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Erano gli ultimi giorni dei grandi pellegrinaggi che invadono la sacra città nel mezzo dell'estate. Una folla immensa, forse di quaranta o cinquantamila pellegrini, occupava ogni luogo abitabile, si accalcava negli alberghi, negli ospedali, negli ospizi, nelle baracche provvisorie, ne' corridoi de' conventi, nei dormitori delle Confraternite: spesso accampava, di notte, per le strade.
Venivano a cercare il miracolo da ogni lontananza della terra cristiana; camminavano in lunghi reggimenti, con abiti scuri, con facce devote, a passi lenti, seguendo le insegne dell'Ordine al quale appartenevano. I malati erano stesi nelle barelle, seduti nelle portantine, che a forza d'omeri sorreggevano i penitenti lettighieri; ogni gruppo li custodiva con gelosia, come preziose reliquie, nel compatto nucleo del pellegrinaggio. Queste fanatiche schiere di credenti avevan con sè talvolta il loro Vescovo, talvolta un umile parroco; poi tutto uno stuolo di preti minori, dame della Misericordia, medici, suore di carità, ed ubbidivano a comandanti laici. Solo per mantenere l'ordine tra queste folle promiscue, albergarle, nutrirle, disciplinare la forza dei validi e mitigare le pene degli infermi, occorreva un reale genio di condottiero, sebbene Lourdes fosse tutta preparata a ricevere questi immensi pellegrinaggi.
Confraternite possenti, ricche a milioni, vere dinastie sacerdotali che tenevano il potere della sacra città, onnipresenti ma invisibili, attente ma silenziose, governavan tutto quel mare di cristianità, quelle turbe di mistici emigranti, quelle fiumane d'oro e di miseria, stando fuori da esse, dietro le muraglie dei freddi claustri, ov'erano incastellate.
Dalla universale povertà, l'avarizia degli Ordini traeva rapine incalcolábili; un pazzo furore di lucro assillava gli abitatori della nuova Gerusalemme; tutte le strade riboccavano di negozi religiosi; i dintorni della grande spianata, ch'è di fronte alla collina del Calvario, davano l'impressione di una terribile fiera. Ciò che si vendeva era la grazia e la misericordia di Cristo; ad ognuno che passava di là dovevasi, per forza o per amore, togliere qualcosa dal borsellino. Lungo tutta la strada si ergevano baracche di legno e di tela, banchi, edicole, cantine, ristori, capannette, friggitoi, tutte le specie di mense adatte a sfamare o dissetare la moltitudine, tutte le specie di malizie adatte a far denaro mungendo la pietà dei credenti. E il rumor dell'argento, il nome delle varie monete, il prezzo de' mille oggetti che si vendevan per onore della Madre di Dio, era ciò che più si udiva, che unicamente si udiva, in quella immensa marea di cristiani scendenti verso la Grotta del Miracolo. Nulla poteva scampare dal nugolo de' venditori e delle venditrici ambulanti, che v'imprigionavan nel lor numero, vi tiravan per l'abito, vi mettevano in braccio per forza la loro mercanzia: ceri dipinti, medagliette, statuette, scapolari, libercoli, fasci di fiori, ex-voti, sacre immagini, bottigliette ripiene dell'acqua miracolosa di Lourdes... Mi pareva di ritrovarmi nei vicoli tortuosi dei bazars coloniali, tra la folla degli Arabi, insolente e variopinta, che vi copre di sorridenti ingiurie e di viscide carezze quando passate in mezzo a loro con le tasche ripiene di buoni scellini, e bisogna farsi largo alzando il bastone, se incominciano quelle accanite zuffe, quelle eterne contrattazioni, che altrimenti non finirebbero mai più. E socchiudendo gli occhi sopra una immensa fuga di secoli, mi pareva d'essere, col mio presente spirito, nella vera, nell'antica Gerusalemme, frammezzo alla turba dei mercanti che travolse lo sdegno di Gesù, negli spaziosi cortili del Tempio indistruttibile, un giorno di sagra, sotto l'imperio delle aquile di Roma splendente, quando nella reggia di Erode stava prigioniero il Battista e il turpe amore del Tetrarca perseguiva la figlia di Erodiade...
No: ero in una valle religiosa della pagana Repubblica di Francia, e venivo dalle città infernali, ove splendono le vetrine del diavolo, sorgono le case della vita perduta, e la musica dei pazzi violini esalta la nuda voluttà, il folle sperpero, l'eterno piacere... Venivo dai roghi ove arde la torbida fiamma dell'amor profano, ed ero io stesso pieno d'infernalità, sazio d'ogni colpa, uso ad ubbriacare tutto me stesso nei fumi e nelle musiche dei falsi paradisi.
Ed una di quelle donne diceva: «Comprate alla Vergine un cero», ed una soggiungeva: «Portate alla Vergine un fiore»; altre vendevano statuette per le quali si era salvi da tutte le epidemie, altre vi davano, con mezzo franco d'acqua miracolosa, la certezza di ottenere una grazia ineffabile, per voi stessi o per i vostri congiunti... E il mare della moltitudine vi spingeva innanzi, vi sbatteva come un rottame, senza che fosse possibile resistere ad essa; vi premeva in sè, dandovi l'impresione, il terrore, d'essere divenuto uno de' suoi, irremediabilmente uno de' suoi, una preda lieve della infinita sua miseria, una povera cosa inerte nel potere immenso della cristianità. Questa folla camminava recitando preghiere, vi opprimeva col lezzo de' suoi corpi devoti e sudici, vi comunicava un poco della sua anima disperatamente accesa di miracolo, e fra quel mare di umana gente che tutta credeva in una sola follìa, voi stesso comprendevate che non era niente affatto assurdo inginocchiarsi davanti ad un simulacro di legno, credere che i morti possano risorgere, le piaghe insanabili sparire, i ciechi riaprire gli occhi al sole perduto.
Erano vecchie donne, lente e curve, che non si comprendeva qual forza le reggesse in piedi; uomini gagliardi e barbuti, che non si comprendeva come potessero cincischiar rosari con tanta devozione; dame di carità, giovini e belle, che lenivano con mani bianche i dolori della gente povera; fanciulle di campagna, ristrette in quegli abiti lunghi, rigidi, che taglia e ricuce con solidità la sartina di provincia; bifolchi legnosi come vecchi tronchi d'alberi, adolescenti emaciati, con quell'occhio spaurito e fisso della creatura giovine che sente sfuggirsi la vita; gentiluomini cattolici, con la croce rossa cucita su l'abito nero; povere donne con un bimbo in collo, e sciancati su le grucce, orbi a mano d'un infermiere; qualche figlia scarna che reggeva il suo genitore paralitico, qualche zitella asciutta che teneva per mano i figli rachitici della tabe altrui; famiglie intere, comitive d'interi villaggi, i sani e gli infermi, quelli che mandavano a frotte gli ospedali monastici e le congregazioni di carità; poi, frammezzo a robusti lettighieri, una fila di barelle coperte da lenzuoli o da scialli; e grassi monaci con il parasole aperto, e signorine troppo eleganti, che portavano il velo della penitenza per mettere in luce i lor capelli ben pettinati; qualche devota marchesa paralitica, sotto un ombrellino di raso nero, con grossi diamanti su le dita gibbose di senilità, che faceva spingere la sua sedia a rotelle da un domestico in livrea; cappuccini svelti e súbdoli, medici ch'erano lì come funzionari, a tutela della salute pubblica; ed i Cavalieri di qualche Ordine religioso, in guanti neri, con cravatte del vecchio regime, fedeli a Cristo, alla politica del Vaticano, ai misteri delle congiure monarchiche, destinate a finire nelle canzoni dei cabarets...
Ogni tanto passavano gonfaloni e stendardi, bandiere di Congregazioni, emblemi dei vari gruppi d'un solo pellegrinaggio; e chi li portava era l'alfiere d'un grande sogno, il condottiero d'invalidi ai perenni tabernacoli della superstizione umana.
Scendevano verso l'immensa Esplanade, ov'era la Collina del Calvario, ov'eran le tre Basiliche, la Grotta e la Fontana. Il sole infiammava le alte finestre del Castello di Lourdes; i bianchi monasteri costellavano le alture della sacra vallata; la città dei mercanti sciorinava i suoi moderni edifici costrutti con gli óboli dei pellegrinaggi, ed il fiume di Bernadette scorreva su le ghiaie bene arginate, non più come quando vi scese in un ventoso giorno dell'inverno la pallida Vergine di Bartrès. Ora ponti maestosi allacciavano il sacro terreno del Calvario alla nuova città dei mercanti; giardini stupendi si aprivano di fronte alle tre Basiliche; dalla visione leggendaria d'una povera figlia del mugnaio Soubirous, laggiù, presso la rupe di Massabielle, era sorto il miracolo del Tempio Universale. Da ogni terra distante veniva il popolo dei Cristiani; l'acqua eterna della speranza fluiva dalla rupe inesausta.
Ed io mi lasciavo portare come un freddo peso inerte in quel mare di umiltà; scendevo insieme coi percossi, coi fervidi, con gli esclusi, verso il fiume sacro dove nacque il sogno di Bernadette. Nel mio cuore non cantava la musica della preghiera; ne' miei sensi era unicamente l'odio contro il peso ed il lezzo della nera moltitudine, contro il pensiero del tristo inganno che adunava tutto quel gregge alla fontana medicatrice. Il mio senso scientifico della vita, il mio doloroso raziocinio di uomo logico e diffidente, non mi permettevan di credere a queste inspiegabili magìe d'un filo d'acqua sorgente, la qual valesse a ripristinare i tessuti distrutti, le ossa disgiunte, le articolazioni spezzate, le piaghe per sempre sanguinanti, le pupille spente.
Dal mio cuore di uomo del ventesimo secolo, freddo e beffardo, che sapeva di poter ridurre a formule chimiche tutti i fenomeni della vita, che intendeva l'universo come una specie d'immenso laboratorio chimico e cercava di rinchiudere i confini dello spirito umano entro le serrature anguste della possibilità scientifica, dal mio cuore dove non c'era spazio per l'intendimento religioso dei miti, si alzava una specie di addolorata pietà per questi orrendi e sublimi spettacoli di fanatismo, - cieche rinunzie dell'uomo al coraggio d'intendere la vita come un'avventura transitoria e distruttibile.
Ma più andavo, e più il fervor mistico della moltitudine lentamente s'impossessava di me. Quella medesima demenza che portava migliaia di miserabili a purificare la carne maledetta nella sorgente medicatrice, ad esaltare i sogni dell'allucinato spirito nel fuoco della divina comunione, quella medesima demenza entrava sottilmente nel mio cuor di pagano, apriva le porte del miracolo davanti a' miei freddi e vigili occhi di profanatore.
Io sentivo a poco a poco la mia limpida carne invecchiarsi, dolere di tutte le infermità; ero, come quei diecimila, un percosso dai morbi ereditari, un brandello della umana putredine; il dolore dell'antica mia gente pesava nel mio cuore angusto; la moltitudine mi comunicava il bruciore delle sue ferite insanabili, piegava le mie salde ginocchia sotto il peso della immane sua miserabilità.
Volevo sottrarmi a quella prigionìa, sfuggire a quella contaminazione, tornare indietro, verso la vita splendente, verso i liberi paradisi, là, dove le donne giovini si profumano di ciprie scintillanti, ove i bicchieri brillano, l'oro sfavilla, i pazzi violini cantano... volevo essere ancora una volta l'uomo di piacere, l'ingaudiatore, l'artefice di voluttà, il pallido e inghirlandato celebratore di tutti i conviti; volevo tornare agli uomini: - e più non potevo.
Questa immensa folla di credenti mi stringeva nella sua forza disperata; la preghiera di tutte quelle anime penetrava nel mio freddo spirito; l'eterno dolore dei diseredati inginocchiava, dinanzi alla collina del Calvario, la mia stanchezza di uomo felice.
Ad essa giungevo per lunghe strade; il rumore di tutte le onde cantava nel mio cuore di navigante. Stelle senza numero avevano brillato nel cerchio della mia anima infinita; i peccati gloriosi erano stati miei, mia la bellezza d'ogni cosa fuggente, le ghirlande lievi che si colgon dai giardini terrestri, mia l'esclusione di tutti i cilici e mia, con lo splendore d'una gemma, la serena, dolce, inafferrabile vita che passa...
Ora entravo nel buio dolore di Cristo. C'era nel mondo un altro mondo, che tu pure imparasti a conoscere, Maria Maddalena. Da tutte le case usciva un grido; nell'anima di tutti gli esclusi era il bisbiglio della insoffocabile preghiera.
E il pentimento eri tu, Maria Maddalena. Tu eri la fredda rinunzia, il raggio di sole che diventa ombra; il cimbalo ed il sonaglio della danza nell'orchestra del canto liturgico; eri la ghirlanda sfogliata, il mazzo reciso, la semenza fuor dal granaio, il rosaio spezzato dal vento.
E l'ultimo rifugio eri tu, Maria Maddalena. In questa vita rossa e calda come il succo delle rosse melagrane, tu eri la via dell'altra sponda, il passaggio all'altra fedeltà; eri l'addormentata che apre gli occhi e vede il sole nascere nel lontano infinito. Brillasti nei conviti ed umiliasti nella polvere la tua treccia bionda. Su te furono ghirlande, su te gli spini; la tua carne denudata urlò, e pianse di fredda solitudine. Ne' tuoi capelli profumati si torsero le dita crudeli degli amanti, e la treccia tua si sciolse per avvolgere il sonno del Liberatore.
La tua treccia è gonfia di rugiada, le tue mani han l'odore dei mandorli, Maria Maddalena...
E tu sei quella che tiene me prigioniero, in questa moltitudine che si raduna davanti al Calvario; tu sei quella che risorgesti nel cuore della pallida Bernadette, musica eterna dell'umano amore, peccatrice di Mágdala, innamorata dell'Uomo di Galil...
Egli ti disse: - «Lévati; ora è l'alba. Se nel sonno hai peccato, scendi alla fontana e detérgiti. Hai la veste orlata di brina: la tua treccia è gonfia di rugiada; il sole sta per nascere dietro la neve dell'Hermòn. Lévati; è già tempo di andare.»
E così, nella verde Galilea, fecero molta strada insieme. E camminando ella era sempre con lui, spesso a fianco, talora nella sua ombra. E l'amore della cortigiana di Mágdala fu l'amore che seppe andar più lontano traverso la memoria degli uomini: pallido e voluttuoso amore della rinunzia, eterna poesia del mito cristiano.
Ma ora tu risorgevi, cortigiana di Mágdala, dalle buie distanze dei secoli; venivi tra quell'immenso gregge di umiltà, e novamente perduta nell'amore di Cristo, me, davanti al Calvario, conducevi per mano.
Tu eri stata la povera figlia del mugnaio Soubirous, dai capelli pieni di vento, che andava per vicoli umidi, rasente il muro, alta e pallida, senza guardare alcuno. Tu splendevi, con la tua treccia bionda e buia, nel sogno dei miserabili, e la carne tua che possedettero i centurioni prepotenti, e l'amore tuo fedele che seguiva l'Uomo di Galil, era ciò che nelle favole millenarie ti rendeva, o peccatrice, così umana.
Non la moglie vergine del falegname di Nazareth, ma tu sola eri, o peccatrice, la divina bellezza del mito cristiano.
E il mare umano scendeva, con me prigioniero, verso il terreno sacro del Calvario, alla Fontana dei Miracoli. Giunto in vicinanza del ponte che varca il fiume di Bernadette, cominciai con veder allargarsi lo spazio della dura vallata, e le montagne ovali scostarsi, chiudendo in sè una specie di fantastico anfiteatro, dove nel fondo si alzava, nuda a solenne, la Collina del Calvario. Pareva che la natura previdente avesse voluto erigere uno scenario da leggenda intorno ai sacri misteri della fede cristiana. E là poteva una gente senza numero trovare spazio per le sue genuflessioni; tutto era costrutto con il senso dell'immensità, quanto era travaglio de' secoli od opera prodigiosa della fatica umana. Vedevo dall'estremo angolo della vallata scendere il fiume balenante, che pareva urtasse in un rogo di sole contro il macigno della rupe di Massabielle. Lontana, quasi cancellata nell'azzurrità, immersa in un vapor di sole, brillava di guglie d'oro la catena de' Pirenei.
Su per la vallata, nelle alte praterie, nei boschi pieni di odorato silenzio, erano i candidi monasteri delle pallide Carmelitane, gli ospedali colmi di sofferenza inguaribile, gli oratorî delle Confraternite, le piccole chiese bianche di umiltà, inginocchiate anch'esse davanti allo splendore delle tre Basiliche.
Ed ecco vidi questo miracolo apparirmi, non appena fui giunto nella immensa Esplanade, oltre il ponte che unisce Lourdes al terreno del Calvario. La folla estatica si fermò davanti all'apparizione splendente.
Erano tre cattedrali, costrutte una sovra l'altra, con una immensa duplice scalinata che le abbracciava insieme, salendo sino alla Basilica, l'ultima, la più alta, ch'era sul vertice della collina e pareva il raggiante culmine della potenza cristiana.
Percosso in pieno dalla veemenza del sole pomeridiano, il triplice tempio avvampava ne' suoi marmi e nelle sue vetrate; pareva uno scenario meraviglioso, composto di oro e di fiamma, che tutto rivestisse con la sua pietra incendiata lo sprone della dura montagna. Ed erano tre immense chiese, anzi tre santuari sovrapposti, che sorgevan dalla rupe medesima ove nacque il sogno di Bernadette. Nel pieno sole, davanti a' miei occhi abbagliati, brillava l'Arca del Divino Amore, splendeva il Tempio verso il quale giunsero, a centinaia di migliaia, con Vescovi e stendardi, con infermieri e parenti, gli storpi di tutta la terra, gli inguaribili di tutte le infermità, i condannati al male perpetuo dalla crudele sapienza delle cliniche infallibili, quei moribondi che prima di spegnersi chiedevano il battesimo dell'acqua santificata, quei maledetti che venivano a cercare in Dio l'ultima folle speranza della miserabilità umana.
E il Tempio ardeva, splendeva, nel sole giovine come la vita, con le sue gradinate di marmo spaziose al pari di strade maestre, costrutte nel sasso della montagna, simili a terrazzi aerei d'una reggia incoricábile; il Tempio adunava in sè tutte le ricchezze dei centomila pellegrinaggi, tutto il dolore delle innumerabili agonie; aveva ingoiate la pietà e la speranza degli umili, tramutandole in voti splendenti; era la collana delle infinite miserie, la gemma della universale povertà.
Ad esso venivano i cristiani, laceri di piaghe, corrosi dai cancri, gonfi di oscene idropisie, già fetidi e violastri di carni necrotiche, pregni fin nelle midolle dalla tabe dei mali ereditari; - e lasciavano al Tempio splendente il triste oro che i medici e le farmacie non vollero, che la fatica di un parente raccolse, o fu risparmiato giorno per giorno sul pane, su l'olio, sul fuoco: - Dio riceveva quell'oro dalle mani povere de' suoi figli.
E il Tempio era là, davanti al mare della moltitudine, davanti ai giardini dell'Esplanade, ove i mercanti assalivano a torme la folla dei pellegrinaggi, scuotendo mazzi di medagliette miracolose, persuadendo con raggiri e con minacce l'avarizia dei fanatici. E venivano le fioraie co' lor pieni canestri, le venditrici d'acquasanta con le bottigliette suggellate, i figurinai con le Madonne di cera, i mercanti di paternostri, addobbati solo di scapolari e di rosari; venivano gli smerciatori di sacre immagini, con ogni specie di stampe o di tavolette ov'erano le sembianze della divina Bernadette, mentre alcuno, parlando sottovoce, vi proponeva per un prezzo indecente l'ultima camera mobiliata... Il merciaiuolo vi prendeva per un braccio, costringendovi ad esaminare i suoi astucci pieni di minute gioiellerie, di penne stilografiche, di catenelle d'oro «doublé», mentre v'inseguiva la turba dei falsi miracolati, ossia di coloro che fingevano d'aver ottenuta in passato una guarigione miracolosa, e vi dicevan con qual fervore d'elemosine avevan potuto acquistarsi la benevolenza divina; o tenevan per mano un fanciullino rachitico, del quale andavano mostrando qualche membro cicatrizzato, e si udiva dappertutto, accidiosamente, senza requie, senza un attimo d'interruzione, quella voce lamentosa e monotona dei mercanti di religione, che si attorcigliava intorno ai vostri nervi come la cantilena di una feroce litanìa, e non faceva che ripetere sui vostri passi: «Monsieur, Madame, achetez-moi28 quelque chose! Monsieur, Madame, ça vous portera bonheur...»
E il tempio era nato, pietra su pietra, da questi lamenti; aveva trasportati, a forza di lacrime, i suoi bianchi alabastri, aveva, con il rame dei poveri, comperato l'oro de' suoi frontoni splendenti, e man mano era divenuto nell'ombra delle sue cripte una selva d'arazzi, un cófano di gioielli, un favoloso corredo nuziale della Sposa Divina. Le sue pareti, all'interno, non eran più che una tappezzeria d'argento; i ricchi ed i poveri di tutte le terre cristiane avevano gareggiato nell'abbellire la Casa del Miracolo. Ed era quella opaca voce dei mercanti di religione, lenta e continua, dolorosa come uno stillicidio, che si alzava da mattino a sera nel cielo di Lourdes nè lasciava partire i pellegrinaggi prima di averli spremuti; era quella voce inesorabile, sotto la quale si nascondeva l'altra, più sommessa, più súbdola, pei monaci asseragliati nei freddi monasteri, l'unica fattrice di tutte le opere, quella che alimentava l'insaziabile fame del Tempio, gremiva i suoi forzieri, tempestava d'oro i suoi marmi, volgeva in tremenda potenza il sogno dell'umile pascolatrice.