Jules Romain Barni
I martiri del libero pensiero
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PREFAZIONE

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PREFAZIONE

Moltissime persone fra coloro che nello scorso inverno assistettero alle mie lezioni sui Martiri del libero pensiero manifestarono il desiderio che fossero fatte di pubblica ragione. Mi posi tosto all'opera, e mercè le note abbastanza particolareggiate, sulle quali io le aveva recitate, e la ricordanza che tuttavia era in me vivissima, posso dire che questo volume le riproduce esattamente.

Nulladimeno, benchè vi abbia adoperato ogni diligenza, il lettore non deve giudicarle come un'opera scritta, ma come una raccolta di vere lezioni: bisogna che leggendole egli si ponga, per così dire, nel luogo di un ascoltatore. Vorrà quindi perdonare un certo abbandono che ebbi a lasciar nello stile, avendo soprattutto posto mente a conservare nel mio lavoro il movimento e la vita della parola. Ed è anche necessario che quegli il quale non assistè al mio corso si faccia un'idea dell'uditorio dinanzi a cui si tenne. Si trasporti meco nella vasta sala del gran Consiglio della repubblica di Ginevra, dove, mercè una delle più liberali istituzioni di un Governo veramente democratico, si raccoglie nelle serate d'inverno una folla di ascoltatori, uomini e donne d'ogni età, stato ed istruzione, ma tutti condotti dal desiderio di coltivare lo spirito e udire una libera parola.

Dunque il lettore non deve in queste pagine cercare sapienti dissertazioni, ma discorsi popolari, maravigliarsi ch'io mi sia contentato d'indicare la parte attiva dei personaggi, di cui io esponeva la vita e le prove, senza esaminare i loro sistemi filosofici e teologici; il che del resto non era punto necessario al mio fine.

Ma se dovetti evitare ogni apparato scientifico, mi condussi però in modo da nulla recare che non posasse sopra solide prove: io stesso risalii alle fonti qualvolta mi fu possibile, e mi parve necessario, e allorchè dovetti ricorrere ad altre autorità, non mi fondai che su quelle delle quali era affatto certo: e, in ogni caso, ebbi cura di citare tutti gli autori di cui mi sono servito.

Nulla volendo cangiare nelle mie lezioni, ho messo in nota quelle aggiunte che credetti dovervi fare, e così vi posi alcuni documenti d'importanza che il lettore sarà ben lieto di trovare in questo volume.

Tenterò io ora di rispondere ai rimproveri che mi furono mossi? Perchè, mi fu detto, fra tanti altri martiri del libero pensiero che voi potevate scegliere, andaste a bello studio a ricercare Michele Servet? Rispondo semplicemente che non l'ho punto cercato con piacere, ma che mi era imposto dal tema medesimo delle mie lezioni; che avendo scelto questo tema, perchè erami sembrato ottimo, ma senza pensare piuttosto al Servet che a qualsiasi altra vittima, non potevo però obliare un tanto martire, e che dovendo parlare di Michele Servet, la mia coscienza non mi permetteva di parlare del Calvino in altro modo da quello che feci. Del resto io chiedo se il Calvino sia un personaggio siffattamente sacro che non sia permesso di giudicarlo liberamente! So benissimo che havvi una gente la quale rimane scandalizzata da questa libertà e la vorrebbe abolita, ma io con tal gente non discuto. Quanto a coloro che mi rimproverano di non aver mostrato il Calvino che sotto un solo aspetto, risponderò che non entrava nel mio soggetto di esaminare i suoi meriti e i servigi ch'egli ha potuto rendere a Ginevra, o anche più in generale alla causa della Riforma: è questa del resto una questione ben controversa, nella quale io non poteva entrare: io non aveva a curarmi che della condotta del Calvino in faccia al Servet, di cui fu il denunziatore e il carnefice. Ma qui havvi chi m'accusa di non aver saputo guardar la cosa con l'occhio del sedicesimo secolo, e di aver giudicato il Calvino colle idee del decimonono; quasichè le più elementari nozioni del bene e del male originassero dal nostro tempo, e ai tempi del Calvino la teologia avesse proprio soffocato nel mondo ogni coscienza. Eppure, ecco la tesi che teologi e giornali sedicenti religiosi si studiano di far prevalere! Buon pro lor faccia! Per me, anche riconoscendo esser giusto, a ben giudicare gli uomini, di tener conto delle idee del secolo in cui vissero, non son di quelli che escludono la coscienza dalla storia, ed ho dimostrato con fatti incontrastabili che al tempo stesso del Calvino la coscienza non era così affatto estinta, come vorrebbero dare a credere coloro che cercano di giustificare da ogni rimprovero il riformatore di Ginevra.

Ma io non voglio qui ritornar sui risultati che ho cercato di stabilire, voglio insistere in generale sul concetto che dettò queste lezioni: mi sembra che trasparisca chiaramente. Se questo libro urta in alcune persone pregiudizi che dovrebbero esser passati, spero che ritroverà in tutti gli spiriti liberi ed imparziali quelle simpatie che già ottenne il corso che il libro riproduce.

Ginevra, 30 giugno 1862.

Giulio Barni.


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