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Il cardinal Federigo, intanto che aspettava l'ora di andare in chiesa a celebrar gli uffizi divini, stava studiando i numeri del Lotto, com'era solito fare in tutti i ritagli di tempo, quando entrò il cappellano crocifero con un viso alterato
- Una strana visita, strana davvero, monsignore illustrissimo!
- Chi è? - domandò il Cardinale.
- Niente meno che il signor *** - riprese il cappellano; e spiccando le sillabe con una gran significazione profferì quel nome che noi non possiamo rivelare ai nostri lettori, scusandoci anzi di averlo già detto.
- Lui?! - esclamò il Cardinale, chiudendo il libro della Cabala, da cui era già presso a ricavare un terno. - Venga, venga sùbito!
- Ma lei sa, illustrissimo, che costui è un appaltatore di delitti, un disperato, che tiene corrispondenza co' disperati più furiosi, e che può essere mandato...
- Oh che disciplina è cotesta, - interruppe ancora sorridendo Federico, - che i soldati esortino il generale ad aver paura?
Il cappellano crocifero se ne uscì con la coda fra le gambe. Andò presso a quella panoplia ambulante, e gli disse
- Monsignore aspetta Vossignoria. Vossignoria si contenti di venir con me.
In capo di pochi minuti i due grandi uomini si trovaron di fronte.
- Ciao, Federigo! - fece l'Innominato.
- Oh, come sta? - rispose il Cardinale tendendogli la mano.
- Si tira là da poveri vecchi.
- Tanto piacere di conoscerla.
- Il piacere è tutto mio.
- Se posso servirla in qualcosa, dica pure, non si faccia scrupoli; sono qui tutt'orecchi per ascoltarla.
- Vede... - spiegò l'Innominato; - parlando con lei, che è tanto un galantuomo, io, che sono tanto una canaglia, mi sento orribilmente impacciato.
- Lasci correre... Prima di tutto, un uomo il quale confessa di essere una canaglia, lo è, nel peggior dei casi, soltanto a metà; in secondo luogo io sono avvezzo a ricevere tante canaglie le quali si dicono pecorelle del Signore, che francamente ho quasi piacere, se lei è una canaglia per davvero, a stringerle la mano.
- Allora me la stringa.
- Ecco qua. Veramente avrei dovuto venir io prima da lei...
- Ma che dice, monsignore illustrissimo? lei mi confonde!
- Niente affatto! niente affatto! Avrei dovuto venir io prima da lei, ma non sapevo con esattezza quale fosse il suo giorno di ricevimento.
- È il martedì, monsignore, salvo se cade in giorno festivo.
- Lei dunque rispetta la festa?
- Porco sciampino! si capisce che la rispetto! Mi perdoni, sa, reverendo, la libertà eccessiva della frase.
- Niente di male, niente di male! Se vuol servirsi, eccole una presa di tabacco.
- Con sua licenza, don Federigo, preferirei accendere un toscano.
- Prego; faccia pure i suoi comodi. Ne vuole mezzo?
- Veh... quasi, quasi... Ecco per lei. Si prenda pure la metà più grossa. I preti sono sempre quelli che amano farsi la parte del leone. Ehi, Federigo!...
- Come dice?... parla con me?...
- Sì, con te. Cosa ne diresti, Federigo, se ci dessimo del tu?
- Ah?... benissimo! Diamoci pure del tu.
- Stammi a sentire, Federigo. Io sono un brutto muso duro, di quelli che vanno per le spicce. Ho commesso molti peccati in vita mia. Ne ho fatta una più che Bertoldo. Adesso comincio a diventar vecchio, benché non ti nasconda che questa notte... ehm! ehm!... bene, di questo parleremo in séguito. Incomincio dunque a diventar vecchio e, non so come, da qualche tempo, sto per commettere la corbelleria più grossa di tutta la mia vita: pentirmi dei miei peccati.
- È la Provvidenza che t'illumina.
- No: è la Provvidenza che mi rimminchionisce. Siamo franchi, siamo precisi; nella vita bisogna scegliere fra due strade: o non commettere il male, o non pentirsene. Tu sei un sant'uomo; tutti lo dicono, io voglio crederlo: cerca dunque di non infinocchiarmi anche tu.
- Io non sono affatto un sant'uomo. La mia vita è forse più nera della tua, perché il male che feci seppi di commetterlo, e tu no. Le colpe che soffocai nel mio corpo e nel mio spirito mi hanno avvelenato, mentre tu, avendo il coraggio di commetterle, te ne sei liberato. Il mio mestiere nel mondo è quello di fare il bene; un mestiere come tutti gli altri, al quale ci si abitua, e che talora è facilissimo esercitare senz'alcuna bontà.
- Tu m'incanti, Federigo; sei una sirena, sei un delfino. Se vai avanti di questo passo fra poco io prendo in mano il tuo pastorale, e ti metto in ispalla il mio trombone.
- A proposito: perché ti sei armato fino ai denti per venire a visitare un uomo inerme?
- Ragioni di mestiere, caro Federico. Se io ti domandassi perché ti sei messo quella sottanella scarlatta, quello spolverino viola, quello zucchetto rosso, tu mi risponderesti che ti sei vestito com'è indispensabile per fare il tuo mestiere di cardinale. Ebbene, io ti rispondo la stessa cosa, Federigo: quando si fa il mio mestiere di tiranno e di ribaldo, è necessario andare per la strada armato fino ai denti. Vulgus vult decipi.
- Corpo d'un diavolo! e ne dubiteresti anche? Son stato in collegio di preti fino ai diciassette anni.
- Lo dicevo io che un birbantone della tua forza non poteva essere uscito che da un collegio di preti!
- Ehi!... ehi!... andiamo adagio coi termini, perché a sentirmi trattar di birbantone c'è pericolo che mi salti la mosca al naso. Se mi salta, tiro fuori la terzetta: e allora, si salvi chi può!
- Spara! - fece il cardinale Federigo, prendendo la posa di Napoleone su lo scoglio di Sant'Elena.
- Mai no! - rispose ridendo l'Innominato. - Mi sei troppo simpatico! In fondo i miei delitti sono alquanto più lievi che non mi attribuisca la leggenda. Se non voglio che mi riducan sul lastrico e mi facciano a pezzi, devo mantener la mia fama d'uomo terribile. A dominar questi villani caparbi, a tenere in freno questi baroni prepotenti, occorre un pugno di ferro; se molli, sei fritto! Stammi a sentire, Federigo; sono venuto da te per un faccenda molto seria.
- Molto seria?
- Seriissima. Ho 164 anni, e sono innamorato di una ragazza che ne ha poco più di venti. Innamorato cotto, innamorato da non star più nella pelle, e purtroppo la cosa dura già da un pezzo, cioè da ieri.
- Ecco: è il grande amore. Quello dei 164 anni; l'unico amore che resta, fra tutti quelli che passano. L'archibugio non risponde più ai tiri di precisione, ma fa lo stesso: non si è mai avuto maggior desiderio di cogliere nel segno. Mi comprendi?
- Peuh... - rispose il Cardinale, tenendosi un dito tra i labbri come usano fare i bambini.
- Questa fanciulla della quale sono innamorato, l'ho fatta rapire ieri, e lassù nel mio castello, però consenziente. Questo sarebbe nulla. Ma l'ho fatta rapire per conto d'un amico, un vero brigante quello là, il quale mi ha carpita la promessa di rendergli questo servizio. Allora non conoscevo la ragazza; adesso che l'ho vista, e che l'ho messa diremo così alla prova, non gliela voglio più dare. Ma non voglio nemmeno tenermela; e sai perché?
- Per spirito di carità cristiana.
- Nespole! Macché spirito di carità cristiana! La ragione è ben diversa. Un uomo di 160 anni e una ragazza di venti, lo sai come va a finire? Che il vecchio va al cimitero e la ragazza eredita. Ora ti confesso, Federigo, che ho l'intenzione di vivere un altro mezzo secolo; ma debbo avere certi riguardi alla mia salute.
- Benissimo: e io cosa c'entro?
- Pianonino; lasciami dire., vedrai che c'entri. Siccome non voglio darla all'altro perché sono geloso, e non voglio tenerla con me per non stancarmi troppo, bisogna pure che trovi una soluzione.
- Non vorrai mica darla a me per caso?
- Carino lui! gli piacerebbe!...
- Vade retro Satana! Sei venuto da me per un consiglio, ed io te lo do secondo coscienza: riconduci la ragazza dove l'hai rapita.
- Bel consiglio! Se sapevo che non avresti avuto altro da dirmi, non facevo tutta la discesa a piedi. Prima di tutto c'è frammezzo un grosso imbroglio, d'un fidanzato, d'un cappuccino, d'un curato, d'un tentato matrimonio per forza: il tutto per causa di quel gran brigante che venne a chiedermi di rapirgliela. Poi la ragazza è già stata nei monasteri; dunque non è più del tutto un'ingenua. Fatte le somme, non convien per ora che torni ai suo paese. In ultimo tu capirai che noblesse oblige, e ch'io non posso, con quel mio amico, far la figura di carpirgli l'oggetto dei suo sospiri, se proprio non vi sono costretto da una forza superiore ed incontrastabile. C'è poi una ragione di prestigio anche di fronte al pubblico, poiché le ragazze, come diceva il buon marchese Colombi, si rapiscono o non si rapiscono. Ragione per la quale mi risolsi a venire da te.
-Da me?...
- Sì. Tu hai giurisdizione sopra quel curato, che per paura non fece il matrimonio. Chiamalo, dagli ordine che faccia il matrimonio, si sposino, e sia finita. A quel birbante io poi dirò che il mio dovere l'avevo compiuto secondo la promessa; ma che, appena avvenuto il rapimento, il cardinal Federigo si precipitò da queste parti, col pretesto d'una visita pastorale, in verità perché geloso come un turco di questa bella ragazza.
Il Cardinale, sempre col dito in bocca, tentennava ostinatamente il capo.
- Sei o non sei un sant'uomo?.. - insistette l'innominato. - Se certe buone azioni non le fanno i cardinali, chi dovrebbe farle? noi malandrini?
- Giusto, - rispose Federigo; e suonò il campanello per chiamare il cappellano crocifero.
- Guardate un po' là fuori, se frammezzo a tutta quella pretonzolerìa non ci fosse per caso un certo don Abbondio.
- Nemmeno a farlo apposta, don Abbondio era là; il cappellano crocifero andò a chiamarlo; e sudato e rosso e lucido come un bel maialetto d'india, fu sùbito introdotto alla presenza dei Cardinale.
- Con due dita per mano prese i rigonfi della sua sottana, fece una bella reverenza, lasciando scivolare indietro il piede sinistro, poi disse;
- M'hanno significato che vossignoria illustrissima voleva me; il curato sono me; ma io credo che abbiano sbagliato.
- Non hanno sbagliato affatto; siete voi don Abbondio?
- Per servirla.
- Tutti i preti sanno cavalcare chi più, chi meno. Vi sarà data una mula...
- Femmina?
- Sì, femmina; se no avrei detto un mulo.
- Come piace a Vossignoria illustrissima. E poi?
- E poi andrete con questo sant'uomo...
- Questo gentiluomo che avete in vostra presenza e che seguita a farsi il segno della Croce.
- Quello lì che sembra un tiro a segno? Ah no, no! ah, no, no! Piuttosto mi spreto.
- Andrete! - intimò il Cardinale, con una voce che non ammetteva repliche.
- «Maledetta Perpetua!» - pensò don Abbondio - «Cosa le viene in mente di mandarmi a figurare tra questi stoccafissi!...». - Poi aggiunse con voce compunta:
- Se vostra Eminenza ha proprio deciso di prendersi la mia pelle, va bene, andrò. Mi dia tempo di scrivere due righe di testamento, poi salirò a cavallo di chi vuol lei.
- Andrete con questo sant'uomo e farete tutto quello ch'egli vi ordinerà.
- D'accordo. Ma se mi ordina di ricevere una schioppettata nel ventre?
- La riceverete.
- «Jesus Maria! se fossi nato protestante!...».
- Che avete detto?
- Nulla, nulla, Monsignore illustrissimo. Dicevo, come dico per solito: quei razza di cani di protestanti!...
- Va bene, va bene. Meno chiacchiere e più obbedienza. Ho ha darvi un soavissimo incarico...
- Soavissimo lo dice lei.
- Giudicatene voi, signor curato Una vostra parrocchiana, che avrete pianta per ismarrita...
- E chi ha pianto? Io, per caso? Lei me la conta bella, me la conta, Monsignore illustrissimo!
- Dicevo per dire. Si tratta in ogni caso d'una vostra parrocchiana, Lucia Mondella.
- Ah... quella spitinfia!...