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Un bizzarro spirito fiorentino del Cinquecento si compiacque di raccontare la più strana impresa mai compiuta da un esercito di nani, una guerra contro i giganti, e fu indotto a scegliere tale argomento da favolosi racconti greci, svolgendolo in troppe facili ottave. Fra questi ebbe forse maggiore influenza su di lui la guerra tra i Grifoni, custodi delle montagne piene d'oro, e gli Arimaspi, raccontata da Aristea di Proconneso.
L'allegro poeta delle gesta dei nani fu Anton Francesco Grazzini, al quale viene attribuito il poemetto La gigantea, e che scrisse anche la Guerra dei mostri.
Nella Nanea la forma è con frequenza trascurata, il concetto si perde qualche volta in un'oscurità che mal si addice al poema giocoso, che dovrebbe avere la trasparenza del cristallo. Spesso s'incontrano trivialità, lungaggini o ripetizioni inutili; miglior partito si poteva trarre della prigionia dei numi, della parte che hanno gli uccelli nella battaglia, del duello fra il gigante Balestraccio e il nano Bitonto; e troppo lunga mi pare la descrizione delle armi usate dai nani, che stanca il lettore e spesso non ha senso.
Ma fra tutti questi difetti, non mancano alla Nanea molti pregi. La lingua schietta ha una ricchezza che piace, e spesso lo stile ha una grande efficacia; vi sono pure molte ottave felici, e certe situazioni comiche che costringono il lettore a sorridere. Qualche volta, nel leggerla, mi pareva di vedere il poeta in mezzo alla brigata dotta e allegra degli amici suoi, chiamando sulle loro labbra il riso, narrando le stranezze raccolte nelle sue ottave, contento di ridere e di far ridere gli altri con la beata spensieratezza del Cinquecento, senza preoccuparsi dei posteri che avrebbero giudicato l'opera sua.
Essa è quasi dimenticata in Italia, e non se ne trova una copia neppure nelle ricche biblioteche di Napoli.93 L'oblìo che involge la Nanea m'induce a fermarmi alquanto intorno ad essa, dicendo dei piccoli nani valorosi ai quali il Grazzini volle dare la gloria, in mezzo a tutto lo splendore del Cinquecento, quando voci migliori e più alti ingegni avevano già celebrato in Italia le gesta dei cavalieri medioevali.
Il poeta, che vuol cantare la rabbia, il batticuore, la stizza dei piccolissimi guerrieri e dei giganti venuti a battaglia insieme, dopo che i giganti avevano preso e messo a sacco il cielo, ci dice che nel luogo dove Ulisse scongiurò le ombre si trova un'isola abitata dai nani, che hanno sottomesso con la forza delle armi le gru, loro nemiche feroci.
Giove, disperato per la vittoria dei giganti, si è nascosto in un luogo dove solo Apollo riesce a vederlo. Non potendo avere contro i suoi nemici un aiuto efficace dai numi, perché ad eccezione di Bacco, scampato con le sue buffonerie alla morte, sono tutti prigionieri dei giganti o feriti, pensa di valersi dei nani, e:
Cerca s'al ciel per diversi viaggi
Potesse trargli armati tutti almeno.
Giove non ha più al suo servizio Mercurio, colpito al pari degli altri dalle armi dei giganti, e manda in sua vece Perseo a chiedere aiuto al re dei nani. L'eroe giunge sulla terra, e Giove rimasto pensoso e solo nel cielo, non cessa di guardarlo:
Per sin che giunto il vede al nano stuolo.
Perseo implora in nome del suo signore l'aiuto del re Pimmeo, al quale spetta di liberare con i suoi guerrieri il cielo, e che riceverà più tardi dal re dei numi un compenso adeguato ai benefizio. L'eroe, dopo aver compiuto la sua missione, torna vicino a Giove con tanta rapidità che il baleno è meno rapido di lui.
I nani, che si sono meravigliati nell'udire la preghiera di Giove, vengono raccolti a consiglio dal re, e dopo che i personaggi più autorevoli hanno espresso il loro parere, tutti sono ancora titubanti, non sapendo decidersi ad accogliere favorevolmente la domanda del nume.
Il nano Fogagnino propone ai compagni di servirsi degli uccelli che hanno vinto per andare ad assalire i giganti nel cielo. Le sue parole accendono il valore nell'animo dei nani, e ciascuno di essi pensa a provvedersi di armi per combattere, e di selle e di briglie per le gru.
Fasto, capitano dell'esercito, si arma alla leggiera, coprendosi di scaglie di pesci tenute insieme con la cera. Quest'armatura è tale che può resistere a colpi violentissimi. Egli si fabbrica un elmetto con un guscio:
Cavalca Fasto come gli altri un Grue,
Ma coperto di bucce di cipolle,
Dal manco lato del qual pende giue
Lo scudo, dall'altro la lancia s'estolle.
Lo scudo è un nicchio, e la lancia un giunco molle; eppure, con quelle armi Fasto si mostra così superbo:
Che non avria ceduto a Marte un dito.
Fogagnino, che ha incitato i nani a compiere la bella impresa, viene alle mani con una vespa e le toglie il pungiglione, che adopera come pugnale; altri nani si coprono il petto con pelli di ranocchi e usano le spine come lance. Il piccolo Scambo porta l'arco e il turcasso.
E trae per frecce fagiuoli e cialdoni,
Che portan nell'andar tanto fracasso
Ch'interi non stan lor contro i torrioni,
Ed ha più volte, ai colpi suoi sicuri,
Passato i monti e rovinato i muri.
Un mezzo cetriuol cavo Lambrino
E per celata in capo se lo pone;
Fessi Arsafatto un forte berrettino
D'un voto e secco capo di cappone.
Vi è perfino tra i nani chi porta come lancia una foglia di pino. Altri hanno per elmi gusci di nocciuole, becchi di nibbii, ugne di topi, schiene di granchi marini. Usano per insegne ali di farfalle e di mosconi, che hanno per asta un filo d'erba. È tamburino dei nani il fortissimo Falisteo, che ha il solo difetto:
D'esser pronto al fuggir, all'andar tardo.
Quando volle fabbricare il suo tamburo:
Trovò costui un zuccone indiano
E il suo fiore, e il picciuol gli toglie e svelle,
Nè restò mai per fin che d'un tafano
Sotto e sopra v'accomoda la pelle;
E questo batte, e 'l suon manda alle stelle,
E mezzi rotti i giganti già sono
Nell'ascoltare un sì terribil suono.
Il trombettiere chiamato Guargaglia soffia in uno «zuffolin di paglia». Al pari del tamburino, non possiede una gru per andare all'altro polo, ed è costretto a servirsi d'un barbagianni. Falisteo deve montare sopra un gufo; Farfanicchio ha per arma uno scoppietto:
Che gli uomin quasi col romor diserta,
Non di ferro o d'acciar temprato al foco,
Ma di sambuco ch'in terra ha suo loco.
Scocca per quello una grossa pallotta
Talor di terra, o di ghiaia, o di rena,
Che dar potrebbe a una città la rotta,
Potrebbe far volare una balena.
Prima che i nani partano per andare nel cielo, tutti gli uccelli si calano a piombo sulla terra, e si offrono per servir loro di cavalli in quell'impresa, ma i nani non vogliono rinunziare a valersi delle gru.
Uno scarafaggio si presenta dinanzi ai nani e dice che è già stato nel cielo, quando ha rapito l'uovo dal grembo di Giove, e poiché sa la via, vuole insegnarla ai nani. Il re Pimmeo si conforta nell'udire la sua proposta, perché non sapeva quale via seguire per andare nel cielo, e gli promette un compenso.
Già i primi nani, montati sulle gru, si muovono, e gli uccelli, dei quali non hanno accettato i servigi, li seguono, perché vogliono prendere parte alla battaglia. Lo scarafaggio guida l'esercito, ma quando si è avvicinato al cielo, cerca di fuggire perché teme Giove; il re Pimmeo lo trattiene, e non gli lascia seguire il suo folle pensiero.
Giove, nel veder arrivare l'esercito dei nani, mostra la sua gioia facendo coi tuoni un orribile fracasso. Il re Pimmeo cavalca presso di lui, e lo prega di non meravigliarsi della piccolezza dei suoi soldati, che saranno capaci di fare a pezzi ogni gigante.
Allor Giove a lui corse al primo tratto,
E l'abbracciò cortesemente, e poi
Con lunga diceria l'instrusse affatto
Della battaglia e delli affanni suoi,
Ma 'l re cui piace più venire al fatto
Che perder tempo onde si dolga poi,
Dividendo le genti in tre partite
Vanno a trovar i motor della lite.
In una di queste schiere, si trovano i numi rimasti ancora in vita dopo la tremenda lotta contro i giganti; nella seconda, tutti gli uccelli che hanno seguito in cielo i nani; questi ultimi formano la terza schiera, e raccolti intorno al re Pimmeo muovono all'assalto dei giganti. Si ode allora un suono orribile di tamburi e di grida, che fa rimbombare il cielo e la terra:
Ma più col suon della saetta fida
Fa sonar Giove ogni valle, ogni tomba;
L'un esercito e l'altro si disfida
Con più d'un suon della dorata tromba,
E 'l campo dei giganti spensierato
Fu prima quasi rotto che assaltato.
Viene poi un momento in cui la turba sciocca dei giganti fa retrocedere i nani. Giove li guida di nuovo alla battaglia, e questa ricomincia più feroce e micidiale di prima.
Ma nel più bel ferire alto rumore
Fermò le mani e a sé trasse ogni core,
poiché si trovano di fronte il gigante Balestraccio e il nano Bitonto, che dopo un fiero assalto si sfidano a singolar tenzone in campo chiuso.
Viene stabilita una tregua, e si fanno i preparativi per il duello, mentre tutti piangono i loro morti. I nani volgono poi la mente al fortissimo eroe, che deve sostenere la fiera lotta contro il gigante, e ognuno di essi gli insegna come debba ferire o parare i colpi dell'avversario.
Saturno, Giove e gli altri dèi se ne vanno a volo presso Bitonto per lodarlo. Non credono che, essendo così piccolo, possa resistere ad un gigante, ma ammirano la sua audacia meravigliosa. Finalmente viene il giorno stabilito per la pugna fra il gran gigante ed il piccolo nano ardito. Allora:
Giove di stelle un lungo quadro adatta
Con padiglione all'uno e l'altro lato:
Fu nei duoi lati una gran porta fatta
Come far s'usa e guisa di steccato,
Quivi tosto dispon che si combatta,
Quivi ognun deve appresentarsi armato:
Nel padiglion che guarda per levante
Dimora 'l nano e 'n quell'altro il gigante.
I nani ed i giganti, intorno allo steccato, aspettano con impazienza che incominci la battaglia. Pimmeo giunge al pari di Giove, e indossa un bell'abito adorno; lo seguono i suoi baroni e vanno ad occupare i posti assegnati loro, mentre i giganti sono dal lato opposto.
I due cavalieri, che aspettano con impazienza il momento in cui verranno alle mani, montano in sella presso l'uscio dei padiglioni, e:
Com'il Gigante e 'l Nano apparsi fuore
Fur presti a far di fatti e non di ciance:
Dette 'l segno la tromba, al cui romore
Tremar mill'alme, arrossir mille guance:
Sol gli animosi non mutaron core,
Ma vansi arditi a trovar con le lance
E, vicini, il Gigante a prima giunta
Mena la torre, e quel lancia una punta.
La torre stretta dalle valid'ugne
Che la man forte fan di Balestraccio
A furia cala, e nello scudo giugne,
E stordito lasciò del Nano il braccio;
Che se per sorte più pel dritto aggiugne
Bitonto il Gru cavava allor d'impaccio,
Pur gli spezzò lo scudo, come vetro,
E fello andar ben venti miglia a dietro.
Giunse la punta, la cui gran tempesta
Dal Nan cacciata sembrava saette,
Fieramente al Gigante nella testa,
E tutto il ferro nel cervel gli mette,
Ma non avrebbe ancor fatta la festa,
Se glie l'avesse aperta con l'accetta,
Perché ha un capo maggior d'un Palagio;
In tanto il Nano è tornat'a bell'agio.
E dello scudo rotto sì li crebbe
L'ira, ch'ei raddoppiò forza e vigore,
E più di mille colpi il Gigant'ebbe
Sì fu potente il gran naneo furore;
Perdè 'l sangue il Gigante, e che far debbe
Non vede a terminarla con suo onore:
Troppo prest'era il Nano a far la guerra,
Ecco or l'urta a traverso, e gitta in terra.
Quando i Giganti vider che si vaglia
D'un picciol uom sì superbo maneggio,
(E 'l Gigante s'ei fusse come paglia
Da lui non si potea difender peggio)
Saltan nel mezzo e turban la battaglia,
Nè han rispetto al glorioso seggio
Di Giove; allor la battaglia si mesce
E più che mai sanguinosa ognor cresce.
Ogni gigante pare un Annibale, ed il forte stuolo mette di nuovo in fuga i nani, ai quali il re Pimmeo rivolge un altro discorso, che rianima il loro coraggio. Tornano ad assalire i nemici e li mettono in fuga; Giove prende a fulminare i giganti, e questi precipitano nel mare. Dopo la loro distruzione, i nani si riuniscono per banchettare, superbi della gran vittoria ottenuta; giunge intanto Nettuno per lamentarsi con Giove e minacciarlo, perché ha osato far piombare i giganti nel suo regno. Il re Pimmeo mette pace tra i fratelli, e torna nel suo regno con l'esercito glorioso.