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Da Bilbao avevamo rimandata a San Sebastiano la cameriera di Madlen, perchè s'incaricasse de' nostri bagagli e quindi ci attendesse, con Pompon, alle Bagnères de Bigorre. Colà preferivamo alloggiare, anzichè nei pericolosi alberghi di Lourdes, infestati ormai dalle cancrene di tutti i pellegrinaggi. Noi, con l'automobile, (che un esperto ma non economico guidatore avventava su le ripide strade maestre, assicurandoci che il suo robusto motore non avrebbe fallato un battito neanche nel valicare i selvaggi Pirenei), bene incappucciati, ben serrati l'uno presso l'altra, ilari e curiosi come due giovini amanti, ci recammo da Bilbao a Pamplona, la dura capitale dell'antica Navarra, ove il condottiero Ignazio da Loyola prima conobbe la spada che il saio d'umiltà. Poi da Pamplona salimmo a Roncisvalle, e traversammo il Passo dove Rolando morì. Morì nella battaglia perduta, che fece cantare i poemi di tanti secoli, morì tra le orde fuggiasche di Carlo Imperatore, morì nell'immaginazione dei poeti, nella musica delle canzoni, primo cavaliere della sua gente, usbergo e fiore dei Paladini di Francia.
E rivedevo il suo cavallo di guerra, senza cavaliere, sbrigliato e formidabile, con la gualdrappa e le insegne di Rolando, galoppare dietro bandiere fuggiasche, nella sera della disfatta...
Leggende, leggende... come siete belle!... come siete necessarie agli uomini!...
La valle per dove passò tanto fiume di popoli, e dove tanta forza d'invasori contese la bella terra di Francia, era quel giorno tutta scapigliata, le sue foreste eterne si arruffavano, i suoi freddi ruscelli balenavano tra l'erba delle alte praterie. Valicato un ponte presso il villaggio di Arnéguy, fummo su terra francese. Di là rimaneva la superba e squallida Spagna, il paese delle chitarre e dell'acqua santa, la terra un po' romantica, un po' addormentata, ove il secolo ventesimo, pieno di fumo e d'elettricità, pénetra con una certa fatica. Spade rosse nella cervice dei tori da combattimento, alberghi nuovi, costrutti da ingegneri svizzeri, giardini di mimose e d'aranci, chiese decrepite, strade malagevoli, campi senza fertilità, ove ogni tanto s'incontra qualche mandria errante, di lana scura, che va, che va, dietro il suo pastore senza focolare, lenta e squallida... Addio, vecchia Navarra, e tu, più lontana, più luminosa, bianca terra di Guipuzcoa!...
Da Roncisvalle scendemmo a Saint-Jean-Pied-de-Port, la capitale degli antichi Baschi di Navarra, cittadella incastellata e fierissima, per dove scende, ancor bianco di montagna, un leggero fiume: la Nive de Béhérobie.
Una locanda basca, linda e luminosa, con fiori di ciclamini su la tovaglia finemente lavorata, soddisfece alla nostra fame gagliarda e per qualche ora diede ristoro alla fatica della nostra lunga strada. Un ceppo enorme ardeva su la cenere del vecchio focolare, spargeva, col suo rumore di fiamma umida, nella stanza piena di sole un colore d'autunno. Qualche ospite silenzioso rompeva con le sue mani bianche il pane infarinato. Nessuno parlava; i bicchieri, le stoviglie facevano poco rumore; radi passanti traversavano la strada silenziosa; la grande piazza di «pelota» era quasi deserta. Larghi pezzi di montone, cotti con salvia e rosmarino, venivan dai fornelli rossi dell'antica locanda, fumavano su le tovaglie immacolate. Chi le portava era una bella montanara, svelta e forte come una cavalcatrice della Camargue, pallida, senza ombre nel viso, con gli occhi duri, le trecce ravvolte al capo, le anche magre, il seno piccolo, che tremava leggermente sotto il grembiule di fino merletto. Era difficile farla parlare; non rispondeva che pochi vocaboli, con una pronunzia francese dura e cadenzata. C'era in lei qualcosa di primordiale, una specie di lontananza da noi, quasi un'antichità giovanissima sigillata nella sua razza splendente. Camminava su le scarpe di corda; era attenta, veloce; i suoi occhi immobili sorvegliavano la nostra mensa con una specie di vigilante severità.
Poi, di nuovo, la strada; la strada bianca e lampeggiante, stesa fra immense praterie, che scendevano dagli alti Pirenei come larghi tappeti scossi dal vento, cosparsi di fiori, chiusi da foreste che brulicavano di ciclamini; la strada chiara e violenta, bella come una creatura viva, che batteva nei cancelli delle case, cantando, e lontano spariva, tra gli alberi, in un vortice di azzurrità...