Guido da Verona
I promessi sposi (parodia)
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CAPITOLO XI

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CAPITOLO XI

 

Come un branco di segugi, dopo aver inseguito invano una lepre, tornano mortificati verso il padrone, co' musi bassi e con le code ciondoloni, per fargli comprendere quanto sia più semplice comprare addirittura una lepre nel negozio del pollivendolo, così, in quella scompigliata notte, tornavano i bravi al palazzotto di don Rodrigo.

Egli era già vestito di un bellissimo pigiama verde oltremarino, e camminava innanzi indietro, fumando una sigaretta dello Stato (le nostre più accurate indagini non hanno permesso di conoscerne la qualità) e ogni tanto, col vaporizzatore, si dava uno spruzzo d'Acqua di Colonia, per essere più fresco e meglio olente quando infine gli sarebbe concesso di stringere fra le braccia la desiderata Lucia.

- Trionfo completo! - disse il Griso, plagiando così la celebre frase del padre Cristoforo.

- Orbene, signor spaccone, signor capitano, signor lasciafareamé, dov'è la donna de' miei pensieri?

- La squinzia le fa sapere...

- Ti proibisco d'usare vocaboli non registrati dalla Crusca!

- Con sua licenza, signor don Rodrigo, la Crusca non è ancor arrivata alla lettera Esse.

Don Rodrigo, al colmo dell'irritazione, uscì in una serqua d'improperi linguisticamente insindacabili contro il suo malcapitato chauffeur, trattandolo d'ammazzasedici e stroppiaquattordici, di poltrone patentato, di malandrino del volante, ed altre simili escandescenze, dopo le quali dette in uno scroscio dirotto di lacrime, pensando che i Romani erano riusciti al ratto delle Sabine, mentre il Griso, sciupando invano alcune latte di benzina, tornava in «garage» con le pive nel sacco. Da ciò don Rodrigo fu tratto a concludere che i leccurdi, leccofanti, o leccobalesi che dir si voglia, erano un popolo di stirpe alquanto inferiore a quella degli antichi Romani.

- Ella ben sa, - disse il Griso, - che con l'astuzia delle donne non si lotta. Certo per esasperare il di lei capriccio, la vaga donzella si è ricoverata con sua madre nel convento della Monaca di Monza, mentre ha spedito il proprio fidanzato Renzo a Milano, da fra Bonaventura, probabilmente a batter cassa. Non per dare un consiglio a lei, signor don Rodrigo, ch'è uomo di senno e di tatto, ma quando s'intende rapire una fanciulla d'illibati costumi, prudenza vuole che le si mandi prima un filo di perle, almeno cinesi, anziché presentarsi a mani vuote come a noi è toccato fare in quella scompigliata notte.

- Ben t'apponi e giusto favelli! - esclamò don Rodrigo, di sùbito raddolcito, certo pensando che le perle cinesi non erano ancor salite a prezzi proibitivi. Poi disse: - Va a dormire, povero Griso, che ne hai ben donde. Con l'aiuto del conte Attilio, del Conte Duca e della Signora di Monza, or sapremo ben noi come procurarci le grazie di quella madonnina infilzata.

- Badi, - lo avvertì rispettosamente il Griso, - che «infilzata» non è un vocabolo registrato dalla Crusca.

- Errare humanum est, convenne umilmente don Rodrigo. - Eccoti per il tuo disturbo.

E gli diede due lire di mancia.

 

 

 


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