Guido da Verona
I promessi sposi (parodia)
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CAPITOLO XIII

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CAPITOLO XIII

 

Lo sventurato Vicario stava, in quel momento, facendo un chilo agro e stentato d'un desinare biascicato senza appetito, perché, a dispetto di tutti i buoni consigli che gli davano i medici, e degli annunzi che leggeva ogni nelle gazzette, costui, caparbio e testardo come sono in genere i vicari, sebben infermo di stomaco ostinavasi a non prendere il Tot, né, tanto meno, quel meraviglioso rimedio intestinale Murri, detto il Rim.

Il Tot, come ognun sa, o come nol sapendolo può da noi apprendere, è carbone vivo che s'introduce nello stomaco e nelle viscere allo stato di polvere dentifricia, per far andare la locomotiva della vita. È un segreto di fabbrica il sapere se questo prodigioso Tot si estragga dall'antracite, dal coke, o dal nerofumo che spazzasi dai camini; certo esso riscalda senza produrre fumo, e chi si mette il carbone dentro lo stomaco, può fare l'economia per tutta la durata dell'inverno di metterlo nella stufa. È inoltre provato e riprovato che la buona massaia realizza un forte risparmio cucinando e stirando col Tot anziché con gli altri carboni, oggi saliti a prezzi proibitivi.

Quanto al rimedio intestinale Murri, esso non ha bisogno di presentazioni. Tutti sanno che il professor Murri è il padre della figlia omonima, sorella del fratello omonimo, i quali, chiamati d'urgenza, insieme col professor Secchi, al letto di morte del conte Bonmartini, sì bene col curaro lo curarono, che non fu possibile, nonostante il Rim, scamparlo da inevitabil morte. Questo Rim è infatti un composto di curaro, stricnina, belladonna, acido prussico, vetriolo, ed altri ingredienti assai benefici per la digestione, sicché, chiunque il prenda, può essere sicuro del fatto suo.

Se le case produttrici delle due soprallodate specialità credessero d'inviarci qualche cassa dei loro eccellenti prodotti, in cambio della pubblicità per la quale (poveri in canna sì, ma integerrimi fino allo scrupolo) non accettiamo neanche il becco d'un centesimo, sono pregate d'indirizzare la spedizione alla Ditta Alessandro Manzoni e C. - Cimitero di Brusuglio - Lombardia (Italia), con spese a carico del destinatario; - e mettano ben chiaro «Cimitero di Brusuglio» - perché, essendovi una ditta Manzoni la quale in Milano esercisce per l'appunto il commercio dei medicinali e di tutte le farmaceutiche specialità che menano dritto all'altro mondo, non vorremmo che la spiacevole omonimia causasse disguidi postali e favorisse l'illustre apoticario ai danni del poco letto romanziere.

Lo sventurato Vicario dunque se ne sta con un termoforo su l'epigastro per calmare i crampi allo stomaco, ei comincia con udire un vociferìo infernale salire alle sue finestre da tutti i canti della strada, e non son trascorsi ancor pochi secondi, che già entrano presso di lui tutti i famigli, servitori, sguatteri, portieri, chauffeurs e donne di servizio, con gli occhi fuori della testa, a dirgli che la casa è circondata, il popolo vuol entrare a forza, e non v'è più scampo, e non v'è alcun mezzo di sottrarsi alle ire della moltitudine.

L'urlio crescente, scendendo dall'alto come un tuono, rimbomba nel vóto cortile; ogni buco della casa ne rintrona; e di mezzo al vasto e confuso strepito si sentore forti e fitti colpi di pietre alla porta.

- Il Vicario! Il tre puntini! Il Gran Serpente. Lo vogliamo nudo! vivo o morto!

Il meschino, pur ignorando di che si trattasse, girava di stanza in stanza, pallido, senza fiato, battendo palma a palma, raccomandandosi a Dio e a' suoi servitori, che tenessero fermo, che trovassero la maniera di farlo scappare. Ma come? e di dove? Salì in soffitta; da un pertugio guardò ansiosamente nella strada, e la vide piena zeppa di furibondi; sentì le voci che chiedevano la sua morte; e, più smarrito che mai, si ritirò, e andò a cercare il più sicuro e riposto nascondiglio. Non è a dirsi qual fosse quel cotal nascondiglio, che in quel momento eragli di suprema urgenza, benché il Vicario non solesse prendere, come già dicemmo, né il Rim né il Tot. rannicchiato, stava attento attento se mai il funesto rumore s'affievolisse, se il tumulto s'acquietasse un poco; ma sentendo invece il muggito alzarsi più feroce e più rumoroso, e raddoppiare i picchi, preso da un nuovo soprassalto al cuore, si turava gli orecchi in fretta. Poi, come fuori di sé, stringendo i denti e raggrinzando il viso, stendeva le braccia e puntava i pugni come se volesse tener ferma la porta.... Del resto, quel che facesse precisamente non si può sapere, giacché era solo; - ma in certi luoghi, noi aggiungiamo, vai meglio esser soli che male accompagnati.

Renzo, questa volta, si trovava nel forte del tumulto, non già portàtovici dalla piena, ma cacciàtovicisi deliberatamente. Poco avvezzo agli svaghi ed agli spassi che seralmente offre una grande città come Milano, voleva in tutte le cose ficcàrvicisi dentro col naso, e n'ebbe, quella sera per più del suo gradimento.

I magistrati, ch'ebbero per primi l'avviso di quel tumulto, mentre stavano come al solito giocando al tressette o allo scopone, se pur non stavano in quel mentre consumando fellonia più grande, quali mezzo scamiciati e smutandati, quali con l'asso di coppe o il sette di briscola in mano, si precipitaron ai telefoni per radiofonoconsultàrvicisi l'un l'altro. Ma poiché parlavano tutti insieme da punti opposti della città, ed occupavamo tutti i privati e pubblici telefoni della rete inurbana, produssero una interferenza d'onda, la quale fece loro udire un pezzo della Carmen.

Terminato il concerto della Radio, alcuni di essi poterono finalmente mettersi in comunicazione con Palazzo Marino. Palazzo Marino rispose, per bocca del suo custode, che il Consiglio Comunale essendo stato disciolto, non v'era nessuno in Municipio, tranne lui, custode, che, se lor signori desideravano, poteva accorrere con sua moglie e con il capo della Banda Civica. Però egli aggiunse che, a suo modesto avviso, il mettere a nudo un vicario, sopra tutto se il vicario è ben fatto, costituisce reato passibile di semplice ammenda.

E così dicendo appese il telefono.

I poveri magistrati, con gli occhi più fuori della testa che mai, si diressero al Corpo d'Armata, perché mandasse la truppa.

Il Corpo d'Armata rispose ch'essendo Sua Eccellenza in licenza e la truppa da tempo rientrata nelle caserme per essere suonata già da un pezzo la ritirata, tutto quello che credeva di poter fare, lui, piantone, era di spedire un carabiniere a cavallo a prender ordini da Madrid.

I magistrati, fatti alquanti calcoli, risolsero che Madrid fosse troppo distante, e per divisarono di rivolgersi alla Questura.

Costei, prima di tutto, incominciò con mettere innanzi una lunga filastrocca di ma e di se. Poi disse che non aveva camions. Tergiversò ancora, con altri evidenti pretesti; alla fine disse che, data la irragionevole chiusura dei «tabarins», era ben giusto che la folla desiderasse di veder nudo un vicario.

I poveri magistrati, più non sapendo a che Dio votarsi, ruppero un avvisatore d'incendio, e con gli orologi alla mano stettero a vedere quanti minuti impiegherebbe a giungere sul posto una squadra di pompieri.

Costoro infatti, messe le briglie, i finimenti, le sonagliere, i sottocoda, alla loro 35 cavalli Fiat, caricate sovr'esse le scale, i trapezi, gli anelli, le sbarre, le reti occorrenti allo spettacolo, giunsero sul posto in meno di un'oretta, al piccolo trotto, e con furioso clangore di trombette.

Senza perdere un istante misero in moto le pompe, e tutto sarebbe andato bene, se ci fosse stata l'acqua.

Purtroppo l'acqua mancava, come in verità manca quasi sempre nelle città che hanno un perfetto servizio d'acqua potabile. Ora, non diremo che sia impossibile, ma certo è abbastanza difficile spegnere un incendio quando manchi l'acqua.

Siccome d'altronde questo era un incendio più figurato che reale, il comandante dei pompieri ebbe un'idea genialissima; e visto che non c'era l'acqua per spegnere l'incendio, come altresì non v'era incendio che necessitasse d'acqua, pensò di appiccarne uno.

Questo fece con doppio fine; vuoi per distogliere l'attenzione della folla dalla casa del Vicario, vuoi perché è supremamente giusto che dove sónoci i pompieri siàvici almeno un incendio.

E dato di piglio ad alcune fascine di paglia, con altri rottami d'ogni genere che mai non facevan difetto per le strade principali della grande Milano, spàrsavici sopra in abbondanza la benzina che seco avevano di riserva, non andò gran fiata che i bravi pompieri ebbero sviluppato un così bell'incendio, che il più bello non si era mai veduto.

Quasi che il dito della Provvidenza avesse quella sera in animo di salvare il Vicario, ecco, di botto, mentre l'incendio ardeva, che viene a mancare l'elettricità. Gas non esséndovici, come d'altronde è giusto, e la sera essendo alquanto nubilata, la città di Milano si trovò perfettamente al buio, il quale istato le si addice meglio d'ogni altro, ed è per così dire, il suo sistema d'illuminazione abituale.

La folla tumultuosa, che ne' più fieri tumulti sempre teme l'oscurità, la pioggia e il vento, non vedendo altra luce che quella dell'incendio appiccato dai pompieri, le si radunò intorno, e tutti si misero a discorrere del più e del meno, comperando le mandorle croccanti e le castagne arrosto, finché dal capo della contrada s'intese un «largo! largo!» un «ohé! ohe!» - un «frusta! frusta!» che mise la pelle d'oca a tutti quelli che stavano sbucciando le castagne arrosto.

Che è? che non è?... Tutti, alzandosi in punta di piedi, cercano di veder chi giunga, e, se fossero per caso le autoblindate, a darsela precipitosamente a gambe.

No: è Ferrer.

«Sì: è qui Ferrer. Venga Ferrer! Viva Ferrer! quello che ha messo i palchi della Scala a buon mercato; l'amico della povera gente: viva Ferrer! Largo a Ferrer!».

Non fa bisogno di dire che Renzo fu sùbito per Ferrer. Volle andargli incontro addirittura. La cosa non era facile; ma con, certe sue spinte e gomitate da buon montanaro riuscì a farsi far largo, e ad arrivare in prima fila, proprio di fianco alla carrozza.

Era questa già un po' inoltrata nella folta; e in quel momento stava ferma, per uno di quegli incagli inevitabili e frequenti in un'ondata di quella sorta.

Il cancelliere Ferrer presentava or all'uno or all'altro sportello del suo brunirne di piazza un viso tutto umile, tutto ridente, tutto amoroso, un viso che aveva tenuto sempre in serbo per quando si trovasse alla presenza di don Filippo IV; ma fu costretto a spenderlo in quest'occasione. Lo aveva tenuto in serbo, certamente nella canfora, dentro uno scatolone di latta, che i milanesi chiamano tolla; dal che viene probabilmente l'espressione faccia di tolla.

Parlava anche; ma il chiasso e il ronzio di tante voci, gli evviva stessi che si facevano a lui, lasciavano ben poco ed a ben pochi sentir le sue parole. S'aiutava dunque co' gesti, calzati di bellissimi guanti gialli, d'un giallo inesprimibilmente bonario ed affettuoso, persuasivo ed autorevole, ora mettendo la punta delle mani su le labbra, a prendere un bacio che le mani, separandosi subito, dividevano in due pezzi, per distribuirlo a destra e a sinistra in ringraziamento alla pubblica benevolenza; ora stendendole e movendole lentamente fuori d'uno sportello, per chiedere un po' di luogo; ora abbassandole garbatamente, per chiedere un po' di silenzio. Quando n'aveva ottenuto un poco, i più vicini sentivano e ripetevano le sue parole: «Palchi alla Scala per tutti! Poltrone e poltroncine in abbondanza! Posti distinti, a prezzi ribassati! Loggione e biglietti d'ingresso a due franchi il pezzo!».

Sopraffatto poi e come soffogato dal fracasso di tante voci, dalla vista di tanti visi fitti, di tant'occhi addosso a lui, si tirava indietro un momento, gonfiava le gote, mandava un gran soffio, e, fuori di sé, diceva tra sé: - Por mi vida, que de gente!

Questa frase, che a prima vista sembra in dialetto veneziano, era detta invece in puro spagnuolo. Nessuno ha mai compreso perché don Antonio Ferrer parlasse spagnuolo. Forse perché era spagnolo? Questa non è una buona ragione. Bonaparte era italiano e parlava francese. Vittorio Emanuele Il era italiano e parlava piemontese. Quasi tutti i nostri scrittori sono italiani, e non sanno neanche una parola d'italiano. Dunque?...

- Viva Ferrer! Non abbia paura! Non se la faccia nei calzoni! - rispondeva galantemente la folla.

- Sì, palchi, palchi! poltrone, poltrone! - ripeteva Ferrer, e metteva la mano al petto. - Un po' di luogo, - aggiungeva sùbito; - vengo per condurlo in prigione; per dargli il giusto castigo che si merita: - e soggiungeva sottovoce: si es culpable. Battendo poi sul vetro per incitare il vetturino, gli diceva in fretta

- Addante, Pedro, si puedes.

- Osterias! non puedo! - rispose il brumista.

- Addante, addante, Pedro; con juicio, - insisteva mellifluo il cliente.

- Sacramientos; hijos de perros! lavativos del otro mundo! - bestemmiava il vetturino, che parlava correntemente cinque o sei lingue, fra cui l'etrusco.

Poi dava di grande frustate su la groppa del suo ronzino, il quale riusciva piano piano a farsi largo tra la folla, dando il muso nella schiena di coloro ch'erano più restii a scostarsi, mentre il vetturino poliglotta non si stancava di ripetere

- Ox! Ox! guardaos! - che in ispagnolo vuol dire: «Ehi! ehi! attenti alle ossa!»; in turco vuol dire la stessa cosa ma detta in turco: e in jugoslavo non si sa quel che voglia dire, perché nel Seicento non esisteva la Jugoslavia.

Come Dio volle, giunsero per tal modo alla casa del Vicario, bussarono, e una voce dal di dentro rispose con il sacramentale: «Chi va ?».

- Amigos! - rispose il Ferrer, strizzando l'occhio alla folla. - Venga usted con migo. Esto lo digo por su bien.

L'usciolino del portale si schiuse, e frammezzo apparve il naso del Vicario, lungo un palmo, e sormontato da fiorenti bitorzoli.

- Beso a usted las manos, - diss'egli al Ferrer con una voce tremula, vedendo il cocchio di piazza apparecchiato per metterlo in salvo, sotto il pretesto di condurlo in prigione.

Il Ferrer, per dare soddisfazione a coloro che nonostante l'oscurità potevano intravvedere la scena, sferrò nelle natiche del Vicario un potente calcio per aiutarlo a salire nel brumme, il che vedendo, la folla proruppe in grandi applausi, mentre il Ferrer, salendo egli pure nel cocchio, diceva sottovoce al Vicario:

- Perdone usted... todo es por su bien.

- Dios nos valga!

- Animo! animo! estamos ya quasi filerà. Addante, Pedro, con juicio.

- Y donde vamos, ahora, Excelentia?

- Corbezzolos! Yo andò por corner una sierra de macaronitos, por que tiengo un appetito foamidable!

- Yo tambien.

- Venga usted con migo.

- Muchas gratias, caballero. Obligado de su grande bontad. Que dignese usted decirme su honorable nombre.

- Caramba! usted non me conosce? Yo soy don Francisco Ferrer, el primero actor brilante de la trupa del senor gubernador don Gonzalo!

- Hombre! Yo soy el Vicario. Honorado de far su conoscencia!

- Yo tambien, caballero! Muchas gratias, caballero! Addante, Pedro! addante, Pedro, anche si non puedes!

La Edison aveva riparato frattanto il guasto alla corrente, e Renzo, attaccatosi al predellino dell'ultimo tram di Porta Renza, si proponeva di risalire la Corsia dei Servi, per passare la notte all'albergo dei Promessi Sposi.

 

 

 


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