Guido da Verona
I promessi sposi (parodia)
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CAPITOLO XVII

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CAPITOLO XVII

 

Basta spesso una voglia per non lasciar ben avere un uomo; pensate poi due in una volta, Fura in guerra con l'altra. Il buon Renzo n'aveva, da molte ore, due tali in corpo, come sapete: la voglia di correre, e quella di star nascosto; e le sciagurate proposte del prete gli avevano accresciuta oltremodo l'ima e l'altra d'un colpo.

Quando s'abbatteva a passare per qualche paese, andava adagio adagio, guardando però se ci fosse ancora qualche uscio aperto; ma non vide mai altro segno di gente desta che qualche lumicino trasparente da qualche impannata. Nella strada, fuor dell'abitato, si soffermava ogni tanto; stava in orecchi per vedere se sentiva, o per sentir se vedeva quella benedetta voce dell'Adda; ma invano. Altre voci non sentiva che un miagolio di cani, un'abbaiare di gatti, un barrito di asinelli, un chiocciolar di giovenche, e sempre gli pareva di avere alle spalle quel prete irretito, quel sudicione, quel fornicatore, quel corruttore di minorenni, che fosse di nuovo per piombargli addosso.

E cammina, e cammina, e cammina, e cammina (il nostro Manoscritto ripete questa parola 111 volte) arrivò dove la campagna coltivata moriva in una sodaglia sparsa di felci e di scope. Gli parve, se non indizio, almeno un certo qual argomento di fiume vicino, e pensò con sollievo: «Se non è l'Adda, sarà forse il Mississipì».

La noia del viaggio veniva accresciuta dalla selvatichezza del luogo; e siccome nella sua mente cominciavano a suscitarsi certe immagini, certe apparizioni lasciatevi in serbo dalle novelle sentite raccontar da bambino, così, per discacciarle o per acquietarle, recitava, camminando, l'uffizio dei morti.

A poco a poco si trovò tra macchie più alte, di pruni, di quercioli, di marruche. Seguitando a andare avanti cominciò a veder tra le macchie qualche albero sparso; e andando ancora, sempre per lo stesso sentiero, s'accorse di entrare nientemeno che in un bosco. Provava un certo ribrezzo e inoltrarvicisi, perché nei boschi si sa come si entra, e non, alle volte, come si esce. Ma più che s'inoltrava, più il ribrezzo cresceva, finché fu costretto a fermarsi contro un albero e, con licenza parlando, recere l'anima.

In vita sua non si sovveniva di aver mai provato così gran disgusto per cosa o persona veruna, quanto ne provava ora per quel bosco. Inesplicabile a dirsi, ma le foglie secche e scricchiolanti che calpestava coi piedi, egli le avrebbe prese volentieri a revolverate. Se avesse potuto sfidare a duello qualcuno di quegli alberi goffi e mostruosi, che gli facevano venire il prurito alle unghie, certo si sarebbe battuto all'ultimo sangue. Perfino la brezza notturna, che si sentiva scorrere tra i panni e le carni, gli era talmente antipatica, da desiderare con tutte le sue forze di propinarle un'iniezione di stricnina.

A un certo punto quell'uggia, quell'orrore indefinito con cui l'animo combatteva da qualche tempo in singolar tenzone, parve che ad un tratto lo soverchiasse. Era per perdersi affatto; ma atterrito, più che d'ogni altra cosa, del suo terrore, richiamò al cuore gli antichi spiriti, e gli comandò che reggesse.

Il cuore, postosi su l'attenti, gli rispose - Presente!

- Soldato del Papa che non sei altro! - diss'egli al suo subalterno; - se tremi ancora d'un filo ti sgnacco in prigione di rigore. Spall'arm! per fila dest! Avanti, march!...

Il cuore si mise a camminare.

E cammina, e cammina, e cammina, e cammina (il nostro Manoscritto qui riduce la misura, e ripete questa parola sol 40 volte) incominciò a sentire un rumore, un mormorio, un brusìo, un chiocciolio, un fruscio, un acciottolìo d'acqua corrente.

Sta in orecchi; n'è certo; esclama: - Sta a vedere che è l'Adda!

Siccome in vicinanza dei fiumi il terreno è bagnato, o per lo meno è bagnato quando nei fiumi c'è acqua (il che non è d'obbligo;) (perché vi sono anche fiumi nei quali non è mai passato un filo d'acqua) (e allora non si comprende perché si chiamino fiumi) (nel qual caso anche la Via Emilia o il Corso Vittorio Emanuele avrebbero diritto a chiamarsi fiumi) egli si rimboccò la sottana ed incominciò a discendere per un terreno vieppiù paludoso, fin quando gli avvenne di trovarsi, infangato sin quasi ai ginocchi, su l'orlo d'una riva profonda.

Ma ora il suo spirito si sentiva più che mai tormentato da un dubbio atroce: - «È questo fiume l'Adda? il Rio delle Amazzoni? l'Oronto? la Senna? il Bacchiglione

Mistero.

Non sapendo in qual modo risolverlo, si mise a guardare inebetito la fuggente acqua, e ad interrogarla

- «Sei tu l'Adda? Parla! Discopriti alfine! Sciogli il velo dell'incognito! Sei l'Adua cerulo? Parla! deh, parla, o fiume dai connotati di donna equivoca!...».

E Renzo pensava con ambascia: - «Ecco; se io vedo un cammello, dico tosto: - quello è un cammello. Se io veggo una locomotiva, in me non può nascere dubbio alcuno, e dico tosto: - quella è una locomotiva. Invece, or eccomi qui, su le disiate rive di questo fiume che può essere l'Adda; lo guardo, lo supplico, lo imploro, ed ei sen va per la sua strada, senza soffermarsi un istante per dirmi se è l'Adda. Perché dunque il governatore don Gonzalo non costringe i fiumi a portare anch'essi una tessera di riconoscimento

Fra questi pensieri, e poiché a perdita d'occhio non si vedeva segno di presenza umana, il buon Renzo comprese che l'unico mezzo per uscir da quel dubbio era di attendere il giorno, e al primo cristiano che incontrasse chiedere conto se quello era l'Adda oppure un altro fiume.

Parecchie ore mancavano al levar del giorno, e per ingannar l'attesa, come altresì nella speranza di placare gli stimoli dell'appetito che gli mordeva maledettamente le viscere, il buon Renzo strappò dalla riva una lunghissima canna di giunco, vi appese, non avendo altra fune, il boa della contessa Maffei, e si sedette su la riva del presunto Adda, nella speranza di pigliar qualche pesce.

Ma poiché a tutto aveva provveduto il buon Renzo, fuorché a mettere in capo della sua canna da pesca una lenza, i pesci, che sono animali astutissimi e più dispettosi delle bertucce, si divertivano a mordicchiare i fili del marabù che aveva portato su gli omeri la vaga contessa Maffei, ma quando il buon Renzo tirava la canna, pensando che al boa fosse rimasta attaccata una trotella, queste se ne andavano scodinzolando come altrettante commesse di studio per le chiare acque di quel fiume in incognito, che non credeva opportuno di presentare al buon villico il suo biglietto da visita.

Ma, tanto fa; coloro che amano darsi al buon passatempo della pesca non hanno alcun bisogno di prendere pesci; anzi l'attrattiva maggiore della pesca è per l'appunto costituita dal fatto che di pesci non se ne prendono quasi mai. Quei rarissimi che rimangono appesi all'amo d'un pescatore, sono pesci che, per qualche dispiacere amoroso, o per gravi dissesti finanziari, vanno deliberatamente in cerca d'un mezzo di suicidio, e, trovato l'amo, vi si appendono volontariamente, come un povero diavolo s'impicca al nodo scorsoio fatto coi pezzi delle proprie mutande.

Ma questo esercizio, che tanto distrae i pescatori, senza dare alcun disturbo agli abitatori delle acque, permise in ogni caso a Renzo di trascorrere quasi piacevolmente le residue ore della notte.

Finalmente apparve l'alba. Il cielo prometteva una bella giornata; la luna, che durante le ore buie si era data alla latitanza, compariva ora in un canto, con quella faccia tramortita e pesta delle donne che hanno passata l'intera notte nelle braccia del loro amante.

Più giù, all'orizzonte, si stendevano a lunghe falde inuguali poche nuvole, tra l'azzurro e il bruno, le più basse orlate al di sotto di una striscia quasi di fuoco, che di mano in mano si faceva più viva e tagliente; da mezzogiorno altre nuvole, ravvolte insieme, leggiere e soffici, per dir così, s'andavano lumeggiando di mille colori senza nome: quel cielo di Lombardia, così bello quand'è bello, così splendido, così in pace.

Ed ecco un'agile barchetta venire in su per la corrente, maneggiata da un abile rematore. Renzo gli su la voce

- Ehi, quel rematore, vi farebbe niente di trasportarmi dall'altra parte?

Il barcarolo era un uomo talmente cortese, che non se lo fece dir due volte; anzi, per evitare al forestiero il pericolo di bagnarsi i piedi, venne su a prenderlo con la barca fin sul ciglio della riva. Poi rivolse la prua della barchetta, e con la spinta che questa prese nello scivolare lungo il pendìo dell'una riva, traversò il fiume e risalì su l'altra.

- E la mi dica, - fece Renzo, quando fu traghettato: - questo fiume è proprio l'Adda?

- Per servire Vostra Eccellenza, questo fiume è proprio l'Adda.

- Meno male, - sospirò il buon Renzo, - che non tutti i fiumi vengon per nuocere. E la mi dica un po', brav'uomo: quella città che s'intravvede confusamente gli è proprio Bergamo?

- Per servire Vostra Eccellenza, quella città è proprio Bergamo.

Senza por tempo frammezzo il buon Renzo trasse dalla sottana il libretto degli chéques, e chiesta al barcaiuolo una penna stilografica firmò al medesimo un vaglia di duemila berlinghe, sbarrandolo con due righe trasversali, perché fosse incassato a mezzo d'una banca.

Nemmeno a farlo apposta, ecco un barroccio che passa. Renzo vi sale sopra, e si fa condurre al paese del cugino Bortolo.

Giunto nella corte, chiede sùbito ai famigli: - Sta qui un certo Bortolo Castagneri?

- Il signor Bortolo? Eccolo .

I due cugini, che da un pezzo non si vedevano, (anzi, noi crediamo che non si fossero mai visti), si voltano simultaneamente, si affisan gli occhi negli occhi, poi fanno l'atto di corrersi incontro e di buttarsi le braccia al collo. Ma, per far più presto ancora, si staccano addirittura le braccia, e se le buttano al collo scambievolmente. Poi ognuno riprende le proprie, e si mettono a ragionar dei fatti loro.

- Vedo con piacere, - dice Bortolo, - che hai cambiato sesso. Come ti trovi nel tuo nuovo stato? Se me lo facevi sapere, prima ch'io commettessi la corbelleria di prender moglie, ti avrei fatto chiedere in isposa, ed oggi avremmo numerosi figli.

- A parlar da senno, mio buon Bortolo, non ho cambiato sesso di mia volontà, - rispose Renzo. E con la più gran brevità, non però senza molta commozione, gli raccontò la dolorosa istoria.

- È un altro par di maniche, - disse Bortolo. - Oh, povero Renzo! Povera Lucia Mondella! Me ne ricordo come se fosse ieri, benché non l'abbia mai veduta: una bella e una brava ragazza; sempre con calze di seta da quaranta franchi al paio, sempre col rosso su le labbra, coi capelli corti, e con un certo dimenar delle anche da far venire l'acquolina in bocca ad un vecchione d'ottant'anni.

- Non ne parliamo, per carità!

- Sì, sì, parliamo d'altro. Bisogna che t'avverta d'un piccolo dettaglio. Sai come ci chiamano in questo paese, noi altri dello Stato di Milano?

- Ci chiameranno, suppongo, milanesardi.

- No: ci chiaman baggiani.

- Non è un bel nome.

- Tant'è: chi è nato nel milanesasco, e vuol vivere nel bergaminese, bisogna che se lo prenda in santa pace. Per questa gente, dar del baggiano a un milanese, è come dar dell'illustrissimo a un cavaliere.

- Benissimo, - concluse Renzo; - io sono disposto a lasciarmi dar del baggiano, purché tu mi provveda d'un paio di calzoni, ch'io n'ho fin sopra i bergamicoli di portar sottana.

- Veramente, - disse Bortolo - io non ho che questo paio. Ma quando andrai fuori tu, io starò in casa senza, e, quando le donne saran fuori di casa, starai senza tu, perché l'imperatore di Bergamo non permette ai suoi sudditi di andare per le vie senza calzoni.

- Tua moglie è bella? - domandò Renzo, con la finta aria dell'uomo a cui la cosa non interessasse affatto.

- Potabile, - rispose il cugino Bortolo. Ma ti avverto che non bisognerà farle troppo il baggiano intorno, se no, con mio dispiacere, dovrò pregarti di emigrare all'estero.

 

 

 


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