Guido da Verona
Sciogli la treccia, Maria Maddalena
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Amo questa maniera di vivere, la quale consiste nell'andar via. Quando la musica del treno canta nelle mie vene d'esiliato, io sento battere in me, più fervida, la poesia della vita. Non è la strada maestra quella che mai conduce verso il dolore. Sono i vicoli tortuosi e bui, le vie di pochi metri sepolte nelle città definitive.

Amo l'albergo luccicante, rumoroso, babelico, insolente, la casa che a tutte le frontiere per noi accende un focolare provvisorio.

Amo il segretario d'albergo, azzimato e scrupoloso, che mi designa un letto bianco del quale non sarò prigioniero. Amo la cameriera d'albergo, in cuffia e grembiule, pulita e bellina, che mi porta gli asciugamani di bucato e sfibbia le cinghie de' miei bauli, tacendo, con una specie di familiarità. Amo il parrucchiere d'albergo, indiscreto e linguacciuto, che viene ad offrirmi con buona maniera, o tutto quello che mi occorre, o solamente un profumo...

Nelle stanze d'albergo, la sera, quando le finestre lentamente rabbuiano sul vasto rumore d'una città sconosciuta, è bene avere con noi, compagno della solitudine, il nostro vecchio profumo.

Oh, signori Houbigant, Pinaud, Guerlain, Coty, che grandi poeti voi siete!... voi che invece di sillabe grammaticali e pesanti, adoperate nelle vostre poesie l'anima dei fiori...

Amo vivere frammezzo a questa gente forestiera, della quale non so la storia e che non chiede la mia, gente la quale si rinnova e passa continuamente, mi vive accanto senza nulla esigere da me, senza incatenare il mio cuore di vagabondo col peso inutile degli affetti definitivi.

Amo il portiere d'albergo, funzionario quanto mai solenne ed autorevole, che mi consegna le lettere d'amore, mi porta i vaglia telegrafici, mi prenota il palco in teatro e la cabina dello sleeping-car, - personaggio veramente nuovo nella vita moderna e che i nostri poeti dovrebbero esaminare un po' più da vicino, anzichè tediare il secolo spolverando le mummie della decrepita mitologia. Ed amo la fioraia d'albergo, dalle bianche dita leggere, che m'infiorano l'occhiello e si lascian talvolta rubare una carezza profumatissima, la sera, quando gioiose trillano tutte le orchestre della terra e fin su le rive dei più lontani oceani persegue noi, poveri ed inutili camminatori, l'ultimo ritornello del repertorio di Fragson...

Amo l'importante maggiordomo, che mi porge la lista dei vini aperta su la pagina dello «Champagne», ed amo questa babelica folla dei Palaces cosmopoliti, ove s'incontrano a decine Ambasciatori senza governo e Principesse da sempre divorziate, uomini d'affari e ballerini di tango, qualche famosa nikilista russa e qualche ricco sfondato banchiere ebreo, cantanti e boxeurs, signorine che si addestrano al marito e clergymen che giocano al bridge, archeologi e cavalieri d'industria, signore sole con camere a due letti e principi dell'Almanacco di Gotha che ipotecan nelle bische d'Europa i dollari d'una fidanzata yankee...

Certo è insomma l'albergo moderno qualcosa che non videro concepirono gli uomini prima di noi, poichè la loro vita lenta ed angusta non comportava queste grandi aggregazioni precarie, queste dimore tumultuose del nomade contemporaneo.

Non è una casa che vi ama che voi amate, o miei fratelli viandanti per le lunghe distanze del mondo; ma vi offre nondimeno ciò che più è necessario dopo la fatica della strada: un letto bianco nel quale addormentare i vostri calmi sogni, una bella serena finestra, ove al mattino il sole nuovo incendierà l'eterna magnificenza della vita. Vi offre la bellezza provvisoria delle sue decorazioni di stucco, il soffice silenzio de' suoi falsi tappeti di Smirne, la premura, se non l'affezione, di gente alla quale basterà prendervi un poco di denaro; vi offre l'amore d'una notte, l'epilogo d'un'avventura di viaggio, l'imprevisto che può nascere fra uomini e donne lontani dalle proprie case, dispersi nella terra d'esilio, nell'infinita libertà.

Poi tutto questo, alla partenza d'un treno, al cantare d'un'elica, si snoda, si scioglie, finisce: un altro forestiero dormirà nel vostro letto fresco di bucato, un'altra forestiera traverserà, di notte, in vestaglia, i lunghi e deserti corridoi dell'albergo, tra due file di scarpe allineate. Sì, tutto questo è un po' freddo, un po' smorto, un po' vuoto: il focolare improvvisato si spegne, di esso non resta neppure la cenere... Ma resta il colore della terra d'esilio, il sogno d'una notte lontana, il bacio dato col fiore delle labbra sovra una bocca d'amante che non vedrete mai più...

 

 


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