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CAPITOLO II
Si narra che il principe di Condè dormisse profondamente la notte avanti la giornata di Rocroi. Dormiva così profondamente, che al mattino di quel dì memorando non fu possibile svegliarlo. Noi, desiderosi come sempre di perseguire la verità storica ne' suoi più reconditi meandri, nulla trascurammo, né ricerche né spese d'ogni genere, per venire in chiaro di questa faccenda. Le nostre indagini confermano che il principe di Condè, iniziatasi la pugna, dormiva sempre come un ghiro, e, nonostante gli appelli de' suoi marescialli, continuò a dormire saporitamente per tutta la giornata.
Ma il principe di Condè ne aveva ben donde; poiché i documenti da noi scoperti comprovano con assoluta certezza ch'egli aveva già fatti pervenire al generale spagnolo i duecentomila dollari da costui richiesti per far in modo che le sue truppe se la dessero a gambe levate.
Questo è sempre il mezzo più sicuro per vincere le grandi battaglie.
Don Abbondio aveva tutto il suo piccolo patrimonio investito in Buoni del Tesoro; da probo cittadino egli si era tosto affrettato a convertirli in Prestito del Littorio. Ancorché gli dolesse di trovarsi negli impicci per una simile bagattella, com'era quella del matrimonio di Renzo con Lucia, pur non aveva denaro disponibile per corrompere a sua volta i due bravacci del signor don Rodrigo; tanto meno per offrirne al signorotto in persona, il quale abitava, lassù nei dintorni, un castello antico di recente costruito. Per ciò non sapeva, il povero don Abbondio, come le faccende gli sarebbero andate il giorno appresso.
Ma ricordatosi a buon punto che il principe di Condè aveva dormito profondamente la notte avanti la giornata di Rocroi, prese ancor egli il coraggio a quattro mani, cioè con quelle di Perpetua eziandìo, e russò beatamente fino al mattino.
Senonché, il primo svegliarsi dopo una sventura, è un impiccio, è un momento molto amaro. Ma non ebbe gran tempo da perdere in vani soliloqui, perché, don Abbondio terminava appena d'infilarsi la sottana, che già Lorenzo, o, come dicevan tutti, Renzo, tirava il cordone del campanello alla casa del curato.
- Che il diavolo se lo porti, questo macacco d'un filatore di seta! - brontolò don Abbondio, mentre Perpetua scendeva ad aprire.
Renzo comparve a don Abbondio in gran gala, col suo pugnale dal manico bello, e una cert'aria di braverìa che fece venire al povero don Abbondio la pelle d'oca.
- Son venuto, signor curato, per sapere a che ora le comoda che ci troviamo in chiesa.
- Di che giorno volete parlare?
- Come di che giorno? Non si ricorda che s'è fissato per oggi?
- Oggi?... - replicò don Abbondio, come se ne sentisse parlare per la prima volta. - Abbiate pazienza, ma oggi non posso.
- Sapete voi quanti siano gli impedimenti dirimenti?
- Che vuol ch'io sappia d'impedimenti!
- Error, conditio, votum, cognatio, crimen, cultus disparitas, vis, ordo, ligamen, honestas, si sis affinis....
- Sacramentorum! - bestemmiò il giovine. - Lei cerca d'infinocchiarmi col suo latino!
- Insomma, figliuol caro, la legge non l'ho fatta io. Antequam matrimonium denunciet...
- Ma le ho già detto che non voglio saperne del suo latinorum
- Figliuol caro, bisogna pure ch'io vi spieghi.
- Orsù, mi dica in buon italiano che impedimento ci sarebbe.
- Devo dir tutto? Ebbene, ecco qui. Saranno fiabe, saranno chiacchiere, saranno invenzioni, ma circola insistente voce che la vostra Lucia si sia lasciata sorprendere in istretta confabulazione con individui di tinta sospetta....
- Ma che le salta in mente, mio bravo signor curato!
- Piano nino; a esser troppo in buona fede non ci si guadagna mai nulla, credete a me. Queste voci affermano che la vostra Lucia, sopra tutto in materia di matrimonio, avrebbe fatto pubblica professione d'idee comuniste... Ora vi dico, Renzo, che voi non avete alcun interesse a prendervi una donna, la quale, non appena accasata, pretendesse di appartenere alla comunità.
- Dice davvero, signor curato?
- Insomma, voi comprendete bene, figliuol caro, che se io vi consiglio di soprassedere per un paio di settimane a questo matrimonio, non ho di mira che il vostro bene.
- Un paio di settimane? E dopo non ci saranno altri ritardi?
- Speriamo di no, mio buon Renzo.
- Fatele prender pazienza, figliuol caro.
- Dite pure a tutti che mi sono sbagliato io, per troppa fretta. Le carte non sono pronte; c'è un ritardo, il quale potrà risolversi, speriamo, in una settimana.
- Ebbene avrò pazienza, - concluse il buon semplicione. - Intanto la riverisco.
- Don Abbondio gli fece il saluto romano, e quando Renzo era già su l'uscio aggiunse:
- Tenete a mente, figliolo, che a prender moglie come a saltare dalla finestra un buon cristiano è sempre a tempo.
Renzo, di umore pessimo, infilò le scale. Al basso trovò Perpetua, che appena veduto il bel giovinotto, gonfiò esageratamente i due rotondi mantici del suo petto catastrofico, e si rimise a posto i riccioli belli.
- Ve', che ciera scura!... - fece Perpetua.
- Ce n'ho ben donde!
- Sentite, Renzo; io non posso dir niente, perché... non so niente... Ma se è vero quel che si bisbiglia, ci dov'esser di mezzo un certo don Rodr...
Renzo non stette a sentir altro; si voltò, e risalì quattro a quattro le scale del curato. Questi, che già credeva di aver rimandato il bellimbusto per i fatti suoi, se ne stava tranquillamente leggendo i Mammiferi di lusso, del signor Pitigrilli, romanzo approvato dalla Santa Madre Chiesa.
- Che novelle mi porti, figliuol caro? - solfeggiò don Abbondio in voce di falsetto, vedendo l'aria truce dello sposo promesso di Lucia.
Ma Renzo, con una mossa rapida, vòltosi all'uscio per dov'era entrato, girò la chiave nella toppa e se la mise in tasca.
Ora che siamo a quattr'occhi, - disse Renzo, addentando il pugnale con la doppia fila de' suoi denti bianchissimi, - ora che siamo a quattr'occhi, le giuro che fo uno sproposito se lei non provvede subito a smentire le calunnie infami che va spargendo sul conto della mia fidanzata, per il lurido scopo di....
- Renzo! Renzo! per carità, badate a quel che fate; pensate all'anima vostra....
- Ci ha pensato lei all'anima sua, quando si è messo d'accordo con quel pescecane di don Rodrigo, ricevendo anche una somma dallo chauffeur e dal cuoco del medesimo, vestiti da bravi, per mandare a monte il mio matrimonio?
- Misericordia!... - esclamò con voce fioca don Abbondio.
- Ah?... lei si fa pagare dai villeggianti per provvederli di belle ragazze della sua parocchia? - disse Renzo con un terribile sarcasmo. Poi aggiunse: - Porco d'un prete!
- Mi volete morto? - balbettò il disgraziato vaso di terracotta (senza imballaggio).
- Voglio sapere quel che ho ragione di sapere. Quanto le ha dato don Rodrigo per compiere quest'azione miserabile?
- Pochi pretesti! Fuori le cifre! Lei è pregato di ricordarsi che, eventualmente, non è al prevosto bensì al fidanzato che i signori villeggianti debbon rivolgersi per queste faccende. E se lo tenga per detto!
- Riflettete, figliuol caro, - insinuò don Abbondio, - che se io fossi vendicativo, potrei benissimo denunziarvi a chi di ragione, per certe vostre idee non perfettamente conformi...
Questa minaccia, benché sussurrata con un fil di voce, valse come d'incanto a placar le ire dello sposo promesso di Lucia.
- Diavolo d'un prevosto! - bestemmiò fra i denti, - anche minacce ora?
- Non gridate così forte, figliuol caro, perché i vetri sono sottili e la vostra voce tonante può farsi udire fin nella strada. Se non vi disturba, vi pregherei di rendermi la mia chiave. Pensate all'anima vostra, figliuol caro; per tutto il resto ci accomoderemo.
- Parola di galantuomo o parola di prete?
- Di prete galantuomo, figliuol caro.
- Ecco qui la sua chiave, signor curato.
Don Abbondio corse tosto ad aprir l'uscio, dietro il quale, armata di bernasco e di piumino scacciapolvere, stava origliando la fedel Perpetua.
Renzo, che non voleva compromettersi, cambiò tono di voce, tentando di accomodare le parolacce dette al curato col servirgli una profusione di: «reverendo, reverendo» e rompendosi il fil della schiena a furia d'inchini.
- Posso aver fallato, e mi scusi, - disse in ultimo, disponendosi ad uscire.
- Ehi, bel giovine, se non la si scosta, se non la si riguarda, la s'impolvera di pattume tutto il su' bell'abito! - avvertì Perpetua, che intanto fingeva di scopare il pianerottolo.
- A ben vedella, sora Perpetua! - rispose Renzo; e filò diritto giù per le scale.
Ma ecco farsi avanti la procace Perpetua e nuovamente distogliere il povero don Abbondio dalla lettura del testo canonico più sopra citato.
La buona donna era stanca, sapreste voi dirmi di che? Nullameno che di portare in capo le sue trecce, anziché reciderle come ogni donna per bene. Argomento, questo, sul quale don Abbondio, a dispetto de' suoi gusti personali, si mostrava d'una intransigenza per vero dire antiquata. Perpetua invece trovava non esservi ragione al mondo perché la fantesca d'un prete dovesse continuare a tenersi appiccicati al cocuzzolo queste sudicerie che si chiaman capelli, veicoli di tutti i microbi e deturpatori della bellezza femminile, quando ormai, dalle principesse del sangue alle figlie dei formaggiari della valle d'Introbbio, tutte le donne che avessero cura della propria dignità avevan ottenuto da' parenti e consorti il permesso di farli recidere.
Don Abbondio non era, per suo conto, affatto restìo a vedere la sua bella Perpetua in quell'acconciamento alla maschietta, che avrebbe certo ingentilite e snellite le sue grazie. Ma dopo l'ultima enciclica del Papa su le scorrettezze e su le indecenze della moda femminile, egli temeva, per quanto fosse parroco d'idee molto moderne, di tirarsi addosso qualche seria intemerata, per parte di que' vecchi barbagianni ch'erano il Vicario ed il cardinal Federigo.
Renzo frattanto si avviava a passi spediti verso la dimora della sua sposa promessa, la bella Lucia.
Non appena egli fu per mettere il piede nel cortile, tutte le comari, le amiche, le parenti, ch'eran venute per formare il corteggio della sposa, tosto si misero a fare cui chiasso indiavolato, gridando fin sopra i tetti:
- «Ecco lo sposo! Viva lo sposo!»
- Che vi pigli un accidente! - mormorò fra i denti l'elegante giovinotto; e chiamata una certa Bettina, la quale prometteva molto bene, a giudicare dai tacchi troppo alti e dalla sottanella troppo corta, le diede incarico di recarsi nelle stanze di sopra, chiamare in disparte Lucia, e dirle, ma proprio all'orecchio, che scendesse in fretta perché il suo fidanzato aveva da parlarle. Così fece Bettina, mentre lo sposo, alquanto rannuvolato, senza dar evasione alcuna a tutto quel chiacchiericcio di comari adunate nella corte, si ritirava in una stanza terrena.
Lucia usciva in quel momento tutta attillata dalle mani della madre. Si scusò presso le amiche, e discese in fretta. Al veder la faccia di Renzo ebbe tosto un presentimento di sciagura.
- Per oggi, - disse Renzo, - tutto è a monte. Dio sa quando potremo essere marito e moglie.
Lucia senza troppo scomporsi rispose: - Vuol dire che sarà per un'altra volta.
- Ma come? Ora che t'ho bell'e fatto i regali di nozze, ho rimesso in ordine l'appartamento e t'ho provveduto alla Rinascente un corredo che mi costa un occhio della testa, è così che te la prendi calma, quando pareva suonato finalmente il giorno di mettere le nostre cose a posto?
- Lo sai tu quanti sono gli impedimenti dirimenti? - domandò Lucia, traendo dalla borsetta uno specchietto a mano per darsi un po' di rosso alle labbra.
- Io no; e tu?
- Io nemmeno, - rispose Lucia. - C'è, chi dice che sian undici o dodici.... ma coi tempi che corrono, chi bada ancora a tali inezie?
- Non è questo un genere di discorsi che stia bene in bocca d'una fidanzata, - osservò Renzo. - Spiegami piuttosto come va che il signor don Rodrigo, così riguardoso nei primi tempi, ora non voglia più saperne di lasciar fare le nozze.
- Mistero dei misteri, mio buon Renzo! Il signor don Rodrigo è innamorato cotto: questo è ciò che ti posso garantire in modo positivo.
- Parola di Tramaglino, - concluse Renzo, - il signor don Rodrigo ha fatto i conti senza l'oste!
Frattanto Agnese, curiosa e pettegola come tutte le suocere, già era discesa dal pian di sopra, e fiutato l'odore delle novità, spingeva il capo dentro l'uscio.
La figlia la lasciò con Renzo, tornò alle donne radunate nella corte, e presa un'aria di circostanza, dichiarò a voce alta: - Il signor curato ha un febbrone, per oggi non si fa più nulla.
Sottolineò questa dichiarazione con una impercettibile alzatina di spalle, poi salì al pian di sopra, per mettersi un abito da passeggio.