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In questa camera vecchia, fra queste mura stinte, penserò a quel giorno di pioggia sul finire del mese di Settembre, quando entrai la prima volta, Madlen, nella tua stanza quasi buia. Dal bagno filtrava un po' di luce; l'argenterie cesellate, l'avorio de' tuoi molteplici pettini, scintillavano sul vetro della pettiniera. Si udiva la pioggia battere sul terrazzo, con uno scroscio continuo, pieno di sorda musicalità; nella voluminosa nebbia un lampione ad arco brillava davanti al teatro Eugenia Vittoria.
E dicevi: - «Essere amanti non è forse dolce come il pericolo di poterlo divenire. Se volete che sia vostra, tormentátemi un poco, fátemi un poco male, persuadendomi sottovoce, parlandomi sottovoce... poichè amo, amo, amo la lussuria delle parole... Ora tacete. Io sola parlerò con voi. Ho molte cose a dirvi, e quasi non me ne ricordo più. Sì, me ne ricordo... Ascoltate. La prima sera, quando eravamo seduti presso, alla tavola di giuoco, e vi domandai un fiammifero per accendere la sigaretta, ho capito súbito che qualcosa poteva nascere fra voi e me; provavo una irritazione singolare nel sentirvi così vicino, e fu allora, non dopo, ch'ebbi di voi la tentazione più forte. Quella sera voi eravate veramente un uomo senza cuore, gelido e sciupato, al quale restava negli occhi, forse nell'anima, qualcosa di terribilmente lontano, che altre portarono via, qualcosa di amaro, di aspro, d'insensibile... Mi piacevate allora, e dopo di allora non più...»
Fina fina, la pioggia del mese di Settembre batteva sui vetri, nel vespero buio. Il lampione ad arco del teatro Eugenia Vittoria ogni tanto si oscurava, come se vi passasse davanti un continuo volo di rondini.
Sì, avevi ragione, Madlen: - «only as long as we are strangers can love be a sweet spleen...»