IntraText Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText | Cerca |
CAPITOLO VIII
- Benedetto Croce?... Chi era costui? - ruminava tra sé don Abbondio seduto sul suo seggiolone, in una stanza del piano superiore, con un libro aperto davanti, quando Perpetua entrò a portargli l'imbasciata.
- A quest'ora? - disse anche don Abbondio, com'era naturale.
- Cosa vuole? Non hanno discrezione; ma se non li piglia al volo...
- Già, è vero; fateli venir su.
- Perpetua scese, aprì l'uscio, lasciò entrare i due uomini, e in quel momento vide Agnese.
- Buona sera, Agnese, - disse Perpetua; - di dove si viene a quest'ora?
- Ah, se sapeste!... Guarda mo' che combinazione!... Ho fatto tardi proprio in grazia vostra.
- Icché mi racconta ella mai? - fece Perpetua. Poi disse ai due fratelli: - Lor salgano pur colassù dal reverendo sor don Abbondio, ch'i' mi scambio du' parolette sul tamburo con cotesta brava donna.
- Figuratevi, - disse Agnese, per cui la lingua toscana suonava più fiera del turco, - che una donna di quelle che non sanno le cose insisteva con dire elle voi non vi siete maritata col Beppe Suolavecchia né con Anselmo Lunghigna perché non v'hanno voluta...
- Oh, la bugiarda! la bugiardona! Chi è costei?... Eh, lassù, que' messeri, bussino due volte all'uscio prima di entrare.
- Deo gratias, - fece Tonio, bussando.
- Entrate, buon uomo, - rispose don Abbondio, con un colpo di tosse finta, poiché da qualche giorno faceva l'ammalato immaginario. - E chi è questo maccabeo? - domandò con sospetto, vedendo entrare anche Gervaso il tonto.
- Mio fratello, sor curato, che ho preso meco per compagnia. Ecco qui le venticinque berlinghe nuove, di quelle col Sant'Ambrogio a cavallo.
- Vediamo, - disse don Abbondio; e preso l'involtino si rimise gli occhiali.
- Frattanto Perpetua, con Agnese, per meglio discorrere si erano ritirate nell'orto. Renzo, con Lucia, su la punta de' piedi, erano al segnale convenuto sgattaiolati su per la scaletta, e stavano, trattenendo il respiro, dietro l'uscio di don Abbondio.
- Ora, - disse Tonio, - si contenti di mettere un po' di bianco sul nero.
- Bene, bene, - rispose don Abbondio, tirando fuori una cassetta dal tavolino, sul quale si dispose a scrivere. Frattanto Tonio e Gervaso si piantaron ritti davanti al tavolino, in maniera d'impedire allo scrivente la vista dell'uscio; poi, co' piedi, come per stropicciar le suole, Tonio diede un colpetto sul pavimento; al qual segno Renzo e Lucia, pianin pianino entraron nella stanza. Don Abbondio, finito di scrivere, piegò la carta in quattro, dicendo: - «Ora sarete contenti» e, levatosi con una mano gli occhiali dal naso, la porse con l'altra a Tomo, mentre con la terza (la mano del Destino) tentò di respingere due fantasmi che gli apparivano dinanzi, fra Tonio e Gervaso, come al dividersi d'una scena: ed erano per l'appunto i fantasmi in carne ed ossa di Renzo e di Lucia.
Don Abbondio vide confusamente, poi vide chiaro, si spaventò, si stupì, s'infuriò, pensò, prese una risoluzione: tutto questo nel tempo che Renzo mise a proferire le parole: - Signor curato, in presenza dei testimoni, questa è mia moglie...
Le sue labbra non avevano ancor profferite l'ultime sillabe, che don Abbondio aveva già afferrata e alzata con la mancina la lucerna, ghermito con la destra il tappeto del tavolino, e con la terza (la mano del Destino), rovesciando carta, penna, seggiola, tavolino, calamaio, aveva buttato il tappeto sul capo di Lucia, ravvolgendola conte in un bavaglio; sul tappeto aveva posata la lucerna, intimando a Lucia di star ferma e zitta, perché il lume non cadesse appiccando il fuoco. Lucia, che probabilmente non aveva nessuna voglia di maritarsi con quello spiantato, faceva miracoli d'equilibrio per reggere sul capo la lucerna; ma quanto a pronunziare la sacramentale formula di rito, nonostante i pizzicotti che Renzo le dava nei fianchi, non era andata oltre le prime due parole: - «E questo... e questo... e questo... - Lo disse ben trentadue volte, ma non aggiunse mai: è mio marito.»
Intanto don Abbondio s'era messo a gridare con quanto fiato aveva in corpo: - Perpetua! tradimento! aiuto! - In quel trambusto, riuscì a scappare in un'altra stanza, ne spalancò la finestra, urlando a squarciagola per svegliare il sagrestano
- Correte Ambrogio! aiuto! aiuto! gente in casa!
- Vengo subito, - rispose costui, mezz'ora dopo. Si stirò, si grattò, si stropicciò gli occhi, si levò, si mise la scarpa destra sul piede sinistro, quella sinistra su la mano destra, ne bevve un goccio, scrisse una lettera d'affari, si fece la barba: in ultimo fu pronto, e andò a tirare la campana a martello. Ton, ton, ton, ton; i contadini si svegliano: «Cos'è? campana a martello! fuoco? ladri? banditi?...»
No, era semplicemente questo: che Renzo era rimasto mezzo dentro e mezzo fuori nel divenire il marito di Lucia, la quale, sempre col tappeto e con la lampada su la testa, cercava a tastoni il passo dell'uscio, facendo miracoli di destrezza, come gli equilibristi giapponesi. Tonio frattanto aveva profittato di quel gran scompiglio per riprendersi le sue berlinghe, e Gervaso il tonto, che poi non era così tonto come lo credevano, veduto che ve n'erano altre, se ne rifornì allegramente. Don Abbondio, serrato a chiave dal di dentro nell'altra stanza, aveva trovato un vecchio mazzo di tarocchi, e per ingannare il tempo s'era messo a fare un solitario.
Intanto il Griso, a capo delle sterminate milizie che avevan cinto d'assedio il villaggio per involare una debole donzella, udito il rintocco della campana a martello - ton, ton, ton, ton, - si era messo a rispondere con la tromba della sua 521 - tèh! tèh! tèh! tèh!... - Questo fece per incuorare i suoi bravi, che piombati nella casa di Lucia l'avevan trovata deserta. Ma ora che i contadini, da tutti gli usci, accorrevano all'allarme, gli uomini del Griso, da buoni malandrini, stavano coraggiosamente per darsela a gambe.
Non sia mai! - disse il Griso al Grignapoco (il cuoco), uomo nato a Bergamo, adorno per ciò del suo rispettabile gozzo, e che, in quella spedizione a mano armata, fungeva da suo aiutante di campo. Radunò il Griso le sue truppe in un pianoro fuor dal villaggio, e tenne loro questa breve allocuzione:
- Soldati: quaranta secoli ci contemplano dall'alto di quelle Piramidi!
Incuorate da queste parole che la storia attribuisce erroneamente a Menenio Agrippa, le truppe del signor Griso si radunarono su la 521, e l'auto mosse per la discesa verso Lecco, in attesa degli eventi.
Frattanto il villaggio era tutto sossopra, armato di forcole e di tridenti, ed accorreva alla casa di don Abbondio, il quale, rimesso tutto in ordine, spolverata la zimarra e la papalina, si era di nuovo seduto nel suo seggiolone, e stava, col mazzo di tarocchi, facendo un altro solitario.
- Figliuoli, che c'è stato? - disse a quelli che salivano da lui. - Cos'è tutto questo fracasso? cos'è tutto questo gran scompiglio? Che diavolo è saltato in mente a quel citrullone d'Ambrogio di mettersi a tirare la campana a martello? Tornate a casa, figliuoli; non c'è mai stato niente. Per una sola carta, il tre di spade, non m'è riuscito il solitario. Pazienza! Tornerò da capo. Sarà per un'altra volta, figliuoli; vi ringrazio del vostro buon cuore.
- Che? - che? - che? - grida la folla nella piazza. E comincia una consulta tumultuosa. Bisogna andare. - Bisogna vedere. - Quanti sono? - Quanti siamo? - Chi sono? - Il console! il console!
- Son qui, - risponde il console di mezzo alla folla; un omettino piccino piccino, che non trovando altro indumento a portata di mano s'era messo al rovescio una a tuta da meccanico, senza riuscire ad abbottonarla per di dietro; ed in capo aveva l'elmo di Scipio.
Vi sovvien, - dice Alberto da Giussano
l'alba radiosa del Calendimaggio...
- Alle barricate! alle barricate! - urla inferocita la folla. E tutti si rovesciano alla casa di Lucia, dove le tracce dell'invasione apparivano a occhio nudo, non per lo sconquasso de' mobili, ch'eran tutti in bell'ordine, ma dalle impronte digitali lasciate sul pavimento dalle scarpe dei malandrini.
Nulla trovando, e non iscoprendo tracce di sangue, in breve i tumulti s'acquietarono.
Il console Alberto da Giussano risolse di far aprire l'osteria, e tutti andarono a bere, compreso il sagrestano Ambrogio, ch'era l'amante del cuore di Perpetua.
Frattanto le nostre due donne, con Renzo, e guidati fino a mezza strada da un contadinotto nominato Menico, al fuggir dalla casa del parroco avevano infilato un viottolo fra i campi e stavano camminando a marce forzate verso il converto di Pescarenico.
Quella sera, nel convento si dava un festa da ballo; i frati erano tutti un po' bevuti, ed accolsero le donne molto festosamente. Agnese e Lucia presero parte alla festa, cenarono e brindarono con molta allegria; poi fra Cristoforo pregò le due donne di ritirarsi con lui in sacristia. Questa maniera di procedere parve al frate sagrestano, fra Fazio, uomo infarcito di vecchie idee, un attentato contro i buoni costumi, sicché non ristava dal sussurrare all'orecchio di padre Cristoforo: - Ma padre, padre!... di notte... in chiesa... con due donne!
- Accidenti alli mortacci tui! - gli rispose fra Cristoforo, che mal sopportava le critiche de' suoi confratelli. E chiuso l'uscio della sacristia, consigliò con lampanti ragioni alle sue protette, nonché a Renzo, ch'era entrato egli pure, di cambiar aria immantinenti, abbandonando quel ramo del lago di Como, almeno per qualche tempo.
- Andrete alla riva del lago, - disse loro, - vicino allo sbocco del Bione. Lì vedrete un battello fermo; direte: «barca». Vi sarà domandato per chi. Rispondete: «San Francesco». La barca vi riceverà, vi trasporterà all'altra riva; poi, al posto dei remi, le spunteranno due ruote. San Francesco farà venire un cavallo, si metterà egli stesso in serpe del barroccio, e così andrete, trotto trotto, fino al paese che v'ho consigliato. A voi, Renzo, consegno frattanto questa lettera di raccomandazione per il padre Bonaventura da Lodi, ch'è il mio agente di cambio, con ufizio vicino alla Borsa di Milano. Potete fidarvi, perch'egli ha depositata la cauzione richiesta dal Governo.
Così fecero. E mentre s'avviavano, con quella commozione che non trova parole, e che si manifesta senza di esse, il padre canticchiava con voce alterata, leggermente brillo: - Oh Beatrice - il cuor mi dice...
Certo il cuore, chi gli dà retta, ha sempre qualcosa da dire su quello che sarà. Ma che sa il cuore? Appena un poco di quello che è già accaduto. E si capisce, in fondo. Se sapesse anche l'avvenire, il cuore sarebbe una Madame de Thèbes.
Le due donne, con Renzo, andarono alla riva, dove sbocca il Bione; chiamarono San Francesco; apparve la barca: e vi salirono.
Il lago era tranquillo ed inoffensivo come un ringiovanito di Voronoff. La luna aveva un colore di anice al seltz, mancia compresa. Regnava un silenzio incantato, perché il lago teneva in quell'ora lo scappamento chiuso. Si udivano soltanto le spatole dei remi fare cieff cieff, sotto la mano robusta di San Francesco, che nella speranza d'una lauta mancia si rassegnava di buon grado a far da barcaiolo, benché ricorresse quell'anno il settimo centenario francescano.
Si distinguevano i villaggi, le case, le capanne; il palazzotto di don Rodrigo, con la sua torre piatta, elevato sopra le casucce ammucchiate alla falda del promontorio; pareva un feroce che, ritto nelle tenebre, in mezzo a una compagnia d'addormentati, vegliasse meditando un delitto.
Lucia pensò in cuor suo, sbirciando Renzo, ai vantaggi d'essere la castellana di quel maniero, e del cuore, nonché della borsa, del signor don Rodrigo, anziché dell'umile sua casetta ove tutto il parco era costituito da un misero fico, che a mala pena sopravanzava il muro del cortile. Struggendosi di questi pensieri, seduta com'era nel fondo della barca, posò il braccio su la sponda, posò sul braccio la fronte come per dormire, e pianse segretamente.
Addio monti sorgenti dall'acque ed elevati al cielo; cime inuguali, note a chi... eccetera; torrenti de' quali... eccetera, ville sparse e biancheggianti sul pendio, come branchi... eccetera; addio casa natia, dove, sedando, con un pensiero... eccetera; addio, casa ancora straniera, sogguardata non senza rossore; addio, chiesa dove l'animo tornò tante volte sereno, addio, per sempre addio, sante memorie, e volanti corsieri!...
Ora, ohimè! l'ignoto schiudeva le porte dell'esilio dinanzi alla fuggitiva. Ella pure diverrebbe una grande nomade, come sono, da qualche tempo, quasi tutte le eroine dei romanzi d'appendice, in Italia; ella pure vedrebbe il cerchio stellato dell'infinito cadere su le cinque parti del mondo; vedrebbe le carovaniere della provincia di Bergamo, la brussa di Calolzio, irta d'agguati, le montagne rocciose di Incino Erba, la pampa selvaggia di Rogoredo e di Rho, abitata dagli animali più feroci che infestino la jungla dell'Africa equatoriale; ella pure diverrebbe una donna di strada, ovverossia di lunga strada, sempre su e giù per gli ascensori dei grandi alberghi, sempre dentro e fuori dalle stanze (altrui) di tutti i caravanserragli, sempre in mano agli interpreti dell'Agenzia Cook, ai doganieri che rovistano tra la biancheria per vedere se non c'è nulla di dazio, ai dragomanni dei Consolati, ai vidimatoli di passaporti, agli ufficiali dei transatlantici; sempre in moto, sempre in balìa della strada, sempre coperta di fumo e di polvere, col Baedecker sotto il braccio, tra Cernobbio e Chiavenna, tra Milano e Barlassina, tra Lodi e Casalpusterlengo, in là, in là, in là, fin dove l'Oceano Pacifico sbocca nel Ticino turbolento...
Di tal genere, se non tali appunto, erano i pensieri di Lucia, e poco diversi i pensieri degli altri due pellegrini, mentre la barca si andava avvicinando alla riva destra dell'Adda.