IntraText Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText | Cerca |
L'eroe Siegfried, acceso d'amore per la bellezza di Krimhilt, giunge nella città di Worms e cavalca arditamente in mezzo ai suoi guerrieri verso il palazzo, dove la fanciulla dimora con i re suoi fratelli. Intorno a lui la gente si affolla per vederlo meravigliata della sua bellezza.
Il re Guntero, fratello di Krimhilt, domanda all'eroe Hagen se conosce i guerrieri che si avvicinano al palazzo. Hagen guarda da una finestra il giovane eroe ed i suoi compagni, e vanta i loro magnifici cavalli e gli splendidi abiti che indossano. Egli non ha mai veduto Siegfried, ma indovina che è proprio lui il capo degli stranieri che giungono. Allora esalta il suo coraggio, e racconta in qual maniera divenne padrone del tesoro dei Nibelunghi, uccidendo i principi Shilbung e Nibelung che lo possedevano. Questo tesoro era stato portato fuori dalla montagna, ed i Nibelunghi si disponevano a dividerlo fra di loro. Siegfried li vide e fu meravigliato. Egli andò così vicino ai guerrieri che questi lo videro, e uno di essi esclamò:
– Ecco il forte Siegfried, l'eroe del Niderlant.
I principi Nibelunghi ricevettero con grande onore il valoroso Siegfried, e lo pregarono, poiché era un nobile giovane, un uomo bellissimo, di dividere fra essi il tesoro. Lo bramavano in tal modo che Siegfried incominciò ad ascoltarli.
Egli vide in quel luogo tante gemme, che cento carri con quattro ruote non avrebbero potuto trasportarle, e vi era una quantità maggiore di oro rosso del paese dei Nibelunghi. La mano del valoroso Siegfried doveva dividere ogni cosa. A lui venne data per compenso la spada di Nibelung; ma i fratelli non furono soddisfatti del servigio che rendeva loro l'eroe Siegfried, ed egli non poté compiere l'opera richiesta, perché erano troppo iracondi.
Siegfried non poté dividere il tesoro, avendo gli uomini dei pincipi cercato di attaccare briga con lui; ma con la famosa spada Balmung, tolse loro il regno ed il tesoro dei Nibelunghi.
Dodici giganti fortissimi, amici dei principi, assalirono Siegfried; ma la loro forza non valse a nulla, perché egli li vinse con la mano invitta, e domò settecento guerrieri del paese dei Nibelunghi. Già Siegfried aveva colpito mortalmente i due re, quando la sua vita fu messa in gran pericolo dal nano Alberico, il quale fece quanto poté per vendicare i suoi padroni, finché provò egli stesso la grande forza di Siegfried.
Il nano vigoroso non poté resistere all'eroe. Come leoni selvaggi corsero sulla montagna, dove Siegfried rapì ad Alberico anche la Tarnkappe, il cappello che lo rendeva invisibile. Così l'eroe Siegfried s'impadronì del tesoro, e quelli che osarono combattere con lui furono tutti atterrati. Egli fece subito riportare il tesoro nel luogo dal quale l'avevano tolto i Nibelunghi, ed il fortissimo Alberico fu messo dall'eroe alla sua custodia. Il nano dovette giurare che lo avrebbe servito fedelmente, e da quel tempo gli fu sempre devoto. Questo dice al re Guntero il fortissimo Hagen di Troneje. Il re Guntero stabilisce di andare nel paese dove dimora la bella e fortissima Brunhilde, per vincerla ed ottenerne l'amore. Siegfried promette di aiutarlo a compiere la difficile impresa, purché gli conceda la mano di Krimhilt. In questa parte del poema dei Nibelunghi si parla di nani selvaggi che dimorano nelle caverne. Questi portano per loro difesa la meravigliosa Tarnkappe. Colui che l'ha indosso non teme di essere ferito, e nessuno può vederlo; ma egli sente e vede, e la sua forza diventa maggiore.
Anche Siegfried porta la Tarnkappe rapita al nano Alberico, ed essa gli dà una forza terribile, la forza di dodici uomini. Con l'aiuto della Tarnkappe vincerà la feroce regina Brunhilde, e questo sarà causa della sua sventura.
Brunhilde ha stabilito di sposare colui che la domerà con la forza delle armi, e deve incominciare il combattimento fra lei e Guntero, che non è abbastanza forte per vincerla. Ma Siegfried va nella sua nave, prende la Tarnkappe, e divenuto invisibile tocca la mano di Guntero, il quale è atterrito perché teme di soggiacere alla forza di Brunhilde. Siegfried gli dice: – Il tuo amico ti sta vicino, non temere la regina –. Questa dà un colpo tanto violento sullo scudo nuovo e largo dell'invisibile Siegfried, che il fuoco esce dall'acciaio.
I due uomini cadono, e senza la Tarnkappe sarebbero perduti.
Finalmente Siegfried atterra la regina, e questa crede invece che il suo vincitore sia Guntero. Ella chiama i suoi parenti ed i suoi sudditi perché vengano ad inchinarsi a lui, e dopo che gli ha dato ogni potere sopra la sua terra, lo prega di seguirla nel suo palazzo. Intanto, Siegfried si affretta a riportare la Tarnkappe nella sua nave, e poi, essendo di nuovo visibile, torna presso la regina Brunhilde, che gli domanda perché non ha assistito al duello avvenuto fra lei ed il re Guntero.
Siegfried dice alla regina che, avendo trovato un eroe più forte di lei, deve seguirlo sulle rive del Reno. Ella non vuole, perché non intende lasciare così facilmente il suo paese, e prega Guntero ed i suoi compagni di seguirla nel suo castello di Stenstein. Mentre cavalcano a quella volta, gli uomini del Reno sono perplessi, avendo poca fiducia nella regina Brunhilde. Siegfried dice loro che vuole andare a chiamare una schiera di prodi per soccorrerli.
L'eroe riprende la Tarnkappe e va presso il porto, dove trova la sua nave. Torna ad essere invisibile, vi entra e parte con la rapidità del vento. Nessuno vede colui che governa la barca, e si direbbe che la spinga un vento fortissimo. Invece Siegfried si serve della sua forza per farla andare innanzi.
Siegfried arriva nel paese dei Nibelunghi, dove si trova il suo tesoro, e si dirige verso il castello le cui porte sono chiuse. L'eroe bussa perché gli aprano, ed un gigante vuole impedirgli di entrare, non avendolo riconosciuto. Mentre Siegfried ed il gigante lottano, fanno tal rumore che tutto il castello si desta, ed il suono delle armi giunge nella sala dei Nibelunghi.
Siegfried atterra il gigante, lo lega, e la notizia di quella vittoria si sparge in tutto il paese.
Attraverso la montagna, il selvaggio nano Alberico sente in lontananza il rumore della lotta. Si arma subito e corre verso il luogo dove si trova il nobile straniero che ha legato il gigante. Alberico è valoroso e fortissimo; porta la corazza, l'elmo ed una pesante frusta d'oro. Egli corre subito verso Siegfried; sette palle pesanti sono legate a quella frusta, e con essa Alberico dà un colpo tanto forte sullo scudo di Sigfried, che lo rompe in gran parte. L'eroe, che teme per la propria vita, getta lo scudo e rimette la spada nel fodero. Non vuole uccidere il suo servo, perché risparmia la vita degli uomini che gli appartengono. Questo gli è comandato dal dovere. Con le forti mani, precipitandosi addosso ad Alberico, prende per la barba grigia quell'uomo già vecchio, e lo trascina con tanta violenza che lo costringe a gridare. Il nano soffre, e con voce alta gli domanda la vita; poi soggiunge: – Se non mi fosse proibito di ubbidire ad altri che all'eroe Siegfried, diverrei il tuo vassallo, e ti servirei prima di morire –. In questo modo parla l'uomo astuto.
Siegfried lega Alberico e gli fa molto male. Il nano gli domanda qual è il suo nome; l'eroe risponde che si chiama Siegfried, e che crede di essere noto a lui. Alberico dice che si rallegra nel sentire quel nome, e purché gli sia data la libertà, è pronto a fare quanto vuole l'eroe.
Siegfried dice ad Alberico: – Andrete subito a chiamare mille guerrieri Nibelunghi –, poi libera il gigante ed Alberico. Questi corre a destare gli eroi e dice loro che Siegfried li aspetta.
Nel poema si parla ancora della Tarnkappe, quando in un'altra lotta feroce Siegfried, fingendo di essere Guntero, doma nuovamente la fortissima regina Brunhilde.
Più tardi, quando già da tre anni Siegfried, divenuto sposo di Krimhilt, è stato ucciso a tradimento da Hagen e la sua vedova lo piange senza tregua, ella è indotta a far trasportare a Worms il tesoro dei Nibelunghi, che le appartiene come dono di nozze.
La regina Krimhilt ordina a ottomila uomini di andare a prenderlo nel luogo dove si trova, sotto la guardia di Alberico e dei suoi valorosi amici. Quando i guerrieri del Reno arrivano nel paese dei Nibelunghi, Alberico dice ai suoi compagni che non possono più conservare il tesoro, perché la nobile regina lo vuole. Il nano soggiunge: – Non lo avrei mai ceduto, se non ci fosse toccata la sventura di perdere Siegfried e la Tarnkappe. Ahimè, la sventura ha colpito Siegfried perché ci aveva tolto il cappello incantato ed aveva sottoposto al suo dominio questo paese!
Il nano si affretta a prendere le chiavi per dare il tesoro agli uomini del Reno. Dodici carri bastano appena, durante quattro giorni, per trasportarlo dalla montagna fino alle barche facendo due viaggi al giorno, e se pur si comprasse il mondo intero, togliendone il prezzo dal tesoro, esso non potrebbe diminuire. In mezzo all'oro si trova una piccola verga chiamata la «verga dell'augurio». Colui che sapesse trovarla diverrebbe padrone dell'universo.
Il tesoro dei Nibelunghi, che spinge gli uomini al tradimento ed alla morte e accende brame violente, è più tardi gettato nel Reno dal perfido Hagen, il quale ne toglie in questo modo il possesso alla regina Krimhilt. Wagner ce lo mostra ancora sotto la guardia di Alberico sul fondo arenoso del fiume, nella trilogia dei Nibelunghi; e dà nuova gloria al nano, divenuto già famoso e popolare quando la Germania trova nel poema dei Nibelunghi la sua grande epopea nazionale.
La persona del nano si mostra a noi per breve tempo nel poema, e non ha certamente l'importanza che hanno le donne bellissime ed i principi accesi d'odio o d'amore. Eppure, mentre Alberico resta silenzioso alla custodia del tesoro, l'influenza fatale della Tarnkappe che gli è stata rubata non cessa mai. Anzi, senza la sua proprietà meravigliosa, l'azione non si potrebbe svolgere come ci viene presentata. Solo grazie al berretto famoso Sigfried può divenire invisibile e domare la feroce Brunhilde, facendo, come abbiamo visto, le veci dell'amico; ma la Tarnkappe sarà pure causa della sua morte, poiché l'inganno da lui compiuto a danno di Brunhilde, essendo più tardi conosciuto da costei, l'induce a farne crudele vendetta.
L'Alberico dei Nibelunghi non è altri, come tutti sanno, che il Regin dell'Edda, ma non tutta la ferocia del nano scandinavo è discesa in lui, e non soltanto egli accetta di essere un vassallo, un servo di Siegfried, ma si mostra, dopo la sua sconfitta, devoto e fedele, e per lui è disposto a difendere ancora ferocemente il tesoro affidato alle sue cure ed alla sua lealtà!
Dopo questa trasformazione del perfido fratello di Fafnir, si può immaginare che ben presto, in qualche altro poema, troveremo un nano che diverrà amico, consigliere e padre di un eroe luminoso e fortissimo; e infine questo nano potrà anche mutarsi nel vecchio Berter, cavaliere cristiano e consigliere del re Rother!
Basta notare la differenza che passa fra Regin ed Alberico, fra i rozzi pirati scandinavi dell'Edda ed i principi e gli eroi germanici che ritroviamo nei Nibelunghi, per intendere come s'inganni chi crede che la leggenda, il racconto mitico, non subiscano l'influenza del paese, del tempo, dell'ambiente in mezzo ai quali continua la loro evoluzione secolare. La Scandinavia e la Germania formano gli sfondi diversi dei quadri in cui campeggiano le figure dei nani e dei loro compagni; questi, per il colorito ed il disegno, si trovano in perfetta armonia con lo sfondo!
Intanto si cerca faticosamente di sapere fino a qual punto si siano uniti nei Nibelunghi i favolosi racconti dell'Edda e la narrazione di fatti storici; e quali barbari principi dei Germani si possano, per la somiglianza del nome o per alcuni casi della vita, confondere con Siegfried, immagine luminosa del sole, e con Hagen, «la spina che dà la morte». Ma non è possibile discutere per ritrovare qualche personaggio reale confuso col nano Alberico, e questi conserva tutta la sua parvenza mitica, essendo ancora legato alla sua origine lontanissima per via della persona deforme, delle ricchezze che custodisce, della forza soprannaturale, e perché possiede la meravigliosa Tarnkappe! La credenza che un elmo, un berretto, un mantello potessero rendere invisibili certi numi è antichissima, e ne fa cenno Omero quando ci dice nell'Iliade39 che Minerva indusse Diomede ad affrontare il dio Marte sul campo di battaglia dinanzi a Troia. Mentre infuriava la mischia, ella afferrò il flagello sonoro e le briglie, e spinse i generosi cavalli contro Marte. Quando il dio scagliò l'asta contro Diomede, Minerva invisibile la prese al volo e la stornò dal carro; poi diresse contro il nume quella dell'eroe e lo ferì.
... In arrivar si pose
Minerva di Pluton l'elmo alla fronte,
Onde celarsi di quel fero al guardo.
Si dice che il principale attributo di Ade sia questo cappello o elmo, simbolo per i Greci della notte profonda in mezzo alla quale regnava il dio nel mondo sotterraneo. Esso gli venne dato dai Ciclopi nello stesso tempo in cui donavano a Zeus il tuono ed il lampo, mentre durava la lotta contro i Titani, ed era l'opposto dell'aureola luminosa che incoronava i numi olimpici. Anche Vulcano, Poseidone, Odino ed altri numi portavano il famoso berretto, del quale avrò ancora occasione di parlare; ma esso non avrebbe alcuna importanza, se non fosse, quasi, il simbolo della loro potenza. Ora, se quello di Ade è l'immagine della notte che lo circonda e lo toglie alla vista degli uomini, credo che esso rappresenti pure le forze terribili nascoste nel mondo sotterraneo. Queste possono anche essere rappresentate dal berretto di Vulcano, mentre nei cappelli di nebbia di altri numi si deve trovare il simbolo delle nubi che racchiudono il fulmine; e forse, nel cappello di certe divinità del mare, l'acqua che li rende invisibili e la forza delle onde. Nel fumo possiamo anche vedere il manto o il berretto di certe divinità del fuoco. Non dobbiamo dunque meravigliarci dell'importanza che ha la Tarnkappe di Alberico, il quale è un'immagine delle tenebre, un signore possente e terribile del mondo sotterraneo, dove si nascondono le forze misteriose che fanno tremare la terra e s'accendono i fuochi dei vulcani. Ma si potrebbe notare che Siegfried, che è in modo così palese un mito solare, sarebbe potuto divenire invisibile a suo piacere senza la Tarnkappe di Alberico, se non avesse già perduto attraverso i secoli qualche cosa della sua antichissima potenza!