Guido da Verona
I promessi sposi (parodia)
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CAPITOLO XXXIV

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CAPITOLO XXXIV

 

In quanto alla maniera di penetrare in città, Renzo doveva stare bene in guardia, poiché, come Tramaglino, aveva su le spalle un mandato di cattura per reati politici, e, come Antonio Rivolta, un procedimento penale per bancarotta fraudolenta. Con queste prerogative, non farà stupore se, alla stazione di Milano, i capi-servizio e gli agenti in borghese gli facevano tanto di cappello.

Uscito sul piazzale della stazione, Renzo si guardò intorno, come persona incerta sul da farsi. Era la mezzanotte meno venti.

- Albergo Vecchio Cervo! - Hotel Ginepro! - Convento Vecchio! - Hotel Fontana! - Albergo Ristorante Due Spade! - Biscione Palace! - Rebecchino e Gambero! - gridavano gli strilloni degli alberghi, per allettare l'unico forestiero giunto a Milano coi treni della sera. Ma Renzo, che, da buon leccoburghese, non amava esser preso per fesso, infilò a piedi il piazzale della stazione, e scese con la sigaretta in bocca per la via Principe Umberto.

Quella sera i milanesardi si facevano veder poco per istrada. Nonostante la sua reputazione d'essere una città allegra e piena di divertimenti, Stramilano, poco prima di mezzanotte, gareggiava in brillantismo con Zelobuonpersico. Ai tavolini del bar con Privativa qualche pensionato consumava sorso a sorso l'ultimo bicchiere di birra. Alcuni eleganti in maniche di camicia portavano la giacchetta sul braccio e cantavano a voce spiegata una canzonetta venuta di moda con la peste:

 

Non arrabbiarti...

la vita è breve...

 

I carrozzoni del tram (verdi, anzi verdissimi) andavano senza tregua da piazza del Duomo alla Stazione, dalla Stazione a piazza del Duomo, trasportando alcuni appestati, morti (dal sonno). I «taxis» (verdi anch'essi, anzi verdissimi) - con un'andatura da circuito d'Indianapolis s'inseguivano ruota a ruota, in una caccia sfrenata all'introvabile cliente. La via Principe Umberto, nelle sue vetrine meglio illuminate, era tutta un cantiere di pompe idrauliche. Però c'era l'immancabile negozio della «Fiat», che prometteva, oltre gli altri vantaggi, l'immunità contro la peste a chi si rendesse acquirente d'una «509» a rate.

«Volete un mezzo sicuro per sfuggire alla peste? Comprate una «509», guida interna. Due berlinghe subito; il resto a cura degli eredi. Per chi desideri vetture più potenti, abbiamo altri modelli nell'interno».

Arrivato in piazza Cavour, Antonio Rivolta gettò un ultimo sguardo, nostalgico e sconsolato, sopra il Naviglio che stavano ricoprendo. Questa misura profilattica e circolatoria era stata voluta dagli edili e dai Decurioni contro il parere del medico Tadino e dello stesso protofisico Ludovico Settala; al quale, benché ottantenne, era nato, in séguito alla peste, un decimo figlio.

In via Alessandro Manzoni che fu costruita e dedicata al grande romanziere circa tre secoli prima ch'egli scrivesse i suoi celeberrimi Promessi Sposi, - Antonio Rivolta incontrò finalmente un passante, al quale si avvicinò con l'intenzione di chiedergli un cerino. Ma non era ancor giunto a dieci metri da costui, che il passante estrasse un paio di «browning», gliele puntò contro, si mise con le spalle al muro, ed incominciò ad urlare con quanto fiato aveva in corpo: - «Largo! largo! Via! via! via! Dagli all'untore!.».

- Untore a me?... - disse Antonio Rivolta, saltando di piè paro tutta la via Manzoni fino all'altro marciapiedi. - Misura i termini, ehi, dico!... E metti via quei due pistoloni, che poi ti concio per le feste!

Al rumore dello schiammazzo accorse un vigile notturno, (corpo istituito per far credere che Milano possieda una vita notturna). Questi vigili di fatti passeggiano tutta la notte con un pechinese od un lulù di Pomerania al guinzaglio (perché fanno commercio di cani) e vengono chiamati a prestar servizio di levatrici, in casi d'urgenza.

Arrivato in piazza della Scala, Antonio Rivolta, con grande rispetto, si levò il cappello. Nella piazza non v'era che uno spazzino, il quale ne rimondava il pavimento con l'aspiratore elettrico della polvere. È mai possibile che Antonio Rivolta volesse dare a questo umile funzionario un così particolare segno di rispetto? Poiché la cosa non è credibile, intendeva egli, con quella scappellata, salutare Leonardo da Vinci, che ogni settimana cambiava mestiere, non riuscendo a far buoni affari in nessuna professione? O salutava egli, davanti al tempio dell'arte lirica italiana, il maestro Toscanini, che già i milanesardi riverivano ed ovazionavano molti secoli prima della sua nascita, o Giovacchino Forzano, che in quella settimana (siamo nel 600) aveva rappresentate con successo quattordici novità, senza contare i libretti d'opera, ed altre cose di minore importanza?.

No; Antonio Rivolta, con quella scappellata, salutava la Banca Commerciale, che per lui, agente di cambio, rappresentava il sancta sanctorum di tutte le speculazioni e di tutte le speranze. Di infilò la Galleria, costruita dal Mengoni per ordine di Ludovico il Moro; e poiché v'erano soltanto le sedie dei ristoranti, a cataste, con le gambe all'aria, sbucò da essa in piazza del Duomo. Era questo un monumento antichissimo, che datava da prima del Mille. Fu la regina Teodolinda, che, per una delle sue originalità (un'altra fu quella del suo famoso ventaglio) ebbe l'idea di far costruire questa grande basilica incominciando dall'alto, cioè dalla Madonnina. Di secolo in secolo, anziché dal basso in alto, si procedette a costruire dall'alto in basso, cosicché ora soltanto se ne stanno ultimando le fondamenta. È un pregiudizio quello d'incominciare gli edifici dal pian sotterra, perché i migliori architetti, dovendo fare una chiesa, hanno sempre incominciato a mettere prima le campane, poi la parte superiore della torre campanaria, poi le vòlte delle navate, e infine, come cosa del tutto accessoria, i sotterranei e le fondamenta. A conti fatti, la spesa è la stessa.

Ma il nostro Antonio Rivolta non aveva che un pensiero: trovar qualcuno che gli desse ragguagli sul casato e su l'indirizzo in città di donna Prassede, poiché il turcimanno, di Agnese aveva talmente contraffatti que' nomi, da non poter affatto raccapezzàrvisi, nemmeno con l'aiuto d'una guida telefonica. Per fortuna in piazza del Duomo c'erano ancora un paio di trabiccoli che vendevano il sorbetto, e alcuni sfaccendati che facevan le corse con gli occhi bendati. Sotto lo zoccolo del monumento altri milanesardi giuocavano a tresette o a scopa d'assi. Alcune coppie d'innamorati si perdevano, a braccetto, nella bianca solitudine ch'era dinanzi al tempio.

Il nostro Antonio Rivolta, solo preoccupato di ritrovar Lucia, s'appressò ad un gruppo di giocatori, e veduto che l'un d'essi, col braccio destro in aria, stava per dichiarare una magnifica scopa d'assi, toltosi il cappello com'è costume di buona creanza discorrendo a persone che non si conoscono

- Scusino, lor signori, - fece il nostro villico: - saprebbero dirmi per avventura dove abita una certa donna Prassede, maritata a un cotale don Ferrante?

- Va a morire ammazzato! - fu la risposta che gli venne da colui che stava dichiarando la scopa d'assi.

Il nostro Antonio Rivolta comprese che quelli non lo sapevano. Si rimise il cappello, per poterselo togliere un'altra volta, e rivoltosi ad un altro gruppo di giocatori che stavano mischiando le. carte, ripetè la medesima domanda.

- Ma sì, donna Prassede... - fece uno di costoro, mentre gli altri ridevano; - è quella di via Tadino.

- Lei cerca una bella ragazza, - osservò un altro.

- Precisamente. Come fa lei a saperlo?

- Se vuole tutti gli indirizzi di Milano, io posso accompagnarla, - propose un terzo.

- Non s'incomodi; andrò io stesso. Questa via Tadino, se non erro, è nel borgo di Porta Orientale.

- Appunto, appunto. Si vede che lei è un frequentatore. Tanti auguri, signor forestiero!

- I miei convenevoli a lor signori, - disse il nostro buon villico, rimettendosi il cappello, per poterselo togliere ancora una volta.

E passo passo, per un dedalo di viuzze che menavano alla Corsia de' Servi, il nostro Antonio Rivolta s'incamminò verso la rinomatissima casa di donna Prassede, ov'egli non era mai stato. Per quelle viuzze, i marciapiedi angusti erano abbastanza affollati. Alcune donnine, vestite nelle fogge più strane, vi sgambettavano facendo stralucere sotto i lampioni le loro calze di seta artificiale. Porticciuole ambigue si aprivano un po' dappertutto; scalette rivestite di piastrelle, piccoli alberghi dall'aspetto equivoco, ma che promettevano tutto il «confort moderno». Sui crocicchi, addossati al muro, stavano alcuni gruppi di giovinotti elegantissimi, con i calzoni alla «charleston» e la giacchetta, chiusa all'ultimo bottone, che non scendeva più giù dell'osso sacro. Chiacchieravano e ridevano, gettando lazzi e frizzi alle gaie monelle di cinquant'anni, e ogni tanto riprendendo l'altro ritornello di moda Stramilanooo!...esse-ti-erre-a-emme-i-elle-a-enne-ooo!...

Le donne tentavano di adescare il nostro Antonio Rivolta, che, tutto preso dall'amor suo, pensava unicamente alla via Tadino e alla casa ospitale di donna Prassede.

- Ehi, quel signore! non mi paghi un bicchierino? - Ah, che bel biondo! se mi offrisse una sigaretta!... - Dove vai così di premura?... - Psst! psst... vuoi che andiamo a divertirci?...

Il nostro Antonio Rivolta, com'è l'uso di buona creanza, si toglieva e rimetteva il cappello, ma senza lasciarsi adescare, da quegli inviti ambigui e sibillini, che miravano a distoglierlo dal suo retto cammino. Arrivato finalmente in una stradicciuola più scura e più tortuosa delle altre, s'imbattè in una brigata di gentiluomini con tanto di sparato bianco, i quali, come al solito, discutevano su l'argomento del giorno: la peste - e sui modi migliori per garantirsene, curarla e, con molta pazienza, guarirne. Tra una battuta e l'altra essi pure canticchiavano. Anch'essi cantavano il ritornello:

 

Stramilanooo!...

esse - ti - erre -a... eccetera...

 

Il nostro Antonio Rivolta, benché non li conoscesse, credette opportuno di sollevare un tantino il cappello. Quei gentiluomini lo guardarono.

- «Lo conosci tu? - Io no. E tu? - Di vista. Dev'esse un bookmaker. - No, un rappresentante d'automobili... - Stramilanooo...».

E passarono.

Il nostro Antonio Rivolta, per un centinaio di passi, non potè più salutar nessuno, perché la strada era deserta. Poco pratico di Milano, in quel dedalo di viuzze, egli stava per smarrirvicisi.

- «Dove può mai essere questa benedetta Corsia de' Servi?» - pensava con angoscia il nostro buon villico, e rimpiangeva amaramente di non aver portata con sé una bussola.

Ma finalmente, girando e rigirando, più a casaccio che per partito preso, finì con trovare, se non la Corsia de' Servi, almeno un taxi.

 

 

 


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