IntraText Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText | Cerca |
CAPITOLO XIV
La folla rimasta indietro cominciò a sbandarsi, a diramarsi a destra e a sinistra, per questa e per quella strada. Chi andava a casa a litigare con la moglie, chi s'allontanava in direzione di vicoli bui, dov'erano porte segrete; chi, in cerca d'amici, recavasi ad un caffè con licenza notturna per bere un'ultima bibita ciarlando de' gran fatti della giornata. Lo stesso sgombero s'andava facendo dall'altro sbocco della strada, ove quelli che sapevano parlar spagnolo parlavano spagnolo, quelli che sapevano l'inglese parlavano inglese, e quelli che non erano a conoscenza di lingue estere parlavano con grande ostentazione il milanese.
Intanto, sotto i portici della Galleria, rincuorate dal ritorno alla luce e dalla cessata concorrenza delle donne oneste, uscivano a battere il tacco le forosette delle ore piccole, che munite di una grandissima borsetta, ove per solito non v'è neanche un ghello, vanno tenacemente alle calcagna di colui che sia disposto a mettervi qualche decina di lire.
Arrivato che fu Renzo al bivio di Santa Radegonda, ove il senator Bocconi era padrone a que' tempi di tutta l'area fabbricabile, usque ad inferos et usque ad sidera, fu respinto dal predellino del tram, e poco mancò non si rompesse una gamba. Se anche se la fosse rotta, poco male. In un batter d'occhio la Croce Verde lo avrebbe trasportato alla Guardia Medica di via Agnello; questa lo avrebbe inviato all'Ospedale, dicendogli che quando un uomo ha la gamba rotta, è inutile venga a seccare il prossimo in un luogo di pronto soccorso, dove non c'è mezzo di farsela aggiustare; tanto più che il medico di guardia dorme saporitamente dalle dieci di sera alle otto del mattino, e non desidera essere disturbato. L'avrebbero dunque trasportato all'Ospedale, probabilmente per fargli ammirare il bellissimo effetto che la facciata sforzesca produce sotto il chiaro di luna; più bello ancora quando la luna non c'è. Ma, dato il regolamento che regge gli stabilimenti ospitalieri, la sentinella avrebbe chiamato il capoposto, questi l'infermiere di picchetto, e costui, molto cortesemente, avrebbe pregato l'infermo di volersi ripresentare il giorno dopo, essendoché l'Ospedale non è una casa pubblica, e di notte non riceve clienti.
Presentatosi il giorno appresso, il povero lecchigiano, leccardo, leccovingio o leccodopolitano dalla gamba rotta avrebbe atteso, in piedi, fino alle ore quindici, per udirsi poi dire ch'essendosi egli rotta la gamba in comune di Milano, ma essendo egli di provincia limitrofa, poteva, se ciò gli era di comodo, lasciare il pezzo di gamba rotta all'Ospedale di Milano, e portare il resto a quello di Lecco.
Fortuna volle che nel venire sbalzato a terra dal grappolo umano appeso al predellino del tram, il buon Renzo andasse a cadere dentro un'asta notturna di quadri antichi, dove non si fece alcun male, tranne quello di trovarsi acquirente d'un quadro del Giorgione per 26 lire, e della Primavera di Botticelli per lire 43.
Con que' due capolavori sotto il braccio, Renzo andò in cerca d'un'osteria dove mangiare un boccone, e dilungandosi passo passo per la Corsìa dei Servi, s'imbattè in due gentiluomini che gli ispiraron confidenza per il lor abito accuratamente spazzolato e per le loro amabili fisionomie di gentiluomini dell'antico stampo. Erano infatti il conte Cesare Beccaria, quello che istituì la pena di morte, e il conte Pietro Verri, quegli che scoperse il nome da dare alla strada omonima. Passo passo i due gentiluomini se ne andavano a cena al solito ristorante Casse.
- Lor due bravi signori, - disse Renzo - potrebbero insegnarmi un'osteria per mangiare un boccone e dormire da povero figliuolo?
- Sono qui io a servirvi, quel bravo giovine, - disse il conte Beccaria. Ed il conte Verri soggiunse: - Venite con noi.
- Come potrò sdebitarmi di tanta loro cortesia?
Di che cosa? - diceva il conte Beccaria; - una mano lava l'altra e tutt'e due lavano i piedi.
Di che cosa? - aggiungeva il conte Verri; - un piede lava l'altro e tutt'e due lavano il viso.
Il conte Beccaria stava discutendo se la ghigliottina fosse preferibile al supplizio del palo, ed il conte Verri si sfogava biliosamente contro alcuni censori che gli movevano l'accusa di aver plagiato il nome della propria strada da quello della celebre via San Pietro all'Orto. Ciascuno di essi metteva il piede destro del conte Beccaria davanti al sinistro del conte Verri, e, in séguito, il piede sinistro del conte Verri davanti al piede destro del conte Beccaria; così camminando, facevano a Renzo, ora una, ora un'altra domanda.
- Non per sapere i fatti vostri, ma voi mi parete molto stracco: da che paese venite?
- Vengo, - rispose Renzo, - fino da Lecco.
- Saperlipopette! - fece il conte Beccaria.
- Ostrega! - osservò il conte Verri, - voi venite allora dalla Tripolitania! Il vostro è un raid che potrebbe oscurare quello di de Pinedo.
In quel momento incontrarono Carlo Porta, Bruno Frattini e l'on. Lanfranconi, alquanto accaldati perché avevan trascorsa la sera al Palazzo del Ghiaccio. Avevan seco loro un gaio stuolo di minorenni, sfuggite per miracolo alle insidie della Squadra Mobile; di esse la più giovine aveva sette anni e la maggiore ottanta.
Fatte le debite presentazioni, tutti quanti, col Giorgione e col Botticelli, entraron nell'osteria detta del Casse.
- Prima di tutto un buon fiasco di vino sincero, - disse Renzo; poi un boccone. Cosa mi darete da mangiare?
- Ho dello stufato; vi piace? - rispose il proprietario, un uomo vestito da cuoco e vagamente rassomigliante a Landru.
- Venga lo stufato, - rispose Renzo; - però con una porzione di busecca e una di luganeghino.
Il proprietario prese «la comanda» sovra un notes di tartaruga tempestato di brillanti; poi mandò un fattorino - espresso al buffet della Stazione per comperare i cibi richiesti.
Nel frattempo Renzo veniva presentato ad una folla d'uomini e di donnine celebri, che si davano convegno alla chetichella in quel locale notturno, dopo che un'ordinanza del Governatore di Milano vietava i balli mascherati e l'altre costumanze per le quali andava un dì giustamente famosa la città dei lieti simposii e delle notti senza sonno.
In un angolo sedeva Silvio Pellico, il quale sperava tutti i giorni che gli Austriaci venissero ad arrestarlo, per potere finalmente scrivere il suo famoso libro Le mie prigioni. Ma siccome il Pellico, in verità, non faceva nulla di male, tranne che avere, come tanti altri, le più assurde pretese letterarie, gli Austriaci non sapevano come arrestarlo, anche perché in Milano, finché dominavano gli Spagnoli, non potean venirvici gli Austriaci; e Radetzky telegrafava tutte le settimane a Cecco Beppe: - «Silvio Pellico sta nu bono guaglione».
Ad un altro tavolino, con la barba ed i capelli tagliati à la garsonne, sedeva un giovane musicista nominato Giuseppe Verdi, il quale già da un paio d'anni seccava il prossimo raccontando di aver scritta un'opera chiamata Il Rigoletto e facendo fuoco e fiamme perché fosse rappresentata alla Scala. Ma il maestro Toscanini, uomo di carattere assai sbarbarivo, minacciava di partire immediatamente per New York se l'opera di un giovine maestro italiano privo di talento come il signor Giuseppe Verdi venisse per caso rappresentata alla Scala.
Tra il bel sesso del locale si notava quella sera Adelina Patti, scritturata di recente dall'impresa del Trianon, e che otteneva un discreto successo cantando Valencia e altre cose del genere, sopra tutto in grazia delle sue bellissime gambe nude. V'erano pure Vittoria Colonna e Gaspara Stampa, di passaggio per Milano, tutt'e due ancora piacenti, benché fosser già molti anni che facevano la gran vita; ed infine Adelaide Ristori, imitatrice della Paulowa e grande amica del critico teatrale Renato Simoni.
Fra le belle speranze dell'arte italiana, si notavano: Giacomo Leopardi un po' più allegro del solito, Ugo Foscolo, ideatore e autore del Cimitero Monumentale, che giocava al terzilio con Vincenzo Monti e con Lorenzo Mascheroni.
Intanto Renzo non faceva che alzare il gomito, e bévine un litro, poi un altro mezzo, poi un quartuccio ancora, la sbornia incominciò a produrre i suoi malinconici effetti nell'animo del lecchigiano, leccovingio, leccoburghese o leccofante che dir si voglia.
- Perché siete così triste, - gli domandò la contessa Maffei, quella di Raffaello Barbiera, che, adocchiato il provinciale, e supponendo avesse il portafogli ben guarnito, aveva trovato il mezzo di venirviglicisi a sedere pressoché su le ginocchia, nella speranza di adescarlo e di riuscire ad introdurlo nel suo salotto.
- Eh... so io a quel che penso!
- Hai un amoruccio al tuo paesello, mio bel biondino? -insinuò la contessa Maffei.
- Siés baraós trapolorum... - rispose Renzo con un grande sospiro.
Dette queste parole, abbassò la testa, e stette qualche tempo come assorto in un pensiero; poi mise un altro gran sospiro, e alzò il viso, con due occhi inumiditi e lustri, ed un certo accoramento così svenevole, così sguaiato, che guai se chi n'era l'oggetto avesse potuto vederlo un momento.
La contessa Maffei ne approfittò per mettergli una mano furtiva là onde tutti i mali provengono, e tutti i beni si sentono, e tutte le berlinghe si spendono, avvegnaché la contessa, ch'era assai destra nel consolare pene d'amore, veduto che l'ora volgeva sul tardi, presa licenza dal conte Beccaria e dal conte Verri, chiamò il guardarobiere perché le portasse il suo mantello.