Anton Giulio Barrili
La legge Oppia
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ATTO SECONDO

SCENA II. Maccio Plauto e Detto.

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SCENA II.

Maccio Plauto e Detto.

(Maccio Plauto, bel vecchio di cinquantott'anni, indossa una tunica e una toga di color amaranto carico. Un bastonello tra mani. Calzari di cuoio. Pètaso di feltro, pendente giù dalle spalle).

Plauto

Orbene, e che ti ha fatto il mio povero Trinummo, da maltrattarlo in tal guisa?

Valerio

(da )

Eccone un altro! Addio colloquio!

Plauto

Tribuno della plebe, tu usurpi l'autorità degli Edili. Soltanto ad essi spetta di ammettere, o di scartare la roba nostra.

Valerio

Perdonami; ero sovra pensieri, per certe cose mie.... che non francano la spesa d'essere raccontate. Ma, tu lo sai, Tito Maccio; io ti stimo grandemente.[50]

Plauto

E grandemente ami. Fai tutto alla grande.

Valerio

Io amo? E chi, di grazia?

Plauto

Tale che non è lungi di qua. Non ho i più bei piedi, ma ho i due migliori occhi di Roma.

Valerio

Ed infatti tu hai veduto in me ciò che io non vedo, so.

Plauto

Saresti tu l'ultimo a conoscer te stesso? Non mi farebbe meraviglia. L'uomo, sia detto sui generali, è il meno sagace degli animali.

Valerio

Di' pure il più stupido! Io stavo per l'appunto dicendolo a me stesso, quando tu sei entrato. Ma, poichè vuoi farmi innamorato per forza, che pensi tu della donna!

Plauto

Dei buoni! io non potrei parlartene che per mia esperienza.

Valerio

E quale è stata la tua esperienza?

Plauto

Grama assai, Lucio Valerio; oh, grama assai! Ne amavo una.... Tra parentesi, non ne ho amato[51] che una.... sul sodo. Ero giovine, venuto a Roma per desiderio di gloria, con un viatico di baldanza, di fede, di speranza e di amore; tutte cose da giovani, che non sono mai troppe, a chi fa il viaggio della vita. Ne mangi oggi, ne mangi domani, e, senza avvedertene, la vettovaglia si scema. Un bel , fai per guardar nella sacca.... Addio roba mia; la è sfumata. Per fartela breve, vidi la bella in teatro, alla recita della mia prima commedia, che non dispiacque ai Romani. Gloria ed amore!... Queste due allegrezze mi capitarono insieme. Ma come fare per giungere fino a lei, e, giunto, per rimanervi? La poesia era una magra raccomandazione, in quella casa di gabellieri arricchiti. Cerca cerca, non trovai niente, più al fatto mio che di darmi al traffico, per diventare un grosso mercatante. Lo vedi di qui, un poeta mercatante? Io fui proprio quel desso e pigliai presto il tracollo. Fino a tanto ne ebbi nel forziere, pagai; quando non ce ne furono più, mi diedi per morto in balìa del mio ultimo creditore. Le dodici Tavole parlano chiaro: «Se il debitore non paga, altri per lui, il creditore lo porti via con , carico di ferri, del peso di quindici libbre; o meno pesanti, se al creditore piace». Vedi che cortesia di Tavole! E fortuna che di creditori io ne avevo uno solo! Se ne avevo due o tre, c'era l'altro articolo che faceva proprio al caso mio: «Il creditore tolga al debitore la sua libertà, e, se gli torna, lo venda di dal Tevere. Se poi ci sono più creditori, il terzo giorno del mercato, se lo facciano a spicchi».[52] E la legge pietosa aggiunge che, se un creditore, poverino, ne tagliasse un po' più del necessario, non gli si mandino per questo i littori a casa. Io dunque ebbi un solo creditore e cansai di finire salciccia; ma ebbi il peggio che da un solo mi potesse toccare; fui posto alla màcina, come un giumento.

Valerio

Povero Tito Maccio! A tutti, in Roma ne seppe male.

Plauto

Ma non a lei, non alla donna per cui mi trovavo in quel guaio. Quando ella udì della nuova arte che imparavo, rise, rise saporitissimamente. Poverina! Aveva così bei denti!

Valerio

Tu le hai perdonato?

Plauto

Che vuoi? Macinando grano pel mio creditore, macinavo filosofia per me; non di quella greca, col mantello unto e bisunto, col bastone e gli scartafacci; filosofia vera, filosofia paesana, che m'è andata in tanto sangue. Meritai allora d'esser libero, poichè avevo vinto me stesso. Dal creditore mi riscattai, tornando a scriver commedie, che gli Edili accettarono e pagarono. Quanto agli amori, alla larga! Feci come il cane, che non passa più rasente alle botteghe dove fu bastonato.[53]

Valerio

Non amasti più?

Plauto

Amai sì, ma leggermente, pochin pochino, ad oncie, a scrupoli, come il greco Arcàgato spaccia le sue medicine, che il malanno se lo porti. L'amore, Valerio mio, non dee soggiogarci; non la passione ha da vincer l'uomo, bensì l'uomo la passione.

Valerio

Parole! Ci s'accosta al fuoco per riscaldarci, e la fiamma ci s'appicca alla tunica.

Plauto

Ah sì! ti ho veduto infatti alla recita del mio Epidico, ed eri un incendio. Via, Lucio Valerio, lascia correre tutto il male ch'io t'ho detto delle donne. Era la vendetta d'un autore inascoltato, che ti vedeva tutt'occhi e tutt'orecchi per lei.

Valerio

Chi, lei?

Plauto

Oh bella! Lei; quella che è lei; l'unica che possa e debba esser lei. Se non lo sai, t'istruisco; lei è un modo dittico e calzante di dire F.... U.... L....

Valerio

Basta! Se ti sente qualcuno....

Plauto

Eh, se mi sente lei, non le dorrà certo. Amate, ragazzi, amate; è questa ancora la più bella commedia,[54] anzi il più bel poema del mondo; Omero l'ha scritto, Ennio, che è l'Omero latino, scriverà il somigliante.

Valerio

Ah, io temo che ella non mi ami!

Plauto

Davvero? Oh povero amico! Ma senti! il mio Epidico t'ha fatto servizio; vuoi che ti faccia servizio l'autore? Ne entro a lei, e....

Valerio

No, non incomodarti, non c'è bisogno.

Plauto

Aah!... Al fratello dunque? L'ho lasciato nel Foro, dove siamo scesi, tornando da Tuscolo; appena e' torni in casa, ti servo.

Valerio

No, per amor del cielo! Questa passione del tuo amico è ancora un segreto.

Plauto

Sì, come la tosse.

Valerio

Perchè?

Plauto

Tutta Roma lo sa. Se tu fossi uno di quei vagheggini sconclusionati che s'aggirano intorno a questa e a quella, nessuno avrebbe posto mente alla cosa. Una più, una meno, chi ne fa conto? Ma veder[55] cercata da Valerio una donna, da Valerio, il benvoluto del popolo, da quel Valerio, di cui era tanto più notevole l'austerità, quanto più era appariscente la persona, chi non si sarebbe fermato a ragionarci su? Caro mio, una cosa è da farsi, e presto; parlarne al Console.

Valerio

Ci pensavo fino da ieri....

Plauto

Bravo; così va fatto.

Valerio

Ma.... non ardisco.

Plauto

Tu, tribuno della plebe?

Valerio

Io, sì, io, tribuno della plebe, non ardisco. Che c'entra l'ufficio, nelle cose del cuore? Io non ardisco parlare, non ardisco confessare il mio segreto a quell'uomo, da cui dipende la mia felicità.

Plauto

Ha da stiacciare la noce, chi vuole la polpa. Il guscio del Console è un po' ruvido, concedo; ma il cuore è ottimo. Fa a modo mio, Lucio Valerio, parlane a lui, e quest'oggi. Egli è tornato di buon umore dalla campagna. Tutto era in ordine colà. Il grano promette; la vigna ha fatto prodigi; sei altri vitelli son nati in questo mese; gli schiavi di catena[56] han lavorato di buona voglia a sterrargli un campo che sarà messo a coltura; l'aia, il cortile, la stalla, sono lucenti come uno specchio. Egli non ha avuto che a lodare e, rimontando in cocchio, mi ha detto che se ne andava più contento all'impresa di Spagna. Sai che partirà fra quattro giorni, appena sia respinta, com'è da credersi, la proposta del tuo collega Fundanio. Vedrai, gli è proprio il momento buono per entrargli del tuo negozio. Te la concede, amico mio, te la concede; tu se' nato vestito.

Valerio

Tu mi consoli, Tito Maccio; credo che avrò la forza di aprirgli l'animo mio. Ma ecco; mi par la sua voce.


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