Guido da Verona
Sciogli la treccia, Maria Maddalena
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Usciva in quel mentre l'ultimo toro della giornata, l'ultimo che avrebbe morte per mano di Bombita nella Plaza di San Sebastiano.

Era un quadrato animale, corto e ruvido, con la cotenna irsuta come la crescente criniera d'un lioncello.

Compiutosi di nuovo un grande cerimoniale, ricominciò il torneo di cappa e di lancia, ove il toro diede prova di furibondo valore. Poi si presentarono, a banderillare insieme in questa corrida, Gallo ed il medesimo Bombita.

In una gara insuperabile di maestrìa ne piantaron all'esatto segno due paia di corto manico per ciascuno.

Quando infine Bombita impugnò la diritta spada e la «muleta» fiammeggiante per dar morte all'ultimo suo toro, una spettacolosa ovazione sollevò l'anfiteatro.

Ma di nuovo la sorte gli fu singolarmente avversa. Fosse colpa della sua manìa d'eccellere o fosse difetto nella guisa di combattere del toro, Bombita mancò la prima volta quel suo colpo di spada, che, se fosse stato mortale, mi avrebbe fatto assistere senza dubbio al più grande spettacolo di delirio popolare, al più caratteristico esempio di trionfo circense del quale mai potessi conservare la memoria.

Invece due spade furon vane; la terza, con prolungati rantoli, spense l'animale inginocchiato in una pozza di sangue.

E mentre le gradinate si sfollavano con lentezza, io vidi portar su gli ómeri dalla ragazzaglia che invase l'emiciclo un uomo irritato e restìo, che forse in quel pallido giorno di commiato rivedeva la sua prima levata su gli ómeri nell'Arena di Siviglia, la prima burrasca d'applausi che innalzò fino al rumore della gloria, fino a quest'ora di perduto apogeo il suo nome ignoto...

 

 


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