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I folletti | «» |
Le leggende più diffuse in Europa sono quelle intorno alle apparizioni dei fantasmi, ai folletti ed al potere delle streghe, e credo che non vi sia villaggio dalla Spagna alla Russia, e dall'Italia alla Lapponia, in cui non si ritenga come una cosa reale l'esistenza dei piccoli spiriti famigliari astuti e birichini. Avviene pure che le genti semplici ed ignoranti parlano con molta paura dei fantasmi e delle streghe, ma si trova invece, con grande frequenza, una nota allegra nelle leggende in cui si dice dei folletti; purché non si vegga in essi l'incubo spaventoso, cagione di terrore agli uomini dall'antichità fino ai nostri giorni. Poiché il carattere dei folletti è quasi sempre uguale in tutta Europa, e si somigliano molto le gesta che compiono in ogni paese, questo m'induce a parlare di essi in modo breve, rispetto alla vastità dell'argomento.
Certi piccoli numi della vegetazione e della coltivazione dei campi, nell'esistenza dei quali credettero molti popoli, furono, come già notato, gli spiriti più affini ai moderni folletti, che popolano le campagne ed aiutano i contadini a coltivare la terra e ad aver cura del bestiame, o fanno loro, quando possono, infiniti dispetti, e vivono a preferenza nella stalle, sopra i solai e nelle cantine. Questi numi non mancavano in Grecia, e molti di loro ebbero il nome di Satiri e di Sileni. In tempi lontanissimi, i pastori che dimoravano in luoghi selvaggi della Grecia credettero nell'esistenza di un grandissimo numero di Satiri, piccoli ed umili numi nei quali si vuole trovare una grande somiglianza con i folletti dell'Harz e quelli delle Alpi che appartengono alla Svizzera tedesca.94
Secondo Esiodo, erano fratelli delle ninfe dei monti, e spesso prendevano aspetto di animali. Avevano la persona coperta di peli, il naso camuso, le orecchie con la punta, il piede caprino e la coda, ed erano vigliacchi, pigri, cattivi e petulanti. Spesso si mostravano maliziosi e birichini, e si divertivano spaventando la gente.
Come poi usarono gli elfi, questi satirelli non pensavano ad altro che a ballare ed a bere, ed i pastori credevano di udire il suono dei loro flauti nei boschi. Plutarco racconta che fu condotto dinanzi a Silla un Satiro, preso dalla sua gente mentre dormiva; interrogato in lingue diverse, non seppe rispondere, ma belava o nitriva, e Silla impaurito gli fece rendere la libertà.
Quando Atene mise i Satiri sulla scena, fu dato ad essi un aspetto quasi umano, e le loro maschere ebbero soltanto le orecchie lunghe e le piccole corna.
I Sileni erano geni delle sorgenti e dei fiumi, e nell'arte greca furono rappresentati con la coda, gli zoccoli e le orecchie da cavallo, simbolo delle acque. Si vuole che fossero di origine asiatica, mentre i Satiri erano una creazione dei pastori greci, che affermavano di averli veduti qualche volta.
Anche intorno a Dioniso erano in gran numero certi piccoli geni, ai quali non si rendeva un culto, ma che vengono ricordati su certi antichi vasi dipinti. Avevano corpi leggeri, erano graziosi nelle movenze, e rappresentavano tutte le idee relative al vino, alla vendemmia, e alle diverse specie di canti usati nel culto del nume.
Tutti gli antichi popoli italici credettero anch'essi nell'esistenza di un numero infinito di spiriti dello stesso genere, Fauni e Silvani, che presiedevano alle cose campestri. Questi, secondo certi antichi disegni etruschi, erano di piccola statura, avevano la coda come i satirelli greci, e portavano un berretto. Forse gli Etruschi, o una parte di essi, ereditarono dagli antichissimi Pelasgi la credenza in questi spiriti; in ogni modo, non dobbiamo meravigliarci di trovarli in tanto numero in mezzo ai popoli, poiché avviene che in tutte le religioni politeiste diventa sempre più numerosa, nel volgere del tempo, la folla dei geni e degli altri numi di ordine inferiore.95
Vero è che si moltiplicarono egualmente sia presso i popoli più leggeri e scettici, sia tra quelli religiosi;96 ma credo che nell'Etruria, detta in tempi lontanissimi «madre della superstizione», si trovassero in una relazione più stretta che altrove con la vita degli uomini e con le loro occupazioni.
Gli Etruschi credettero pure che presso ogni individuo stessero due spiriti o geni invisibili, che non lo lasciavano dalla sua nascita fino alla morte, e che rappresentavano anche il dualismo che vi era nella loro religione, mettendo una differenza notevole fra essa e quella dei Greci. Per mezzo dell'influenza di questi spiriti, si poteva avere, secondo la volontà del destino, tutto il male e tutto il bene. Uno di essi vigilava con grande affetto sulla persona che proteggeva, l'altro cercava ogni mezzo per nuocerle; questi spiriti prendevano parte alla sorte dei mortali nei dolori e nella gioia, e conducevano le anime nell'altro mondo.
Tale credenza durò a lungo presso gli Etruschi, e sui loro monumenti si vedono rappresentate con molta frequenza le immagini di questi geni, che avevano un aspetto fiero o benigno adatto al proprio ufficio. La credenza nell'esistenza di geni che potevano distribuire i beni ed i mali fece nascere un culto speciale per i Lari, in cui dobbiamo ritrovare l'origine lontana di tanti folletti. Questi Lari, che hanno grande importanza nel culto degli antichi popoli italici, proteggevano le case, i poderi, le famiglie e gli individui, ed erano onorati con feste speciali. In Etruria, e specialmente nelle tombe, si trovano in grandissimo numero statuette dei Lari, ed il loro culto era molto esteso presso i Sabini. Gli Umbri, ed altri popoli in Italia, ebbero numi dello stesso genere, ed essendo questi, secondo le credenze religiose, in continua relazione con gli uomini in tutte le faccende giornaliere, era inevitabile che il loro ricordo si conservasse tenacemente in mezzo al volgo.
E poiché nei libri acherontei, che contenevano parte della dottrina di Tagete, si diceva che le anime potevano, in forza di alcune espiazioni, acquistare certe qualità dei numi e aver posto fra i Lari ed i Penati,97 questi furono creduti spesso nelle famiglie anime benefiche degli antenati.
Anche negli dèi Penati si può ricercare l'origine di molti folletti, e forse soprattutto in quelli che erano in relazione con Mantu o Vediu, il Plutone degli Etruschi, e che appartenevano al mondo sotterraneo.
I Penati dovevano vegliare sulla prosperità della casa, e si credeva che stessero nel luogo dove si conservavano le provviste. Non sembra però che formassero un gruppo di numi distinto dagli altri. Forse ogni famiglia sceglieva a suo piacere uno dei numi nazionali come protettore del focolare domestico.98 E poiché essi vennero divisi in quattro classi, una delle quali emanava da Giove, un'altra da Nettuno, un'altra dalle divinità infernali, e l'ultima era in relazione più diretta con gli uomini, Otfried Müller ritiene che i numi protettori della famiglia dovettero, secondo le credenze degli Etruschi, appartenere all'aria, all'acqua, alla terra ed alle anime dei morti.99
In Italia, i folletti derivati da tutti questi geni, hanno, come negli altri paesi di Europa, molti nomi, e tante volte ne ho udito raccontare le gesta da persone convinte della loro esistenza!
In generale, i folletti italiani hanno anch'essi il berretto che li rende invisibili, benché siano semplici spiritelli, tanto diversi da Laurino e da Alberico! In esso si trova la loro potenza, e possono dirsi felici coloro ai quali riesce di rapire il piccolo berretto nero o rosso, il cappuccio, il cappello incantato! Poiché il folletto deve fare ricchi doni per riaverlo.
Ah! Se ci fosse dato di possedere l'anello meraviglioso del re Ortnit e quelli che la regina Kunhilde dette a Teodorico di Verona ed ai suoi compagni! Quanti folletti vedremmo pei campi e nei villaggi d'Italia; sulle navi ed anche nelle città, dove sono meno popolari ma non furono mai dimenticati! E saremmo costretti a sorridere guardando tutti quei volti bianchi o neri, con gli occhietti furbi, le labbra pronte al riso, le fronti intelligenti!
Tutti i nostri folletti hanno un carattere gaio, e se la godono facendo mille dispetti alla gente. Questo non toglie che siano spesso molto operosi, servizievoli e si compiacciano nell'aiutare la buona gente e le belle fanciulle. Essi non mostrano di prediligere nessuna parte d'Italia più delle altre, e sono in egual numero sulle Alpi e sulle rive del mare, nei villaggi della Lombardia e del Piemonte, e in quelli della Calabria e della Sicilia, compiacendosi nelle case sulle quali pesa la neve per lunghi mesi, nelle capanne solitarie dei pastori, non lungi dai ghiacciai, e sulle falde dei nostri vulcani, dove fioriscono sempre le rose e crescono le palme.
Il Marrauchicchio, folletto di Cassano Jonio, è alto due palmi, ha gli occhi e le mani di fuoco, e porta un berretto rosso. Può essere amico e benefattore degli uomini o avere in sè una malvagità demoniaca, compiacendosi nel recar danno ad essi ed agli animali.
Spesso il Marrauchicchio si lascia vedere dalla gente, come certi nani germanici, ma sparisce subito rapidamente; egli promette la ricchezza e la felicità per riavere il suo berretto, se una persona riesce a prenderlo.
Un Marrauchicchio proteggeva una povera vecchia, e nessun servo fedele avrebbe potuto servirla con affetto pari al suo. Veramente, in questo caso il folletto di Cassano Jonio mostrava di essere un vero filantropo, facendo del bene ad un essere povero e debole, privo di ogni seduzione di bellezza, mentre in generale il folletto serve le fanciulle e le donne giovani e piacenti, e fa dispetto a quelle brutte.
In ogni modo, bastava che la vecchia mostrasse un desiderio o che le occorresse qualcosa perché il folletto benigno provvedesse a tutto con sollecitudine; così non le mancavano mai le belle vesti, i danari e gli oggetti più utili e piacevoli, che le venivano portati in modo misterioso. La vecchia era da tutti invidiata, e molte persone facevano caldi voti perché nelle loro case andasse a dimorare qualche folletto egualmente cortese.
Il folletto di Monteleone si chiama monacu fojettu, e nessun contadino dubita della sua esistenza; anzi, molti affermano di averlo visto con aspetti diversi. Ora sembra un nano con i calzoni corti ed il berretto rosso, e di notte va facendo rumore nelle case; altre volte è un essere coperto di peli che sta in mezzo fra la bestia e l'uomo, ma non lascia il solito berretto rosso, e mette sottosopra le stoviglie in cucina. Quando fa l'ufficio d'incubo e si posa di notte sul petto della gente, si trasforma in gatto.
Il monacu fojettu possiede un tesoro, che custodisce gelosamente in una pentola murata in una parete, o sotterrata in un giardino. Chi può riuscire a prendergli il berretto, diventa padrone delle sue ricchezze; ma lui è tanto agile e prudente, che assai di rado se lo lascia rubare. Questo folletto è temuto, ma non offende nessuno in modo grave; si compiace soltanto nel fare dispettucci alla gente. Qualche volta si lascia vedere, e parlando fa conoscere la sua presenza; preferisce vivere nelle case dei poveri, che spesso gli domandano qualche soccorso, e abita in un luogo oscuro, dove fa molto rumore.
Una povera donna, che dimorava in una misera stanza, era spesso visitata da un folletto birichino, che provava un gusto matto nel farla arrabbiare. Ora le gettava in terra i piatti, ora faceva cadere le sedie; la poveretta, volendo liberarsi di quel tormento, pensò di cambiare abitazione. Mentre si disponeva a portare nella nuova casa le sue poche masserizie, non le riusciva di trovare la scopa, e sentì una vocina che diceva: – Te la porto io, la scopa, te la porto io! – Ella capì che non sarebbe riuscita a liberarsi del monacu fojettu!
Un contadino che aveva una gamba ammalata si riscaldava presso il fuoco acceso in un braciere; intanto sentiva sulla gamba un peso intollerabile, e capì che vi sedeva il monacu fojettu. Una sera tenne pronto un grosso bastone per colpire il folletto, che andò, secondo il suo costume, a sedere sulla gamba ammalata. Ma quando il contadino gli diede un gran colpo sperando di batterlo, era già balzato in terra, ed il bastone colpì la gamba ammalata!
A Francavilla Marittima, il folletto si chiama monachieddu o marrauchino. Porta una tonaca nera da monaco ed un cappuccio; e fra le sue imprese si diverte a rubare le galline.
A Reggio Calabria il folletto si chiama fuddettu, a Catanzaro monacheddu, a Crotone scavuseddu, e dovunque si trovi fa mille scherzi alla gente; dà scappellotti ai mariti burberi, e chiama brutte le donne. Quando vogliono prenderlo, fugge rapidamente; solo di notte e nel meriggio è possibile vederlo. Ha piccola statura, porta un berretto rosso come il suo mantello e non usa le scarpe. Chi ha la ventura di prendergli il berretto, non deve lasciarsi ingannare da lui, perché spesso promette un sacco d'oro per riaverlo e ne dà invece uno pieno di carbone. Può mostrarsi nello stesso tempo a parecchie persone in luoghi diversi della casa, e segue la famiglia con la quale vive, se questa cambia abitazione.
Spesso si mostra cortese, accende il fuoco nel braciere e il lume, e risponde a chi gli parla. È tanto popolare che i ragazzi imparano la preghiera con la quale invocano lo scavuseddu! Questi si diletta giocando con loro, ma non bisogna parlar male di lui, perché si vendica se viene offeso. A Cutro, paesello presso Crotone, è generale l'uso d'imbandire un banchetto notturno per lo scavuseddu, quando si va ad abitare in una casa nuova; e se la mattina seguente le vivande sono intatte, si teme che avvenga qualche disgrazia in famiglia! Una cortese persona di Cutro, alla quale debbo queste notizie sullo scavuseddu calabrese, mi disse ancora che, sette o otto anni or sono, la sua famiglia andò ad abitare in una casa costruita da poco, e sul fare della sera preparò la mensa allo scavuseddu. Una fanciulla mise un po' di formaggio sui maccheroni, ma fu sgridata dalla mamma, perché forse lo scavuseddu di casa non mangiava il formaggio. Verso mezzanotte, due ragazzi birichini di quella famiglia si alzarono, e sulla punta dei piedi andarono a vedere se lo scavuseddu stesse mangiando. Non lo trovarono, e pensando di fare le sue veci, mangiarono la cena apparecchiata per lui; poi tornarono in silenzio a letto. La mattina vi fu molta gioia in famiglia, perché si credette che lo scavuseddu avesse mangiato, ed era quello un annunzio di prospera fortuna! La notizia si sparse in paese, e molto persone andarono a congratularsi con la famiglia, favorita in quella maniera dallo scavuseddu!
Parecchi dicono che il folletto calabrese è un mostriciattolo tarchiato, pesante, brutto; altri invece che è leggero come una penna, ed ha una agilità straordinaria. A causa di questa sua qualità, somiglia al Galopin del poema Elie de Saint-Gille. Galopin, il quale è un vero folletto ladro e birichino, può correre «plus tost que cheval ne ronchin».
A Palmi (Calabria) abitavano in una casa un marito ed una moglie, e con essi viveva, per loro sventura, un folletto petulante. Questi aveva per costume di ripetere tutte le parole che udiva. Annoiati nel sentire sempre quell'eco molesta, i due poveretti stabilirono di andare in un'altra casa. Quando vi passarono la prima sera, la moglie esclamò: – Finalmente ci siamo liberati di quella noia!
In quel momento si picchiò all'uscio, ed ella domando:
– Chi è?
– Sono io!
– Che cosa vuoi?
– Sono venuto a portarvi la scopa, che avete dimenticato nell'altra casa.
La donna aprì e vide il fudditto con la scopa in mano.
Ella gridò con rabbia: – Ah! Sei qui, buffone – e con un gesto rapido gli strappò il berretto. Il fudditto dovette indicarle un luogo dove si trovava un tesoro per riaverlo.
Il fuddettu di Reggio Calabria porta un cappello con la punta, come Pulcinella, ed ha circa sessanta centimetri di altezza. Si racconta che una donna giunse a strappare il berretto ad un fuddettu e lo gettò nella pentola dove bolliva la minestra. Il folletto si gettò dietro al berretto perché voleva riprenderlo, e sentendosi scottare gridò forte per chiedere aiuto. Accorsero molti folletti, e gli domandarono il nome della persona che l'aveva gettato nella pentola. – Sono stato io! – rispose il folletto. I compagni dissero: – Poiché ti sei gettato volontariamente, puoi anche restarvi, – e sparirono.
Certe persone, che volevano andare a teatro, affidarono prima di uscire una loro bambina ad una famiglia amica, affinché la custodisse. Quando tornarono, non si poteva trovare la bambina, e solo dopo molte ricerche fu rinvenuta sotto un letto, dove l'aveva messa il fuddettu sopra due guanciali.
Ad Aggius, in Sardegna, il folletto si chiama fuglietti o parasismi. Si ritiene che abiti le case dove persone, che poi sono morte, hanno fatto qualche giuramento falso. Si crede pure che i fuglietti siano anime di bambini morti senza battesimo, e che dimorino non soltanto nelle case, ma anche nei boschi, dove fanno sentire ai passanti le loro allegre risate. Anche il folletto inglese tanto popolare chiamato Robin goodfellow ride forte, ed egualmente allegri sono i Koboldi della Germania.
Il laùro è un folletto pugliese del territorio di Taranto, piccolo come il pugno, e porta un cappello nero o rosso. Prova un gusto matto nel far indispettire la gente, ma non reca mai ad alcuno un danno serio; anzi, mostra grande affetto alle persone che predilige. Di notte si affaccenda, misura le biade nel granaio e intreccia in modo quasi inestricabile i capelli delle donne, e i crini dei cavalli che gli piacciono. Quando ha dato a qualcuno un po' di molestia, ride forte.
Se viene in mente al laùro di fare la parte dell'incubo, la persona che se lo sente pesare sul petto deve adoperarsi per prendere il suo cappuccio e tenerlo stretto. Come tutti gli altri folletti, il laùro promette allora la ricchezza per riavere la libertà; ma non pare che mantenga sempre la sua parola. Molti affermano di averlo visto, e non tutti osano parlare di lui, temendo che si adiri!
Lo scazzamureddu è un altro folletto pugliese, il quale ha trenta o quaranta centimetri di altezza. È bruno, ha i capelli ricciuti, porta un abito di velluto ed un cappelluccio alla calabrese. Questi particolari sul suo aspetto ed i suoi abiti sono dati da persone che dicono di averlo visto. Quando chiede a qualcuno ciò che desidera, se questi dice che brama di avere un sacco pieno di monete, glielo porta invece pieno di cocci. Come tanti altri folletti d'Italia, s'incarica di portare la scopa nella casa nuova, quando la gente cambia abitazione per liberarsi della sua compagnia.100
Gli animali che hanno la protezione dei folletti pugliesi o quella dei loro fratelli d'Italia e di altri paesi, ingrassano molto a causa delle loro cure amorevoli; deperiscono invece quelli che non godono la simpatia dello scazzamureddu.
A Catania il folletto si chiama scauzzo. Si racconta in quella città che una notte apparve ad una signora nella sua camera, e fra una luce abbagliante si accostò al suo letto offrendole una tazza di caffè. Egli cercò d'indurla ad accettarla, promettendo di darle molta ricchezza, se avesse bevuto il caffè. La signora, spaventata, guardava il folletto senz'acconsentire alla sua richiesta; in quel momento si udì un rumore di passi, e lo scauzzo scomparve; la casa fu abbandonata dai suoi abitanti che temevano il folletto, ed è guardata ancora adesso con paura dal volgo.101
Altro folletto della Sicilia è il nfullettu, fuddettu, fudditto, spirito nfuletto. Il popolo crede che sia un buon diavoletto, il quale non fu precipitato nell'abisso come angelo ribelle. Secondo una certa tradizione, sarebbe condannato a vagare nell'aria, ma generalmente vive nelle case, e non è dissimile dai suoi fratelli. «Bizzarro, spiritoso, capriccioso, si diverte a far perdere la pazienza a una devota che recita il Rosario, interrompendola con chiamate indiscrete; a una signora che non trova mentre si veste un oggetto pur testè preparato; a una massaia che corre ad aprire l'uscio per il campanello che ha sentito suonare, a far smarrire la strada ad un viandante, ad un'intera famiglia, la più pacifica di questo mondo. Sembra insofferente della quiete, si muove, si agita, cammina, corre, vola, saltella, ride sgangheratamente e ride di aver riso. Protrae l'eco d'un canto, e lo guasta con note sguaiate; sussurra parole intelligibili, ma se parla, balbetta e non sa pronunziare la r; stride, sbraita.102
Alcuni scrittori raccontano che a Trapani, nel 1585, vi fu una casa infestata per qualche tempo da un folletto, che non si lasciava vedere ma faceva sentire la sua voce e dava molestia agli abitanti. Gettava grosse pietre senza colpire nessuno, scherzava con le stoviglie senza romperle, e cantava mentre un giovinetto suonava la chitarra. Un giorno, essendo uscito il padrone con la moglie per andare in un suo podere, fu accompagnato dallo spiritello. Tornando a casa vennero sorpresi dalla pioggia, ed il folletto, precedendo i suoi compagni, corse ad avvertire le persone che erano in casa, affinché accendessero il fuoco perché i padroni erano bagnati.
Il folletto siciliano ha il suo cappidduzzu, che tiene sempre in testa, e se gli è rubato da qualcuno, è subito pronto a indicare, per riaverlo, il luogo dove si trovi un tesoro. A Nicosia si crede che per non essere molestati dal folletto si debba tenere sotto il letto un ramo d'alloro! Il folletto siciliano si chiama anche farfareddu, benché non sia proprio cattivo come il demonio Farfarello, che Dante incontrò nella triste bolgia dei barattieri. E si deve ricordare la distinzione fatta spesso tra i demoni ed i folletti, e ricordata anche da Luigi Pulci quando disse:
Uno spirto chiamato è Astarotte
Molto savio, terribil, molto fero,
Questo si sta giù nell'infernal grotta:
Non è spirto folletto, egli è più nero.103
Tutto il volgo napoletano crede nell'esistenza del folletto chiamato monaciello, che è vestito da prete, ha la chierica e porta la scazzettella (zucchetto) rossa in testa. Si potrebbe scrivere un grosso volume raccogliendo tutte le notizie diffuse intorno alla sua piccola ed irrequieta persona; ma non vi è nulla in esse che le renda diverse da tutte le altre note in Italia, e dirò soltanto che si diverte a tirare le coperte dai letti, e spesso regala certe pentole piene di monete che teneva nascoste a tutti gli sguardi. Quando le donnicciuole non trovano qualche cosa della quale vanno in cerca, dicono che l'ha presa il monaciello. Moltissime persone dicono che l'hanno veduto, o che è apparso a certi loro parenti. La credenza nella sua generosità lo rende simpatico al volgo, quando non si diverte a fare l'incubo sedendo sul petto della gente di notte. Predilige le belle fanciulle, alle quali usa molte cortesie, e dà volentieri molestia alle persone che gli sono antipatiche. Circa tre anni or sono, molto popolo si affollava a Napoli intorno ad una vecchissima casa dove si credeva che stesse un monaciello, e che doveva essere demolita mentre si apriva il nuovo Corso Re Umberto. Forse speravano di veder apparire la sua bizzarra figura nei vani delle finestre nere e senza imposte!
Si vuole avvicinare il monaciello napoletano al Moine bouru dei Francesi ed al Frayle degli Spagnoli. Nei racconti del Basile il folletto viene anche chiamato Scazzamaurielo. Nelle isole del golfo di Napoli e nella penisola Sorrentina il monaciello è popolare come a Napoli.
Presso Imola, il folletto sembra un fanciullo, porta un berretto rosso e viene chiamato Barabanèn o Cardinalèn, ha cura del bestiame in certe stalle, e fa gran rumore la notte in casa dei contadini. L'omo dal cappellon, l'omo dalla barba bianca, che viene invocato spesso dalle mamme nel Veneto per impaurire i bimbi irrequieti, è certamente un folletto. Si dice di lui in questi versi:
Tose, xe qua l'omo dal cappellon
Ch'el va zo per ste calete
A ciapar ste ragasete
Che no ga testa nè cor bon;
Tose, vardeve dal cappellon!
In Valstagna si dà al folletto il nome di sanguanelo, ed è spesso malefico. È piccolo, tutto rosso, e dimora nelle caverne, dalle quali esce per rubare i ragazzi, che tiene con sè fino al momento in cui glieli vanno a togliere. Spesso entra nelle stalle per tormentare il bestiame, e come il folletto della valle d'Ala e di tante altre campagne d'Italia, si diverte ad arruffare le criniere dei cavalli.
Il folletto si chiama sanguanello e salvanello a Vicenza, mazzuol e massaruol a Belluno, Linchetto nel Lucchese. Quando viene considerato come incubo, si chiama in Toscana la fantasma, a Napoli l'incornatura, nel Veneto e nel Mantovano pesarolo. I Sardi lo dicono l'ammuntadore, i Piemontesi la carcaveja, i Friulani calcutt.104
Non dirò altro dei folletti d'Italia, poiché non farei che ripetere con poche varianti quanto ho già raccontato delle loro bizzarre persone.
Dal secolo XIII fino ad oggi si dà generalmente il nome di Koboldi ai folletti della Germania; ma ciò non toglie che abbiano molti altri nomi, che mutano in ogni regione. Vi fu un tempo non lontano nel quale s'intagliavano nel legno le immagini di questi piccoli spiriti domestici, e si tenevano nelle stanze. Ricordavano certamente un culto reso dai Germani ad una specie di Lari, ai quali era riservato un posto nella parte più interna della casa. I Koboldi vivono spesso nelle stalle, nei granai o anche in uno degli alberi che si trovano presso una casa. Non si deve abbattere quell'albero perché ne fuggirebbe il Koboldo, e con esso la felicità delle persone che dimorano nella casa. Per la statura e l'aspetto, i Koboldi somigliano agli elfi ed ai nani della terra. Hanno spesso i capelli rossi come la barba, ed un cappello anch'esso rosso con la punta. Molti dei loro nomi derivano in Germania da questo cappello (Hütchen), che portano sempre. Sono molto rapidi nelle movenze, e qualche volta si trasformano in animali come le streghe, i fantasmi, gli spiriti maligni e certi folletti d'Italia.
Il Koboldo si rallegra quando gli riesce di fare uno scherzo, e deride coloro che ha messi nell'imbarazzo; non lascia facilmente le persone con le quali dimora. Un contadino appiccò il fuoco al suo granaio per liberarsi del folletto che si dimorava e gli dava grande molestia; ma non riuscì nell'intento, perché mentre il granaio bruciava, il folletto era seduto a poca distanza sopra un carro, e guardava l'incendio. Spesso, come i folletti d'Italia e di altri paesi, il Koboldo si trasforma in gatto. Esso è molto operoso e servizievole, ed aiuta volentieri le belle fanciulle nei lavori della campagna: striglia i cavalli, pettina le loro criniere, dà il fieno al bestiame, attinge l'acqua dal pozzo, governa la stalla, accende il fuoco e spacca la legna. La sua presenza porta la felicità nella casa, ed egli si compiace quando vi è ordine perfetto. Le persone pigre sono tormentate da lui: strappa le coperte dai loro letti e spegne il lume del quale si servono; certe persone del volgo gli danno piccole offerte, e questo avviene forse in memoria di antichi sacrifizii fatti agli spiriti famigliari.
Si disse che molti Koboldi portavano piccoli sonagli, e forse questa credenza dette origine all'uso che si ebbe di far portare i sonagli a certi nani buffoni, che rallegravano le corti con l'arguta e libera parola.
In molte leggende e poesie tedesche si parla dei Koboldi. In una di queste si dice che un folletto era servo premuroso e fedele di una fanciulla, e si lasciava da lei tormentare in mille modi. Egli le leggeva negli occhi prima che gli desse i suoi comandi, ed ella lo faceva correre su e giù per le scale e in tutto il mondo. Se gli diceva: – Porta questa lettera e recami subito la risposta – dopo un momento il folletto (Klopfer) portava la risposta desiderata. Se le occorreva il ditale, se lo vedeva subito dinanzi; se voleva che la sua sedia fosse spolverata, in un attimo era pulita; se chiedeva che le fosse infilato l'ago, subito il filo era nella cruna, e il Klopfer era sempre pronto a smoccolare per lei il lume e portarle le pantofole, se le voleva.
Spesso la fanciulla diceva: – Caro Klopfer, porgimi la tua manina –. Ella non poteva vederlo, ma sentiva che la piccola mano era morbida come la seta. Una volta la fanciulla lo trattenne; il Klopfer si mise a lampeggiare e fuggì. Ella si espose ad un grande pericolo, facendolo adirare.
Il Sandmann porta le scarpe sottili con suole mirabilmente soffici, ed ha un sacchetto sulla spalla. Saltellando in fretta entra nelle case dove i bambini dicono la preghiera della sera, prende dal sacco due granelli di sabbia e li mette nei loro occhietti, affinché siano lieti i sogni che faranno. Poi riparte col sacco sulle spalle per andare presso altri bimbi.105
Si trovano certi Koboldi che non servono nessuna persona. Se vengono presi, promettono regali per essere di nuovo messi in libertà. Tutti hanno i berretti che li rendono invisibili.
Anche adesso le immagini dei Koboldi sono molto popolari in Germania. Spesso le ho viste, a Friburgo, a Strasburgo e nella Selva nera, sulle insegne delle botteghe, sui cartelli colorati che vantavano i pregi di certe bevande, e nelle vetrine di magazzini eleganti. Un giorno, presso Baden-Baden, mentre ero su una via che conduce alle rovine del vecchio castello, incontrai un Koboldo. Aveva l'altezza di un fanciullo di quattro anni, una lunga barba grigia, il berretto rosso con la punta; ritto in mezzo ad una aiuola fiorita, dinanzi ad un villino elegantissimo, si appoggiava sopra un piccolo bastone.
Non pensavo in quel momento ai nani ed ai folletti, e provai una grande meraviglia quando me lo vidi dinanzi. Ricordo che mi fermai, gli sorrisi, e forse il mio sguardo gli chiese: – Come ti trovi qui, cosa fai? – Ignoro se il Koboldo fosse di legno o di terracotta, ma certamente mi guardò con gli occhi furbi, ed aveva sulle labbra un sorriso beffardo!
I folletti della Norvegia si chiamano Nissen, sono forti, vestono di grigio, hanno capelli rossi, ed emanano uno splendore azzurro, detto «la luce dei piccoli uomini». Vengono chiamati «i buoni vicini». Si adirano, se la sera del giovedì si spacca la legna o si fila nel cortile della casa dove dimorano. Spesso mostrano grande interesse per i contadini che servono, e vanno a rubare nelle stalle degli altri la paglia, il fieno e la biada, che portano agli animali da essi preferiti. I Nissen si dilettano quando possono ballare mentre splende la luna. Spesso, nell'inverno, si lasciano vedere, quando ballano nei cortili o passano sulle slitte.
Il folletto svedese è alto come un fanciullo di un anno, e porta un berretto rosso; sembra un vecchio, e si lascia vedere qualche volta a mezzogiorno, nell'estate e nell'autunno. È molto pigro, e dorme volentieri sulla paglia o altrove, mentre i contadini lavorano. Anche a questo folletto vengono fatte delle offerte; egli balla volentieri e conosce la musica.
In una leggenda polacca, si narra di un folletto chiamato Iskrzycki, che andò a servire un nobile. Era già firmato il contratto, quando il nobile signore s'accorse che il suo servo aveva piedi di cavallo, e volle mandarlo via; ma Iskrzycki affermò che avrebbe continuato il suo servizio, mantenendo anche contro il volere del padrone i patti del contratto. Intanto, mentre adempiva il suo dovere, era spesso invisibile. Il padrone volle abbandonare il suo castello, forse per liberarsi di quella compagnia che gli era molesta, e mentre se n'andava con la famiglia in carrozza, questa fu sul punto di ribaltare; la moglie del nobile gridava forte per lo spavento, quando si udì una voce che diceva: – Non temete nulla, Iskrzycki è con voi! – Egli diede loro un aiuto efficace, e poiché non era possibile liberarsene, i suoi padroni tornarono nel castello che avevano lasciato, e vissero con lui in buona armonia.
Si dice che un gobelin (folletto) francese viveva da tempo immemorabile nel granaio di certi contadini della Piccardia. Egli vendeva il grano in nome dei padroni che serviva, e dava sempre più di quanto gli veniva domandato.
Nel Lutin francese chiamato Furti-Furton, dobbiamo ritrovare il diavolo. Vi era una volta un signore possente e ricco, il quale, mentre passeggiava in campagna, sentì certe grida strazianti che venivano da una capanna. Vi entrò e vide una vecchia che filava presso il focolare. Una fanciulla piangeva accanto a lei, tenendo in mano il lavoro.
– Perché piangete, bella fanciulla? – le domandò il signore. Ella rispose: – La mamma mi ha battuta perché non voglio lavorare –. La vecchia si dolse acerbamente della fanciulla, che era pigra e non l'aiutava mai, costringendola a batterla.
– Buona donna, – le disse il signore, – affidatemi vostra figlia, e quando ve la renderò, nessuna fanciulla del vostro villaggio sarà operosa come lei. La vecchia accettò la proposta, ed il signore condusse la fanciulla nel suo castello, dove la chiuse in una stanza piena di canapa, e le disse che vi doveva passare un anno intero senza uscirne. Se in quel tempo non le riusciva di filare tutta la canapa, sarebbe stata severamente punita.
La fanciulla pianse sempre per alcuni mesi vicino alla canapa, essendo certa che non avrebbe mai potuto filarla tutta. Passarono intanto la primavera e l'estate, senza ch'ella incominciasse a lavorare; e poiché fra due mesi avrebbe dovuto rendere conto dell'opera sua al signore, si disperava paventando qualche terribile sciagura. Un giorno, mentre esclamava piangendo: – Chi potrà mai compiere tutto questo lavoro? – udì una voce che diceva: – Lo farò io!
Ella si volse impaurita, e vide un ometto vestito di nero, con la barba e gli occhi neri. Stimando che fosse il diavolo, la fanciulla volle segnarsi ed alzò la mano, quando l'omino disse: – Non temere, perché non ti farò alcun male. Sono il folletto Furti-Furton, e ti lascio questa bacchetta: col suo aiuto filerai rapidamente tutta la canapa. Fra due mesi verrò a domandarti la bacchetta, e dovrai dirmi soltanto: – Furti-Furton, ecco la tua bacchetta!
In modo meraviglioso, per opera della bacchetta, la canapa venne filata rapidamente. Nel giorno stabilito, il signore entrò nella stanza dov'era la fanciulla, e fu stupito vedendo che aveva lavorato tanto. Voleva compensarla generosamente, ma la fanciulla piangeva: fra poche ore sarebbe tornato il folletto, ed ella non poteva dirgli ciò che esigeva da lei, perché aveva dimenticato il suo nome. Per distrarla il signore disse: – Voglio raccontarti un caso strano, che mi è accaduto stamane. Mentre passavo a cavallo sopra un prato, ho veduto molti nani che ballavano cantando: «La bella non ricorda più il suo nome, Furti Furlaine, la bella non sa più il suo nome, Furti-Furton». Vi era fra essi un nano tutto nero che sembrava il loro capo.
– Ah! – esclamò la fanciulla, – è questo il nome che avevo dimenticato – ed ella piangeva e rideva per la gioia, tanto che il signore la credette impazzita.
Appena le apparve il folletto, ella gli porse la bacchetta sorridendo, e disse: – Ecco, Furti-Furton, la tua bacchetta! – Il nano la prese con rabbia e scomparve in un buco che si aprì nel pavimento. Egli si lasciò dietro un forte odore di zolfo, e si poteva capire che era il diavolo.
Anche sulle navi si trova il folletto vispo e birichino, che si mostra benefico e cortese e si occupa con piacere di reggere il timone. I marinai francesi lo chiamano Gobelin. Egli arruffa di notte i loro capelli, e tira su le ancore quando dura la calma; lacera le vele mal piegate e annoda le funi. Anche i marinai della Norvegia credono nella sua esistenza. Nel XV e nel XVI secolo era chiamato in Germania Kobalos; adesso si chiama Klabautermann, è piccolo, ha una grossa testa, i denti verdi e porta gli stivali ed il berretto. È anche benefico come il Gobelin, e se è trattato bene aiuta la ciurma.
Si dice che il Klabautermann sieda sull'albero del Vascello fantasma chiamato il Carmilhan, e fumi la pipa. Anche nei Paesi Bassi si crede nella sua esistenza. Il folletto inglese del mare, detto Shellycoat, è vestito di conchiglie.
In Russia i contadini hanno una grande venerazione per i folletti, chiamati Domovoy, nei quali possiamo vedere certi spiriti esiliati dal cielo o le anime degli antenati. Secondo una credenza che si ritrova nel governo di Wjatka, il Domovoy è un vecchietto che porta una camicia rossa ed una cintura azzurra; ha la faccia coperta di rughe ed i capelli bianchi. In altre parti della Russia porta un mantello azzurro ed una cintura rossa, o è vestito di bianco e sembra un bellissimo fanciullo. I Domovoy sono ammogliati, ed hanno figliuole molte belle. Vivono nel focolare, e la notte vanno in giro per la casa, in cerca del cibo che le famiglie hanno lasciato pronto per loro. Fanno spesso il bagno, come i contadini russi, e non volendo stare di notte all'oscuro, accendono certi piccoli lumi che portano nelle stanze e nelle stalle.
I Domovoy hanno importanza superiore a quella di molti altri folletti d'Europa, quando vengono riguardati come protettori dei villaggi. Essi prendono parte alle gioie ed ai dolori delle persone con le quali vivono; ed avviene che, mentre in certe regioni d'Italia ed altrove si parla spesso del dispiacere provato da persone che non possono liberarsi del folletto neppure cambiando casa, in Russia invece si compiono parecchie cerimonie affinché il Domovoy di una famiglia non l'abbandoni, quando essa va in una nuova abitazione.
Il capo di questa famiglia, entrato in casa, apre la porta della cantina e prega il folletto, che chiama «piccolo fratello» o «piccolo vicino», di entrarvi. Il Domovoy si diverte di notte ad accarezzare con la mano, che è spesso pelosa, il volto di quelli che dormono: quando la mano è calda, annunzia qualche lieto avvenimento; quando è fredda, annunzia una sventura. In tempi lontani si credette che il Domovoy stesse tra le fiamme che si alzavano nel focolare.
I Krosnyati, folletti che dimorano, secondo la credenza degli Slavi, sulle coste del Baltico, sono piccolissimi; i Bannik si compiacciono specialmente nelle sale da bagno dei Russi. Nella Russia Bianca il folletto è chiamato Tsmok, ha forma di serpe, e la casa dove dimora è felice.
Nella Spagna il folletto si chiama Duende, ed ha ispirato a Calderon una commedia molto briosa e dilettevole, in cui un servo sciocco crede che una fanciulla bellissima, che si diverte a tormentarlo, sia un Duende.
Certi numi della vegetazione onorati dagli antichi Maya nell'America centrale si sono anche mutati in una specie di folletti, ma non hanno piccola statura. Custodiscono i villaggi, e sono invisibili durante il giorno. Si chiamano fischiando, e se occorre combattono con gli spiriti malvagi che vorrebbero recare qualche danno ai loro protetti. Dopo quelle lotte violente, gli alberi sono spezzati o sradicati, il terreno è sconvolto, e grosse pietre sono sparse nei luoghi coltivati.
Ma non mancano i nani presso i Maya, e sono birichini e irrequieti come Brunello e tutti i folletti d'Europa! I più noti sono i h'loxkatob, creduti dagli indigeni gli spiriti di certe piccole immagini di creta che si trovano nei vecchi templi e nelle tombe. Gli Indiani, che raccolgono fra le rovine questi piccoli idoli, li rompono subito, con molto danno per gli studi sull'antica mitologia americana. Essi dicono che i h'loxkatob si mostrano dopo il tramonto, ed hanno l'aspetto di fanciulli di tre o quattro anni, oppure l'altezza di una spanna. Portano un largo cappello, sono molto agili nei movimenti, e gettano pietre ai cani per farli abbaiare. E meglio che non si cerchi di prenderli, perché se toccano una persona la fanno ammalare.
Egualmente maligno è il Chan Pal (piccolo bambino), che si aggira in certi boschi dell'America e porta il vaiolo nei villaggi. Il Bolon thoroch vive nelle case con la famiglia che preferisce, e ripete la notte il rumore che gli abitanti hanno fatto durante il giorno nell'eseguire certi lavori domestici. Fra molti altri folletti americani che fanno dispetti alla gente, deve essere ricordato il Waycot, che getta pietre ai passanti.106
I Balam proteggono i campi e ricevono offerte dagli indigeni americani. Come certi nani d'Europa, rubano i ragazzi. Nell'America del Sud, i Gouroupiras e gli Yanchons sono folletti simili a quelli d'Europa, e vivono in mezzo alle tribù degli indigeni. Pensano soltanto a divertirsi ed a far perdere la pazienza agli uomini. Altri compagni loro si trovano in tutta l'America fra le genti di origine europea, che hanno portato nel Nuovo Mondo le loro credenze superstiziose, ed in mezzo agli indigeni che vedono in essi numi della vegetazione, spiriti degli antenati o geni famigliari, compagni indivisibili degli uomini.
In altri paesi si crede pure nell'esistenza d'innumerevoli spiriti di simil genere, che possiamo avvicinare ai folletti d'Europa. Ma ora lasciamo che tutte le schiere bizzarre ed irrequiete dei nani e dei folletti spariscano innanzi a noi, forse per virtù dei piccoli berretti e dei cappucci incantati, E se, mentre si allontanano, udiamo le loro allegre risate, pensiamo che forse ridono di tutta la nostra civiltà, che per lunghi secoli ancora non potrà far dimenticare al popolo i tirannelli giocondi delle case, ed i piccoli agricoltori esperti ed operosi!
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