Guido da Verona
Sciogli la treccia, Maria Maddalena
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19

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Quel teatro si chiamava Teatro Circo. Ne uscimmo verso le undici, e per vicoli oscuri, dove i popolani camminavano senza rumore su le lor scarpe di corda, ci avviammo, come ogni sera, verso il Casino.

Confesso che molto volentieri sarei tornato per quei vicoli ambigui sino al Teatro Circo, dove un portiere od una fioraia, un venditore di chufa o qualche altro cortese intermediario, mi avrebbe forse indicato il mezzo più sollecito per far giungere un mio biglietto da visita, con qualche dichiarazione d'amore scritta in pessimo spagnolo, fin dietro le quinte ov'era il camerino della bellissima danzatrice Pastora Imperio. Non già ch'io dividessi l'opinione di Lord Pepe, trascurando affatto quella di Madlen; senonchè le promesse voluttuose di quest'ultima erano lente quanto mai ad avverarsi, mentre la «Jota» è una terribile danza, che certo non persuade gli uomini alla purezza francescana, e più infernale danza è quella che porta il nome di «Olè».

Ond'io volgevo tra me stesso il pensiero di conoscere Pastora Imperio, benchè non sapessi come avrei potuto sfuggire alla involontaria vigilanza de' miei nuovi compagni. Ormai avevamo presa l'abitudine di passare tutte le serate insieme; spesso pranzavamo alla medesima tavola, poi andavamo allo stesso teatro; si cominciava e si finiva il gioco alle medesime ore; una lieta cena chiudeva le nostre lunghe fatiche, poi, verso l'alba, tornavamo all'albergo insieme. Lord Pepe, con molto spirito, non si mostrava punto geloso; anzi aveva l'aria di permettere ch'io facessi alla sua bella compagna un briciolo di corte. Questo fatto lo dispensava da una quantità di piccole cure, che forse affaticavano la sua naturale pigrizia. Ero dunque io che a Madlen ponevo e ritoglievo il mantello, accendevo le sigarette, offrivo da bere, procuravo i programmi, le caramelle, i fiori, cambiavo i gettoni, domandavo al violino di spalla la canzone preferita, ed ero persino io che, talvolta, conducevo nel giardino dell'albergo il nobile pechinese Pompon. Questa mi pareva in ogni caso una prova di fiducia, bella e delicata.

Lord Pepe, giovine hidalgo pieno di senno, amava risparmiarsi per le fatiche maggiori.

Queste ragioni mi tolsero il mezzo di tornare al Teatro Circo in tempo utile. Poi se n'aggiunse un'altra, non meno decisiva; e questa fu che, appena giunto presso la tavola da gioco, perdetti senza indugio molte migliaia di pesetas.

Nulla come un tale rimedio sopisce il fuoco dell'amore; sicchè dovetti per prima cosa provvedere al ricupero delle involate pesetas, che dopo lunghe alternative ridivennero mie. Ciò mi permise di ripensare alla brunissima danzatrice di «Jota».

Madlen e Lord Pepe frattanto erano immersi fino alla gola nelle amarezze del «trente et quarante». Lord Pepe assisteva con occhi attenti e fulgentissimi alle pericolose fortune del giuoco di Madlen. L'unico momento in cui, per nessuna ragione al mondo, egli avrebbe consentito ad abbandonare la sua compagna, era infatti quand'ella sedeva presso la tavola da gioco. Il buon senso amministrativo di quest'uomo vestito a Piccadilly rappresentava per quella pazza Inglese un freno indispensabile.

Dopo mezzanotte le attrici di tutti i teatri, e così pure quelle che professan l'arte liberale del piacere al primo che le guarda, usavan tutte quante radunarsi al Casino, per rischiare un marengo sovra una serie di «trente et quarante» e bere, secondo i casi, o molte coppe di freddo Sciampagna od una economica tazza di caffè.

La sala da giuoco apriva le sue belle invetriate sovra un ampio terrazzo, dal quale tutto il golfo appariva, sino al termine della incurvata Concha. Era il terrazzo dove si rifugiavano i perseguitati dalla disdetta o gli accesi dall'amore. Un uomo solitario, il quale dopo la mezzanotte sedesse ad uno di que' tavolini e per caso, davanti a quel mare così calmo, sentisse nell'anima nostalgica un tremante bisogno di poesia, non rischiava mai di rimanere troppo a lungo in contemplazione della solitudine.

Or accadde ch'io pure, quella sera, sentissi vagamente il bisogno d'una boccata d'aria ed uscissi per un momento a passeggiare su quel terrazzo romantico. La notte profumata e chiara, le stelle, il mare, che so io, forse la scintillante statua della Reina Maria Cristina, mi facevano danzare nel sangue la terribile «Jota» di Pastora Imperio.

D'un tratto la buona ventura che assiste gli scapoli ed i sognatori venne spontaneamente in mio soccorso. O fu per caso un'allucinazione?... Come potrei dirlo? Fatto sta che improvvisamente vidi Pastora Imperio, la terribile danzatrice di «Olè», ritta e ferma contro l'invetriata. Fumava una sigaretta, parlava, rideva con un piccolo ufficiale di cavalleria, un vincitore di Coppe Reali nel Concorso Ippico.

Non era per me facile cosa riconoscere una donna veduta una sol volta su la scena, e pressochè nuda, in un'altra che invece portava un abito leggiadro e ben modellato, con le maniche fino ai polsi, la camicetta fino al mento, e raccoglieva le sue belle trecce sotto un fino groviglio di leggere piume. Potevo benissimo ingannarmi, od anche mettere nel mio raffronto un poco di fantasia. Però, se i miei occhi non eran vittime di un abbaglio sorprendente, quella era, dalla fronte al piede. Pastora Imperio.

La medesima statura molto alta, snella, il piede fino, il fianco ben segnato, le spalle aperte, un po' rovesciate all'indietro, il collo nervoso, mobile, due stupendi occhi da Carmen, il profilo da ebrea.

Cominciai a passeggiare in su, in giù, per meglio esaminarla da vicino ed attrarre i suoi lucenti sguardi sopra la fronte non elevata dell'ottimo cavalcatore. Questi le raccontava certo qualcosa di molto gaio, perchè ogni tratto vedevo la sua bocca scintillante ridere. Quando bene potei osservare le sue labbra, il suo riso, i denti limpidi, gli occhi fatti a mandorla, più non mi rimase alcun dubbio: quella era Pastora Imperio.

Ma il giovine ufficiale... perchè non pensava egli dunque a coricarsi di buon'ora, visto che la mattina dopo i suoi veloci ed agili destrieri lo avrebbero atteso al primo sole, per compiere il duro percorso volando sotto lo scudiscio dell'intrepido cavalcatore? E non s'accorgeva inoltre, il piccolo Ussero di Alfonso XIII, che gli sguardi luminosi della bella Pastora Imperio non avevano affatto per me quella truce ombra che ben conobbe a' suoi tempi l'innamorato espada?

Passeggiai ancora un poco, indi presi una lodabile risoluzione.

Per la fortuna de' giovini e de' vecchi scapoli sonvi dappertutto, nei luoghi ove convengono donne galanti, certe provvide e sapienti matrone le quali interpongono l'opera della loro saggezza tra il frutto che si vuol cogliere ed il prezzo che se ne vuol offerire.

A mia conoscenza la sala da gioco ne ospitava una in dimora stabile, della quale un impiegato belga mi aveva tessuto i più caldi elogi, dicendola molto accorta nel suo leggiadro mestiere, fidata ne' servizi e conosciuta per tutta la penisola come reggitrice d'una prospera casa di Madrid. Ella era uno sfasciato quintale di rosea carne ribelle ad ogni busto, con un sorriso da vergine folle. Aveva sempre intorno a certe sue colombette, da lei menate in Cantabria per far fronte alle occorrenze della stagione.

Doña Beatriz (questo era il dolce suo nome) non di rado mi aveva sorriso, come a tutti gli uomini soli; ed ora me ne ricordai, perchè il sorriso d'una donna contiene sempre qualche vaga promessa.

Abitualmente stava seduta in un angolo, a far la chioccia delle sue pulcine; queste andavano intorno, scodinzolavano, schiccheravano, di qua e di , un po' dappertutto; indi facevano ritorno a lei per dirle: - Mammina, ho fatto l'ovo!

Con un sorriso quanto mai garbato e con maniere piene di rispetto mi accostai al suo divano:

- Se digne Usted de excusarme...

- Hable, hable, Señorito!

Il mio gergo ed il suo fiorito linguaggio non si potevano intendere senza una certa difficoltà; ma siccome la causa del nostro abboccamento era d'indole alquanto internazionale, giunsi nondimeno a spiegarle ch'io desideravo conoscere la bella Pastora Imperio.

- ¿Pastora Imperio?... Donde està Pastora Imperio?...

Il triplice mento e le rosee guance della venerabile Donna si gonfiarono di un solenne stupore; poi si levò, andò a vedere di persona qual fosse la brunissima danzatrice che io le decantavo, e tornò indietro muovendo le braccia, come se disegnasse nell'aria tanti punti esclamativi.

- No, señorito! no, señorito! La niña que Ud. quiere es Socorrito!... Socorrito la Sevillana...

E un diluvio di parole per illustrare la perfetta rassomiglianza che tutti riconoscevano alla Sevillana con Pastora Imperio, ed i meriti assai maggiori di Socorrito in paragone dell'altra, senza contarne la più fresca età - nove anni di meno, mi giurava doña Beatriz - e poi «la delicateza» e poi «el desinterès» e poi «la hermosura» e poi tante altre buone cose intime, per le quali era una fortuna impareggiabile quella di poter conoscere Socorrito la Sevillana...

Un po' deluso, le feci tuttavia scorrere nel palmo della benefica mano un biglietto da cinquanta pesetas, ch'ella nascose nel seno, dopo avario sbirciato, e mormorò, quasi arrossendo:

- Señorito, Ud. me humilia!...

Che purezza d'animo! che ineffabile candore!... Fatevi coraggio, doña Beatriz!... Conviene prendere la vita con una certa filosofia. Non vedete? Io sono innamorato di Madlen, volevo Pastora, e dovrò infine contentarmi di una semplice Sevillana. Ma perchè dunque non mi avete lasciato credere nel mio delizioso errore, dicendomi: - «Sì, è Pastora Imperio,» - e facendo a lei stessa dire: - «Sono Pastora Imperio...»? Ebbene, accetterò il vostro consiglio, doña Beatriz. Nove anni di meno... Rassegnamoci. E dunque parlatele voi, doña Beatriz; ditele voi, trovate il mezzo voi di scavalcare quell'intrepido ufficiale. Io vi aspetterò sul terrazzo, nel buio, nell'ombra, come un innamorato, come un reo...

Le donne, in fondo, non sono mai l'amore; sono qualche volta la via necessaria per giungere all'amore.

Uscita che fu la matrona sul terrazzo, non saprei dire come le cose andarono, ma forse, ad un certo punto, la Sevillana stessa dovette far presente all'ufficiale di cavalleria che il giorno appresso, di buon'ora, egli avrebbe dovuto addestrare al percorso un imbattibile saltatore, - pensiero che i begli occhi della Sevillana avevano in lui per un attimo dissipato.

Egli allora tracannò - grave imprudenza! - un ultimo bicchiere di Malaga, strinse la mano di quella che fu per un momento Pastora6 Imperio, e se ne andò facendo risuonare gli speroni.

Ecco, - ed io mi trovai di fronte all'amore.

Una bella ragazza impacciata ed una pingue affabile donna, che il mondo calunnia di nomi scortesi per l'inoffensivo mestiere che fa... - ecco l'amore.

Dopo tanti sogni, dopo tante follìe dei sensi e dello spirito nel desiderare un'altra non ancora posseduta, ch'era , quasi a due passi da noi, dopo le danze di Pastora e la voce di Madlen... - ecco l'amore.

Sì, va bene, va bene, povera Sevillana... se mi attenderete un momento, giù dalle scale, o fuori, nel giardino... ora, fra poco, verrò.

E Socorrito, fiore di Siviglia, con i suoi occhi neri e calmi, fatti a mandorla, belli come l'indifferenza, mi guardò, sorrise, disse di sì.

Non volevo mostrarmi a fianco della Sevillana, in quelle sale medesime ove ogni giorno ero solito venire in compagnia di Madlen Green.

Rientrai. Madlen giocava; era in piena disdetta; Lord Pepe aveva una faccia lugubre.

- Oh, ditele voi che si fermi un poco! - esclamò Lord Pepe. - Sono mazzi terribili! Non si riesce a vincere un colpo.

Le avessi pur dato questo ragionevole consiglio, la mia raccomandazione sarebbe stata inutile. Feci assai meglio. Contai la somma che ancora le rimaneva sul tappeto, la raddoppiai con altrettanto mio denaro e le dissi:

- Ora, vi prego, giocate anche per me. Vinceremo. Io torno all'albergo. Sono stanco; mi duole il capo.

Ella si volse con un movimento veloce, un movimento imprevedibile, che fece brillare la sua nuca e diede una specie di contrazione alle sue spalle nude. Mi guardò, sorpresa, offesa, con i suoi bellissimi occhi dorati, che la maraviglia empiva quasi d'innocenza; poi disse:

- Come? ve ne andate prima di cena? Ma perchè?

- Sono stanco. Poi debbo scrivere molte lettere, molte lettere...

- Dov'eravate finora?

- fuori, sul terrazzo.

- Ah?... sul terrazzo?...

E si rivolse, con un movimento più repentino ancora, prese un fascio di denaro, lo buttò sul tavoliere, attese qualche attimo, vinse.

Io dissi:

- Comincia la fortuna. Continuate. A domani, Madlen. E Lord Pepe rideva.

Ella notò nel cartoncino, col suo lungo spillo, il colpo vinto; poi disse, quasi fra i denti:

- Tieni, c'est drôle!... je n'aime pas les gens qui ont la migraine!...

 

 





6 Nell'originale "Pastoria". [Nota per l'edizione elettronica Manuzio]



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