Guido da Verona
Sciogli la treccia, Maria Maddalena
Lettura del testo

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La litania cresceva, saliva da ogni parte, più alta, nella notte buia. Tremavano migliaia di ceri; la Grotta pareva un braciere; la sua vampa investiva il pergamo, magicamente illuminava la figura del monaco. Tutto pareva oscillasse in un chiarore di miracolo. Qualche stella ritersa dal vento si accendeva, si spegneva, tra il correre delle nubi voluminose. Il fiume passava, bianco, leggero, portando con , nel suo rumore d'acqua eterna, le follìe degli uomini; limpida neve caduta su le cime degli azzurri Pirenei, che andrebbe a morire nel divino Atlantico...

Quando la voce del monaco lanciava l'urlo dell'invocazione, si vedevano i mille storpi contorcersi con una specie di frenesìa convulsa, quasi volessero aiutare nella propria carne spenta il principio del miracolo. Ed allora, sui materassi chiazzati, sui cuscini sordidi, nei sinistri apparecchi di ortopedìa, nelle barelle ove tremavano i moribondi, sui banchi ov'erano a frotte i ciechi, i sordi, i mútoli, cominciava una specie di rabbioso dimenìo, con un brancolare di mani pallide e squallide, quasi un tentativo di rissa, come accadrebbe in una turba di affamati quando vi si gettasse ad intervalli qualche tozzo di pane. Ma quel pane che ognuno voleva carpire per , togliere al suo fratello, era il privilegio della grazia divina, la improvvisa luce del miracolo che toccherebbe ad uno su mille, mentre tutti volevano con feroce invidia riavere per tutta la vita.

Si erano aspersi con l'acqua della Fontana Miracolosa; da giorni e giorni pregavano di continuo, senza quasi nutrirsi, per meglio cibare l'Ostia della purificazione; da giorni e giorni solo ascoltavan cantici e narrazioni di miracoli: eran venuti per lunghi treni gremiti di febbre e d'agonìe come lazzaretti emigranti; vivevan nelle celle de' monasteri, nelle corsìe promiscue degli ospedali straboccanti; si lasciavano trasportare di chiesa in chiesa, di barella in barella; vedevano morire, toccavano piaghe immonde, ascoltavano urli strazianti, pativano lezzi nauseabondi, soffrivano tutto quanto può soffrire la pazienza umana, e poichè su la terra nessun medico più li salverebbe, credevano disperatamente nel potere della grazia celeste, denudavano le proprie infermità perchè meglio Iddio le vedesse, incrudelivano le piaghe roventi sotto i rivoli dell'Acqua risanatrice; di giorno, di notte, null'altro facevano che inveire a Dio con disperate preghiere.

Portati come spaventose reliquie dietro le bandiere dei pellegrinaggi, serviti per carità, non dalle mani rozze dell'infermiere, ma da quelle talvolta paurose della patrizia e del cavaliere di Cristo, si accorgevano a poco a poco d'essere divenuti come brandelli sacri ed intangibili della calamità umana. Quanto più erano difformi, tanto più sentivano crescere il senso di questa venerazione, tanto più speravano che il cielo volesse designarli per dare l'esempio del miracolo. Alcuni forse giungevano sino ad amare la propria infermità, come un tramite per essere più vicini a Dio. Tutto, in quel mondo soprannaturale della fiera di Lourdes, era predisposto per condurre i sani e gli infermi a vedere ogni cosa traverso il colore dell'allucinazione: dovesse pure non accadere il miracolo, molti erano così pregni di miracolosità, che giurerebbero d'averlo veduto. Quella carne così spietatamente incisa dai crudelissimi artigli della malattia sentiva di esser esposta, come i sacri ciborii, su l'altare della pietà cristiana; que' mutilati s'accorgevano d'essere gli attori precipui dello spaventoso dramma, la torturata creta ove s'imprimerebbe, davanti alle turbe della gente cristiana, il póllice della divinità.

Riarsi di sete, avevano bevuto con avidità, sotto i becchi delle fontanelle canoniche, il filo d'acqua espresso dal tocco della divina Bernadette. La scarsa e debole sorgente ora dava migliaia di litri al giorno; scorreva giù, piana, liscia, innocente, come una qualsiasi vena prigioniera in condotti sotterranei: si apriva un rubinetto di zinco, e la possibilità del miracolo fluiva. Nudi, paonazzi di febbre, lividi per gelo, morsi dalle trafitture di flemoni e di piaghe atroci, coi polmoni fessi dai tarli dell'etisìa, le ossa frantumate dalle corrosioni dei morbi céltici, si erano lasciati immergere nelle piscine immonde, plumbee, simili a tombe di cemento nella melma verdastra d'uno stagno; e le immersioni talora duravano sino allo svenimento, non di rado fino all'agonìa.

Dentro quelle vasche, ove pareva si conservasse l'immondizia e la tabe di tutta la cancerosità umana, l'acqua veniva solo mutata un paio di volte al giorno, e quelli che chiedevan d'essere immersi erano talvolta parecchie centinaia. Sul fiore di quell'acqua buia, chiusa da un sipario di tende, si coagulavano fili di sangue, pezzi di croste orribilmente infette, batúffoli d'ovatta o sfilacciature di bende, staccatesi dalle úlcere in piena decomposizione; talora vi si agitavano piccoli brandelli di carne morta. Su quell'acqua micidiale, nefasta, fredda, scura, galleggiava una specie di oleosità, iridata come le ali delle libellule, che formava chiazze d'ogni forma, rossastre, violacee, simili un poco a vasti e folti ragnateli che si fossero adagiati su quegli orrendi serbatoi della putredine.

dentro s'immergevan gli eczemi, le pustole, i contagiati dalla malaria, dal tifo, dal mal sottile, dalla dissenteria; vi scendevan le femmine sterili a rendere il lor grembo fecondo, gli ulcerati dello stomaco a far chiudere la piaga vorace, le fanciulle possedute dalla follìa del mal d'amore a cercarvi la innocente castità: vi entravano ancora i fanatici del secolo ventesimo, quelli che in altri tempi di superstizione chiesero ai divino Cagliostro la fontana dell'acqua di gioventù.

Ed ora, dopo notti e giorni d'abluzioni, d'insonnia, d'inedia, di preghiere, storditi dagli organi della fulgente Basilica, ebbri di contagio mistico, saturi di comunione con Dio, prima di tornare alle case distanti, o morir per istrada, o riprendere il gramo giaciglio in fondo alle corsìe degli incurabili, erano , forse mille, dinanzi alla Grotta fiammeggiante, arringati dal monaco tragico, nell'attesa d'un segno di Dio.

 

 


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