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La miss cameriera prese in braccio Pompon e scomparve nell'ascensore del Grand-hôtel de Vizcaya, dopo che il segretario dell'albergo ci ebbe destinate due14 belle camere vicine, con mosquiteros sui larghi letti, en el piso principal, cioè al secondo piano.
Madlen aveva molta fame, io pure; le proposi un almuerzo di color locale in una casa de comidas, e cioè in un ristorante veramente biscagliese.
Madlen, ch'era un'altra donna quando non aveva su le braccia l'orribile Pompon, accolse di buon grado la mia proposta; ed insieme uscimmo dall'albergo, avviandoci verso il Paseo del Arenal.
Le campane di Bilbao, nell'alto sole, battevano il tocco. Un dragone di Alfonso XIII camminava davanti a noi, come se la sua terribile spada governasse l'intero mondo. Tra gli alberi profumati alcuni monelli scalzi fumavano con molta serietà. Una piccola zingara, bruna come le olive mature, c'inseguiva con un paniere di ciclamini. Su l'argine del fiume una lunga fila di scaricatori mangiavan radicchi e pesce salato, mentre un venditore ambulante di bibite ghiacciate li dissetava con horchatas de chufas, agua de cebada e zarzaparilla. Le commesse di negozio, un po' larghe di fianchi nelle attillate gonne parigine, si fermavan tratto tratto a cinguettare con qualche innamorato, snello, asciutto e fresco di rasatura. Poi si vedevano andar oltre insieme, tenendosi a braccetto, sotto un chiaro ombrellino. Qualche bella mula bionda, con forti sonagliere, trascinava piccole vetture coperte da larghi baldacchini. Le tramvie stridenti scampanellavano contro la folla sbadata; certe maestose pingui matrone, per traversare la strada, rialzavano fin sovra i polpacci la doppia e triplice gonnella nera.
Voi, Madlen, non so perchè, mi deste il braccio. Era la prima volta; e questo atto mi parve una deliziosa intimità, un gentile timido sentimento d'amore.
Dopo lungo andare, mi accorsi che avevamo sbagliato strada. Un signore molto grasso, molto amabile, in cappello panama, con un grande ombrello di cotone grezzo, interrogato da noi, ci spiegò cortesemente che il ristorante Antiguo si trovava in tutt'altra calle, poco lontano dall'albergo de Vizcaya. Per maggior chiarezza, questo eccellente uomo chiuse l'enorme ombrello di cotone grezzo e tracciò il disegno dell'itinerario nella sabbia del viale.
Questa volta infatti non sbagliammo. Il ristorante Antiguo puzzava d'olio fritto e di puros peninsulares, micidiali sigari del Regio Monopolio. Nondimeno ci furon serviti ottimi ordubres, con langostinos y jamón en dulce; poi, per terrore della manteca di Biscaglia, comandammo huevos pasados por agua, nome complicatissimo delle semplici uova à la coque, ed un rosso biftec á la parilla, che fece onore all'onesto animale dal quale proveniva.
I clienti del ristorante Antiguo stavan ora giocando a carte con mazzi assolutamente lerci, oppure intrecciavano da un tavolino all'altro conversazioni politiche molto rumorose. Vecchi scapoli, dalla fisionomia di pretori urbani, pensionati governativi, ex-ufficiali od amministratori di qualche Lotteria, lasciando cadere nel piattino della chicchera di caffè la bianca cenere d'un magro Habano, leggevano con accigliata e scrupolosa pazienza i loro grandi periodicos, trovando chissà mai quali sbalorditive notizie nella prosa declamatoria di quei giornali di provincia.
Una matrona forse cinquantenne, rotonda e prepotente come una tinozza, era seduta quasi dirimpetto alla nostra tavola, e, non saprei per quali meriti singolari, tanto la clientela come il proprietario del ristorante Antiguo le andavano prodigando continui segni di rispetto.
Con la sua mole rubiconda ella opprimeva un minuscolo marito, grigio e piatto come una vecchia sardella, il quale, certo naufragando nella sua pinguedine, le aveva pur dato il legittimo orgoglio di tre orribili maschi e d'una bella bambina. Questa era seduta vicino a lei, e per mancanza d'un seggiolone riusciva di ben poco a superare l'altezza della tovaglia. Invece i tre maschi le stavano di fronte, mentre il generatore di tanta fecondità, seduto a capotavola, ogni tanto sogguardava con occhi timidi la sua gloriosa e tremenda metà, che in questo caso avrebbe dovuto chiamarsi per lo meno il suo doppio. Doña Elvira - (questo era il nome che udivo da tutti pronunziare con ossequio) - si lamentava delle pietanze, delle saliere, delle oliere, del pane, del vino, della senape, della tovaglia, del servizio, del marito, de' figli, del Regno di Spagna e della città di Bilbao. I camerieri, un po' altezzosi con tutti, per lei sgambettavano pieni di premura, visibilmente felici di poterla servire. Supposi perfino che fosse la moglie del serenissimo Alcalde, e lui, quell'omiciattolo angusto, con le sue fedine grige, l'Alcalde in persona. Ecco le vere curiosità, cui si ripensa magari dieci anni dopo. Chi era mai quella terribile Doña Elvira, con il suo vecchio abito di raso nero, la sua triplice collana di corallo ed i suoi larghi anelli d'ametista?... Mi ricordo che fece anche abbassare le tende, perchè il riverbero del selciato le dava noia.
I suoi occhi porcini, rigonfi e maliziosi, ogni tanto sbirciavano Madlen, e la sua bocca un po' simile ad un guscio di lumaca non sapeva nascondere un sorriso di riprovazione. Fosse la moglie dell'Alcalde, o la padrona di cinquanta zattere sul fiume, certo era la vecchia Spagna cattolicissima, che guardava con diffidenza e con rancore la forestiera che si dipinge gli occhi e non porta l'abito di raso nero. Dopo essersi empita la bocca d'un copioso boccone, apriva il suo ventaglio d'ebano e ruminava con lenta ingordigia, rinfrescandosi le gote.
Doña Elvira, quando penso che anche voi, nelle vostre lontane primavere, vi sentiste battere il cuore all'uscir di messa, con la mantiglia in capo, sotto la profumata ombra, nel Paseo del Arenal!...
Madlen voleva ora che andassimo ad una corrida. Per soddisfarla consultai un periodico; ma purtroppo in quel mese a Bilbao non si toreava.
- Alors donnez-moi une cigarette, - disse Madlen.
Avevo una certa paura della potentissima Doña Elvira; nondimeno gliela diedi, e per meglio irritare la forse-moglie dell'Alcalde, l'accesi fra le mie stesse labbra, onde risparmiare a Madlen una oziosa fatica.
Doña Elvira guatò la bella forestiera, che stringeva tra le sue labbra dipinte il sottile bocchino d'oro, e vidi gonfiarsi per lo sdegno la sua faccia vendicativa. Non so cosa disse, ma qualcosa tuttavia che fece di colpo volgere i tre maschiacci, figli dell'Alcalde. Osservarono Madlen con insolenza ed anzi le risero in faccia come tre veri babbei.
Madlen, impassibile, mandò fuori una larga boccata di fumo, poi disse, con voce molto calma.
Essi, purtroppo, non compresero; però si rivolsero alla possente genitrice, per assaporare le delizie di una larga torta istoriata con arabeschi d'amarene.
In quel frattempo scoversi nel periodico l'annunzio d'un Circo de gallos, titolo stampato in carattere minuto sotto i resoconti ed il programma d'un Fronton de pelota.
Ne feci parte a Madlen, che súbito arse dal desiderio di veder combattere i galli. Io le spiegai ch'era questo un laido e barbaro spettacolo, nè valeva la pena di perdere una così bella giornata per veder due poveri animali spennarsi ed uccidersi a colpi di sperone. Ma non fu possibile toglierle dal capo questa idea, benchè l'onesto camarero ci avvertisse che il così detto Circo de Gallos era un pessimo luogo e mal frequentato, indegno a parer suo di tam distinguidos huespetes. Ed inoltre lo spettacolo non cominciava che verso le quattro.
«Buon uomo, per la tua cortesia posso darti una mancia ragguardevole; ma non sperare di convincere con buone ragioni questa curiosa e capricciosa donna, che verso le quattro dovrò condurre in ogni modo a veder combattere i galli.»
Nel frattempo feci venire un coche e scarrozzammo traverso Bilbao. Passato il Nervión sul ponte Isabella, scendemmo per il lunghissimo rettilineo della Grande via Lopez de Haro, dove ammirammo anche la statua di questo eccellente Signore della Biscaglia, il quale, non saprei con esattezza quanti secoli fa, si prese la briga di mettere al mondo Bilbao.
Qualche palazzo e qualche chiesa; chiari negozi aperti su marciapiedi affollati; altre piazze; altre statue - infine un bel giardino.
«E voi, Madlen, non guardate la splendente Bilbao?»
No, ella guardava in alto, per l'aria colore d'autunno, verso le grondaie che brillavano come fosser d'oro; guardava alle serene finestre delle case più antiche, ove, ogni tanto, qualche treccia nerissima balenava in un raggio di sole. Il suo sguardo sarcastico e freddo radeva con una specie di antipatia que' marciapiedi popolosi, quella gente verbosa e pigra, che forse non arriverebbe mai a concepire la strada come un semplice luogo di transito, bensì come un ciarliero ed ozioso ritrovo, al quale si affacciano, e ridono dietro vasi di erba cedrina, le fanciulle nascoste nell'ombra del mirador, e dove sboccano i pettegolezzi del patio, dove si guardano le belle donne, dove si fumano le migliori sigarette, sparlando a voce bassa della gente che s'incontra per via.
Ma forse a quell'ora Madlen sentiva la profonda nostalgia d'un mazzo di «trente et quarante». Le aiuole del Jardin Publico, gli alberi dell'Alameda de Mazarredo, non valevano per lei certamente la voce nasale del mazziere, che annunziava brandendo il restello: Incarnado gaña y la color...»
Tornammo a passare il Nervión, e, salendo al passo per vie scoscese, il vetturino ci condusse all'alta basilica di Begoña, costrutta sovra un poggio dal quale si scopre in tutta la sua vastità Bilbao, divisa nel mezzo dal largo nastro della sua riviera.
Immensi e pesanti barconi opprimevano il fiume lampeggiante; qualche officina scagliava nel cielo i suoi cirri di fumo voluminoso; la città ricca e superba diveniva da quell'altura un paziente gioco di rettangoli, una ingloriosa costruzione dell'ingegneria moderna, con dedali di rotaie ne' pavimenti d'asfalto levigato e piazze elittiche o rettangolari tra uniformi case di cemento armato. Aveva ragione Madlen: - la cosa più bella, più nuova, era tuttavia quel lentissimo fiume.
Per contemplare lo spettacolo di Bilbao, Madlen si era poggiata sul muricciuolo del recinto e guardava nel grande spazio come da un balcone soleggiato.
Allora d'un tratto io le diedi un bacio, un leggero bacio su la tempia, tra il velluto fulvo de' suoi capelli nascenti. Non avevamo parlato d'amore, non eravamo forse più nell'amore; questo bacio improvviso ci avvinse.
«Madlen, quel che può esser musica nella storia d'un uomo e d'una donna, certo non è amarsi, non è possedersi, non è quel fatto volgarissimo che perfino i geometri e le dattilografe osano chiamar l'amore. No, in questi nostri linguaggi mediterranei, dove si sente la violenza ed il colore della terra calda, le parole che definiscono questa passione sembrano per noi troppo accese di plebea concupiscenza, e non ora, Madlen, nè mai - come diceste una sera - potranno convenire al caso nostro. Invece voi lo definite così bene, così dolcemente, nel vostro idioma nordico: «To be in love, essere nell'amore.»
Nell'amore come in un profumo: così ero io con voi; nell'amore come in una musica, nell'amore come nel miracolo di un torbido paradiso artificiale: così ero io con voi.
Nel mio paese, Madlen, questa piccola grande cosa porta il nome di un verbo riflessivo, che involontariamente fa pensare al triste lezzo dell'amore democratico: «Innamorarsi.» Oh, non sentite voi come questo verbo sentimentale e proletario somigli terribilmente a quelle cartoline illustrate ove sono dipinte viole del pensiero?
Ma noi, Madlen, - voi ed io, Madlen, - certo non possiamo abbandonarci a questa grave ineleganza. In verità siamo troppo scettici, troppo raffinati, per rassegnarci a far naufragio in questo melodrammatico luogo comune, che dalle Canzoni del Petrarca fino al libretto del Trovatore ingombra tutta la storia della sentimentalità universale.
Quella passione che si trova per solito ne' romanzi - e particolarmente ne' romanzi d'autore italiano - è peccato, ma non fa per noi. Se dovessimo intrecciare un dialogo a parolette sospirose, con frasi dolciastre come il rosolio ed appassite come lo zibibbo, chiamandoci ad esempio: «Anima mia... unica mia... tutto mio bene... vita della mia vita...» credo che voi ed io, Madlen, avremmo financo paura delle nostre ben educate ombre.
E cosa ne dite voi di quella mezzana insopportabile che i letterati moderni usano chiamar Psicologia? Vi siete mai accorta, Madlen, di possedere, fra l'altre seccature, anche una Psicologia? Come ben sapete, non v'è libro moderno di qualche levatura il quale non ne sia, fin ne' punti e nelle virgole, tutto pieno e zeppo. Anzi - dicono i sapienti - non v'è letteratura senza Psicologia. Per ben rappresentare l'anima, poniamo, d'un callista, bisogna saper essere, al giorno d'oggi, profondi psicologi. Dunque vuol dire che, dell'universale malanno, anche noi, figli del secolo, dobbiamo posseder quella parte ch'è di ragione; ma il buon senso ed il natural pudore ci vietano di farne, come il secolo vorrebbe, ad ogni piè sospinto esibizione. Anzi è la sola nudità vostra, Madlen, che io non brami conoscere, fra tutte l'altre che invece mi tentano.
E con voi non sento affatto il bisogno di adoperare que' due avverbi terribili e sfiducianti, che nell'amore adempiono all'ufficio dei gendarmi di Offenbach15; poichè l'amore dei borghesi, voi sapete, è tutto quanto un rosario di «sempre» e di «mai».
No, Madlen, io non desidero affatto ingommarmi su la vostra libera vita come un pezzo di antisettico taffetà, e guai se mi diceste ad esempio che provate il mostruoso bisogno di appartenermi per tutta la vita...
No; io sono con voi nell'amore, voi siete con me nell'amore: questa è la cosa più gentile che possa nascere fra due persone di buoni costumi, di elevati sensi e di fina educazione.
La storia che noi cominciamo, non si chiuderà tragicamente con due colpi di rivoltella; eviteremo nel modo più risoluto il dramma classico del vetriolo, e per quanto la fisiologia moderna vada scoprendo in ogni segno del carattere qualche prova dell'atavismo, non c'è in noi, questo è ben certo, alcuna tendenza al suicidio ereditario. Siamo due caratteri calmi, due persone prive di ogni drammaticità, che non amano mischiare nelle proprie vicende amorose i ferri del chirurgo nè gli articoli del Codice Penale. Non siete anche voi del mio parere, Madlen?
Questi lacrimevoli eccessi plebei appartengono al verbo «innamorarsi»; mentre non tentano affatto chi semplicemente vuol «essere nell'amore». Taluno dirà che non siamo personaggi da romanzo; ed è vero, innegabilmente vero. A noi mancano tutte quelle passioni che dànno da vivere all'armaiolo ed al farmacista. Noi, grazie al cielo, non abbiamo istinti sanguinari. Se per caso vi prendesse la tentazione di essermi, ancor prima del possesso, infedele, certo mi guarderei bene dall'immergere le mie dure dita nella vostra dolcissima gola, bollandovi con il letterario epiteto di «sgualdrina», come si usa nei romanzi eleganti e nelle commedie che appassionano i teatri della buona società. Ma invece vi manderei all'albergo un grande mazzo di fiori da vetrina, magari di bianche violette oppure di costose orchidee, poi, come fece l'amico vostro Lord Pepe, anch'io salirei leggermente su l'ultimo treno della sera, benchè - ve lo confesso, Madlen - con l'anima tutta ravvolta in un velo di sottile malinconia.
Poichè - vi ho detto - non sono innamorato di voi come un ricevitore delle imposte, ma sono invece con voi deliziosamente nell'amore.
Sì, deliziosamente. Ora che tutti son lontani, ed una città sconosciuta stringe il nostro amore solitario, mi sembra che sia per cominciare la musica di una vera poesia. Senza davvero amarvi, sono con voi nell'amore. Provo con voi quella sensazione che sta intorno all'amore come il paralume sta intorno alla lampada. Con voi cammino su l'orlo di un pericolo che può da un momento all'altro cessare, di una gioia che può da un momento all'altro spegnersi; anzi, tutto questo è più complicato ancora: sto con voi su l'orlo di una voluttà che non desidera continuare nè finire.
I romanzi... oh, i romanzi!... che noia dover leggerli sino alla fine! Per uno veramente bello, ve ne son diecimila scritti, ahimè, da uomini che non sono stati mai nell'amore.
Noi certo nulla faremo, nulla diremo, di quello che si legge nei romanzi d'amore. È tardi per poter credere a queste piccole vecchie storie, davvero noiosissime. Nel ventesimo secolo, è di gran lunga troppo tardi. Per solito, quando una verità entra nei libri, vuol dire che esce dalla vita. Quel melodrammatico amore, del quale con poca varietà e con molti errori di buon senso, talora di stile, ci intrattengono i romanzatori moderni, se mai ebbe luogo tra l'uomo e la donna, certo al giorno d'oggi è passato di moda. Non c'è più nessuno che prenda sul serio Paolo e Francesca, Paolo e Virginia, Renzo e Lucia. Non saprei dire quando mai gli egregi letterati provvederanno a riformare la lor arte; ma, grazie al cielo, gli uomini e le donne dei tempi nostri hanno già provveduto, per quanto li concerne, ad intendere l'amore con una certa modernità.
Madlen Green, ellenica etera del ventesimo secolo, io non so bene come finirà la nostra piccola storia; nondimeno voi m'avete insegnato a comprendere quanta soavità racchiude, nel vostro idioma nordico, la dolce frase indimenticabile: - «to be in love, essere nell'amore...»