualche volta anche un significato altamente morale, quando ricorderà l'antica lotta fra il bene ed il male.

Potrei discorrere ancora a lungo di Sigurd e di Fafnir, delle tenebre e del sole, delle nubi e della bella Walkiria ricordati nei canti dell'Edda, tanti secoli dopo il tempo in cui la vittoria di Indra venne esaltata sotto l'ardente cielo dell'India, e diverse immagini, diversi racconti mitici si erano confusi insieme. E potremmo finire col dimenticare i miti antichissimi che si ritrovano nelle persone di Gudrun, di Sigurd e di Brynhilde ripensando alla loro tristissima storia, poiché l'amore e il dolore di esseri che prendono innanzi a noi forme reali ed umane avranno sempre per commuoverci una potenza che manca al mito, senz'anima e senza vita. Ben lo seppero i Greci, quando in mezzo ad essi il mito scomparve, quasi, fra la potenza degli affetti e delle passioni che s'accesero nei petti dei numi e degli eroi divini. Ma il posto d'onore spetta qui al nano Regin, e debbo notare soltanto la stretta relazione che vi è fra lui e il mito del fuoco Twachtar, che la terribile arma a Indra.

Quante volte sulle navi dei pirati, che correvano i mari e gli oceani diretti ai paesi dove fioriscono gli aranci, gli Skaldi ricordarono nei barbari canti la vittoria di Sigurd sul drago e sul nano Regin! Per essi, la tradizione che ripetevano nella sua grandezza epica non aveva alcun significato mitico, ma si compiacevano nell'esaltare il valore dell'eroe luminoso, che aveva in sé l'audacia ed il coraggio indomabile della sua razza. Allora, nei petti dei guerrieri anelanti alla rapina, si accendeva anche la brama di una gloria degna del canto immortale dei poeti, e le mani frementi stringevano l'elsa della spada.

Quando la notte invernale che pareva eterna regnava nel paese di Sigurd e di Brynhilde, ed il ghiaccio si stringeva contro le spiaggie desolate, se i pirati reduci dai lontani viaggi bevevano l'idromele nelle coppe d'oro involate dai paesi cristiani, gli Skaldi esaltavano di nuovo la gloria di Sigurd e le sue vittorie. I barbari guerrieri, le donne ornate di oro e di gemme, non mettevano in dubbio l'esistenza di Regin, di Andvari, di Fafnir e della Walkiria, così come i Germani non mettevano in dubbio quella di Laurino e di Alberico. E certamente, non pensavano che l'immagine triste e feroce di Regin fosse il simbolo che poteva rappresentare in modo più efficace le tenebre che coprivano, per essi, il cielo e la terra.

Ora, in Islanda, dove nelle scuole e nelle povere case si leggono ancora con amore i canti della grande epopea nazionale, il sole risorge dal suo rogo spento quando riappare all'orizzonte dopo la lunga notte. Allora Sigurd mette di nuovo in fuga le tenebre e splende con le armi luminose, ma la bella Walkiria non si ridesta più nell'isola infelice, che le continue eruzioni hanno resa desolata e quasi deserta. Regin, il misterioso fabbro che aveva sottoterra le sue fucine e rappresentava anche le malefiche forze della natura, non teme l'eroe, e non lavora più, come usava in altri tempi, le armi dei guerrieri. Egli manda invece sull'isola torrenti di lava, fa deviare il corso dei suoi fiumi, atterra le case, distrugge l'erba ed i fiori, ed involge ogni cosa in un'orribile rovina!

Il nano Regin non è dimenticato neppure dai pacifici abitanti delle isole Fàroer, i quali, mentre si dedicano alla pesca e si curano di far seccare le aringhe ed i merluzzi, ricordano, grazie alla tradizione orale, i canti epici dei loro padri, che furono audaci pirati. In uno di questi canti, che sono stati raccolti con amore da eruditi danesi, si dice che l'eroe Sigmund viveva felice con la sua giovane sposa Hiordis, quando fu mortalmente ferito in guerra dai suoi nemici. Hiordis, avvolta in un manto azzurro, andò a cercare lo sposo diletto sul campo di battaglia. Questi, vicino a morire, le disse che era troppo tardi per medicare le sue ferite, e poi la spada che l'aveva colpito era avvelenata! Egli diede alla sposa i due pezzi della propria spada, che si era spezzata, e le disse di conservarli: quando il loro figliuolo sarebbe divenuto grande, avrebbe dovuto vendicare la sua morte. La madre gli avrebbe dato i pezzi della spada perché li portasse al fabbro Regin, che dimorava sull'altra sponda del fiume.

Quando Sjurd, figlio di Sigmund, ebbe la forza necessaria per combattere, sua madre gli diede i due pezzi della spada perché li consegnasse al fabbro Regin, dicendogli di servirsene per farne un'altra. Poi soggiunse:

Regin è un abile fabbro, ma sono pochi gli uomini che non tradisce; vai presso la cascata, getta una pietra nel fiume, e prendi il cavallo che non indietreggerà dinanzi a te.

L'eroe andò presso la cascata, gettò una pietra nel fiume, e prese il cavallo che gli apparve. Quel cavallo fu chiamato Grani.

Una mattina Sjurd balzò in sella e attraversò il fiume per andare dal fabbro Regin. Ed ecco il giovane Sjurd che cavalca innanzi alla porta del fabbro. Questi getta lontano i ferri del suo mestiere ed impugna una spada. Egli dice all'eroe: – Senti, illustre Sjurd, tu sei valoroso, dove vuoi andare?

Regin, – risponde l'eroe, – ero diretto da te. Poiché sei un abile fabbro, rendimi un servigio e fammi una spada.

Sii il benvenuto, giovine Sjurd, perché ti amo. Se vuoi restare qualche tempo in questo paese, devi passare la notte in casa mia.

– Non è possibile, fabbro Regin. Fammi la spada in modo che possa tagliare il ferro e l'acciaio. Quella spada scintillante dovrà fendere il ferro e la pietra.

Regin afferrò la spada e la mise nel fuoco. Egli passò dieci notti intere al lavoro.

Il giovine Sjurd tornò a cavalcare. Una mattina saltò sul dorso di Grani e attraversò il fiume per andare da Regin.

Questi, nel vederli, gettò via i ferri del mestiere, impugnò una spada e disse: – Sii il benvenuto, Sjurd, la spada è fatta. Se il cuore non ti manca, devi essere ben preparato per combattere. La spada è lucente e può fendere il ferro e la pietra.

Sjurd si accostò all'incudine per mettere alla prova la bontà della spada. Al primo colpo, questa si ruppe in due pezzi. – Ti ucciderò, Regin, – disse il giovane – perché hai voluto ingannarmi!

Il fabbro cominciò a tremare come la foglia di un giglio. Egli prese i due pezzi della spada spezzata, e la sua mano tremava come lo stelo di un giglio.

Ora mi farai un'altra spada, – disse l'eroe, – ma se non sarà migliore di questa, perderai la vita.

– Se la spada sarà migliore, – disse Regin, – mi darai come compenso il cuore del drago –. Il nano rimise la spada sul fuoco, e per trenta notti non cessò di lavorarla. Quando Sjurd la provò di nuovo sull'incudine, questa si spezzò in due pezzi. Egli chiamò quella spada Gram.

Senti, illustre Sjurd, – disse il nano, – vai, cavalca e cerca una donna. Per un capo come te sono pronto a dare la vita.

– Mi parli così, – disse il giovane, – ma nascondi nel cuore altri sentimenti!

Promettimi, illustre Sjurd, di lasciarti accompagnare da me quando andrai sulla brughiera (dove si trovava il drago).

Sjurd vendicò prima la morte del padre, poi, cavalcando nella foresta seguito dal nano, incontrò il dio Odino. Questi aveva l'aspetto di un vecchio, e gli domandò dove andava e chi era il suo feroce compagno.

L'eroe gli rispose che quello era il fabbro Regin, fratello del drago, e Odino l'ammonì di non avere fiducia in lui perché voleva ucciderlo.36 Come avviene nell'Edda, il giovine Sjurd uccise il drago ed il perfido Regin.

Abbiamo già visto come il dio Loki fece alcune domande al nano Andvari preso nella rete, e come questi rispose assennatamente; ma il vero sapiente dell'Edda è il nano Alwis.37

Trudh, figlia del dio Thor, divenne, durante l'assenza del padre, fidanzata di Alwis. Thor, al suo ritorno, fu molto dolente di questo fatto, ma finse di piegarsi a dare Trudh al nano, purché questi rispondesse a tutte le sue domande. Così Thor conobbe i nomi della luna, del sole, delle nubi e dei venti. Il nano gli disse pure che la luna discende nel regno dei morti e splende nel cielo con i nani,38 che il sole, fra i nani, scherza con la luna, ed è in mezzo ai numi la luce del mondo, e che i venti sono l'elmo che rende i numi invisibili. Il dio Thor ascoltò la parola sapiente del nano Alwis, al quale nulla era nascosto nel mondo, e che conosceva la storia dei numi e degli eroi. Ma il nano non seppe, nella notte fatale per lui, indovinare la perfida intenzione del nume. Questi l'aveva trattenuto apposta sulla terra con le sue domande, perché la luce del sole apparisse prima che fosse tornato nella sua dimora sotterranea. Appena il sole si mostrò all'orizzonte, il nano Alwis fu mutato in pietra!





31 Si parla di Andvari anche nella leggenda del forte Hans, nel quale si ritrova una trasformazione di Sigurd. Quando Hans uccide il nano, cadono subito le catene che tengono avvinta una fanciulla che era sua prigioniera.



32 È vero che Regin lo chiama Jote, cioè un gigante malvagio, ma più tardi questo nome viene dato anche a Regin, che è un nano.



33 Il Lachmann, spiegando con la sua grande autorità la parte mitica dell'Edda, dice che un dio brillante e bello, il dio della pace conquistata con la vittoria (Sigurd) uccide i guardiani dei tenebrosi regni sotterranei e rapisce il loro tesoro al drago. Per il Cox, Regin appartiene a quella classe di esseri che infondono calore e forza in ogni cosa vivente.



34 Maury, Histoire des religions de la Grèce antique, vol. I, p. 130.



35 Nume del fuoco.



36 Laveleye, La saga des Nibelungen dans les Eddas et dans le nord scandinave.



37 Edda Saemundar, Alvismâl.



38 Questi nani sono, forse, le stelle.



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