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Una notte all'Hôtel de Vizcaya.
Doveva essere la nostra notte d'amore. Finalmente nulla più ci divideva dal necessario epilogo d'ogni storia d'amore. Un uscio. Un uscio chiuso con la sola maniglia, fra due camere quasi uguali. Pompon dormiva nella sua cuccia di raso celeste. La miss-cameriera, dopo avere lungamente preparata Madlen a questo rito nuziale, indugiava ora nella stanza, riordinando le biancherie, vuotando l'acqua dai catini, e parlava, e camminava con leggerezza; - finalmente uscì.
La finestra della mia camera dava sopra un balcone; m'ero affacciato verso la Plaza Nueva. Nel chiaro di luna poche ombre si dileguavano per le vie deserte; la vettura dell'albergo arrivò, carica di bagagli. Scese un pastore anglicano, con sua moglie, con sua figlia, con l'istitutrice di sua figlia, col cane dell'istitutrice di sua figlia; scese un vecchio; scese un ufficiale.
Nessun vento muoveva il nastro di fumo della mia sigaretta. Pensavo a me stesso con un poco di commiserazione. Madlen?... Chi era Madlen?... Una donna che fra poco sarebbe mia. Seppellirei tra le sue braccia bianche la stanchezza di un desiderio troppo a lungo inesaudito; soffocherei nelle sue trecce calde, nel profumo della sua carne fino allora vietata, il sogno che le dava bellezza e mi dava tormento; conoscerei quel piccolo grido che i poeti chiamano amore.
Io non sono un poeta; ecco, non sono un poeta. La poesia, quando sta per avvenire, mi esaspera e mi stanca. Di ogni desiderio bisogna impadronirsi repentinamente; bisogna godere, possedere, quando il cuore batte. Se un uomo ragiona, si accorge che ogni ragionamento conduce alla fine di esso, alla inevitabile sua distruzione. Guai ad esaminare da presso ciò che desideriamo17. Quel che più ci tormenta è sempre una povera cosa, una bellezza vuota e monotona, leggera e dimenticabile.
Solo i poveri di spirito hanno desiderî tenaci, apprezzano la durabilità e si appendono al proprio cuore come ad una forca. Ma chi possiede immaginazione, chi può e vuole rinnovare sè stesso, ha sempre il logico timore che un sogno si disperda in cenere quand'esso diviene realtà.
Il bello nella vita è giungere al limitare di tutte le gioie; non varcarle, non possederle, non immergere in esse la nostra fugace anima. C'è una parola che mi sembra definisca tutte le bellezze; questa parola è: «altrove». Sì, la vera bellezza - il vero sogno - è sempre altrove.
Questa notte all'hôtel de Vizcaya chiuderà la storia mediocre d'un uomo e d'una donna, ravvolgerà sotto una leggera coltre il peso d'infinite illusioni.
Guardo le case di Bilbao. Splendono. Dormono. Son case mediocri, ove regna l'abitudine. Anche in esse, come dappertutto, un uomo ha sposata una donna; dalla consuetudine de' loro amplessi è nato, com'era prevedibile, un figlio. Questo figlio è capriccioso, ingrato, ingordo. Il triste odore della cucina pesa nei loro grevi appartamenti; ogni sera, prima di addormentarsi, contano il denaro guadagnato; lo porteranno alla Cassa di Risparmio; diventeranno vecchi e devoti; per entrare nella grazia di Gesù inviteranno a cena, la domenica sera, il prevosto che maledissero...
Buona gente, perchè siete venuti al mondo? Cos'è per voi la fiamma di questa meravigliosa vita?... Qui, come altrove, il terreno vale un prezzo. Vi cresceva l'erba; ora vi sorgono case. Da una, divenner diecimila e formarono questo grande alveare umano che si chiama città. Fra muro e muro avvengono cose le quali sembrano importanti; ma nessuno si accorge che tutta questa fatica, tutto questo rumore, finisce miserabilmente in un piccolo immondezzaio sotterraneo: - il cimitero.
Sono passato per mille strade, ho veduto le piazze di mille città, ho inteso parlare tutti i linguaggi, sono entrato nelle case umili, nelle case lucenti, ho mangiato il pane che si cuoce con tutte le farine, sono andato in cerca di qualcosa che potesse dare veramente un senso alla vita... ma tuttavia dovrò cercare più lontano, camminare più lontano: - il senso della vita è altrove.
Queste sono le case di Bilbao. Brillano. Dormono. È tardi. Una bella notte passa. Ma io chi sono? Io che faccio? Dove mai sarà la piccola fossa definitiva, il metro quadrato sotterraneo, che fra pochi anni racchiuderà me stesso, il mio cuore spento, il mantello di carne che porto, e con me, per me, l'infinito cerchio dell'universo nella irrevocabile ombra?...
Credete voi davvero nelle favole dei taumaturgi che vi promettono il paradiso?
Davvero voi credete ne' paradisi?
Cominciamo a parlare seriamente, uomini! Tutte queste favole sono vecchie, vecchie, decrepite...
Sì, Madlen, voi avete una bella vestaglia, e siete veramente profumata come il calore di questa notte d'autunno. Le vostre calme braccia sono quasi nude. Guardando voi, penso che vi sono due maniere d'intendere la vita. Sempre due maniere. L'uomo non dovrebbe chiedere alla vita più di quanto essa gli offre. Dovrebbe godere la gioia senza esaminarla, e nel dolore medesimo cercare un poco di poesia. L'uomo, al suo cervello, deve dire: - «Non tormentarmi.» A' suoi sensi deve dire: «Ubbriacátemi!» Ed all'anima, se pure c'è un'anima, deve dire: - « Sii tranquilla; un giorno riposerai.»
Per quanto pensiate, uomini, per quanto voi facciate calcoli assurdi e meravigliosi con la geometrìa de' vostri alfabeti, l'universo è una prigione della quale non riuscirete mai ad evadere su le ali del vostro pensiero.
Ebbene, che importa? I vostri capelli, Madlen, hanno il colore degli abeti quando la sera li veste; mi sembrano - eppure non sono - scuri come le violette. Mandano il profumo dei prati quando è caduta, nelle sere d'estate, la rugiada. Voi siete bella: ecco una limpida verità. Come le prime volte, ora che mi siete presso, desidero il vostro corpo. L'odore che manda il vostro seno così bianco pénetra nelle mie vene, sopraffà il torpore del mio desiderio esausto. Da voi si comunica in me una specie di maravigliosa inquietudine. Penso a quelli che vi ebbero, e vorrei quasi potervi possedere con la fatica di un altro, per custodire in me all'infinito l'ebbrezza che non vorrei disperdere. Più non siete come le altre donne: - ora siete per me la donna che possiede il mio piacere. Sciogliétevi, svestítevi; coricate su molti guanciali, morbidi e alti, le vostre spalle così bianche. Togliete ora da voi tutto ciò che non è vostro; basteranno a vestirvi, nella penombra del paralume, i vostri capelli dolcissimi. Perchè non volete?
Oh, che stranissima cosa!... una donna bella come voi, una donna che appartenne a molti uomini, e fu talvolta quasi mia, e parlò con me di tutto quanto il pudore vieta, e mi disse all'orecchio parole torbide, parole che sorpassano la voluttà... una donna come voi, Madlen, la quale ora si confonde, si turba, quasi mi dimostra una specie d'invincibile pudore...
Cosa vi trattiene, Madlen? Forse ancora troppe lampade sono accese? Avete paura che la vostra gola bianca sia, tra questa mitigata luce, troppo nuda e troppo giovine?... Parlate! parlate! Non è questa la ragione? Allora dítemi qual è18. Siate sincera. Vi ascolto. Dítemi... Ma perchè piangete? Cos'è mai questa improvvisa commozione? A chi pensate? Cosa debbo fare? Nulla?... Sedere vicino a voi? Sì? volete?...
Bene; mi siedo, vi ascolto. Anzi, vi prenderò su le mie ginocchia, vi terrò fra le mie braccia; saremo così più intimi, voi mi parlerete sottovoce...
Dátemi la vostra bocca, Mad, e parlate in modo che ogni parola, ogni respiro entri, scenda, nel mio respiro.
Ma no!... ma no!... voi dite una cosa che non posso credere! No, Madlen, questo no!... è assurdo! è infinitamente assurdo! Raccontátemi quello che volete; io potrò ascoltarvi, potrò sorriderne... ma non questo! non questo! È davvero una cosa impossibile... non credo, non credo!... via... non credo!
Lo giurate? - Sia pure. Non voglio contraddirvi... non voglio essere un uomo scortese ed irritante, sebbene dovrei supporre che vogliate burlarvi di me.
Oh, allora, se questa mia supposizione vi offende, non so proprio cosa pensare... Uno scherzo, una pazzia... come devo chiamarla? un caso davvero inimmaginabile, davanti al quale dovrò, per cortesia, rispondere che vi presto fede. Ma, scusatemi... e Lord Pepe? cosa faceva di voi Lord Pepe in questo caso?...
Nulla?... Come nulla?...
- Questa è la pura verità, - voi rispondete. - Nè Lord Pepe nè altri.
- No, vi prego, parliamo seriamente! Questa è una cosa che non può essere, una cosa che voi dite per tormentarmi ancora un poco, per divertirvi ancora un poco di me. Lord Pepe non è uomo da tenersi per otto mesi un'amante, la quale sia stata per lui solamente una sorella... via!...
- Non ho detto questo. Vi ho detto che non gli appartenni. È un'altra cosa.
- È una cosa peggiore.
- Forse. Ma non gli appartenni.
- Allora spiegatemi la ragione, Madlen.
- Io non amavo Lord Pepe. Questo è molto semplice.
- Ma essere fra le braccia d'un uomo, ravviluppata con lui nella medesima coltre, od essere del tutto sua, non vi pare, Madlen, la stessa cosa?
- No, affatto; non mi pare la stessa cosa. Ed è un'altra; infinitamente un'altra. Essere nelle braccia d'un uomo vuol dire permettergli d'intingere le labbra nel nostro medesimo bicchiere, quand'egli suppone di aver sete, o magari ha sete... Voleva dire, per me, scegliermi un compagno di cena, un coraggioso guidatore d'automobili, un ragazzo calmo ed elegante che sapeva ballare molto bene il tango argentino, e pregarlo di lasciar credere al mondo ch'io fossi davvero, come invece non fui, la sua amante. Voleva dire abbandonargli qualche volta, per curiosità, o magari per indifferenza, non me stessa, ma la fredda superficie di me stessa, e retribuire, con una specie di odio silenzioso, il denaro che spendeva per me, la pazienza che aveva nel sopportare i miei capricci... voleva dire insomma, che per quanto avessi provato a concedergli tutta me stessa, in me c'era un'altra donna che terribilmente non voleva... Anzi non dovete maravigliarvi: sono già quattro anni che vivo a questo modo, fra donne che vendono e regalano l'amore; appartenni di nome a cinque o sei amanti, ma il mio corpo non si concesse ad alcuno, perchè la gioia, la vera e più forte voluttà, per me consiste nel non appartenere a chi sta per prendermi. Questo vi sembra incomprensibile? Può darsi. Ma è tuttavia molto semplice. Volete sapere perchè piangevo? Volete proprio saperlo? Ebbene piangevo perchè ho sentito per un momento, anzi per la prima volta nella mia vita, il pericolo, quasi la tentazione, di rovesciare indietro la testa, e chiudere gli occhi, e dimenticare tutta me sotto il pallore della vostra faccia che mi guardava, la vostra faccia cattiva ed ironica, sì, come ora, come ora, sotto le vostre dure mani, che mi piegano... così... così... Nella stanza entrava la notte, calda, pesante, a continue folate. In me, in lei, si propagava l'irritazione di queste parole, serpeggiava l'odore della sua bellezza; io sentivo con una specie d'inerte coscienza fisica, sentivo con una tentazione opaca e tormentata, che questa incredibile cosa era esattamente vera, e mille particolari quasi dimenticati risalivano d'improvviso nella mia memoria; sentivo che una creatura non posseduta era nelle mie braccia, si premeva contro il mio desiderio, mi faceva intravvedere una forma nuova dell'amore, una forma inattesa del vizio, quella di passare immacolata su l'orlo d'ogni voluttà e negare ai propri sensi la naturale pacificazione.
Pensavo: - «Ecco una donna che può sembrare inammissibile, quando invece mi confessa la sua storia più vera; una donna che io chiamerei, se dovessi darle un nome, l'esasperazione.»
La guardai, e mi pareva così lontana dalla purezza, ma nel medesimo tempo così diversa dalle altre peccatrici, ch'io dissi, quasi per deridere il senso delle mie parole:
- Dunque voi siete ancora imposseduta, e siete anzi, per me, impossedibile?...
- Sì, la parola è questa: io sono veramente impossedibile. Tutto il mio corpo non vuole, forse non può. Mi sono educata al piacere imparando a rinunziarvi. Sano pazza di questo desiderio continuo, che i miei sensi non vogliono esaudire. Ho atteso terribilmente questa grande cosa nuova, che forse è nulla. Voi dovete sapere ch'io lasciai la mia casa molti anni or sono, perchè volevo andare in cerca di un amore che non c'è, di un godimento che non si trova; e sin da quando ero fanciulla sentivo l'attrazione di questa vita notturna, che forse m'invecchierà in pochi anni e mi lascerà il dolore di ricordarmi che sono stata bella, che ho avuta un'anima limpida, e che forse amai questa vita perchè appunto non doveva essere la mia. Infine, benchè la cosa mi sia indifferente, non dovete nemmeno credere ch'io viva con il denaro altrui. Io sono ancora molto ricca, forse più ricca di tutti i miei amanti.
Le sue mani, allacciate alle mie spalle, si muovevano con una specie di dolore; ne' suoi occhi era una luce innaturale, perversa, un'espressione la quale mi faceva pensare alle orribili forme che assume talvolta la sensualità nelle donne mal possedute.
Tutto ciò - pensavo - era colpa del primo che non la seppe genuflettere, che male desiderò e male conobbe la sua bellezza tormentata. In fondo era una povera donna, forse una donna malata, che cercava con esasperazione d'immergere i suoi vivi sensi nella gioia della vita. E gli uomini, più ciechi di lei, erano passati accanto alla sua complicata innocenza, nè si erano mai dati la pena di guardare se in lei fosse nascosta un'anima, forse un'anima profondamente offesa da quella fredda e brutale realtà che per ogni fanciulla rappresenta il principio dell'amore.
Adesso, in lei, questa parola suonava come il rumore di una moneta falsa; era divenuta, non la beatitudine, ma l'angoscia de' suoi sensi. Forse il grembo inesaudibile di questa vergine perduta cercava nell'amore una gioia che l'amore per sè stesso non può dare.
Una tentazione lenta, calma, piena di novità, gonfia di sperdimento, saliva nel mio turbato spirito, innamorava il mio cuore trepido, mi faceva sentire, confusi nella tentazione delle sue pesanti colpe, il singolare pregio della donna che non fu di nessuno.
E volevo domandarle mille cose, che mi parevano anche inutili...
Pensavo alla prima sera quando la vidi, quando eravamo seduti presso, nel Casino di San Sebastiano; e ricordavo la fisionomia di Lord Pepe, là, dirimpetto, che apriva e chiudeva con nervosità il suo bellissimo astuccio d'oro scintillante, mentre si pavoneggiava con serietà, con eleganza, davanti agli occhi di tutta la Spagna, orgoglioso di mostrarsi con una donna tanto ammirata, benchè non sapesse nascondere la sua palese inquietudine davanti allo sciupìo di quel denaro che le crudeli mani dell'amante, quasi azzurre come le perle, raddoppiavano sul tavoliere ad ogni messa perduta.
Di lei mi ricordavo con esattezza, quasi con dolore.
Il suo braccio nudo impolverava leggermente la mia manica nera; una gran folla si muoveva; il denaro pesava sul tappeto, esagitava le convulse anime dei giocatori; dai lampadari d'ottone oscillanti sopra i tavolieri cadeva su noi, su tutti, una opprimente fiamma un alone caldo, una specie di rossa eccitabilità, che alterava le cose, i lineamenti, perfino i pensieri. Dalle finestre aperte verso il terrazzo entravano i densi profumi, la pesante serenità della sera d'autunno; io mi sentivo a disagio, sentivo quasi la tentazione di piegare la bocca sovra la sua spalla così nuda... Perchè mai? Altre donne, forse belle come questa, passavano davanti a' miei occhi, vicino a' miei sensi; ed io le guardavo come si guarda un bel quadro, una bella vetrina, un gioiello che abbia valore, ma nel medesimo tempo sia profondamente inutile...
Invece sentivo che c'era in lei qualcosa di non afferrabile, una specie di novità funesta, un'attraenza contagiosa e perversa, che mi dava, quasi ubbriacandomi, un senso di confuso dolore.
Pensavo a' suoi movimenti, ch'erano così diversi da quelli delle altre donne, alla sua voce, che rimaneva nei sensi come una ondata di musica, e pensavo alle parole che mi aveva dette con la sua bocca rossa, quella prima sera, mentre stava con i gomiti nudi appoggiati sul tavolino della cena: - «... voi che avete scritto qualche libro, forse qualche libro d'amore, perchè venite così lontano, in questa città piena di perdizione, ad avvelenare nelle case da gioco il vostro cuore che ama l'Atlantico?...»
Infinite altre cose pensavo; e la voluttà, l'attesa di possederla, svaniva in un desiderio mille volte più profondo, più dolce, più intimo, si alterava in una specie di riconoscenza fisica per questa donna così piena di colpa ed ancor nuova all'amplesso; diveniva una specie di soave dolore, di lenta musica, un'aspettazione vasta e grande, nella quale io stesso riuscivo quasi a nascondere un senso indefinibile di purità.
E la notte cadeva su noi, ci avvolgeva nel suo musicale silenzio, ci faceva godere la gioia d'esser tranquilli, d'essere vicini, d'essere veramente giunti su l'orlo dell'amore, nella poesia di questa bella favola eterna e lieve che si chiama l'amore, nella infinita, beata ilarità che prova l'anima quand'essa può svegliarsi, può ridere, può splendere, giovine ancora come una volta e piena di sole, di sole...
Nè io volevo essere per lei quello che altri furono. Custodisse ancora il suo vizio indocile, la gelosia dell'ultimo suo peccato; fosse ancora per altri, e non per me, una dispensatrice di tormenti, una perfetta e ingaudibile amante; portasse ancora, illeso dal mio desiderio, quella oscura febbre del suo grembo, quel tesoro di ebbrezza non goduta, dopo il quale, forse, non diverrebbe che una povera donna di piacere, irritata e ingrata, come altre mille che si piegano con la bocca fredda, con gli occhi serrati, sotto la forza nemica di un possessore che le opprime.
Sì, è tardi... è tardi... Ora posate il capo su la mia spalla, Madlen; chiudete gli occhi, dormite... L'ora del sonno è bella quando la finestra impallidisce.