Guido da Verona
I promessi sposi (parodia)
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CAPITOLO I

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CAPITOLO I

 

Quel ramo del lago di Como che volge a mezzogiorno, tra due catene non interrotte di monti, tutto a seni e a golfi, a seconda dello sporgere e del rientrare di quelli (tali notizie noi ricaviamo da un Manoscritto del Milleseicento, nel quale è narrata la presente istoria) è un lago esclusivamente d'acqua dolce, a differenza del Mar Caspio o del Mar Morto, che son salati per pura combinazione. Il suddetto ramo, strada facendo, vien, quasi d'un tratto, a restringersi formando in luogo la città di Lecco, i cui abitanti diconsi Leccobardi; gente industriosa e di grande malizia, che, per potervi gettar sopra un ponte, costrinsero il lago a divenire un fiume.

Fra le altre anomalie che presenta questo ramo, v'è ancor quella di lasciarsi circondare, come già dicemmo, da due catene non interrotte di monti, le quali, se si fossero avvicinate ancor più, avrebber costretto il lago di Lecco a trasferirsi altrove; per esempio nel Tavoliere delle Puglie, dove i laghi sono oggetti da collezionista, oppure nelle immediate vicinanze di Milano, dove gli edili, che non fanno complimenti, si sarebbero affrettati a ricoprirlo.

Tra queste montagne se ne trova una, che per la forma del suo cocuzzolo, a tutto somigliante fuorché ad una sega, viene appunto chiamato il Resegone. Gli abitanti delle due rive lacustri si occupano a far formaggi; nelle ore libere, a pescare il pesce fritto. Si comprende come tutto il paesaggio, erto, frastagliato, scosceso, pittoreschissimo, sia solcato da ottime strade automobilistiche, alcune delle quali, nell'attesa che il senator Puricelli voglia decidersi a pavimentarle, serpeggiano e corron tra i boschi, irte di sterpi, sparse di ciottoli, sotto il modesto appellativo di sentieri.

Per una di quelle stradicciuole tornava bel bello dalla passeggiata verso casa, su la sera del 7 novembre 1628, don Abbondio, curato d'una delle terre accennate sopra, (cioè nella bellissima descrizione che non figura in cotesta edizione;) diceva tranquillamente il suo ufizio, e talvolta, tra un salmo e l'altro, chiudeva il breviario tenendovi dentro l'indice.

Dopo qualche passo gli sembrò di aver perduto l'indice.

Riaperse il libro, e vi trovò drento l'indice.

Lietissimo di tale recupero, egli giunse frattanto ad una svolta, dietro la quale c'era un bivio, e, sul bivio, un tabernacolo. Dietro il tabernacolo correva un muricciuolo. A cavalcioni del muricciuolo v'era un bravo. Non a cavalcioni del muricciuolo, bensì a ridosso del tabernacolo, era un altro bravo.

Vedendo il curato, entrambi si levarono. Cioè, si levò soltanto quegli ch'era seduto, perch'è impossibile che uno si alzi quand'è già in piedi.

Che fare? Tornare indietro non era più a tempo; darsela a gambe sarebbe stato lo stesso come dir loro: «Inseguitemi». Affrettò il passo, recitò un versetto a voce più alta, e quando si trovò a fronte dei due galantuomini si fermò sui due piedi.

- Signor curato, - disse uno di que' due, squadrandolo con occhi tutt'altro che benevoli.

- Cosa comanda? - rispose don Abbondio, mentre annusava con un sorriso gelido la solita presa di tabacco.

- Lei ha intenzione di maritar domani Renzo Tramaglino e Lucia Mondella...

- Cioè... - rispose don Abbondio, con voce da declamatore alla Radio; - lor signori son uomini di mondo...

- Orbene, - disse il bravo numero uno; - questo matrimonio non s'ha da fare, né domani, né mai.

- Ma signori miei... - tentò di replicare don Abbondio, soffiandosi il naso greco in un largo fazzolettone rosso e blu; - si degnino di mettersi ne' miei panni... il povero curato non c'entra... vedon bene che a me non ne vien nulla in tasca...

È appunto per ciò, - disse il bravo numero due, - che abbiamo incarico di rimetterle questa busta. - Poi tossì, e toltosi con ossequio il cappellone piumato: - Signor curato, -aggiunse a mo' di commiato - l'illustrissimo signor don Rodrigo, nostro padrone, la riverisce caramente.

- Questo è un altro di maniche paio... - mormorò don Abbondio, continuando a soffiarsi il naso greco e soppesando al tatto il numero di biglietti da cento che potesse contener la missiva dell'illustrissimo signor don Rodrigo. Fece, come per istinto, un grande inchino, poi disse:

- Se lor signori mi sapessero suggerire...

- Oh, suggerire a lei che sa di latino! Via! che vuol che si dica in un suo nome all'illustrissimo signor don Rodrigo?

- Il mio rispetto!...

- La si spieghi meglio.

- Disposto... sempre disposto all'ubbidienza.

- Benissimo; e buona notte messere.

Il povero curato bruciava dalla voglia di sapere subito quanti biglietti da cento gli avesse mandati per quel servizio l'illustrissimo don Rodrigo.

- Signori miei... - ricominciò, palleggiando la busta, che aveva cinque grossi timbri di ceralacca.

Ma quei due, voltate bruscamente le spalle, avevano preso il partito di filare all'inglese.

Don Abbondio (il lettore se n'è già avveduto) non era nato con un cuor di leone. Ancor meno egli era ciò che i pedanti chiamano un uomo incorruttibile. Per di più sapeva che, a dispetto di tutte le comminatoria del vigente Codice di Polizia stradale, que' bravacci, ossia que' malandrini di «chauffeurs», prepotenti e ribaldi, eran davvero ceffi da travolgere sotto le ruote un povero prete, per poco che costui si attentasse di venir meno alle loro intimazioni. Ribaldo lo chauffeur, ribaldo il padrone; più ribaldo ancora quel bravaccio numero due, ch'era un altro della casa di don Rodrigo; forse uno de' servidori, forse il cuoco. A nulla servivano le gride contro questi arricchiti di guerra, che venivano a far campagna nelle castellanze di Lecco, e si davano spasso con donzelle e mogliere altrui. Correvano tempi assai tristi per chi non avesse le tasche ben foderate di biglietti da mille, sgherri alla porta, e commendatizie presso l'Eccellentissimo signor don Gonzalo Fernandez de Cordoba, potestà et governatore di Milano.

Il nostro don Abbondio, non ricco, non nobile, coraggioso ancor meno, s'era dunque accorto d'essere in quella società come un vaso di terracotta (senza imballaggio) costretto a viaggiare in compagnia di molti vasi di ferro. Pensino dunque i miei venticinque (milioni di) lettori che impressione dovette fare su l'animo del poveretto il trovare dentro quella busta tre, soli e miserabili biglietti da cento, allorché, dal peso, aveva creduto che ve ne fossero almeno otto o nove, o dodici.

- Ehi!... ehi!., signori miei!... - voleva egli mettersi a gridare dietro lo «chauffeur» ed il cuoco; ma i due ribaldi frattanto eransi dileguati.

«E come sbrigarmela ora con Renzo? - egli pensava. - Una testa calda pure costui, innamorato cotto di quella civetta d'una sua Lucia, che pensa di somigliare alla Nella Regini, e che magari si è messa d'accordo con quel birbante d'un suo fidanzato per abbindolare i signori villeggianti! Trecento franchi sono davvero pochini. Però mettiamoli nel portafogli e stiamo zitti con Perpetua. Ma che bisogno c'è di prender moglie? «Viaggio forse io?» - diceva quel famoso controllore dei vagoni-letto. «Mi marito forse io?» dice il povero curato, che non ha certo voglia di mettersi contro i signori dell'aristocrazia; tanto più che quelle due buone lane, se proprio ardono di far regolarizzare il passo estremo, non hanno che cambiar parrocchia, e andare a farsi ungere da qualche altro prete.» Fra questi santi pensieri, egli frattanto era giunto alla porta di casa sua, ch'era in fondo al paesello; mise la chiave nella toppa, aprì, entrò, e subito, con un boato di voce che tradiva l'umor temporalesco, si mise a chiamar Perpetua.

- Icché ci piglia! Eccomi costassù, pe' servilla! - rispose, con la sua voce flautata, la tenebrosa fantesca, ch'essendo della valle d'Introbbio aveva l'abitudine di parlar toscano.

Don Abbondio, soffiatosi ancor più volte, con grande fracasso, il naso greco, si lasciò andare su un seggiolone.

- Misericordia! che faccia istralunata e bistorta ci hai! - esclamò la serva dagli occhi fatali, non appena ebbe scorto il suo padrone.

- Ti proibisco di darmi del tu pubblico! - tuonò don Abbondio, benché non si notassero, tra i presenti, che un gallo di montagna, impagliato, e un ritratto di Papa Borgia ritagliato dall'Illustrazione Italiana.

- E lei avrà mo' la faccia tosta di sostenermi che non la ci ha proprio nulla? Nespole! per chi la mi prende, signor curato mio? - incalzava Perpetua col suo purissimo favellar toscano, risciacquato nell'Arno della valle d'Introbbio.

- Ohimè! taci, Perpetua!... - gemette don Abbondio. - Ho una fame che non ci vedo, una sete che scoppio, e, per colmo di jettatura, ho incontrato poco fa...

- Due bravi.

- Come. L'hai già saputo?

- Eh, la bella scoperta! Lo sa tutto il paese.

- Ma che fiabe le soli mo' queste? - saltò su don Abbondio, scivolando egli pure nel favellar toscano.

- Fiabe o non fiabe, lei è un baggiano!

- Figlia d'un porcospino! del baggiano a me?!...

- Ripeto: lei è un baggiano, pronto sempre a calar le brache... per trecento miserabilissime lire...

- Cribbio!

- Conveniva esigerne di più.

- Questo è vero, - ammise il vaso d'argilla (senza imballaggio), introducendo una presa di tabacco nel naso greco.

Perpetua, senza rispondergli, andò a prendere la zuppiera; mise in tavola, scodellò. Poi venne l'arrosto, con patatine al forno e cornetti in insalata. Un po' di formaggio; pere con la ruggine e mele renette. Erano tempi di carestia. Quand'ebbero dato fondo a un buon fiascone del generoso vin di Piemonte, Perpetua disse:

- Io, se fossi in lei, reverendo, farei come Ponzio Pilato: manderei un espresso al Cardinale - Arcivescovo, e, per mio conto, me ne laverei le mani.

- Volete tacere? volete tacere? Son pareri cotesti da dare a un poveruomo? Quando mi fosse toccata una schioppettata nella schiena, Dio liberi! l'arcivescovo me la leverebbe?

- Eh! eh! le schioppettate si far più presto a dirle che a darle.

- Parliamo d'altro, - disse il curato, appressando al fiasco dondolante l'orlo del bicchiere.

- La mi dia retta a me, la mi dia retta... Quel Renzo non è poi tanto un sempliciotto come vuol darsene l'aria... Lei, reverendo, con tutto il rispetto, è sempre stato un gran minchione.

- Vuoi finirla?... Ti proibisco di darmi del minchione in pubblico!

Al gallo di montagna impagliato e al ritratto di Papa Borgia si era di fatti aggiunto un altro personaggio: la lampadina tascabile che serviva a don Abbondio per andare a letto.

Ma quella sera, la corrente essendo venuta meno per tutto il lago di Lecco, non funzionava nemmeno la lampadina tascabile.

 

 

 


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