Anton Giulio Barrili
La legge Oppia
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ATTO TERZO

SCENA V. Catone, Valerio, Erennio in disparte.

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SCENA V.

Catone, Valerio, Erennio in disparte.

 

Catone

Gli Iddii faranno quel che vorranno, per utile e gloria di Roma. Tu prega a tua posta e va attorno per voti, con quel Fundanio di costa. Buon per te, che tuo padre è fuori, e tuo marito ha dato il cervello a pigione. Ma chi sarà questo oratore? Cornelio Cetego?... Un uomo consolare! Non credo. E poi, me ne avrebbe fatto un cenno ieri, quando ci siamo incontrati. Sempronio Gracco?... È amicissimo mio.... Impossibile!... Sulpizio Gallo? Quel ragazzaccio che sa tanto di greco e comincia a volerla dire co' vecchi? Lui, forse! Che ne dici, Valerio?

Valerio

Perchè darti pensiero di ciò?

(con aria impacciata)

Chiunque egli sia, la palma dell'eloquenza sarà data a Catone! Ed egli.... il tuo avversario, di un'ora.... sarà ben dolente di aversi a misurare con te.[95]

Catone

Perchè dunque s'è messo alla prova? Ma, gliene dirò io, delle ragioni! E che cosa mi potrà egli argomentare in contrario? Tu se' buon giudice, Valerio; senti un po' qua....

Valerio

(perplesso, cercando schermirsi)

Ma.... io....

Catone

Senti, via! Comincierò da noi. La colpa di questa sommossa femminile s'appartiene a noi magistrati; a voi tribuni, che avete condotto anco le donne a muovere le sedizioni tribunizie; a noi consoli, che dovremo ricever leggi da un tumulto di donne. Ed anche alle donne dirò il fatto loro! Che nuova usanza è cotesta di correr fuori e affrontare, come fate, gli altrui mariti per via? Perchè ognuna di voi non s'è volta al proprio? Sapreste per avventura esser più lusinghiere cogli estranei, che co' mariti vostri, più fuori di casa, che in casa? Senonchè, anco in casa, e coi vostri, sarebbe pessima cosa; avendo le leggi nostre saviamente disposto che le donne fossero in potestà dei padri, fratelli e mariti loro. E noi comporteremo ch'esse scendano in piazza, nei parlamenti e negli squittinii? Ponete freno, vi dico, io, come altre volte v'ho detto, ponete freno, vi ripeto ancora una volta, a questo sesso arrogante, a questi indomiti animali....

Valerio

Ah![96]

Catone

Che è ciò?

Valerio

Nulla, nulla; notavo l'energia della frase....

(da )

Erano le parole sue! E Fundanio l'ha poste a mio carico! Oh, aspetti, aspetti!

Catone

(proseguendo)

Esse, già baldanzose, diventeranno audaci. Darete cinque; vorranno cinquanta. Che chiedono esse, in tanta angoscia, e con veste di supplicanti? Di sfoggiarla in porpora e oro; d'esser portate attorno in cocchio, a guisa di trionfanti; di togliere ogni misura allo spendere, ogni ritegno allo spreco! Oh! tempi mutati! Grecia ed Asia s'impadroniscono di noi, non noi di esse. Non si ha in pregio che l'arte greca e le greche delicature; i nostri Iddii romani di terra cotta fan ridere! ah, io vorrei averli sempre favorevoli a noi, questi umili Iddii, come furono in passato, contro Annibale e Pirro! Costui, per mano di Cinea, suo ambasciatore, fe' tentar con lauti presenti uomini e donne di Roma. Uomini e donne ributtaron le offerte. Ma adesso? Se Cinea tornasse, troverebbe le matrone romane in volta per le vie, colle palme tese per raccogliere.... che dico, per raccogliere? per fare a ruffa raffa coi doni stranieri. Respingete la proposta di Fundanio, o Quiriti! Troppo è già il lusso tra noi. Non fate che nascano disuguaglianze e invidie perniciose. La povera, sopraffatta[97] dallo sfarzo della ricca matrona, chiederà nuovi ornamenti all'esausto marito. Negherà egli; ma, non dubitate, ella troverà un altro che dica: son qua. E avremo corruzione maggiore. Conservate il freno sapiente della legge Oppia, o Quiriti; che non v'accada come colle fiere selvatiche, istizzite da lunga prigionia, che, appena lasciate, più feroci diventano. E gli Dei faccian prospero ciò che sarà da voi decretato.

Erennio

(da in disparte)

Che oratore! Se avessi potuto parlar io così a mia moglie, come l'avrei fulminata, annichilita! In quella vece!...

Catone

Questo è il concetto; che te ne pare, Valerio?

Valerio

Robusto.... incalzante....

Catone

E che cosa si potrebbe rispondere? dico io; che cosa? Parole, sì, ed ornate; ma ragioni, no certo.

Valerio

Eh.... potrei dirtelo io, che cosa si risponderà.... debolmente...

Catone

Di' pure, alla libera. E' sarà un esercizio per me.[98]

Valerio

Si comincierà da un elogio alla gravità dell'uomo ed alla sua grande autorità, che mette in pensiero chiunque abbia a trovarseli contro. E ciò sarà giusto.

Catone

(con impazienza)

Concedo; va innanzi!

Valerio

Poi, si potrà continuare a un dipresso così:... «Ma egli, il Console, ha consumato molto più parole nel biasimar le matrone, che nello sconfortar la proposta. Ha chiamato questo fatto una sedizione di donne; una sedizione, perchè elleno han chiesto di rivocare, or che la Repubblica è prospera e forte, una legge fatta per tempi infelici e difficili? Sedizione! La parola è grave; ma io non vedo il fatto che la richieda. Son venute fuori, a impacciarsi della cosa pubblica, tu dici. Orbene, quante volte non hanno esse adoperato del pari? Volgerò contro te le storie mirabili che tu hai scritto, o Catone. Impara da esse quante volte siano le donne uscite fuori, e sempre per benefizio pubblico». E qui ti si citano le spose sabine, che fecero posare la guerra tra padri e mariti; le matrone, condotte da Veturia al campo di Coriolano; le donne d'ogni condizione, che diedero tutti i loro ornamenti per riscattar la città dal furore dei Galli; le vedove che sovvennero del loro danaro l'erario, nella guerra coi Cartaginesi; la processione femminile, da Roma al mare, per ricevere il simulacro[99] di Cibele, venuto di Frigia in aiuto e difesa di Roma. «E se non ti maravigliasti tu ch'elle uscissero tante volte per benefizio pubblico, perchè troverai a ridire se una volta escono per utile proprio. Che fanno di così reo? Vengono e pregano. Ah, in fede mia, orecchie superbe ci abbiamo, che, mentre i padroni ascoltano i lagni de' lor schiavi, noi sdegniamo esser pregati da libere e nobili donne».

(segni di stupore in Catone. Nel fondo, dietro il colonnato, saranno apparse Fulvia ed Annia Luscina, e Plauto, che stanno intenti ad udire)

«Vana è la difesa del Console, quando egli tocca del merito della legge. Son forse le leggi così provvidamente ordinate, che più non s'abbia a mutarle? E non ve n'ha di tali, che il tempo ha reso inutili, o contrarie allo scopo? Questa legge non è delle prime e sacrosante di Romolo; nemmanco delle Dodici Tavole. È nuova, e fu fatta quando Roma, per la rotta di Canne, era minacciata dell'ultimo eccidio. I socii ribellati; non uomini per l'esercito; non ciurme alle navi; non denaro all'erario. La repubblica, per far soldati e marinai, comperava gli schiavi dai loro padroni, con promessa di pagarli a guerra finita. Tutti davano il proprio, dall'opulento senatore alla vedovella meschina. E già allora questa tua legge Oppia si mostrò vana cosa; imperocchè, dov'erano più le donne ornate d'oro e di porpora, quando tutti, uomini e donne senza eccezione, e per spontaneo moto e per legge, s'erano d'ogni cosa spogliati? E più vana apparisce ora; solamente vana, ma iniqua; imperocchè la repubblica è forte e noi non le diamo[100] già più straordinario tributo di danaro, o di schiavi. E se tu, fiorendo la repubblica, custodisci gelosamente il tuo, perchè solo le donne vorresti tu escluse dal benefizio dei tempi

Catone

(con stupore sempre crescente)

Valerio!

Valerio

«Finisco. Noi uomini useremo porpora e toga intessuta a colori; toghe ricamate porteranno i nostri figliuoli; porpora ed oro i magistrati delle colonie e dei municipii; nella porpora si concederà alle famiglie di bruciare i lor morti; solo alle donne romane niente sarà consentito? Vedranno coperte d'oro e di porpora, trascorrere in cocchio, le mogli dei sudditi ed alleati latini; noi stessi risplendere di mille ornamenti nelle magistrature, nei trionfi, ne' sacerdozii; e con ciò, pensi tu, non vi sarà emulazione, invidia? No, tu non stabilisci che una nuova classe di schiavi; laddove noi vogliamo che la donna rifulga liberamente di tutte quelle grazie, che la fanno per noi il più caro dono de' cieli. E se tu nieghi loro gli attributi del loro sesso; che non concedi loro per contro gli uffici del nostro? che non le armi, non le spartisci in legioni e non le conduci in Ispagna con te?...»

Catone

(fuori di per lo stupore e lo sdegno)

Valerio! Pensi tu quel che dici?[101]

Erennio

(da )

Bene! Ora il console me lo fulmina, me lo annichilisce!

Valerio

(perplesso)

Io?... Penso che in tal guisa ti si potrebbe rispondere. Ah!

(vedendo Fulvia che gli accenna di farsi animo)

Infine, sì; penso tutto quello che ho detto.

Erennio

(vedendo anch'egli le donne)

Ahi! Non son tutte chiuse nel Tabulario, le streghe!

Valerio

Sì, sappilo; io t'amo, ti venero, o Marco; tu potresti avere fratello minore, o figliuolo, che ti rispettasse di più. Ma io, vedi, non son più padrone di me.

Catone

(con accento d'ira profonda)

Anche te hanno ammaliato le donne?

Valerio

Ah no; di' piuttosto che una di esse m'ha richiamato al mio debito di giustizia, una sola che adoro.... e adorando lei, non vengo meno alla mia divozione per te.

Catone

Mia sorella![102]

Valerio

Lo sapevi?

Catone

Sì, e godevo dell'amor tuo; ma ora....

Valerio

Ora?

Erennio

(da )

Non è più come allora.

Catone

(con piglio risoluto)

Dimmi su; parlerai contro la legge?

Valerio

Tu metti a prezzo....

Catone

Rispondi! parlerai?

Valerio

Ah, la è dura!... Io....

(attignendo coraggio dalle mute eccitazioni di Fulvia)

Or bene, sì, parlerò, dovesse costarmi la vita!

Catone

Ah, per gli Dei infernali, non riconosco più Roma. Littore, precedimi.

(le donne, al muoversi di Catone, si appiattano dietro il colonnato)

Erennio

(precedendo il Console)

Sconfitto anche il Console! In fondo, ci ho gusto. Non sarò il solo.

(ad alta voce, sulla gradinata)

Quiriti, il Console!

(si odono squilli di tromba da varii punti del Foro)

[103]

Catone

(tornando indietro)

E bada, che non t'uscisse di mente! Mia sorella non sarà tua, fino a tanto la tua eloquenza, insieme colla legge Oppia, non avrà anche distrutta l'autorità del capo di casa.

(parte furibondo)


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