Guido da Verona
I promessi sposi (parodia)
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CAPITOLO XV

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CAPITOLO XV

 

L'oste, vedendo che il giuoco (del Foscolo, del Monti e del Mascheroni) andava per le lunghe, s'era accostato a Renzo, e pregatolo con buona grazia di pagare il conto, l'andava scotendo per un braccio e cercava di fargli intendere che certe cose non fànnosi, a Milano, nei pubblici ristoranti, e il suo locale non essere una carrozza con letti, laonde si persuadesse di recarsi a dormire nel salotto della contessa Maffei.

Fierissima era la sbornia che stava salendo al cervello del buon Renzo; però quelle parole: letto e dormire, ripetute al suo orecchio, gli entraron finalmente in testa; gli fecero sentire un po' più distintamente il bisogno di ciò che significavano, e produssero un momento di lucido intervallo. Si fece coraggio; stese le mani e le appuntellò su la tavola: tentò una o due volte d'alzarsi; sospirò: barcollò; tentennò; trasecolò; singhiozzò; alla terza, sorretto dall'oste, s'arrizzò.

- Ah, birbone! ah, mariolo! - incominciò a sbraitar Renzo contro l'oste, quando fu arrizzato: - tu mi vuoi far pagare due volte il conto, malandrino che non sei altro!... Urrà! olà! siés baraos trapolorum... Venga il capitano di giustizia!

La contessa Maffei, il conte Beccaria, Silvio Pellico, Adelaide Ristori, Ferravilla, il principe **, e il conte ***, ch'erano entrati io quel momento, cercavano in vano di persuadere il buon Renzo ch'egli non aveva pagato ancora il conto, e si calmasse, e non facesse tanto strepito, e non chiamasse il capitano di giustizia, perché, se uno scandalo scoppiasse a quella tarda ora della notte, vigendo i ferrei decreti del Governatore di Milano contro i buoni costumi, rischiavano di finire tutti in guardina.

Ma Renzo non voleva udir ragione, e continuava più forte:

- Ho inteso! siete della lega anche voi! Tutti d'accordo per svaligiare un povero leccodopolitano! Malandrini! vampiri! Sanguisughe, baraòs trapolorum l... Venga il capitano di giustizia!

- Sta zitto, buffone! va a letto! - diceva Silvio Pellico, prendendo un'attitudine ostile, nella speranza che il capitano di giustizia finalmente l'arrestasse.

Il sigaraio, che in questi locali è sempre l'uomo delle grandi situazioni, giunse a far avanzare un taxi fin presso il tavolino di Renzo, e, tutti afferratolo di comune accordo, ve lo caricaron dentro, insieme con la contessa Maffei.

- Dove andiamo? - domandò lo chaffeur scornettando a più non posso.

- All'albergo dei Promessi Sposi, rispose la contessa.

Il tragitto si svolse nel più felice dei modi, con il Capo ciondolante di Renzo appoggiato sul seno matronale della contessa Maffei. Un tenue brumore d'alba orlava le grondaie de' palagi antiqui, e gli spazzini municipali, fischiettando l'ultimo charleston, ripulivano in tutta la sua estensione la Corsia dei Servi. Giunti all'albergo, fu data loro una camera con riscaldamento centrale, e con un letto matrimoniale a due posti - il che sembrerebbe una precisione superflua, se i letti matrimoniali, a Milano, non fossero di solito per tre.

Allo spuntar del giorno, Renzo stava ancor ripetendo valentemente il suo sies haraòs trapolorum, con grande soddisfazione della contessa Maffei che trovava i leccodopolitani alquanto superiori agli sfibrati milanovingi, allorché due potenti scosse date all'uscio ne dischiusero i battenti, e i due sposi novelli non ebbero manco il tempo di rendersi ragione dell'accaduto, né d'interrompere il siés haraòs, che già vider ritto appiè del letto un uomo vestito di nero, con due armati, uno di qua, uno di del capezzale, ovverossìa de' capezzoli della contessa Maffei. E, tra la sorpresa, e il non essere in posizione per ricevere la giustizia, e la spranghetta di quel vino che sapete, Renzo rimase un momento come incantato.

- Orsù! Mi avete sentito una buona volta. Lorenzo Tramaglino? - disse l'uomo dalla cappa nera. - Animo dunque! Levatevi su con la vostra contessona, e venite con noi.

- Lorenzo Tramaglino? - disse Renzo Tramaglino a colui che ardiva chiamarlo Tramaglino; - che vuol dir questo? cosa volete da me? chi v'ha detto il mio nome?

- Meno ciarle, e fate presto, - lo esortò uno de' birri che gli stavano a fianco, prendendogli un braccio, che per isbaglio fu quello della contessa Maffei.

- Giù le mani! - tuonò Renzo, sentendovicisi saltare le zanzare al naso. - Ohe! che prepotenza è questa?!

- Lo portiam via senza camicia? - disse ancora quel birra, voltandosi al notaio.

- Avete inteso? - disse questi a Renzo. - Si farà così, se non vi levate subito per venir con noi. E lei, signora contessa, faccia il favore di coprirsi le pudende.

- E perché? - domando Renzo.

- Il perché lo sentirete dal signor capitano di giustizia.

- Dal capitano di giustizia!? io sono un galantuomo; non ho fatto nulla; e mi meraviglio...

- Orsù, finiamola! - interruppe un birro.

- Lo portiamo via davvero? - propose l'altro.

- Lorenzo Tramaglino! - intimò il notalo.

- Lorenzo Tramaglino? - disse Renzo Tramaglino a colui che ardiva chiamarlo Tramaglino: come sa il mio nome, costui?

- Fate il vostro dovere, - ordinò il notaio ai birri: i quali misero subito le mani addosso alla contessa Maffei, per tirarla fuori dal letto.

- Ehi, dico! non mettete le mani sopra una signora per bene!... La contessa è capace di vestirsi da sé.

- Dunque vestitevi subito - disse il notaio.

- Mi vesto, - rispose Renzo; e andava di fatti raccogliendo qua e i panni sparsi sul letto come gli avanzi di un naufragio sul Lido (l'albergo Excelsior è quello che fa i prezzi più convenienti). Ma nella fretta accadde ch'egli indossasse in parte i panni della contessa Maffei, e questa, in parte, i panni del leccovingioto.

- Voglio andare da Ferrer, - disse Renzo, quando fu pronto, con la sottana ed il boa della contessa Maffei.

- Ferrer è un Grande di Spagna; saprà comprendere la situazione delicata di una dama che si trova in simili frangenti, - aggiunse la contessa Maffei, con i calzoni ed il giustacuore del leccobardo.

- Vi avverto, - disse Renzo ai birri - che non ho l'abitudine di andare in Questura a piedi.

- E nemmeno io, - dichiarò la contessa Maffei, con le mani infilate nelle tasche dei calzoni di Renzo.

- Dunque - dichiarò altezzosamente il leccorioto, - se lei ha da basso un'automobile chiusa, noi veniamo al Palazzo di Giustizia; in caso diverso il Palazzo di Giustizia può venire da noi.

- Il capitano mi dirà che sono un buon a nulla, un pusillanime, - pensò il notaio, - e che dovevo eseguir gli ordini. Malannaggia la furia! Maledetto il mestiere! - Poi fece una carezza a Renzo, un'altra alla contessa Maffei, e disse loro per incuorarli: - L'auto è pronta; si compiacciano di prendervi posto.

Usciti sul piazzale di Porta Renza, videro che già vi era gran folla di gente adunata, la quale commentava sfavorevolmente l'arresto.

- Figliuoli! - gridò Renzo; - la squadra del buon costume mi mena in prigione perché mi ha sorpreso in letto con una donna anziché con un uomo. Ho fatto il dover mio, come ben può attestarlo questa nobil dama che non è più minorenne, e sarei andato oltre, senza l'intervento della forza pubblica. Son galantuomo: aita! aita! non m'abbandonate, figliuoli!

Un mormorio favorevole, voci più chiare di protezione s'alzarono in risposta; i birri, sul principio, comandano, poi chiedono, poi pregano i più vicini d'andarsene, e di far largo; la folla invece incalza e pigia sempre più. Quelli, vista la mala parata, lascian andare i manichini, o manette, o polsiere che dir si voglia, e non si curan più d'altro che di perdersi nella folla, per uscirne inosservati. Il notaro desiderava ardentemente di far lo stesso, ma c'eran de' guai per amor della cappa nera.

- Ah! corvaccio! - incominciò a tuonargli addosso la folla. - Corvaccio! corvaccio!

Alle grida s'aggiunsero gli urtoni, di maniera che in poco tempo, parte con le gambe proprie, parte con le gomita altrui, ottenne ciò che più gli premeva in quel momento, d'esser fuori di quel serra serra.

 

 

 


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