Anton Giulio Barrili
La legge Oppia
Lettura del testo

ATTO SECONDO

SCENA IV. Licinia, Fulvia e Detti.

«»

Link alle concordanze:  Normali In evidenza

I link alle concordanze si evidenziano comunque al passaggio

SCENA IV.

Licinia, Fulvia e Detti.

(Licinia e Fulvia sono vestite come nell'Atto primo, ma senza il ricinio in capo.)

Licinia

(a Valerio, che è andato incontro alle donne, fino alla fauce)

Che è ciò? In collera forse? Abbiamo udito a gridare....

Catone

Ah, siete qua, voi, maestre di greco?

Licinia

Di greco? e chi lo sa, il greco?

Catone

Eh, non lo si sa? ragione di più per cincischiarlo. È la lingua alla moda; che importa non saperla? ci si prova ugualmente e si fa quanto basta[61] per disimparare la propria. E non è solo la lingua che si perde; è il costume che si corrompe; è la fibra romana che s'infiacchisce. O padre Quirino! Ancora non sono i cent'anni da che Pirro minacciava di abbattere la giovine potenza romana; son forse venti, che, dopo la strage di Canne, Maertale consigliava d'incalzare alle porte di Roma; Cartagine è in piedi; Annibale è vivo ancora e fremente vendetta; e già i romani credono di potere impunemente gittar fra le ciarpe gli austeri costumi che furono la loro difesa, e diedero loro la padronanza d'Italia!

Plauto

Marco, non sei tu troppo severo con essi?

Catone

Non sono severo. Amo ciò che facevano i nostri padri; vorrei che i figli fossero di quella tempra su cui si fiaccarono i ferri di tante nazioni congiurate ai danni di Roma. Si traligna, te lo dico io, si traligna. Ami le citazioni greche? Eccotene una. Noi siamo infemminiti; non sapremmo più tendere l'arco di Ulisse; i nervi intorpidiscono nel braccio. Ah, i nostri padri non conoscevano mica tante delicature, e non erano meno felici per questo! Una casa comoda, senza sfoggio di marmi, di arredi e di vasellame d'argento; il rame luccicava alla parete e la sobrietà negli occhi; servi erano quanti bastavano a lavorare la terra, non già per accudire agli svariati uffizi di portinaio, cameriere, valletto, arricciator di[62] capegli, coppiere, scalco, cantiniere, cuoco, sguattero e va dicendo. Allora i padroni faticavano in compagnia dei servi, davano loro l'esempio de' gravi travagli e de' pasti frugali, sotto il pergolato domestico. Io mi glorio di queste mani, che hanno seminato esse il mio grano e potato le mie viti; me ne glorio assai più che di vederle impugnare questo bastoncello d'avorio. Austere erano le nostre madri, perchè traevano la vita nel loro santuario, preparando il pasto, intendendo alla nettezza della casa, o torcendo il fuso, mentre venian ragionando d'antiche storie e di fortissimi esempi alla famiglia raunata. I giovani, allora, succinti, abbronzati dal sole, crescevano saldi alla fatica, destri ai giuochi del Marte sabino, non già alle amorose follie del Marte greco. Anch'essi concedevano un'ora alla gioia, si sollazzavano anch'essi, ma di gaie favole campestri, piene di sale paesano, che davano il riso facile e largo.

Plauto

Riso che tu hai dimenticato stamane, tornando da Tuscolo.

Catone

Ah, gli è vero, Tito Maccio, e tu mi riprendi a ragione di questa mia sfuriata. Ma se mi fanno uscire ad ogni tratto dai gangheri! Basta, siam gravi e pacati; non è egli vero, Erennio? Qui non bisogna avvilire la dignità dell'ufficio.[63]

Erennio

Quando il Console tuona contro i molli costumi, egli è sempre nella dignità dell'ufficio.

Catone

Ah, ah! Bravo, Erennio! Tu almeno non citi dal greco. Andiamo, via; l'ora è tarda, e questa benedetta dignità dell'uffizio ci chiama al campo di Marte.

Licinia

Sei giunto pur dianzi!...

Catone

Ci ho le mie legioni da passare in rassegna. Cara mia, a giorni si parte. Sarei già in viaggio per questa impresa di Spagna, se Marco Fundanio non m'avesse gittato quella sua proposta tra' piedi. Cassare la legge Oppia! Una legge che, se non la ci fosse, bisognerebbe proporla! O dove è andato a pigliar l'imbeccata, quel ragazzaccio di Fundanio? Già si capisce; me lo avran sobillato le belle patrizie! Queste poppatole non pensano ad altro che a lisciarsi, a razzimarsi, a coprirsi d'oro e di porpora, come di gualdrappe e sonagli si cuoprono i cavalli alla fiera.... Mettimele in qualche commedia, Tito Maccio, e ci faremo un po' di buon sangue.

Licinia

Marito mio.... poichè ti vedo di buon umore.

Catone

Anzi buonissimo. Di' su! Non ti amo io sempre anche quando alzo un pochino la voce?[64]

Licinia

Epperò ardisco parlare. Tu l'hai col tribuno Fundanio. Ma che c'è egli di male, se le donne chiedono di potersi ornare un tal poco, per piacer meglio ai mariti?

Plauto

(da )

Ai mariti! ben detto!

Catone

Che c'è? Che c'è? che siete sciocche e sguaiate. Ohè, dico, non mi mettete la casa a soqquadro! Poc'anzi il servo che pizzica di greco; adesso la ribellione alle leggi. Ah, volete lo sfarzo! Vi darò tutto io! Avrete porpora ed oro a staia, ancelle, staffieri e donzelli e carrozze da scarrozzare! All'uscio non picchieranno che visitatori a modo! il ricamatore, l'orefice, il lanaiuolo; trecconi, merciai di frange d'oro, di tuniche, di camicette; tintori, vuoi in color di fiamma, vuoi di violetto, o di cera; sartori d'abiti, colle maniche alla foggia asiatica; rigattieri, tessitori, profumieri, e più sorte di calzolai, che vi calzino, ora alla greca ed ora alla romana. Ve li darò io, i fronzoli; ve lo darò io lo sfoggio, da piacer meglio ai mariti. Vedrete che larghezza di console! Roma è guasta; bisogna correggerla, risanarla col ferro e col fuoco, incominciando di qua. Che te ne sembra, Valerio? Saremo noi così sori, da lasciarci soverchiare dalla ambizione e dalla follia delle donne? Suvvia, che pensi?[65]

Valerio

Ah, io?... Penso che le donne son pure inesplicabili, coi loro capricci.

(Fulvia, che fino ad ora è stata arcigna con Valerio, si muove per andarsene, verso la fauce)

Catone

E bisogna frenarle!... Dove vai tu?

(a Fulvia)

Fèrmati, e fa tuo pro' dei consigli! Oh, vedete qua, che cosa mi tocca di udire in casa mia? contro il diritto e la maestà maritale? Da brave, bandite il vecchio costume e mettetevi le leggi sotto i piedi! Oramai, non vi mancherà più che di ber vino e di costituirvi in repubblica di Amazzoni.

Erennio

(da , in disparte)

La donna che berrà vino, sia flagellata dal marito e poi ripudiata. È legge di Romolo.

Catone

Andiamo via, se no, perdo il mio buon umore e Plauto mi riprenderà di bel nuovo. Venite?

(a Plauto e a Valerio)

Erennio, precedimi e raduna gli altri littori. Piglierete i fasci colle scuri, poichè si va fuor del Pomerio, al campo di Marte.

(Erennio esce)

A voi altre il buon , e non mi preparate altre molestie; intendiamoci!

(Catone esce. Valerio si accosta a Fulvia, che non lo degna pur d'uno sguardo; indi, inchinatosi a Licinia, si allontana, in atto disperato)

[66]

Plauto

(accompagnandosi a Valerio)

Amico mio, quest'oggi, non fai che sciocchezze. Da prima citi Leonida al fratello; adesso dài della capricciosa alla sorella.

Valerio

Ah! darei del capo ne' muri.

Plauto

Senti, fa meglio ancora; un giro in piazza; lascia il Console pe' fatti suoi e torna qua, ad implorare il tuo perdono.

(Plauto e Valerio escono)


«»

Best viewed with any browser at 800x600 or 768x1024 on touch / multitouch device
IntraText® (VA2) - Some rights reserved by EuloTech SRL - 1996-2011. Content in this page is licensed under a Creative Commons License