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Sarò un monaco.
Uscirò dal rumore della vita, stanco alfine de' miei giorni dionisiaci, e porterò il capestro dei frati minori.
Un bel monastero, chiuso nella pace di alte solitudini, mi sarà l'ultimo esilio dalle tentazioni del mondo, la tomba ove seppellirò il mio cuore di navigante.
Lontano dal claustro, di là dal cancello sprangato nella bianca muraglia, oltre il silenzio delle buie pinete, ancora sentirò con follìa ridere il mondo, le orchestre cantare, le giovini donne urlare nelle coltri sconvolte, ove uccideranno, sotto il bacio degli amanti, la pallida loro verginità...
Ivi sarà la pace, la fredda pace, la perpetua lontananza dai paradisi della vita, il finale oblìo.
Sarò un monaco.
Ne' miei timpani rumorosi di lontani tripudii batterà il fragore delle città oceaniche, l'urto infinito, pericoloso, della umana gente, la forza de' commerci terribili, delle imprese violente, il grido pazzo e formidabile29 della umana volontà.
Nel mio cuore disamorato splenderà la rinunzia, brucerà il dolore della solitudine, come sul giogo altissimo arde il nevaio scintillante.
E sarò il vero oltrepassato, il calmo, l'annoiato, il passato al di là, quegli che non dovrà più ardere nei roghi e negli inferni della vita. O donne belle come i vent'anni, profumate come il vizio, voluttuose come l'odor del cínnamo ne' cálici gonfi d'estate, donne sepolte per sempre nel mio cuore di navigante, la muraglia bianca del claustro mi dividerà dai vostri caldi tálami, e il vento notturno porterà nella mia cella disperata l'odore forte come l'assenzio della vostra nudità perdutissima...
Passerò le mie giornate oziose guardando il filo d'acqua scaturire, il seme dare germoglio, la formica diligente ordinare la sua città laboriosa; e conoscerò le stelle, conoscerò le azzurre meditazioni delle veglie davanti all'infinito; una vecchia biblioteca sarà l'universo del mio spirito disumanato; ne' libri degli antichi solitari cercherà l'esilio definitivo quest'anima fredda in cui pesa la cenere d'ogni fiamma che mi arse.
Dopo essere stato lo squassatore di tutte le fiaccole, sarò il monaco delle più nere discipline. Il sole dei rossi desiderii tramonterà nella mia carne spenta. Io, diviso da ogni voluttà che brucia, non sentirò mai più contorcersi nel serpaio di me stesso la gioia infernale di crocifiggere alle infamate gogne del mondo l'anima del mio passante iddio.
Sarò un monaco.
E tonderò la mia liscia capigliatura, e stringerò nel cordone del saio monastico le snelle mie reni che saziarono il piacere delle gloriose cortigiane. Il piede mio sottile, uso a ben reggersi nelle piccole staffe delle selle di peso leggero, patirà ignudo il gelo del l'inverno, serrato fra le corregge dei sandali d'umiltà. Una squallida barba castana, con qualche filo biondo, contornerà l'inciso pallore del mio volto notturno.
E la sera, talvolta, quando le stelle dei mesi d'estate invadon le celle dei claustri, e trema di folle rinunzia nei monaci la deserta solitudine, io, che discinta e nuda possedetti la folle giovinezza, sentirò il peso di tutta la miseria umana affondar nella cenere del mio cuore spento, e sarò con gli offesi, con gli umili, per sempre, in comunione di dolore.
Povero monaco, frate minore, spegnerò la carne maledetta nel gelo della vera estinzione.
E nell'inverno, e nei mesi del vento, e quando l'autunno trascinerà sui mattoni della mia cella qualche ape morta, io, desolato come la rassegnazione, arido come il ragionamento, povero come il mio capestro, penserò a voi, beate ore che trascorsi nelle perdizioni della vita, giorni luminosi e caldi come il peccato carnale, a voi, divine ingannatrici, che al petto ignude strinsi come fasci di fiori selvaggi...
Monaci, e nel mio cuore suonerà la campana del mio De Profundis...
Monaci, e se a me chiederete chi ero nel folle mondo, prima di portare come voi la bianca tonsura e l'umile saio, dirò: - Monaci, uno straniero in me stesso, che amava lo stupendo rumore. Un saggio, innamorato della follìa. Un pazzo, un pazzo, che voleva trovare, chissà perchè, nelle fogne della vita il colore delle stelle...