Guido da Verona
Sciogli la treccia, Maria Maddalena
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Come Dio volle giunsi a rintracciare l'automobile di Lord Pepe tra l'immensa confusione di veicoli d'ogni sorta e le continue fiumane di gente che invadevano il piazzale dell'anfiteatro. Poi, con estrema lentezza, dovemmo compiere tutta la discesa di Monte Ulìa, sul quale sorgono le Arene di San Sebastiano.

Brillavan sotto i nostri occhi le aquile d'oro del ponte di Santa Catalina, ultima barriera verso l'oceano del grigio lento fiume Urumea. Di , fra i curvi promontori, si sciorinava la città regale, messa più volte a sacco, incendiata, smantellata, or dall'incendio risorta con bianchissimi edifici e larghe strade scintillanti, adagiata lungo la maravigliosa baia della Concha, dalle arene morbide come velluto. Monte Urgull e Monte Igueldo chiudevano, su le opposte rive, l'insenatura del golfo; nel mezzo era l'isola di Santa Clara, ove, in quell'ora calma, tornavano dal tremolante oceano le vele dei pescatori.

Ed ecco, in una sera di Settembre, volando per la Concha lungo il mare, sotto i giardini reali dell'alto Castello di Miramar, imprigionato in quel cofano di cristallo a fianco d'una donna forestiera, io sentivo di andare incontro al pericolo d'una grande poesia.

E nel guardarla pensavo: - «Questo è forse l'amore

Pensavo: - «Rubare alle cose, alle anime che passano, il loro profumo più inebbriante, abbandonarle prima che sfioriscano, allontanarsi prima di conoscerne l'agonìa: - questo è forse l'amore. Portare con un rimpianto, qualcosa di magnifico e di perduto, smarrirsi nei labirinti della vita portando in un desiderio giovine, non ancora disperso in polvere, pensare con una malinconia profumata a tutto quello che poteva essere e che non fu: - questo è forse l'amore. Udire lontano, confusamente, nelle distanze dell'anima, una musica lenta che si trascina come nell'aria un velo, e credere che indietro, in quella musica del nostro cuore disperso, in quel colore d'aria distante v'era forse, o vi poteva essere la felicità; sognare con occhi pieni d'aurora l'amante nuova che s'incontrerà nei miracoli della strada più lontana: - questo, questo è veramente l'amore.

I suoi occhi mi fecero pensare al profumo che mandano le violette.

I leggeri fili della sua piuma di Paradiso tremavano con una specie di nervosità, come se il delicato grappolo fiorisse da un troppo esile stelo. Immerso nella calda luce della sera, il suo profilo perfetto sembrava trasparente; le ciglia troppo scure, la bocca troppo rossa, tradivan con esattezza il segno dei belletti finissimi. Vedevo il pesante suggello d'ombra sotto il chiarore de' suoi occhi dorati; ma questo visibile artifizio le stava terribilmente bene, rendeva il suo volto meno puro, gli dava uno splendore più torbido, una bellezza più tormentata.

In un vasetto d'argento, fra l'orologio ed il portacenere, due lunghi rami di tuberose fiorivano da un mazzo di gelsomini; qualche petalo s'era sfogliato; cadendo, affondava bianchissimo nella pelliccia d'orso nero.

Avrei voluto dirle una parola d'amore, qualche bella parola d'amore, che inutilmente cercai. E tacendo guardavo le sue mani.

Quella mani mi facevano sentire il dolore delle sue lente carezze. Guardavo lei, per immaginare la sua maniera d'essere un'amante. Pensavo a quelli che l'avevano posseduta, alle labbra che si erano immerse nel respiro della sua viva bocca.

Tra il sole morente le sue trecce divenivano color di fumo. La sua pelle dorata prendeva il colore della infinita sera. Vedevo le sue forcelle di brillanti ardere come bianche fiamme nei capelli oscuri. Aveva nei polsi, nelle ginocchia, un non so che di pericoloso, d'inerte, una specie di musica ferma nelle sue lunghe giunture.

Se chiudevo gli occhi e volevo rivederne la sembianza, non era più lei: spariva dalla sua immagine bella un po' di sogno, finiva, quasi cancellata, una specie di maravigliosità.

Ed allora parlammo.

Era stanca, le dolevan un po' le reni... Oh, quelle gradinate incomode, il peso enorme della folla, il rumore, il sole, il sangue...

Adesso la strada correva, libera, nella sera profumata. Monte Igueldo era davanti a noi, con le sue ville cariche di rosai, co' suoi terrazzi pieni di sole.

Quando nella folta pelliccia muoveva i suoi piccoli piedi, la calza nera, così fina, percorsa da riflessi d'argento, mi faceva indovinare tra la balza il principio della sua nudità.

Che buon profumo le tue rose mandavano, quella sera, o felice Monte Igueldo!... Eppure anche tu passerai, dimenticato, ne' miei occhi d'errante; non rimarrà che una striscia di fumo, nulla, un po' di sogno, l'azzurra ombra d'una sera d'estate su la bella Concha, davanti al sole che moriva sul divino Atlantico... e sarà una striscia di fumo, nulla, un po' d'anima dispersa nel rumore della strada, qualcosa di troppo lieve, di troppo azzurro, la memoria d'una sera d'estate, una striscia di fumo, nulla...

I suoi occhi mi fecero pensare al profumo che mandano le violette.

Voi che avete una casa, ed amate la vostra casa, per voi c'è fiamma che vi scaldi lontano e fuori dalla casa, forse non potrete mai comprendere quest'anima bella del navigatore, che da noi si alza come polvere nelle distanze della strada che passò.

Mi piaceva; era funestamente bella; da lei cominciava la sera, brillava il sole, odoravano i fiori, mandava un tremito nello spazio la bianca terra di Guipuzcoa.

E nel guardarla pensavo: - Questo è forse l'amore.

La distanza è l'amore. Ciò che per noi fu tale in un'ora di bellezza, e finì. La donna che passa è l'amore; la donna senza storia, senza nome, senza il peso inevitabile de' suoi mediocri peccati. Quelle che andarono via, scomparvero, travolte nella musica d'un treno. Quelle che a noi diede il mare, di notte, nel grande spazio, laggiù, sotto le stelle, quando cantava il maestrale...

Con noi passarono, risero, nel turbine d'una città sconosciuta. Forse un teatro le portò; un albergo le diede; una strada buia.

Erano molte. Fra molte rimase una.

Aveva negli occhi e nell'anima il colore della terra d'esilio; portava in la primavera e come la primavera passò.

Forse un po' di sogno, la sera, affacciati ad una bella veranda. Chissà, forse una canzone, distante, fra gli alberi, che se ne va... Il buon odore de' suoi gonfi capelli pesava, opprimeva, cadeva, come cade nelle sere d'estate il caldo pólline dei gelsomini. E parlava con un po' di fatica, sottovoce, della sua casa lontana, di gente che voi non conoscete, di luoghi belli e distanti che forse non vedrete mai; parlava con una voce piana, senza ombra di paura, come una buona sorella...

E fu la vostra amante in una camera d'albergo, dopo una sera troppo calma od un bicchiere troppo colmo... Chi era?... Forse nessuno; la donna più bella che vedeste, il colore della terra d'esilio, l'unica forse che v'innamorò.

Sul vostro guanciale disciolse per qualche notte la sua treccia profumata; vi disse molte cose di , molte cose poco importanti, che saranno fors'anche vere...

Poi, una sera, d'un tratto, pallida e quasi con paura, vi disse nel bacio più tremante: - «Domani vado via

La mattina, prima del sole, come venne uscirà da voi, leggera, in punta di piedi, trascinando sul lungo tappeto la sua fina vestaglia di seta.

Chi era?... Forse nessuno; il colore della terra d'esilio, la musica dell'amore che passò; nulla, una striscia di fumo, la cenere d'una fiammata che morì... e troverete ancora di lei, nella coltre, una forcella dimenticata...

Aveva la infinita bellezza di appartenere ad una patria lontana, di giungere da un mondo impreciso, di avervi abbandonato con una lacrima, di avervi scritto con un fiore... Passando, in un giorno d'esilio, vi diede con vero profumo tutto il bene che poteva dare di : la sua bocca limpida e rossa, le sue treccie pesanti che si sciolsero in una notte di stupenda follìa; - e sarà una striscia di fumo, nulla, un po' di anima dispersa nel rumore della strada, qualcosa di troppo lieve, di troppo azzurro, la memoria d'una sera d'estate, una striscia di fumo, nulla...

 


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