Guido da Verona
I promessi sposi (parodia)
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CAPITOLO III

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CAPITOLO III

 

Lucia entrò nella stanza terrena mentre Renzo stava angosciosamente informando Agnese, la quale angosciosamente lo ascoltava.

- Ehm! ehm! - diceva la scaltra Agnese, scuotendo il capo a tutte le buoni ragioni che le andava snocciolando il fidanzato; - qui gatta ci cova!

Renzo trasse fuori l'astuccio delle sigarette; accese una Macedonia, poi, distrattamente, ne offerse una alla devota Agnese.

- Grazie, non fumo, - rispose costei, con un tono che non ammetteva repliche.

- Se non vi spiace di offrirne una anche a me, - disse Lucia, - la fumerei più che volentieri.

Il fidanzato non sapeva rifiutarle nulla; tosto le passò la propria, che Lucia si mise tra le labbra con l'elegante garbo d'una provetta fumatrice. Frattanto canticchiava l'aria di Ramona, e ne accennava con la punta dei piedi il ritmo irresistibile.

Agnese, benché zotica, benché incolta, era tutta in ammirazione di questa sua elegante e galante figliuola, che mostrava le migliori disposizioni per divenire un numero eccezionale da caffè-concerto. Volle far la burbera, ma si vedeva che il suo sdegno non era troppo sincero.

- Fatto sta, - disse Agnese, - che né io né il tuo fidanzato, sappiamo ancora come si siano svolte le cose.

- Ora vi dirò tutto, - rispose Lucia, fingendo di rasciugarsi una lacrima col rovescio della mano. - L'origine di tutto questo risale a qualche tempo fa, quando ancora lavoravo alla filanda. Poiché non mi riusciva, con quegli orribili zoccoli, di camminar spedita come le mie compagne, spesso, al ritorno dall'opificio, mi accadeva di rimanere un pezzo indietro, e poiché la strada era lunga, non di rado mi toccava compierla da sola. Come andò, come non andò, a un certo punto del cammino vedevo sempre un'automobile ferma - credo fosse una Chrysler modello 70 - guidata da un signore non più di primissimo pelo, però vestito con eleganza e di modi assai compiti. Egli, per risparmiarmi quel lungo tratto di strada, molto cortesemente, non appena mi vedeva giungere, balzava giù dal volante e m'invitava a salire nella sua macchina. In principio, vi giuro mamma, ho resistito con tutte le mie forze. Ma se sapeste che differenza corre tra il fare quattro o cinque chilometri a piedi, e farli invece in una comoda automobile che tiene magnificamente la strada, non scosse, e fa tutte le salite in quarta, credo che anche voi, mamma, ne' miei panni, avreste finito con profittare della buona occasione.

- E dove ti conduceva poi quel signore di così elevati sentimenti? - volle sapere Agnese.

- Mi conduceva sino alle prime case del nostro paesello, dove, galantemente, togliendosi il berretto dal capo, mi baciava la punta delle dita e mi diceva, con una squisita galanteria da uomo di mondo: A domani, se permette, signorina.

- E tu? - insistette Agnese.

- E io, che volete, mamma... gli lasciavo comprendere con un mezzo sorriso che una ragazza, se non è una stupida, non può aver la passione di andare a piedi. Frattanto, ogni giorno, mi portava qualche regaluccio, e mi parlava del suo amore per me, con termini talmente rispettosi, che io, qualche volta, ero per dirgli: «Ma si faccia coraggio! non abbia tanti peli su la lingua! si spieghi con un esempio...»

- Nespole! - brontolò Agnese; - a tua madre non dir niente d'una cosa simile! Ma non lo sai, figliuola, che al giorno d'oggi, di signori così ben educati, se ne trovano pochini? E francamente - scusate veh, Renzo! - se avessi mai creduto che una fortuna simile potesse capitare a mia figlia, vi avrei pregato di ritirarvi in buon ordine, e di sposare una ragazza del vostro rango. Noi, come vedete bene, siamo donne venute al mondo per andare in auto con la nobiltà.

Renzo si arricciò i mostacci, sputò via furiosamente la sigaretta, poi disse con un cipiglio truce: - Questa è l'ultima che mi fa quell'assassino!

Lucia, che ben sapeva per qual verso prenderlo, gli mise un braccio intorno al collo, gli appiccicò le labbra su le labbra, gli fece passare nell'interstizio della bocca la puntina umida della sua dolcissima lingua, poi gli mormorò con un sospirone: - Lo sai bene, cocotino mio, che per me al mondo non ci sei che tu!...

Renzo divenne tosto mansueto come un pulcino, mentre su la bocca gli rimaneva impresso il cerchio purpureo delle labbra di Lucia. E questa, con un sospiro ancor più profondo, non tralasciò di aggiungere:

- Vero è, mamma che un tal segreto mi pesava notte e giorno sul cuore. Se con voi non ebbi coraggio di aprirmene, un bel , con l'auto del signor don Rodrigo, mi feci condurre a Pescarenico, e mi liberai dei mio segreto, raccontando subito...

- A chi hai raccontato? - domandò Agnese, in grande angustia, certo per il timore che le cattive lingue dei dintorni trovassero il mezzo di mandare in fumo la grande fortuna che stava per toccare a sua figlia.

- Al padre Cristoforo, in confessione, mamma.

Al nome riverito del padre Cristoforo, lo sdegno d'Agnese si raddolcì.

- Ma perché non raccontar tutto anche a tua madre? - aggiunse la pia donna. - Un buon consiglio, in simili circostanze, non è mai di troppo.

- Fatto sta che ora siamo tutti in un bel pasticcio, - affermò Renzo.

- Un pasticcio proprio coi fiocchi! - rincalzò Agnese.

- Se il signor don Rodrigo mi ama zitella, maritata che fossi, perderebbe addirittura il lume della ragione, - osservò Lucia.

- Ma ora c'è di mezzo quel birbante d'un curato, che nicchia davanti alle nozze e finge d'avere un febbrone diplomatico, - disse Renzo.

- Il signor don Rodrigo s'è presa una cotta così eccezionale, ch'è ben capace di farne una delle sue, - avvertì Lucia.

- Siamo tutti in un bel pasticcio... in un famoso ginepraio!... - canticchiava la devota Agnese. - Poi ebbe come un lampo:

- Sapete quel che s'ha da fare?

- Io no; io no, - risposero insieme i due sposi promessi.

- Fate a mio modo, Renzo. Andate a Lecco; cercate del dottor Azzeccagarbugli... ma non lo chiamate così, per l'amor del cielo: è un soprannome.

- Lo conosco di vista, - disse Renzo.

- Quello è una cima d'uomo. Pigliate quei quattro capponi, perché non bisogna mai andare con le mani vote da que' signori. Raccontategli tutto l'accaduto, e vedrete che vi dirà, sui due piedi, di quelle cose che a noi non verrebbero in testa a pensarci un anno.

Renzo infilò la bicicletta, e in poche decine di minuti fu a Lecco, nello studio del dottor Azzeccagarbugli.

Costui guardò prima i pollastri; poi guardò il cliente; infine disse:

- Parlate.

- Signor dottore: vorrei sapere se, a minacciare un curato perché non faccia un matrimonio, c'è penale.

- Ho capito, - disse il dottore. - Voi siete un ladro di pollai...

- Mano! mano!

- Sorpreso in flagrante nel pollaio del prevosto...

- Mano! mano!

- Lo avete minacciato a mano armata...

- Ma neanche per sogno! ma cosa dice?

- Diffidandolo inoltre a non fare un certo matrimonio... Sì, ci sono pene gravissime, sanzioni severissime, che vanno dalla fucilazione semplice al rimprovero solenne, con multa che va dai mille ducati ai venticinque franchi, i quali venticinque franchi si pagano all'atto come compenso per il disturbo del dottore.

- Ma lei non ha compreso nulla, signor dottore!

- Se poi c'è scasso, effrazione, rottura di lucchetti, sia nell'uscio del pollaio come in quello della donna che doveva essere maritata, allora le pene sono aggravate di venti tratti di corda, e le multe al doppio, e la specifica del dottore si salda in trenta franchi, bollo compreso.

- Ma mi lasci un po' parlare, per un diavolo!...

A questa ingiunzione categorica il verboso dottore divenne mutolo come un pesce.

- Lei non ha capito un'acca, signor dottore. Sappia dunque ch'io dovevo sposare oggi una bella ragazza del mio paese, alla quale discorrevo già dall'estate scorsa, tutte le sere, in un campicello... Oggi, come le dico, era il giorno stabilito col signor curato, e s'era disposto ogni cosa. Ma ecco che il signor curato comincia a cavar fuori certe scuse... basta, per non tediarla, io l'ho fatto parlar chiaro, com'era giusto; e lui m'ha confessato che gli era stato proibito, pena la vita, di far questo matrimonio. Quel prepotente di don Rodrigo...

A tanto nome, il dottore diede un sobbalzo su la poltrona, come se gli avessero fatto scoppiare un petardo nella ciambella su cui era seduto.

- Andate! andate! non sapete quel che vi dite!...

- L'illustrissimo signor don Rodrigo, il quale da ben cinque anni mi fa l'onore d'essere in procinto di poter divenire cliente del mio studio, non è capace di consumare soprusi d'alcun genere.

- Le giuro, dottore...

- All'erta, giovinotto, coi falsi giuramenti! - Vi potrebbe capitare d'andar via di qui fra due carabinieri...

- Ma che razza di giustizia è questa? Io ci ho fior di prove, signor dottore!... fior di testimoni, signor dottore!...

- Benissimo: calunnia con raggiro e subordinazione di testimoni. Pensate a quel che fate, giovinotto! Volete un buon consiglio? Pagatemi quei cinquanta franchi più che in fretta, e andate per i fatti vostri, che io sarei costretto, se ascoltassi la mia coscienza, a dare un colpo di telefono in Questura.

Renzo comprese che il meglio per lui era di arrendersi ai consigli del dottore in legge; trasse dunque di tasca un bel biglietto da cinquanta nuovo fiammante, lo depose con un tremito su la scrivania del dottor Azzeccagarbugli, e, fattogli un saluto urbano, già stava per allontanarsi, quando costui lo richiamò

- Ehi, dico, giovinotto! E quei quattro capponi?... Non sarà per empirmi lo studio di penne che li avrete portati fin qui?

Suonò il campanello per chiamare la donna di servizio, alla quale disse:

- Prendete quei quattro pollastri; mi sembrano un po' magri; guardate se per caso non hanno la malattia... Poi soggiunse con un sospiro: - Ahimè! quando penso che vi sono alcuni consulenti, che avendo la fortuna di trattare coi ladri delle banche anziché colla quelli de' pollai mandano ai loro clienti specifiche da mezzo milione!...

Frattanto Renzo era di ritorno al suo paesello, e nel pedalare con fatica per la scoscesa erta canticchiava tra sé, con una gran bile in corpo, la canzonetta: - Torna nel tuo paesello, ch'è tanto bello!... - parole e musica d'un maestro novecentista.

Le donne, nella sua assenza, dopo essersi tristemente consultate fra loro, avevano approfittato della visita d'un cercator di noci, Fra Galdino, per far pregare il buon Fra Cristoforo, del convento di Pescarenico, perché venisse a recar loro consiglio e conforto il giorno appresso.

Fra Galdino se ne andò, con tante noci quante ne portava la sua bisaccia, mentre, sudato e coperto di polvere, il buon Renzo rientrava nella corte con le pive nel sacco.

 

 

 


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