Guido da Verona
Sciogli la treccia, Maria Maddalena
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L'Arena di San Sebastiano appariva quel giorno in tutta la sua magnificenza, quantunque non presentasse quell'aspetto così tradizionale, così caratteristico, delle antiche Plazas di Sevilla o di Madrid.

Eravamo giunti all'Arena mentre già si stava «matando» il primo toro; un solenne irto animale dalle corna lunate, bianco di mantello, ed or fasciato su gli ómeri da una vasta gualdrappa di sangue.

Gallo, espada smilzo e calvo, idolo di un grande partito che in Ispagna giurava su la maestrìa del suo destro pugno invincibile, dopo aver dedicata la morte del toro a non so chi del pulvinare, si avanzava nel mezzo dell'Arena, verso il grande e fermo avversario che, ansante, non più si avventava contro le fallaci cappe dei mantellieri, ma tenendo basse le corna, gocciolando sangue, ormai sentiva di dover combattere la sua pugna fino all'ultimo respiro.

E Gallo, venutogli di fronte a men di due passi, con tanta grazia sciolse la sua «muleta» color di porpora e la sciorinò su la diritta spada, che, invece di vederlo fermo davanti al pericolo della morte, mi parve un uomo il quale s'apparecchiasse leggermente a qualche non drammatica prova di agilità.

La bestia formidabile abbassò le corna ed irruppe contro il panno rosso. Gallo, senza quasi muovere i suoi minuscoli piedi, se lo fece più volte rigirare intorno, sotto i gomiti, dietro le spalle, con tanta precisione, che le corna lunghissime dell'animale pareva sfiorassero gli arabeschi del suo giubbetto luccicante.

L'uomo pareva combattere servendosi d'un mirabile istinto geometrico, eludeva l'urto con un gioco di millimetri, schivava la morte, ridendo, con un prodigio continuo d'esattezza e d'elasticità.

Ma Gallo, che aveva sollevato applausi nella sua lunga giostra col toro, non ebbe fortuna nel portargli la stoccata. Era un animale restìo a tener bassa la fronte; quando già pareva esausto e ridotto all'immobilità, quando l'espada stava per colpirlo nell'insanguinata cervice, d'improvviso il toro dava un altro balzo e rompeva contro il panno, sebbene i garretti non lo reggessero quasi più. Il pubblico, impaziente, strepitava perchè lo mettesse a morte. Gallo scelse male il momento, peggio colse nel segno, la spada non s'immerse che a mezza lama, poi, nel furioso dibattersi del toro, tra i suoi muggiti lugubri, vacillò e ricadde. La bestia ferita vomitava un po' di sangue; dagli spalti gremiti cominciò a volare qualche fischio.

Allora, nervosamente, Gallo si fece tendere un'altra spada, sciolse di nuovo il rosso drappo da combattimento per costringere il toro ad abbassare la fronte, mirò alla nuca e diede la stoccata. Ma il secondo colpo non fu migliore del primo. Gemendo, l'animale retrocesse, gonfiandosi di dolore e di vomito sotto lo strazio della spada mal confitta. Il soffio delle sue narici umide mandava larghi spruzzi di sangue, gli occhi dilatati gli scoppiavano dalle orbite già gonfie d'agonia. Con un boato quasi umile di povera bestia ferita guardò l'uomo che l'aveva ucciso e tentò ancora di avventarsi. Ma i garretti si piegarono, e sotto il peso della morte l'animale s'inginocchiò, lasciando pendere dalle fauci la tumida lingua, bavosa ed insanguinata.

Accadde quel momento di silenzio con cui le folle d'uomini attendono il rantolo di chi perde la vita.

Ma d'un tratto l'animale risorse, quasi più vivo, e con la spada infitta nella coppa ricominciò furiosamente a combattere.

Grandi urla proruppero da tutte le gradinate.

Con rabbia l'uccisore prese una terza spada, si buttò contro l'animale, gliela infisse di colpo nella dura cervice.

Questa volta cominciò il toro con retrocedere, dondolando il capo enorme, quasi per resistere alla morte che gli entrava nelle vene; si piegò, risorse, cadde, girando il collo tozzo, come per estirparsi dalla carne il ferro che l'uccideva. E non moriva, sebbene gli agitassero davanti agli occhi le rosse cappe, che forse non vedeva più.

Tra i rumori dell'anfiteatro Gallo strappò il ferro dalla piaga, ne poggiò fra le due corna la punta forbitissima, diede un leggero colpo, e la testa sollevata ricadde, il duro animale si stecchì.

La fanfara, su gli spalti, salutò a squillo di tromba la vittoria dell'uomo.

- ¡Malo, hombre! Muy malo, hombre! - andava gridando con tutto il suo fiato l'indignatissimo Lord Pepe.

E Gallo, con un piccolo sorriso malcontento nella faccia segaligna, compiva il giro dell'Arena, raccogliendo i berretti che forse per confortarlo gli lanciavano i suoi pochi ammiratori.

 

 


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