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Fin da secoli lontanissimi il mare cominciò ad avere le sue vittime innumerevoli, trucidate o arse, come già notai, fra la pompa dei sacrifizii, schiacciate sotto il peso delle navi che scendevano in mezzo alle onde, gittate nell'acqua quando imperversavano le burrasche, a placare le divinità marine, o travolte dalle onde nella furia delle tempeste; quando in fragili navi l'uomo si allontanò appena dalle coste, o quando, fidando nel proprio coraggio, andò orgogliosamente in alto mare, tra la furia dell'acqua e dei venti.
Se, come narrasi nelle leggende note in ogni parte del mondo, le vittime del mare, gli uccisi, i naufraghi rimasti senza onore di sepoltura, si aggirano sulle spiagge desolate, fra gli scogli e sull'acqua, nell'oscurità della notte, nelle ore burrascose; innumerevoli debbono essere le loro schiere dolenti, quando, usciti dagli abissi, ripetono il triste metro dei loro lamenti, imprecano all'avverso destino o implorano la pietà dei vivi, anelando al riposo nella tomba, alla pace dopo il travaglioso viaggio.
In ogni secolo cagionò profondo terrore ai marinai, ed anche agli abitanti di molte spiagge, la credenza nell'apparizione dei fantasmi del mare. Essa dura ancora specialmente nelle regioni settentrionali della Francia e nei paesi nordici, ove muovonsi le ombre dolenti fra la nebbia e sulla schiuma dei mari tempestosi; e di certo avviene una delle scene più tremende immaginate dalla fantasia popolare, quando in alto mare, intorno ai fianchi delle navi, nell'oscurità della notte, balzano le onde furenti; quando la morte minaccia i marinai ed escono le ombre dei naufraghi fra l'onda nera, salgono sulle navi, si aggrappano ai cordami, seggono sulle antenne, ed uniscono le grida disperate, i gemiti dolorosi ai sibili del vento.
Quando il fulmine squarcia le nubi, ed il vivo bagliore dei lampi irradia le navi e l'acqua, o quando si accendono sugli alberi maestri le temute fiamme di Sant'Elmo, essi appaiono coi bianchi sudarii stretti sui fianchi, colle teste coperte d'alighe e continuano a gridare ed a gemere; allora i marinai atterriti perdono la forza di lottare contro il mare, smarriscono la ragione innanzi ai fantasmi minacciosi, li scorgono sempre, anche quando l'oscurità avvolge di nuovo il mare e la nave, e sentonsi perduti, fatalmente attratti verso l'abisso, mentre i naufraghi scendono, salgono, gemono ancora fra le sartie e sui pennoni o si uniscono sulla tolda in una ridda vertiginosa.
La nave senza governo, rotta, colle vele lacere, cogli alberi fiaccati, i fianchi aperti, danza anch'essa sui marosi la danza della morte; balza verso il cielo o affonda nelle voragini, ed i fantasmi si vanno moltiplicando intorno ai marinai, li afferrano colle ossa gelide delle mani; li trascinano sul ponte, sulle tavole che si spezzano, fra le onde altissime, in mezzo alle saette, alle raffiche tremende e danzano insieme la danza macabra degli spiriti, lontano sull'Oceano; la danza che nessun pennello saprà ritrarre, che dura pazzamente finché la nave affonda, ed i marinai sono travolti coi loro paurosi compagni nell'abisso, donde fra breve usciranno anch'essi, nelle notti tempestose, coi bianchi sudarii, colle corone d'alighe, piangendo il dolce mondo e la vita perduta, a terrore degli uomini vaganti sul mare.
Credesi nella Bretagna che il suono minaccioso del mare sia cagionato dalle grida di dolore e di spavento delle sue vittime. Al pari del troiano Palinuro che implora da Enea l'onore della sepoltura, i naufraghi non possono trovar riposo finché la terra non ricopra le loro spoglie, e piangono disperatamente ogni volta che le onde travolgono le loro ossa, togliendo che approdino. Quelle anime dolenti sono chiamate, in quasi tutta la Bretagna, Krierieun (crieurs).
I fantasmi del mare non chiedono soltanto il riposo nella tomba, vanno pure qualche volta cercando amore. Narrasi che nella notte dei morti, quando le innumerevoli schiere dei fantasmi si aggirano silenziosamente in ogni parte della terra, sale dagli abissi del mare un'anima errante sulla schiuma di ogni onda che si solleva, e va cercando un'altra anima amata nei giorni della vita serena, o che voglia esserle compagna e sorella nel dolore, nella morte, nell'esilio, in mezzo al mare. Quando incontransi le due anime che cercansi a vicenda, gemono dolcemente, e la loro voce non rassomiglia a quella delle altre anime vaganti.
Nella Norvegia dicesi che la dea Holda ha per compagni, nelle diaboliche sue cacce, i naufraghi, e quando un uomo annega vuolsi che un vecchio senza testa si mostri sull'acqua. In altre regioni credesi che l'uomo d'acqua custodisca le anime degli annegati nel fondo del mare, in certi vasi capovolti: quando un'anima fugge dalla sua triste prigione, giunge in forma di schiuma sulla superficie dell'acqua. Sul corpo di certi annegati vedesi con frequenza l'impronta di una mano, è quella dell'uomo d'acqua che li ha trascinati nel fondo del mare.26 La credenza in questo spirito malefico si ritrova pure in altre terre: a Bodenbach in Boemia credesi che l'uomo d'acqua sia un nano, il quale porta una veste rossa ed un cappello d'egual colore. Quando si mostra annunzia qualche disgrazia.
In Portogallo si crede che i corpi degli annegati si conservino intatti nel fondo del mare, finché giunga l'ora in cui la morte avrebbe dovuto coglierli in modo naturale. In altri paesi credesi che sia permesso ai naufraghi di tornare sotto forma di uccelli sulle navi dove sono stati a lungo, e non solo si fanno riconoscere dai compagni, ma si raccomandano al loro cuore, e chiedono con insistenza le preghiere dei proprii congiunti. Perdono l'aspetto di uccelli quando le loro anime sono purificate. In questa credenza dobbiamo ritrovare il ricordo di antiche leggende, specialmente slave, intorno alle trasformazioni delle anime.
In certe regioni una crudele superstizione rende maggiore il numero degli annegati, che dovranno, innanzi alla fantasia popolare, mutarsi in fantasmi del mare; perché si crede che non vadano soccorse le persone che sono sul punto di annegarsi, essendo una colpa opporsi al loro destino. Steller afferma che, nel Kamchatka, se per caso un uomo cade nell'acqua non deve far cosa alcuna per uscirne. Se qualche persona lo vede in pericolo, deve adoperarsi per impedirgli di salvarsi, e questo perché il popolo crede che sia una empietà togliere a Mitgk, dio del mare, una vittima prescelta da lui.27 Nella Scozia i pescatori non osano toccare il corpo di qualche annegato, perché temono, facendolo, di morire della stessa morte. Dicesi pure che nel luogo dove si è perduta qualche nave, debbono restare gli spiriti dei suoi marinai. Essi appaiono sulle onde e si chiamano a nome, specialmente quando vi è una tempesta. Su certe spiagge vi è chi crede di sentire le grida di questi naufraghi, e si dice che fanno «l'appello dei morti». In Danimarca gli spettri degli annegati chiamansi Strand Varsler: dicesi che passeggiano sulle spiagge, e che la loro dimora trovasi nell'isola di Heligoland.
Altri fantasmi innumerevoli, i quali non sono anime di naufraghi o di altre vittime del mare, si aggirano di continuo o per breve tempo, secondo certe credenze dei marinai, sui mari e sugli oceani, e sono in grandissimo numero le leggende intorno ad essi.
Nei lunghi viaggi, quando i marinai sono lontani dalle proprie case, quelli che sanno amare debbono con insistenza, con affetto infinito ricordare i loro cari, i vecchi genitori, la sposa, i figli, lasciati sopra qualche spiaggia lontana; e spesso, pensando alla fragilità della vita umana, alla probabilità di non più rivedere le persone amate, debbono provare ore tristissime di sconforto. Se, dopo una visita al proprio paese, ritornano sul mare, pensando ai loro morti, a coloro che non hanno potuto stringere fra le braccia, nell'ora desiderata del ritorno; che non ritroveranno più vivi su questa terra, e che dormono l'ultimo sonno; forse, in mezzo alle lagrime, innanzi al mare, potranno coll'accesa fantasia riveder cari sembianti, udir voci soavi, accenti di dolore o d'amore.
Gli abitanti delle spiagge che hanno lontano sul mare persone care, ne aspettano sempre con desiderio il ritorno, e sapendo a quali pericoli sono andate incontro, paventano per loro mille sventure, interrogando con affanno le onde ed il cielo, o tremando se sibila il vento delle burrasche. Nelle ore di spavento o quando sanno che si sono avverati i loro tristi presentimenti, credono spesso di veder cose strane sull'orizzonte lontano, e forse per questo avviene che dal dolore e dall'amore hanno origine tanti strani racconti di apparizioni di fantasmi sul mare e sulle spiagge.
Una leggenda inglese narra di una fanciulla che apparve a bordo a suo fratello ufficiale, e gli toccò il braccio colla gelida mano. In quell'ora istessa la fanciulla moriva lontano, nella casa paterna. In un secondo viaggio l'ufficiale rivide nel luogo istesso il caro fantasma, che scomparve vicino alla nave, mentre imperversava una burrasca. Dopo breve tempo l'ufficiale morì nel mare.28 Un'altra leggenda dice di un giovane, il quale in forma di spettro andò a bordo per dare a suo fratello il tristissimo annunzio della sua morte, che avveniva lontano in quel momento.
Nelle leggende marinaresche della Germania dicesi che i Gongers sono spettri di annegati che vanno a visitare lontani parenti, ed annunziare loro la propria morte. Mostransi di sera verso l'ora del tramonto, indossano gli abiti che portavano nel momento in cui annegarono, e tornano di notte nel mare, lasciando dietro i loro passi tracce d'acqua sui pavimenti. Nello Schleswig dicesi che non entrano nelle case, vanno invece errando intorno ad esse per annunziare la propria sventura, e spesso la raccontano a qualche loro parente in terzo grado. Fu pur creduto che un giorno dopo la morte dei marinai naufragati, le loro ombre apparivano sulla terra ai loro amici.
Altra leggenda narra di un giovanetto, che fu costretto contro il suo volere a seguire il padre sul mare. Prima di partire disse alla madre: «quando sarai seduta sulla spiaggia, ricordati di me». Dopo breve tempo apparve alla povera donna lo spettro del fanciullo, che era morto sul mare.29 Dicesi pure che lo spettro di una donna apparve sul mare all'amante, che aveva promesso di esserle fedele in vita ed in morte; essa sfolgorava fra le nubi di un temporale, ed era seguita da una gigantesca figura. Altre leggende affermano che i fantasmi dei marinai morti in mare vanno a visitare le spose lontane, o gemono avvolti in bianchi sudarii vicino alle povere madri desolate. Parlasi pure con molta frequenza di marinai che videro passare sulle onde belle fanciulle brune o bionde, che avevano il volto cereo, le labbra senza sorrisi e gli occhi velati dalle lacrime. Erano le ombre delle loro fidanzate morte, che volevano salutarli per l'ultima volta; ed infatti, essendo essi tornati nelle case delle fanciulle amate, col cuore oppresso da tristi presentimenti, avean trovato la desolazione e la morte: esse erano sparite per sempre, e l'allegria e la speranza erano fuggite dal cuore dei loro cari.
Fu molto estesa la credenza nell'apparizione di uno spettro spaventevole presso il Capo di Buona Speranza. Egli aveva statura gigantesca e Camoens nel descriverlo dice:
Ed ecco a noi sull'aer cupo innante
Grandeggiare repente aspetto umano,
Che dal feroce volto alle gran piante
Tenta lo sguardo misurarlo invano.
Fanno ombra gl'irti crini al fier sembiante,
Rosseggian gli occhi entro un informe vano;
Ha nera bocca, gialli denti e irsuto
E torvo stassi, e squallido e barbuto.
Anzi di tanto e sì gran membra appare,
Che sol non fia quel che di Rodi ai liti,
Sorge colosso sul soggetto mare,
Meraviglia dei secoli infiniti;
E già scioglie la voce, e tuono pare
Ch'esca dall'onde ed il fragor ne imiti.30
A Lyme, in Inghilterra, credesi invece che apparisca sulle onde lo spettro di una signora che annegò vicino alla costa; anche a Cornwal dicono che lo spettro di una donna si mostri quando imperversa la burrasca. Narrasi che era stata salvata insieme con un suo bambino nel naufragio di una nave: più tardi il ragazzo morì annegato, ed essa va cercando nel mare il suo corpo. Porta abiti di seta e lascia delle monete sulle spiagge dove passa.
I pescatori scozzesi dicono che una gentildonna, la quale fu uccisa, appare presso una spiaggia come vivida fiammella, e prende forma umana quando si avvicina al luogo dove si trova l'ombra del suo amante, che morì annegato. Quando lo chiama, egli sorge dall'acqua accanto a lei, ed entrambi spariscono in mezzo ad un fascio di scintille.
In certe leggende danesi parlasi dello spettro di un guardacosta, il quale sta di guardia sopra una spiaggia come se fosse vivo, e minaccia coloro che gli passano accanto.
Altre volte gli spettri si mostrano sul mare e sulle navi per avvertire i marinai di gravi pericoli, per rivelare qualche delitto ignorato, per compiere opere di vendetta o solo atterrire le ciurme. Sulle spiagge di Oakum Bay dicesi che passa di notte gridando una donna spagnuola, uccisa dai pirati nel XVII secolo. Quando le nubi coprono le stelle e la luna odonsi grida selvagge, come se passasse la schiera degli uccisori. Risuonano le loro bestemmie, le risate squillanti insieme coll'ultima preghiera della donna morente.
Fra le più drammatiche leggende marinaresche va notata quella del pilota fantasma, in cui si dice che sul mare, sconvolto da terribile burrasca, passava un brigantino fra la guerra dell'acqua e del vento. Lo stato della nave metteva spavento; le vele pendevano a lembi vicino agli alberi spezzati; le onde altissime infuriavano contro le sponde, e non era possibile guidarla nella sua corsa vertiginosa; eppure non sembrava che gli ufficiali ed i marinai si curassero di tanto pericolo. Sdraiati sul ponte fra le bottiglie vuote o rotte, i dadi, i bicchieri, bestemmiavano come diavoli, o colle voci rauche ripetevano triste canzoni d'ubriachi.
Un vecchio marinaio gridò, mentre risonavano insieme canti e risate squillanti: «Andate tutti all'inferno poiché non vedete che la nave è in parte sconquassata. Per fortuna è solida, altrimenti saremmo già tutti nel regno di Satana. Ora lasciate i dadi e il vino, e pensate alla nave!».
Il capitano, ubriaco al pari dei suoi ufficiali, udì le parole del marinaio, e, pensando per un momento al pericolo nel quale si trovava il brigantino, prese a dar comandi all'equipaggio; ma la sua voce fu coperta dal rimbombo tremendo del tuono, mentre i lampi guizzavano fra la nebbia oscura, e fra le antenne rotte della nave.
In quel momento un giovanetto venne su dalla stiva: il suo volto era bellissimo, i biondi capelli inanellati gli coprivano le spalle, aveva i grandi occhi azzurri pieni di lagrime, e giunto sul ponte guardò meravigliato quanto lo circondava.
Pareva terribile la condizione di quegli uomini che dimenticavano Iddio in mezzo al pericolo mortale nel quale si trovavano. Il giovanetto, atterrito nell'udire i loro canti, congiunse insieme le mani, e con voce dolcissima, pregando, disse al capitano:
«Fateli tacere, non vedete che la nave si perde!».
Il capitano non pensava più al pericolo; egli rise forte ed egualmente risero gli ufficiali ed i marinai, che circondarono il giovanetto sconosciuto, poi lo trascinarono vicino ai dadi, ai bicchieri, al vino sparso, e vollero costringerlo a bere e a ripetere le loro canzoni.
Egli si svincolò dalle mani dei marinai, e si gittò ai piedi del capitano gridando: «salvatemi, difendetemi da costoro». Il capitano esclamò: «è ubriaco costui che ci giunge dall'inferno! animo, ragazzi, pare che il mare si calmi come per incanto; andate a prendere un'altra botte di vecchio madera, si giuochi, si canti, si beva ancora; non temiamo né il mare né l'inferno!».
I marinai chiamarono subito tutti i diavoli per tener loro compagnia, ed il giovanetto, sempre vicino al capitano, continuava a pregarlo, a parlargli colla voce rotta dai singhiozzi, dicendogli:
«Vedi, non respingermi, se hai cara l'anima tua, non abbandonarmi alla crudeltà di costoro. Non mi riconosci? non ricordi più che rapisti alla sua famiglia una innocente fanciulla, e che poi l'abbandonasti vilmente, scacciandola dalla tua casa?».
Il capitano stupito guardò attentamente il giovanetto, poi esclamò ridendo: «Diavolo, sei tu, Mimì!».
«Sì, sono io. Mi nascosi nella stiva della tua nave col fermo proposito di ucciderti, poi Iddio ha illuminato la mia mente e mi ha dato la forza di perdonare. Da lungo tempo prego per te, ed ora con tutta l'anima ti scongiuro di pensare all'anima tua ed al pericolo che ci minaccia».
Il capitano rideva sempre e disse:
«Poiché mi hai seguito fin qui ed ora mi mostri tanto affetto, voglio divenire tuo marito. Presto, giovanotti, pensiamo a divertirci; avete innanzi a voi una coppia felice di sposi, ora per unirli si deve celebrare il servizio divino. Chi di voi sarà il prete?».
«Io!» rispose un marinaio, che si accostò al capitano, tenendo in una mano un fiasco pieno di vino, ed un mazzo di carte nell'altra.
«Va bene» esclamò il capitano, «chi di voi farà da sagrestano?».
«Io!» disse un altro marinaio.
«E l'organo? come si potrà compiere solennemente la fausta cerimonia, senza il suono dell'organo?». Un altro marinaio si avvicinò al capitano; batteva i dadi sopra un fiasco vuoto, e disse:
Allora, dietro un comando del capitano, ebbe principio la sacrilega cerimonia, fra le risate degli astanti. Mimì, accasciata sul ponte, coprendosi gli occhi colle mani, singhiozzava sommessamente, ed a nulla valevano le parole dolci o minacciose dette dal capitano, per indurla ad inginocchiarsi a lui d'accanto, innanzi al marinaio che faceva da prete.
Una calma che metteva spavento circondava il brigantino. L'acqua era immobile, ed il silenzio solenne veniva rotto solo dalle risate sommesse di certi marinai, e dal suono dei dadi battuti contro il fiasco, per fare le veci dell'organo; ma quando giunse il momento in cui gli sposi ebbero la solenne benedizione ricominciò la furia del temporale; le onde altissime balzarono contro le sponde della nave, ed il fulmine colpì quanto rimaneva dell'albero maestro. I giuocatori lasciarono le carte, i dadi, i bicchieri, e barcollando si decisero a provvedere alla propria salvezza.
In quell'istante apparve fra la nebbia una barca che si avanzava con grande rapidità verso il brigantino, benché non portasse le vele spiegate. Era guidata da un uomo che aveva folta barba, occhi sfavillanti e lunghi capelli fluenti. Giunto presso la nave fece un segno al pilota che non si curò di lui, e gli altri uomini dell'equipaggio non lo videro. Lo scorse invece la fanciulla che rabbrividì, notando il suo aspetto soprannaturale, quand'egli, sempre silenzioso, balzò sul brigantino, mentre la sua barca spariva fra le onde.
Lo straniero si avanzò sul ponte, guardando la ciurma cogli occhi di fuoco e ghignando in modo diabolico. Quando fu presso il timone l'afferrò colla forte mano, ed il brigantino prese a filare colla rapidità del lampo verso certi scogli minacciosi.
Gli ufficiali ed i marinai guardarono atterriti il nuovo pilota che prendeva, a poco a poco, aspetto più spaventevole, mentre la sua persona spiccava innanzi alle nubi nere. Sul ponte cozzavano insieme ai dadi, i fiaschi ed i bicchieri; il capitano faceva sforzi disperati per andare a togliere il timone dalle mani di colui che guidava il brigantino a certa rovina; ma innanzi ai piedi suoi Mimì, svenuta, era distesa, e non gli riusciva di muovere un passo.
Finalmente gli scogli enormi, colle punte frastagliate ed acute furono a brevissima distanza dal brigantino, il quale non cessava dalla corsa vertiginosa, e grida strazianti, urli, bestemmie uscivano dalle labbra livide e tremanti dei marinai. Il fragore del tuono univasi a quello del mare, i lampi illuminavano la scena spaventevole, e sugli scogli vicini, divenuti fiammeggianti, scorgevansi animali mostruosi e spiriti diabolici.
In un momento supremo, prima che la furia del mare gittasse il brigantino contro gli scogli, Mimì riebbe i sensi e rivolse a Dio una fervida preghiera. Le sue labbra ripetevano ancora le parole pie quando un urto tremendo aperse i fianchi del brigantino, e si udì un altro rimbombo terribile del tuono. Il capitano cadde fulminato, e una colomba spiccò il volo verso il cielo tra il fulgore dei lampi. Era l'anima di Mimì che andava in Paradiso. Vicino al timone, intorno al maledetto pilota fantasma, i marinai si raccolsero urlando, poi l'acqua vittoriosa invase da ogni parte il brigantino che sparve sotto i marosi; il mare tornò calmo in un baleno, e sull'acqua scura passò di nuovo, fiammeggiante nella sua nave senza vele e senza timone, il pilota fantasma, che mandava al vento risate sonore, pensando alle miserie ed alle colpe dei poveri mortali.
Secondo certe tradizioni ricordate ancora dai marinai di Sorrento, un tempio pagano cogl'idoli e colle are intatte vedevasi nei primi anni del XII secolo sulla strada detta di San Paolo. Di notte, innanzi a quel tempio, apparivano con frequenza diavoli e fantasmi, a terrore dei marinai che passavano lungo la spiaggia.
Reggeva la città di Sorrento il Doge Sergio II, il quale, essendo animoso oltre ogni dire, andò solo di notte vicino al tempio, per vedere se realmente apparissero i fantasmi che atterrivano i Sorrentini, e con molta meraviglia s'accorse che un vivo chiarore illuminava le colonne e gl'idoli. Innanzi al tempio alzavasi un lieve vapore, il quale, a poco a poco, si divise in tante parti, che divennero lentamente candide fanciulle, le quali, tenendosi per mano, cominciarono a danzare intorno a Sergio, che guardava la scena bizzarra.
Le fanciulle giravano rapidamente, come usano gli elfi ed i folletti di certe leggende germaniche e scandinave; il cerchio che formavano si stringeva sempre di più; i loro volti prendevano aspetto spaventevole; esse mandavan lampi dagli occhi, e mostravano i denti aguzzi, minacciando Sergio, il quale, ritto sul suo cavallo, non riusciva più a fare un movimento; finché, sentendosi stretto in mezzo a quelle furie, vinse con uno sforzo disperato il torpore mortale che gli toglieva la forza, snudò la spada, ed avendo troncato il braccio di uno dei fantasmi, poté spronare il cavallo e fuggire.
Nel giorno seguente si trovò nel tempio il braccio rotto di un idolo.
Per mettere fine alle apparizioni infernali, Sergio volle che gl'idoli fossero gittati in mare, ed essi sparvero fra le onde innanzi al popolo festante; ma subito «l'aria divenne buia, violenti baleni solcarono l'atmosfera, sicché pareva che il cielo andasse in fiamme. Un rumore fino allora inaudito empiva l'aria, rumore che partiva dalla triplice forza degli urli, dei fiotti infuriati, dei muggiti del vento, degli scoppi della folgore. Impetuosa bufera spandevasi per modo che, infuriando sempre più, schiantò del tutto i ripari dell'antico porto di Sorrento, e spinse i marosi fin nei miseri abituri di quelle marine, con la devastazione delle case».31
In una leggenda tedesca vien descritta a lungo una scena tremenda che avviene sopra una nave dove mancano il cibo e l'acqua dolce. La fame fa soffrire ai marinai tormenti inenarrabili, e non v'è per essi alcuna speranza di salute, perché non soffia neppure un'aura leggera, l'acqua è immobile come l'aria, e la nave non può continuare il suo viaggio ed avvicinarsi a qualche spiaggia.
Una serata terribile comincia per i marinai disperati. Una parte della ciurma è già morta fra spasimi indicibili; nella stiva rantolano alcuni morenti ai quali non è possibile dare alcun soccorso; e sulla tolda, come fantasmi desolati, cogli occhi ardenti per febbre, coi volti cadaverici stanno due giovani mozzi, il capitano, il pilota ed alcuni marinai di tempra ferrea, che resistono ancora allo strazio tremendo. I mozzi sono fratelli: stretti nelle braccia l'uno dell'altro, verso la poppa della nave, discorrono nel delirio della febbre della casa lontana, della madre rimasta sola, del padre morto in mare, e vedono nell'ombra, intorno ad essi, mille fantasmi paurosi. Uno dei giovanetti, che ha maggior coraggio, si prova a fare animo al fratello; ma vede anch'egli i fantasmi che si avvicinano, e sente nelle ossa il freddo della morte. Il pilota delirante va facendo tristi proposte al capitano: perché non uccidere uno dei mozzi, per berne il sangue? Non è forse giunto il momento di usare ogni mezzo, per togliersi dal petto il tormento intollerabile della fame? Che cosa aspettano ancora? Il capitano non risponde, sente anch'egli che non può reggere più al tormento che l'uccide, ma non gli riesce d'intendere bene le parole del pilota, il quale ha dimenticato quale diversità di grado li separi, e gli parla come se fosse un suo pari.
Anche il capitano vede innanzi agli alberi ed alle vele, sulla tolda e sul mare molte persone delle quali già conosceva la morte prima di quell'ora terribile. Sono fantasmi di marinai, di parenti, di amici che gli parlano, che lo chiamano nel mondo degli spiriti, ed unita al suono delle loro parole odesi la voce del pilota che ripete con insistenza: Perché non uccidiamo un mozzo?
Gli altri marinai che sono sul ponte vedono anch'essi cose strane, ma non odono la voce del pilota e quella del capitano, e non veggono un nuovo fantasma di aspetto spaventevole, che sorge lentamente dal mare presso la nave. Intanto il capitano ed il pilota giungono vicino ai due giovanetti che sembrano addormentati sul ponte, e li chiamano a nome; essi non si muovono, il pilota li scuote forte; sono morti. Innanzi a quei nuovi cadaveri cresce il delirio degli infelici, ma esso non dura a lungo; il fantasma del mare (seegespent) si è sollevato di più fuori dell'acqua; e colle braccia scarne, lunghissime, abbraccia la nave.
In un attimo il cielo si oscura, l'acqua diventa nera intorno alla nave, ed a poco a poco il fantasma trae questa nelle onde; essa affonda lentamente, spariscono le sponde, odesi l'ultimo grido del capitano e dei marinai deliranti; il fantasma del mare ride orribilmente e continua l'opera tristissima. Già le onde coprono il ponte; spariscono le vele, e la cima dell'albero maestro; sparisce il fantasma che ha per compagne la fame e la morte, ed i poveri naufraghi piombano nell'abisso dove si mutano anch'essi in fantasmi paurosi.
Parlasi di un altro fantasma del mare nella bella leggenda italiana del Castello di Duino, il quale trovasi presso Trieste. Una castellana fu dal marito, signore crudele di Duino, gittata da una terrazza del castello nel mare, dove si trasformò in una rupe che viene ancora adesso chiamata «il sasso della Dama bianca» ed ha forma quasi umana. Dicesi che tutte le sere la morta castellana si anima, e, ancora affranta dal dolore, torna nel castello, per vedere la culla di un suo bambino; ma, non trovandola nella ricerca affannosa, torna all'alba sulla rupe.
In un'altra leggenda dello stesso castello parmi che si trovi una di quelle lievi reminiscenze, così rare sulle terre italiane, delle leggende medioevali ed anche moderne in cui dicesi dei selvaggi cacciatori erranti; poiché raccontasi che molti udirono di notte un suono d'armi, e videro giungere presso il portone del castello una folla di cavalieri stanchi, laceri, coperti di sangue, cogli elmi pesti, colle spade rotte e le catene ai piedi, ansanti come i dannati che Dante vide correre pazzamente innanzi alle nere cagne bramose e correnti.32
In una leggenda dei Lapponi dicesi di un altro fantasma del mare, il quale usciva ogni notte dalle onde, balzava sulla spiaggia e metteva sempre lo scompiglio in mezzo agli attrezzi per la pesca, che un marinaio teneva nella propria barca. Una notte costui stabilì di punire il fantasma e lo bastonò in tal maniera ch'egli non osò più uscire di notte dal mare.33