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Molte leggende ancora popolari in Europa ci dicono che sono vestiti di bianco, portano corone di fiori e di stelle sui capelli biondi, ed emanano dal volto e dalle vesti una viva luce. Spesso con la bellezza divina riescono ad ingannare gli uomini ed a trarli a morte, come usano le Dame bianche e le perfide ninfe delle onde.
Vi sono elfi tanto piccoli che possono nascondersi nei fiori quando spunta l'alba; ed essi, che odiano la luce del sole, cercano l'ombra ed il silenzio, dopo le loro festose adunanze notturne. In queste si allietano con le danze ed il suono, come usarono i Coribanti e i Dactyli, dèi che seguivano Cibele, ed i Cureti, nani anch'essi.
I miti che ritroviamo in Grecia con l'aspetto di piccoli nani danzanti diedero argomento a ricerche, le quali non riuscirono a mostrarne chiaramente le origini, che però sono meno oscure se li vediamo confusi con i miti del mondo sotterraneo. In ogni modo, pare che si debbano ritrovare nei Coribanti ed in certi loro compagni gli Adityas dei Veda, che erano dodici e rappresentavano diversi aspetti del sole.
Benché i Cureti fossero creduti lavoratori di metalli e padroni del fulmine, essi danzavano lietamente al pari dei Dactyli e dei Coribanti quando seguivano Cibele, e si diceva che potessero difendere gli uomini contro l'ardore del sole e l'influsso malefico delle stelle.
Ho già spiegato per quale ragione gli operai di Efesto, numi di un ordine inferiore che lavoravano i metalli nel fuoco sotterraneo, si trovarono spesso in stretta relazione con i miti del mare e quelli della vegetazione. Diventa dunque quasi impossibile dividerli in gruppi ben distinti e separati gli uni dagli altri, poiché le loro imagini apparivano già confuse a quelli che li adoravano, e la fantasia del popolo creava spesso nuovi miti, che si aggiungevano agli altri offuscando sempre di più l'aspetto di quelli antichi.
Per Omero, quando egli narrò la triste storia di Meleagro, i Cureti non erano i lieti danzatori che seguivano Cibele.81 Erano invece genti di alto valore nelle armi, e Artemide suscitò fra essi e gli Etoli una gran lite, per il possesso della pelle di un feroce cinghiale. Quando Meleagro apparve nel campo, sconfisse i Cureti che, pur essendo in gran numero, non riuscirono ad avvicinarsi alle mura della città. Meleagro, sdegnato più tardi contro la madre, ricusò di combattere di nuovo, e soltanto quando i Cureti diedero la scalata alle mura e incendiarono la città, la bellissima moglie dell'eroe l'indusse a respingerli, ed egli li sconfisse. Si credette nel Medioevo che gli elfi luminosi fossero quegli angeli che, secondo certe leggende note anche a Dante, restando neutrali nella lotta fra Lucifero e gli angeli buoni:
Non fur nemici a Dio, ma per sé foro,
e vennero condannati ad aggirarsi nell'aria e sulla terra.
Gli elfi cantano così dolcemente, che non può riuscire né agli uomini, né agli uccelli di superarli con l'armonia della voce. Già sappiamo come era mirabile il suono del corno di Oberon, e quale potenza ebbe il canto dei nani di Laurino sull'animo di Teodorico e dei suoi feroci guerrieri, che nell'udirlo dimenticarono ogni altra cosa. Più dolce ancora dovette essere il canto di Amilé, che solo gli elfi conoscevano, e che poteva commuovere tutta la natura. Questo canto divino viene ricordato nel poema Gudrun, in cui si dice che il re Horand di Danimarca lo ripete alla corte del selvaggio re d'Irlanda, Hagen.82
Veramente Horand, nel quale si trovano per altro molti elementi mitici, non ha nel poema aspetto di nano, ma credo sia un discendente o un fratello di mitici nani.
Con altri due guerrieri fortissimi chiamati Wate e Frute, Horand andò alla corte di Hagen, mandatovi dal suo signore Hetel, re di Hegelingen. Questi voleva sposare la bellissima Hilde, figlia di Hagen, e non essendo possibile ottenerla in altro modo a causa della ferocia del padre, aveva dato ad Horand ed ai suoi compagni l'incarico di rapire la fanciulla. Essi, fingendo di essere mercanti ricchissimi, giunsero con le navi cariche d'oro, di stoffe e di oggetti preziosi nel paese del re Hagen, il quale, non sospettando l'inganno, li accolse benevolmente. Spettava ad Horand far conoscere alla fanciulla la domanda del re d'Hegelingen, e per rendere la sua presenza più accetta ad Hagen e alla sua corte, ed anche per attrarre l'attenzione di Hilde, egli cantò una sera la famosa canzone degli elfi.
Era tanto dolce la voce di Horand, che gli uccelli tacquero per ascoltarlo. Il re e tutti i suoi sudditi l'udirono con tanto piacere, che l'eroe acquistò molti amici quella sera; e anche la regina, madre di Hilde, l'ascoltò volentieri. Ella disse che non aveva mai udito un'armonia tanto soave, e fece chiamare il giovane cantore, al quale rese grazie per la gioia che le aveva data. Essa lo pregò di ripetere il canto, e Horand promise di cantare in ogni tempo la canzone bellissima, che toglieva ogni dolore all'animo di chi l'ascoltava.
Il canto del danese gli procurò molta fama in Irlanda, ed egli lo ripeteva quando veniva la notte e quando incominciava l'alba. Tutti gli uccelli tacevano nell'udire il dolce canto, e la gente si destava ammirata. Il canto era sempre più soave, e gli infermi nell'udirlo non pensavano più ai loro dolori.
La giovane Hilde era più commossa di tutti, perché la voce dell'eroe le parlava al cuore. Ella bramava che non cessasse mai di cantare sotto le sue finestre, e volendo parlargli lo fece chiamare nelle sue stanze.
Quando ella vide Horand, lo pregò di cantare; l'eroe ricusò, e prese a parlarle con arte del suo re. Poi soggiunse: – Se osassi cantare dinanzi a voi perderei la vita, perché vostro padre Hagen non mi perdonerebbe tanta audacia. Se foste invece nel mio paese, nulla potrebbe distogliermi dal vostro servizio.
Ma egli cedette alle preghiere della fanciulla, e cantò. I sani e gli ammalati non potevano allontanare il pensiero da quel canto divino. La fiera nel bosco si commosse, i piccoli vermi che erano nell'erba, i pesci che nuotavano si fermarono per udirlo. Ammaliata da quel canto, Hilde prese la mano dell'eroe, lo ringraziò caldamente e volle dargli ricchi doni. Horand li ricusò, e le chiese soltanto una cintura ch'ella aveva portato, e che sarebbe stata per il suo signore il dono più gradito. Egli le fece grandi elogi di Hetel, del suo regno, della sua corte, dove si trovavano dodici cantori valorosi come lui, ma nessuno di essi sapeva cantar bene come Hetel.
Ben diverso dal canto di Horand era il suono del corno di Wate, anch'esso ricordato nel poema. Quando il compagno di Horand suonava quel corno, il rumore era tale che faceva cadere le mura delle città, faceva tremare la terra ed agitava il mare in modo pauroso.
In un lied danese si parla del canto di un elfo non meno armonioso di quello di Horand, di Orfeo, e dell'eroe dei Finni, Wäinämöinen. Nell'udire quel canto, l'indomabile torrente avvezzo a scorrere sempre si fermò, ed i pesci e gli uccelli ne furono meravigliati.
Anche nella montagna di quella Frau Venus creduta dal Grimm regina degli elfi si balla e si canta come nel regno di Laurino, e il canto di questi elfi non può essere inferiore a quello delle Sirene ricordato nella Bataille Loquifer, dove si dice:
Lors comencierent trestoutes a chanter
Si haut si bas, si sèri et si cler,
Que li oisel en lessent lo voler
Et li poisson en lessent lo noer.
Gli elfi, come già notato, accompagnano spesso con le danze il canto, al pari dei nani deformi delle montagne, dai quali non sempre si riesce a distinguerli nelle leggende.
Tutti conoscono in Italia la novellina dei due gobbi, ad uno dei quali le streghe tolsero una gobba per regalarla all'altro, che ebbe così il piacere di possederne due. In una variante brettone di questa leggenda, si dice che la sera i nani, chiamati Korrigans, ballano e cantano dicendo: – Lunedì, martedì, mercoledì, giovedì, venerdì –, È loro proibito di nominare gli altri giorni della settimana. Un Korrigan ebbe l'imprudenza di dire anche «sabato », e gli crebbe subito sul dorso una gobba, che i suoi compagni cercarono invano di appianare a furia di pugni.
In un'altra leggenda, sempre brettone, si dice che Iddio aveva condannato i Koril a ballare la sera sulle lande, e a starsene nascosti di giorno nelle loro città fabbricate in mezzo alle brughiere, finché la loro canzone, sempre interrotta, fosse continuata da un cristiano. Se un uomo attraversava al cader del giorno le lande della Bretagna, quando erano incominciate le danze infernali dei Koril, doveva ballare con essi ripetendo la loro breve canzone, nella quale si dicevano solo i nomi di quattro giorni della settimana. All'alba, il viandante cadeva morto. Una notte, un contadino costretto a ballare con i Koril, aggiunse al loro canto: – Giovedì, venerdì, con la domenica, e così finisce la settimana.83
L'incanto cessò appena ebbe detto quelle parole, e i nani sparirono lasciandogli i loro sacchi di tela pieni di sabbia e di pietruzze, che egli portò a casa. Sua moglie, aspergendoli con acqua benedetta, mutò la terra e le pietre in perle ed in brillanti.84 Non dissimili da questi nani dell'Europa, che si divertono con le danze ed il canto, debbono essere quelli giapponesi, che vengono ricordati in un'altra variante della stessa novellina dei due gobbi. Si dice in questa leggenda che un giapponese, sorpreso dall'oscurità in mezzo alle montagne, cercò nel cavo di un albero un rifugio. Verso la metà della notte, molti nani si raccolsero presso l'albero, e l'uomo ebbe un grande spavento. Essi presero a bere, a cantare e a suonare con tanta allegrezza, che ben presto l'uomo fu come inebriato nell'udirli, e senza più temere cosa alcuna uscì dal cavo dell'albero per prendere parte alla loro festa. Verso l'alba i nani gli dissero: – Sei un allegro compagno, e ti preghiamo di tornare alle nostre feste –. L'uomo promise, ed i nani, forse per serbare un pegno in memoria di quella promessa, gli tolsero un grosso bitorzolo che aveva sulla fronte. L'uomo, tornato a casa, raccontò quanto gli era capitato ad uno dei suoi vicini, che aveva anche lui un bitorzolo sulla fronte. Questi decise subito di andare presso i nani, sperando che gli fosse tolto.
Il giapponese venne accolto da essi con molta festa, e gli fecero passare allegramente la notte bevendo, fra i canti e le danze. Più tardi gli misero sulla fronte il bitorzolo tolto al suo vicino, ed il poveretto ritornò piangendo a casa sua.85
Si credette che gli elfi della luce avessero una grande sapienza, e si fossero compiaciuti nell'insegnare agli uomini molte cose utili. Sotto questo aspetto di esseri sapienti ed amici degli uomini, essi hanno quasi sempre, al pari dei Telchini della Grecia, piedi di anitre, che nascondono gelosamente, come se si vergognassero di far conoscere agli uomini la loro deformità. A cagione di questi piedi, ritroviamo in loro miti dell'acqua, specialmente collegati, come già notato parlando dei Telchini, con quello delle donne cigni, fanciulle bellissime discendenti dalle Apsare indiane, che vengono qualche volta fatte prigioniere dagli uomini. Esse tornano sempre, quando possono fuggire, nel mare, nel lago o nel fiume che furono costrette a lasciare.86
Spesso nel Piemonte mi fu raccontata dai contadini, con diverse varianti, la leggenda in cui si parla dei benefici forestieri, venuti da paesi ignoti, che dimoravano in qualche grotta fra le montagne e ne uscivano per insegnare agli uomini a coltivare in modo proficuo i campi, a fare i latticini ed allevare il bestiame. Un giorno i contadini, mossi dalla curiosità, non essendo mai riusciti a vedere i piedi dei loro benefattori, sempre avvolti in lunghi mantelli, sparsero di rena il luogo nel quale solevano passare, e videro che avevano piedi di anitre. Appena fu scoperta la loro deformità, essi sparirono.
Si dice in una leggenda tedesca che c'erano una volta, non si sa bene in quale secolo, certi nani benefici che andarono ad abitare in una grotta, e non si sapeva donde fossero venuti. Non cucinavano mai, e si nutrivano di radici e bacche. Ai piedi della collina sulla quale dimoravano correva un ruscello, dove andavano a bagnarsi nell'estate mentre uno di loro faceva la guardia, per avvertirli se qualche importuno si avvicinasse. Quando temevano di essere sorpresi, fuggivano così rapidamente sulle montagne che neppure una lepre li avrebbe raggiunti. Non fecero mai nessun danno agli uomini; anzi, avvenne un giorno che mentre un contadino di Hard scendeva col suo carro da una montagna, un nano l'aiutò sul ripido pendio a reggere il freno. Il nano si ferì alla mano, ed essendosi il contadino rammaricato nel sentirlo gridare gli disse: – Non importa, chi lavora si espone sempre a qualche rischio –. Il nano raccolse un'erba che mise sul dito sanguinante, facendolo subito guarire.
Questi nani cortesi aiutavano i contadini a ritirare il fieno, quando vi era minaccia di un temporale, e nell'inverno, avendo stretto amicizia con essi, passavano la notte presso il focolare nelle loro case; al mattino andavano via. Essi usavano molta cura per non lasciarsi vedere i piedi, e portavano lunghi mantelli rossi; i contadini, curiosi, sparsero cenere dinanzi alle case per vedere quali tracce lasciassero passando, e scoprirono che avevano piedi di capre e di anitre.
I nani, offesi, abbandonarono la collina, e non diedero più segno della loro esistenza. Non verranno più in mezzo agli uomini finché questi saranno malvagi.
In una leggenda francese abbiamo una strana trasformazione di nani in anitre, la quale ha peraltro grande importanza per farci risalire a certe origini mitiche dei nani. In un pantano si raccoglievano a mezzanotte molte anitre, e spesso la gente udiva il loro monotono can can, ma esso sembrava pronunziato da labbra umane. Un contadino volle vedere come fossero quelle anitre, ed una sera, tenendo in mano una grossa pietra, si nascose dietro un muro vicino al pantano. Ben presto vide apparire certi piccoli uomini, che tenevano in mano una pelle d'anitra. Quando giunsero presso il pantano, un omino che sembrava il loro capo fece un cenno, ed essi, trasformandosi in anitre, si gettarono nell'acqua. Il contadino, che era nascosto, lanciò in mezzo ad essi una pietra e colpì un'anitra; tutte le altre fuggirono, ed egli prese l'anitra ferita, alla quale tolse la pelle. Questa copriva un giovanetto da lui conosciuto, che da qualche tempo era stato rapito dai nani ai suoi genitori. Il giovane, ricondotto nella casa paterna, fu sempre triste finché non gli riuscì di riprendere la sua pelle d'anitra e di fuggire, per raggiungere i nani che gli erano stati compagni. Dopo il giorno della sua fuga, nessuno potè averne notizie.
Della grande sapienza degli elfi si parla anche nell'Edda di Sœmund. Quando Sigurd aprì con la spada l'armatura della Walkiria, addormentata in mezzo al cerchio di fiamme, essa prese una coppa e diede da bere all'eroe. Dopo che le ebbe reso grazie, Sigurd la pregò di dargli la sapienza, poiché ella conosceva tutti i misteri dell'universo. La Walkiria disse che gli dava la birra piena di forza e di gloria, di canti e di parole benefiche, e ancora gli incanti dai quali dipende la fortuna, ed i runi che procurano la gioia. A lui toccava di conoscere i runi che potevano soccorrere gli uomini, e quelli che davano la salvezza alle navi nelle tempeste. Questi ultimi dovevano essere bruciati nel timone, e le onde più nere e furiose non avrebbero potuto far sommergere la nave. Doveva anche imparare i runi che insegnano a conoscere la medicina e guarire le ferite, e quelli della giustizia e dell'intelligenza. Colui che trovò tutti questi runi della sapienza stava sulla cima di una montagna con la spada in mano e l'elmo sul capo.
Quando disse i runi, questi rimasero impressi sullo scudo del dio del sole, sull'orlo, sul vetro e sugli amuleti che danno la felicità. Tutti i runi furono tagliati e dispersi; di parecchi s'impadronirono i numi, altri appartengono agli elfi; i figliuoli degli uomini ne conoscono alcuni.
Le Elfinnen delle leggende tedesche non sono soltanto perfide come la Loreley del Reno, traendo a morte i giovani innamorati dei loro volti divini, dei lunghi capelli d'oro, delle snelle e gentili persone luminose. Sono anche esperte nei lavori femminili e sanno filare e tessere come la dea Holda, che abbiamo ritrovato in una delle sue trasformazioni nel racconto della bella Hilde, che faceva risorgere di notte i guerrieri caduti in battaglia. Anche Freya, moglie di Odino, sapeva lavorare con la spola, al pari delle donne regali della Grecia e di Troia.
Sono pure bellissime le Elfinnen verdi, che vivono insieme ai loro piccoli compagni nei boschi, in mezzo all'edera o nascoste nel muschio, finché dura la luce del giorno. Anche i loro capelli sono verdi, come le vesti ed i volti che splendono nella notte mentre danzano sotto il fogliame degli alberi, dove penetra appena il chiarore della luna.
In Olanda si credette nell'esistenza di elfi tanto piccoli, che navigavano avendo per vascelli certi gusci d'uovo. Molti elfi della Germania danzano sulle gocce di rugiada senza farle cadere dalle foglie.
Fra le Rusalke della Russia, tanto somiglianti alle Elfinennen, e che danzano anch'esse di notte sull'erba nei boschi, allietandosi quando traggono a morte i giovani imprudenti, ne esistono molte piccolissime, secondo una credenza dei contadini russi. Si dice che siano le anime dei bambini morti prima di essere battezzati. Per sette anni, nel giorno di Pentecoste domandano agli uomini, piangendo, il battesimo. Se qualcuno le ode e dice che le battezza in nome di Dio, vanno in Paradiso, altrimenti, dopo il settimo anno, diventano per sempre Rusalke. Quando ballano, l'erba cresce rigogliosa sotto i loro passi. Possono navigare in un guscio d'uovo, come tanti elfi, e si crede che anche i fuochi fatui siano piccole Rusalke.