IntraText Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText | Cerca |
CAPITOLO V
Il qual padre Cristoforo si fermò ritto su la soglia, oltre la quale, in attesa di lui, stavano le due donne, cioè la madre e la figlia, insieme con lo sposo promesso, che contrariamente alla sua abitudine di schiacciare un pisolino a sole alto, si era levato quella mattina di buon'ora.
Tenuto con essi un breve consiglio, e rimasto alquanto a meditare tenendosi la bianca barba raccolta nel palmo della mano, il parere del buon frate fu che gli convenisse andar direttamente all'ovile del lupo mannaro, e parlare cristianamente con costui, per tentar di ridurlo a più miti consigli.
- Sentite, figliuoli, - disse infine padre Cristoforo a mo' di conclusione; - io anderò oggi a parlar con quest'uomo. Se Dio gli tocca il cuore e dà forza alle mie parole, bene; se no Egli ci farà trovare qualche altro rimedio. Voi intanto statevi quieti, ritirati, scansate le ciarle, non vi fate vedere. Stasera, o domattina al più tardi, mi rivedrete.
Detto questo, troncò tutti i ringraziamenti e le benedizioni, e partì. S'avviò al convento, arrivò a tempo a cantar sesta, desinò, e sùbito si mise in cammino verso il covile della fiera che voleva provarsi d'ammansare.
Il palazzotto di don Rodrigo sorgeva isolato, a somiglianza d'una bicocca, su la cima d'uno de' poggi ond'è sparsa e rilevata quella costiera. A piè del poggio, verso il lago, giaceva un mucchietto di casupole abitate da contadini di don Rodrigo; ed era come la piccola capitale del suo piccol regno. Infatti il Baedecker vi dedica non meno di tre pagine, per descrivere i ruderi della rocca vetusta e le insigni opere d'arte che son nel castello contenute. Dando un'occhiata nelle stanze terrene, dove qualche uscio fosse aperto, si vedevano attaccati al muro schioppi, schioppettoni, schioppettini, pistole, tromboni, scimitarre, daghe, pugnali, mitragliatrici: insomma tutta un'armeria. La gente che vi s'incontrava eran omacci tarchiati e arcigni, con un gran ciuffo arrovesciato sul capo e chiuso in una reticella come usano portare i bravi; vecchi che, perdute le zanne, parevan sempre pronti, chi nulla nulla gli aizzasse, a digrignar le gengive (?); donne con certe facce maschie e con certe braccia nerborute buone da venire in aiuto della lingua (?) quando questa non bastasse.
Fra Cristoforo attraversò il villaggio, salì per una viuzza a chiocciola e pervenne sur una piccola spianata, davanti al palazzotto. La porta era chiusa, segno che il padrone stava desinando e non voleva esser frastornato. Altra abitudine strana, come ognun vede, quella di far chiudere il portone di casa quando il proprietario sta desinando.
Regnava quivi un grande silenzio, e un passeggero avrebbe potuto credere che si trattasse d'una casa di spettri, se quattro creature, due vive e due morte, collocate in simmetria presso l'entrata, non avesser dato un indizio d'abitanti. Quelli che davano il miglior indizio d'abitanti eran due grandi avvoltoi, con l'ali spalancate e coi teschi penzoloni, l'uno spennacchiato e mezzo róso dal tempo, l'altro ancor saldo e pennuto, che stavano inchiodati ciascuno sur un battente del portone. Questi erano i vivi. Quanto ai morti, essi erano rappresentati dallo scudiero e dallo chauffeur del padrone, che dormivano d'un sonno profondo, sdraiati ciascuno sur una delle panche poste a destra e a sinistra del portone d'entrata.
Tutto essendo ben chiuso, e tutti addormentati, fra Cristoforo si rivolse per informazioni ai due avvoltoi.
- È questa la casa del colendissimo signor don Rodrigo? - domandò il frate ai due volatili.
- Sì, padre; venga pur avanti, - gli rispose cortesemente il più anziano dei due. - Qui non si fanno aspettare i cappuccini, perché noi siamo amici del convento.
Così dicendo il cortese avvoltoio diede col becco due picchi di martello. A quel suono risposer di dentro gli urli e le strida dei ferocissimi cani di guardia: pechinesi, grifoni belgi e King Charles di grande valore, tutti premiati a numerose esposizioni. Poi accorse un vecchio servitore, vestito in livrea, ma con la spada al fianco, il quale, riconosciuto il padre Cristoforo da Pescarenico, lo accompagnò in un salottino che precedeva la sala da pranzo.
Il padre Cristoforo, sempre un po' stretto di cintura, per il menu di magro che serviva il ristorante del convento, al sentire quel profumo delizioso di polenta con beccafichi e di lepre in salmì, fu ad un pelo di cadere in deliquio. In capo d'un'attesa che non fu breve, l'uscio si aperse, e un certo conte Attilio, spensierato cugino del padrone di casa, veduta una testa rasa e una tonaca da frate, fece prima i dovuti scongiuri, poi lo chiamò a voce alta: - Ehi! ehi! non ci scappi, padre riverito; avanti, avanti!
Fra Cristoforo entrò con un Deo gratias pieno di compunzione, ed una fame così da orbo che ne aveva il capogiro. Tosto vide l'illustre pescecane signor don Rodrigo, seduto a capo tavola, in casa sua, nel suo regno, circondato d'amici, d'omaggi, e di tanti segni della sua potenza. Alla sua destra sedeva quel conte Attilio, famoso libertino e consumato giuocatore di baccarà, venuto da Milano a villeggiare per alcuni giorni presso il cugino. A sinistra il Podestà del luogo, cioè quel medesimo a cui, in teoria, sarebbe toccato a far giustizia a Renzo Tramaglino e a far stare a dovere don Rodrigo. In faccia al Podestà sedeva il nostro dottor Azzeccagarbugli, in cappa nera, col naso più rubicondo del solito, poi numerosi altri convitati, che non ebber nemmeno il tempo di alzarsi a riverire il padre, occupati com'eran nel mangiare a quattro palmenti.
- Da sedere al padre, - disse don Rodrigo.
- Bramerei di parlarle da solo a solo, con suo comodo, per un affare d'importanza, - mormorò fra Cristoforo all'orecchio di don Rodrigo.
- Bene, bene, parleremo, - rispose questi; - ma intanto si porti da bere al padre.
Il padre voleva schermirsi, ma don Rodrigo, alzando la voce in mezzo al trambusto ch'era ricominciato, gridava:
- No, per bacco! non mi farà questo torto; non sarà mai vero che un cappuccino vada via da questa casa senz'aver gustato del mio vino, né un creditore insolente senz'aver assaggiate le legna de' miei boschi!
Queste parole eccitarono un riso universale (?) che si propagò per la vallata, scese fino all'Adda, tantoché, in breve, tutto il lago di Como si mise a ridere.
Frattanto ferveva tra i commensali una discussione animatissima circa un punto variamente interpretabile del Codice cavalleresco.
- L'autorità del Tasso non serve al suo assunto, signor Podestà riverito; anzi è contro di lei, - riprese ad urlare il conte Attilio; - perché quell'uomo erudito, quell'uomo grande, che sapeva a menadito tutte le regole della cavalleria, ha fatto che il messo d'Argante, prima d'esporre la sfida ai cavalieri cristiani, chieda licenza al pio Buglione...
- Ma io le cito l'autorità di Fausto Salvatori! - controbatteva, non meno urlando, il Podestà; - e le domando se lei mi può nominare, in tutta Europa, uomo più versato e più prodigo di sé stesso in questa delicata materia.
- Con buona licenza di lor signori, - interruppe don Rodrigo, il quale aveva un sacro terrore delle armi, dei duelli, delle procedure cavalleresche, - rimettiamola nel padre Cristoforo, e si stia alla sua sentenza.
Chi di fatti, poteva meglio intendersi di cavalleria che un padre cappuccino, il quale si era perfino battuto in duello per difendere la destra del suo bassotto?
- Ma io non so la storia, - si scusò modestamente padre Cristoforo.
- Ecco la storia, - rispose don Rodrigo. - Un cavaliere ufficiale manda una sfida a un cavaliere del lavoro. Il portatore, non trovando il provocato in casa, ma trovandovi bensì la bella moglie del medesimo, si mette a giacer con costei per attendere che il marito rincasi. Sopravviene il fratello del cavaliere, che nel medesimo tempo è l'amante di sua cognata, e il portatore della sfida, con gli abiti e coi capelli alquanto in disordine, consegna il cartello al fratello del cavaliere. Il qual fratello legge la sfida e, in risposta, dà un fracco di legnate al portatore. Si tratta di decidere i seguenti punti: - Può un fratello, che nello stesso tempo è amante della cognata, denunziare al germano che costei si è fatta sorprendere in letto col portatore della sfida? Il portatore della sfida, che, come ambasciatore, deve non portar pena, ma che, nella fattispecie, ha tuttavia ricevuto un fracco di legnate, può vantare diritto di precedenza o non vantarlo, sul cavaliere ufficiale che lo manda, e, in via subordinata, con quale dei due fratelli cornuti dovrà egli prima battersi? Essendo costui giaciuto con la donna d'altri nella qualità di ambasciatore, il quale, come si è detto, non porta pena, è costui da considerarsi giaciuto per conto proprio, o per conto del cav. uff. che lo mandava? Posto che il cav. uff, come offeso, aveva la precedenza delle armi, come sfidante, doveva lasciarne la scelta allo sfidato, ma, come giaciuto con la donna dello sfidato, ha trasmesso in questi la qualità di offeso, e, come quegli che ha spedito un portator di sfida, il quale venne bastonato, la recupera: - chi dei due, o per meglio dire chi dei tre, deve considerarsi l'offeso, chi l'offensore, chi lo sfidato, chi lo sfidante - e, risolto questo piccolo numero di premesse, a chi spetta la precedenza delle armi?
- Alla donna, - disse prontamente il cappuccino.
Di nuovo una risata universale scese per la valle, si propagò fino all'Adda, fece ridere tutto il lago di Como.
Il dottor Azzeccagarbugli, testardo come tutti gli uomini di legge, non voleva saperne di arrendersi al parere dal cappuccino.
- Dunque lei sostiene, padre, che un messo il quale ardisce di porre in mano a un cavaliere una sfida senz'avergliene chiesta licenza è un temerario, violabile, violabilissimo, bastonabile, bastonabilissimo...
- Mi scusi, dottore; ma non è al cavaliere ch'egli ha messo in mano il cartello di sfida, bensì alla moglie del fratello di costui; e tutto fa credere che il portatore le abbia chiesto le dovute licenze, poiché la donna, a quel che sembra, non ha punto rifiutato.
- Giusto! - gridò il conte Attilio. - Chiaro! lampante! magnificamente argomentato!
Ma il dottor Azzeccagarbugli non intendeva darsi per vinto.
- Mi ascolti, mi ascolti. Percotere un disarmato è atto proditorio; atqui il messo de quo era senz'arme, ergo....
- E lei ritiene, signor dottore, - osservò il cappuccino, - che un uomo il quale sfodera di simili argomenti possa considerarsi un uomo disarmato?...
Di bel nuovo una risata universale scese per la valle, giunse fino all'Adda, fece ridere tutto il lago di Como; si propagò questa volta fino all'Isola Bella, sul lago Maggiore.
- Ammutolisco, - rispose il dottor Azzeccagarbugli. E tosto i commensali passarono ad altro argomento che appassionava in quei tempi tutte le ville, i borghi e le città della provincia di Milano.
- Crede lei, - disse il Podestà rivolto al conte Attilio, - che il nostro don Gonzalo debba rimanere ancora per lungo tempo governatore di Milano?
Il lettore sa che in quell'anno si combatteva per la successione al ducato di Mantova, del quale, alla morte di Vincenzo Gonzaga, che non aveva lasciata prole legittima, era entrato in possesso il duca di Nevers, suo parente più prossimo, che noi non sappiamo chi sia. Luigi XIII, ossia il cardinale di Richelieu, sosteneva quel principe, suo ben affetto, e naturalizzato francese; Filippo IV, ossia il conte d'Olivares, comunemente chiamato il Conte Duca, non lo voleva lì per le stesse ragioni, e gli aveva mossa guerra. Ad ogni modo correva insistente voce che Primo de Rivera non vedesse più di buon occhio il nostro don Gonzalo.
- Per l'appunto, signor conte, - interruppe il Podestà. - Io, in questo cantuccio, sono in grado di sapere molto bene le cose. Il nostro don Gonzalo è senza dubbio un governatore di vaglia, ma la sua maniera di far circolare i trams non è piaciuta al più della popolazione.
- Viva mill'anni il nostro don Gonzalo, al secolo don Gasparo Guzman, conte d'Olivares, duca di San Lucar, gran privato del re don Filippo il Grande, nostro Signore! - esclamò il conte Attilio alzando il bicchiere.
- Viva mill'anni! - risposer tutti.
- E che ne dice il nostro cappuccino? - volle sapere don Rodrigo.
- Io dico, signor mio colendissimo, che il señor don Gonzalo è senza dubbio un uomo di gran vaglia, ma non ha saputo stringere abbastanza i ferri addosso ai pescecani e profittatori d'ogni risma, i quali affamano il contado e stremano la città...
- Ehm! ehm! ahi! ahi!... - tossirono alcuni de' commensali, udendo quella disgraziata allusione ai pescecani, la quale toccava direttamente il padron di casa. Ma il cappuccino, senza darsene per inteso, continuava imperterrito
- Fatto sta che noi tutti soffriamo d'un carovita insopportabile e d'una crisi acutissima la quale minaccia tutte le industrie. Gli affari divengono estremamente difficili; tutto costa un occhio della testa; i bottegai, con la sterlina a 150, oppure con la sterlina a quota 90, mantengono sempre gli stessi prezzi.
- Impiccarli! - gridarono ad una voce i commensali, che su questo punto si trovarono d'accordo.
- Appunto! impiccarli tutti, senza misericordia!
- E credete, padre Cristoforo, che faremo la guerra ai Navarrini?
- Chi sono i Navarrini? - domandò il dottor Azzeccagarbugli, che, per vivere a Lecco, era male al corrente della situazione politica.
- Non ne vedrei lo scopo, - rispose il cappuccino, dando prova nel medesimo tempo d'un grande senno finanziario e politico; - a che pro far la guerra contro una nazione la cui moneta vale meno della nostra?
- Ben detto! - esclamarono i commensali, mentre don Rodrigo, alzandosi, dava il segno del levar le mense. Chiesta poi licenza agli ospiti, s'avvicinò in atto contegnoso al frate, che s'era subito alzato con gli altri. Gli disse: - Eccomi a' suoi comandi; - e lo condusse in un'altra sala.