IntraText Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText | Cerca |
Poco dopo un bravo, spedito per notizie, venne a riferire che il giorno avanti, il cardinal Federigo Borromeo, arcivescovo di Milano, era arrivato a ***, e ci starebbe tutto quel giorno; e che la nuova sparsa la sera di quest'arrivo ne' paesi d'intorno aveva invogliati tutti d'andare a veder quell'uomo; e si scampanava più per allegria che per avvertir la gente.
- Corpo d'un cane! - pensò l'Innominato, - se tutti vanno a vederlo, vado a vederlo anch'io.
Aveva passata una magnifica notte fra le calde braccia di Lucia Mondella, che sapeva compier miracoli di gran lunga più stupefacenti che non compisse il cardinal Federigo; l'Innominato era dunque d'eccellente umore. Si mise indosso una casacca d'un taglio che aveva qualcosa del militare, prese la terzetta rimasta sul letto, e l'attaccò alla cintura da una parte; dall'altra un'altra, che staccò da un chiodo della parete; mise in quella stessa cintura il suo pugnale, e staccata pur dalla parete una carabina famosa quasi al par di lui, se la mise ad armacollo; si cacciò per ogni tasca un paio di rivoltelle automatiche; si armò del suo trombone; al fianco mise una scimitarra e nelle àsole della cintoliera quattro o cinque buone lame di Toledo; si munì per ogni occorrenza di una leggera mitragliatrice, e, così equipaggiato, scese per l'erta del castello verso la strada provinciale, senza farsi accompagnare - cosa del tutto insolita - da veruna scorta.
A questo punto della nostra storia non possiamo far a meno di non fermarci qualche poco, come il viandante, stracco e tristo da un lungo cammino per un terreno arido e salvatico, si trattiene e perde un po' di tempo all'ombra di un bell'albero, su l'erba, vicino a una fonte d'acqua viva.
Ciò, ben s'intende, se quel viandante avrà avuta la precauzione di mettersi in cammino durante l'estate; che se per caso, invece, egli è partito nel cuor dell'inverno, l'albero è senza foglie, l'erba non c'è, la fonte è ghiacciata, e se quel viandante stracco e tristo volesse nondimeno far prova di sedersi nel campicello, non rischierebbe altro che di bagnarsi i calzoni.
Tuttavia noi profitteremo di tale sosta, per narrare la storia del cardinal Borromeo.
Federigo Borromeo, nato nel 1564, aveva il naso più lungo e più ridicolo che si fosse mai veduto nella cristianità, dopo quello di Ovidio Nasone, che però era pagano. Federigo fu di quegli uomini, tutt'altro che rari in qualunque tempo, i quali, senz'aver fatto mai nulla di egregio né d'interessante al mondo, riescon ciononostante a divenir famosi tra i contemporanei, maggiormente ancora nella memoria dei posteri.
Egli era nato, da quello che abbiamo potuto sapere, alle isole Borromee, che si trovan nel Lago Maggiore, davanti a Stresa, quasi dirimpetto all'Hotel des Iles Borromées, dal quale, tanto lui come le isole, presero il nome. Sebbene gli storici sian discordi nello stabilire in quale precisamente di dette isole il grande Federigo avesse avuto i natali, a noi consta, per accurate indagini che abbiamo esperite senza badare a spese, ch'egli nacque nell'Isola Bella, della quale divenne Cardinale non appena fu tolto da balia.
Nel 1580, dopo essere stato Cardinale per sedici anni, manifestò la risoluzione di dedicarsi al ministero ecclesiastico, e sembrandogli che fosse necessario dare un luminoso esempio di modestia, per infrenare la corsa degli ecclesiastici al passaggio di grado e all'aumento di stipendio, risolse di ricominciar la carriera da semplice prete.
E questo fece ben undici volte nel corso della sua vita, perché suo cugino Carletto - detto anche San Carlo Borromeo - unico uomo allor vivente che potesse vantarsi d'avere un naso più lungo del suo, non appena Federigo si ordinava prete, in pochi mesi lo nominava Cardinale, e Federigo, vuoi per far dispetto al cugino, vuoi perché, in sua modestia, temesse di vedersi eletto al Pontificato, non appena riceveva il brevetto di cardinale, in fretta e furia lo metteva in un'altra busta, lo rispediva al cugino, e si riordinava prete.
A tavola era uso mangiare frugalmente, tranne quando era la stagione delle allodole e delle beccaccine, di cui era ghiottissimo, e ne faceva di grandi scorpacciate. Usava portare abiti semplici e molto rammendati, scarpe senza grazia e spesso rattoppate, probabilmente per non dar nell'occhio all'agente delle tasse.
Nel 1595, altra seccatura. Il papa Clemente VIII gli manda a proporre l'arcivescovado di Milano. Federico, al pari di colui «che fece per viltade il gran rifiuto», esita, tentenna, si schermisce, infine manda a dire al Papa ch'egli avrebbe deciso, per la ennesima volta, di riordinarsi prete. Clemente, che aveva un caratteraccio orribile, va sulle furie. Gli fa un telegramma, del quale è conservato l'originale nella biblioteca Ambrosiana, in cui gli dice: «O mi fai l'arcivescovo, o ti obbligo a prender moglie.»
Federigo scelse di far l'arcivescovo, ed ebbe ragione; perché, tra due mali, è sempre conveniente scegliere il minore.
Ricco a milioni, era in tutto liberale, fuorché nello spendere. La famiglia dei Borromei, tanto illustre per il suo casato e per il suo fasto, strepitava ch'egli la disonorasse con la sua grettezza nel tenor di vita, e col portare abiti che non fossero fatti da Prandoni. Ben più accorto, Federigo spendeva moltissimo in libri, però a condizione che li dovesser leggere gli altri, e non lui. Un bel giorno, infatti, il capo-reparto dell'antiquaria di Hoepli gli propose l'acquisto d'una miscellanea libraria composta di ben 30.000 volumi. Federigo, dopo aver tirato un po' sul prezzo, fece l'acquisto, e con tale stock di letteratura amena e scientifica, ritenuto per quel tempo invendibile, fondò la Biblioteca Ambrosiana. Ad essa prepose un collegio di nove dottori, dei quali uno soltanto sapeva leggere e scrivere, per il che fu nominato il Prefetto dell'Ambrosiana. Poi v'unì un collegio da lui detto trilingue, perché cotesti dottori avevan la lingua talmente lunga, che s'egli non li avesse nominati in quel collegio, a far niente dalla mattina alla sera, gli avrebber messa la rivoluzione in tutta la diocesi.
Federigo teneva l'elemosina propriamente detta per un dovere principalissimo. Ogni volta che incontrava presso le soglie dell'Arcivescovado un certo storpio il quale si faceva condurre in carrozzella da un can barbone, dava ordine al suo elemosiniere di regalargli dieci centesimi. Altre volte, bizzarro e disuguale di spirito come son tutti gli uomini d'intelletto superiore, scialacquava in elemosine regali, come si vedrà dal solo esempio che citeremo qui appresso.
Avendo risaputo che un nobile usava artifizi e angherie per far monaca una sua figlia, la quale, al paro di tutte le monache, desiderava piuttosto di prender marito, fece venire il padre; e cavatogli di bocca che il vero motivo di quella vessazione era il non avere quattromila scudi che, secondo lui, sarebbero stati necessari a maritar la figlia convenevolmente, Federigo la dotò di quattromila scudi.
Forse a taluno parrà questa una larghezza eccessiva, non ben ponderata, troppo condiscendente agli stolti capricci d'un superbo; e che quattromila scudi potevano esser meglio impiegati in cent'altre maniere.
A questo non abbiamo nulla da rispondere; ma può anche darsi che la ragazza gli piacesse.