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Quando, il giorno appresso, nell'atrio dell'albergo rividi la bella forestiera, ella mi parve una donna improvvisamente mutata. Negli occhi mi durava l'immagine di una magnifica e scintillante cortigiana, mi durava nei sensi la memoria della sua crudele bocca dipinta, il suono qualchevolta insidioso della sua voce soavissima, ed ecco, nell'atrio dell'albergo, ritta in piedi presso un tavolino di vimini, riconoscevo d'improvviso una lady veramente perfetta, forse un po' rigida, bella d'una più calma bellezza e che portava un abito ammirevole di semplicità.
Lord Pepe stava neghittosamente sdraiato in una larga poltrona di cuoio, con un piede accavallato su l'altro ginocchio, in modo che si vedessero bene le sue finissime calze, colore della paglia di Firenze, con la freccia ricamata in filo nero. Lord Pepe deliziava inoltre gli occhi del pubblico indossando con la maggiore naturalezza, in quel pomeriggio domenicale, un paio di stupendi calzoni quasi perfettamente gialli ed una giacca da mattina di un tale dernier-cri da oscurare tutto quanto è immaginabile in materia d'eleganze giovanili. La sua camicia era tutta freschezza, traversata in lungo dal sottil nastro di una cravatta scura; non aveva per tutta la persona un fil di polvere che gli facesse macchia, un sol capello che al pettine disubbidisse nella sua giusta e voluta piegatura.
Per quanto la sua maniera di vestirsi potesse ai profani od ai provinciali apparire leggermente ridicola, certo egli rappresentava con impeccabilità l'eleganza del giovine signore moderno, ciò che gli artefici di Piccadilly tramanderanno come un figurino classico ai lontani seguaci di Lord Brummel, - quel magnifico Lord il quale fu, senza nemmeno averne l'aria, un saggio e sapiente collaboratore dell'imperialismo inglese.
Dalla bocca di Lord Pepe ora usciva un altro enorme sigaro Avana, che mandava così larghi vortici di fumo azzurro da ottenebrare tutta l'aria del salone invetriato.
Un terzo personaggio era fra lui e Madlen, seduto con eleganza in un angolo del sofà; un piccolo personaggio di pelo color giberna, con due smisurate orecchie a frangia, mobili e ricciute, due rotondi occhioni sporgenti, un musetto camuso, la coda lunga ed arruffata in un enorme fiocco: - era costui l'arrogante nobilissimo Pompon, il pechinese di Madlen Green.
Pompon era uno di quegli esseri cui la troppa felicità guasta il carattere. Siccome il freddo cuoio poteva riuscire molesto alle sue delicate membra posteriori, lo avevan posto sovra un bel cuscino, ed il suo pelo focato come la tartaruga mandava qualche riflesso di biondezza che pareva si accordasse mirabilmente con la capigliatura di Madlen. Era lì, seduto su la coda, con molta distinzione; ogni tanto faceva un piccolo sternuto, quasi per significare a Lord Pepe che il fumo del suo grosso Avana gli causava una insopportabile noia. Siccome però Lord Pepe non se ne dava per inteso, il nobil cane volgeva gli occhi adirati verso la sua padrona.
E questa venne appunto in suo soccorso, pregando Lord Pepe di volersi mettere a sedere altrove.
- Hombre! - borbottò questi, - el perrito es muy fino!
Ma non fece alcuna resistenza e docilmente cambiò poltrona. Così la nuvola di fumo andò a finire proprio nel viso d'una vecchia pinzocchera, la quale aveva sul labbro quasi giallo due baffetti assai dispettosi e portava un luccicante abito di raso nero, guardava in giro con un occhialetto montato in ebano, e, sul culmine delle sue trecce finte, manteneva in equilibrio un allegro cappellino rococò.
Tutte le belle donne amano sacrificarsi ad un piccolo cane. Ma la superbia di questo animaletto era in pieno contrasto con la democrazia dei tempi nei quali viviamo, ed io, nei panni di Lord Pepe, avrei continuato a mandar fumo sul muso di Pompon, - il profumato, il decadente Pompon, al quale un Pari del Regno Unito poteva certo invidiare la purezza della genealogia.
Lord Pepe, satollo e ben riposato, era d'eccellente umore; mi trattò come un vecchio amico e súbito colse l'occasione per raccontarmi sottovoce un gran numero di barzellette oscene, delle quali andava pazzo, e ne sapeva tutto un rosario, d'ogni colore, grado e varietà.
Nel considerare questo epicurèo così ben pasciuto, così attento al suo corpo, alle delizie facili della sua carne ben coltivata, mi avveniva di trovare profondamente inutili, anzi dannose, tutte le complicazioni cerebrali dietro cui si perde il miglior tempo della mia vagante gioventù. Possedeva un'amante ammirevole, un sarto geniale, un cane aristocratico; era giovine e doveva certo essere molto ricco; gli piacevan le buone mense, gli ottimi sigari, l'alcool centellinato a piccoli sorsi; pareva essere affatto libero da disturbi gastrici come da mali di nevrastenia, credo fosse incapace di soffrire pensare o dubitare profondamente: - questi, per vero dire, sono gli uomini che conservano alla specie umana il suo calmo ed invidiabile2 retaggio di felicità.
In Ispagna si fa colazione assai tardi, si cena tardissimo; eran quasi le tre del pomeriggio, e gli eleganti ospiti dell'albergo, sorgendo a poco a poco dalle mense, traboccavan nell'atrio con un vivace chiaccherìo. La corrida celebre, quella dove Bombita prenderebbe il suo congedo estremo dalle Arene del Nord, aveva richiamato nella città regale una folla enorme di curiosi, accorsi da tutte le villeggiature del paese Basco e dalle frequentate spiagge di Biarritz.
Nel giardino dell'albergo e per l'ampio viale ch'era intorno alla cancellata, una ressa d'automobili padronali mandava strepito di motori, suoni di trombe, nuvole di fumo. Lentamente avanzavano in fila, per fermarsi a piè della scalinata, ove una folla di bellissime donne, di signorine loquaci, d'uomini decorati e risfavillanti aspettavano con pazienza di veder giungere la propria vettura. Un portiere gallonato chiamava ad alta voce i sonori nomi patrizi dei proprietari di cocchi o d'automobili, man mano che le vetture s'avvicinavano; poi, scoprendosi il capo, ne apriva con solennità gli stemmati sportelli.
Tutta l'aristocrazia di Spagna, non immemore del fasto che la fece risplendere nei secoli della gloria e della preda, quando per ogni mare della terra navigava il suo naviglio borbónico, - questa bella e fiera stirpe d'autocrati, ridotti per una serie di colpe o di sventure a nascondere sotto apparenze teatrali la squallida loro povertà, - marescialli e governatori, consoli ed ammiragli, ministri, ufficiali, dignitarî, e tutto quanto nella città di Maria Cristina rappresentava la gloria del regno di Alfonso XIII, tutto a grado a grado scendeva, lentamente, con soste, per quella bianca scalinata.
Ciarliere, incipriate, un po' carnose, le nobildonne di Spagna offrivano alle minacce del tempo nuvoloso i loro non del tutto novissimi abiti parigini; le giovinette pettegole, i bruni smilzi adolescenti, facevano su quel tumulto scoppiare fontane di riso, ma d'un riso così limpido e gaio come soltanto può mandare l'anima d'una terra spensierata, ove, su tutte le miserie della vita, splende con immutabile serenità la magnificenza del sole.
V'eran frammezzo alcune celebri cortigiane di Francia, venute a trascinare sui ruvidi gradini dell'Arena i loro inestimabili velluti, le seterie tramate con splendore dalla pazienza di gloriosi telai. Nei lor occhi scintillanti rimaneva un po' di fatica notturna; si vedevan, sotto i sapienti belletti, le tracce delle veglie consumate alle angosciose tavole di baccarà.
Finalmente anche l'automobile di Lord Pepe giunse davanti alla scalinata; vi entrammo, ed il nostro meccanico si pose nella interminabile fila. Ma la ressa dei veicoli era tale, che non fu possibile giungere all'alto piazzale dell'Arena, se non procedendo per tutto il percorso a passo d'uomo.