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Presso ogni popolo, nel vecchio mondo e nel nuovo, si narrano innumerevoli racconti meravigliosi intorno agli spiriti dell'acqua, e si potrebbe affermare che non vi siano oceani, mari, fiumi, laghi, fontane e ruscelli noti agli uomini, i quali non abbiano avuto nel lontano passato, innanzi alla fantasia delle genti, il loro genio protettore e altri abitanti soprannaturali, cortesi o malvagi, di aspetto gentile e bello o mostruoso e spaventevole. In molte regioni credesi ancora nella loro esistenza.
Questi spiriti, secondo le antiche tradizioni e le leggende ricordate dai popoli, trovansi con frequenza in relazione cogli uomini e prendono parte alle loro contese, adoperandosi per beneficarli o trarli a rovina, siccome avviene nell'Iliade, nell'Odissea e nell'Eneide. Sono padroni di palazzi incantati di perle e di corallo, e dimorano nelle profondità misteriose degli oceani e dei mari o governano le rapide correnti dei fiumi; custodiscono gelosamente schiere infelici di naufraghi, belle fanciulle rapite alla terra per amore, eroi e principi innamorati delle immortali figlie delle onde e divenuti ciò che fu Glauco nel gustar dell'erbe
Che il fe' consorto in mar degli altri dei.
Essi mostransi sulle onde fosforescenti del mare, fra l'oro fuso ed i brillanti, sollevando le verdi teste o i volti bianchi e le trecce d'oro; stanno sulle rupi e sugli scogli, traendo per forza d'incantesimi i marinai al naufragio, o avvertendoli colla voce pietosa del vicino pericolo. Hanno città di cristallo sotto le onde dell'Egeo, del Tirreno, del Baltico e del mar Ionio; vicino alle spiagge popolate o lontano, nelle solitudini profonde del Polo. Danzano fra i marosi mentre durano le tempeste ed uniscono le risate squillanti alle grida disperate dei marinai vicini a morte; passano silenziosi sui gelidi mari del Nord fra la luce sanguigna delle aurore boreali, o, quando tristamente sorride l'estate verso il Polo, vanno navigando sulle barche nere, non lungi dalle loro città ascose fra i ghiacci eterni.
Sui bastimenti, sulle barche dimorano anche i folletti, simili quasi sempre a quelli che leggende dicono sparsi su tanta parte della terra; cantano le sirene e le mermaids presso ogni spiaggia; in ogni grotta vicino al mare si nascondono giganti o nani, e par che l'uomo a cagione della propria ignoranza di fronte alla natura e vinto da spavento abbia spesso colla fantasia visto moltiplicarsi sotto nuova forma i pericoli che lo circondavano; o che, stanco della realtà della vita, siasi compiaciuto in altri casi a creare col fervido pensiero un mondo bizzarro e soprannaturale, in mezzo al quale, come poeta, come artista, come sognatore, gli fosse possibile di dimenticare la tristezza o la volgarità di tante cose reali.
In altro lavoro43 parlai a lungo della strana trasformazione che subirono nel Medioevo le divinità delle mitologie diverse, prendendo spesso innanzi al popolo aspetto di spiriti infernali; ed ora dirò solo che la medesima trasformazione non parmi avvenuta in modo così spiccato ed esteso per le divinità marine, le quali ancora adesso, in paesi diversi ed in molte leggende ripetute dal popolo, conservano in modo palese la loro parvenza antica, senza essersi mutate in demonii; e non di rado avviene che i marinai cristiani di certe regioni, per ottenere una buona navigazione o essere liberati nell'ora del pericolo, implorano le divinità dei padri loro, le quali innanzi ad essi non hanno perduto tutto il prestigio e l'antica potenza.
Non parmi necessario di ricordare fra queste pagine gli spiriti del mare, i quali, a cagione della forza meravigliosa o della bellezza divina, hanno parte importante nelle mitiche favole greche e latine. Essi, come già dissi, sono molto noti alle persone colte sulle nostre terre, e basta ricordare certe pagine meravigliose della poesia classica per rivedere le loro figure non offuscate dal tempo, ma sempre adorne colla bellezza eterna dell'arte vera e possente. Dirò invece di quelli nell'esistenza dei quali credesi ancora in altre regioni o che non sono generalmente noti.
L'aspetto delle spiagge desolate della Groenlandia e del suo tristissimo cielo è tale che non dobbiamo meravigliarci se credenze e superstizioni assurde ritrovansi con tanta frequenza fra i poveri Groenlandesi. Essi vivono quasi di continuo presso l'Oceano, e spesso lo vedono sconvolto da tempeste violente; altre volte le onde non si spezzano più con furia spaventevole contro gli scogli, il movimento pauroso dell'acqua cessa da un giorno all'altro, ed un'immensa distesa gelida si unisce alla terra sulla quale si accumula la neve e sibila orribilmente il gelido vento del nord. Altre volte ancora le onde furiose trasportano enormi ammassi di ghiaccio, l'oscurità delle lunghe notti si alterna colla luce rossa delle aurore boreali, o nella luce del giorno, per effetto del miraggio, si scorgono sull'oceano strane apparizioni; e questi fenomeni, che spesso rendono più dura la vita dei miseri pescatori di foche, sembrano loro cagionati da un numero infinito di spiriti che vivono nell'oceano e nel cielo.
Nei nostri ghiacciai alpini sono molto frequenti le detonazioni ed i rombi fortissimi, a cagione del movimento perenne del ghiaccio. Verso il Polo odesi anche spesso nell'interno delle montagne di ghiaccio uno scoppio violento, simile al rimbombo del tuono, che da ogni parte vien ripetuto dall'eco. Sentesi pure qualche volta sull'Oceano glaciale un suono che somiglia ad un grido acuto ed ignorasi da quale causa sia prodotto. Sulle spiagge orientali della Groenlandia Eggert Olafsen udì nel XVIII secolo queste grida. Esse, al pari delle detonazioni che avvengono nel ghiaccio, sono cagionate, secondo una credenza degli Eschimesi, da malvagi stregoni e da spiriti cattivi, che annunziano a chi le ode una prossima morte o qualche sventura irreparabile.
Nelle leggende degli Eschimesi, i quali credono anche nella misteriosa potenza di certi amuleti strani, che l'uomo sceglie a sua difesa fin dall'infanzia,44 sono nominati con frequenza gl'Ingnersuit o Inui, spiriti marini che dimorano fra le rocce bagnate dall'Oceano glaciale. Come gli elfi ed i folletti di altri paesi si dividono in buoni ed in cattivi; presso i buoni, che stanno sul mare o sulla terra, possono andare gli uomini nel tempo dell'alta marea: i cattivi dimorano nelle profondità della terra e del mare.
I buoni Inui proteggono i conduttori delle barche (kajak) e somigliano agli uomini; solo hanno piccolissimi nasi ed occhi rossi. Qualche volta si aprono innanzi agli uomini i baluardi di rocce che nascondono il loro paese, e scorgesi una bella spiaggia, sulla quale sono costruite le loro case. Hanno tutti gli attrezzi necessari per la pesca, che dà loro molto diletto, e quando vanno sul mare nelle barche sono invisibili, ma sanno proteggere fra le tempeste i pescatori.
Dicesi che un Eschimese, il quale dimorava presso un golfo (fjord), vide morire un suo figlio già grande, e non volendo seguire il costume del suo paese, dove chi ha perduto un parente, resta cinque giorni a terra senz'imbarcarsi, partì subito. Un vecchio ed una vecchia, che erano soli al mondo, andarono sulla tomba del giovine, e dicendo magiche parole gli ridonarono la vita.
Il giovine, per provare ai poveri vecchi la sua riconoscenza, divenne il loro sostegno, e insieme vissero lietamente; ma venne un tempo in cui perdette la consueta allegria, perché avendo promesso ad una bellissima figlia degl'Inui della spiaggia di sposarla, era dolente nel pensare che avrebbe lasciato per cagion sua coloro ai quali doveva la vita.
I vecchi che lo amavano molto non vollero dividersi da lui, e lo pregarono di chiedere agli spiriti benefici che concedessero loro di accompagnarlo. Gl'Inui accolsero benevolmente la loro preghiera, ed essi partirono colla propria barca, vogando verso la spiaggia degli spiriti. Dopo qualche tempo giunsero innanzi ad un'altissima scogliera che si aprì per lasciarli passare e scorsero le splendide abitazioni degl'Inui. La loro meraviglia fu tale che lasciarono per un istante i remi immobili, dimenticando che non dovevano fermarsi ancora. In un attimo gli scogli si unirono di nuovo, la fragile barca si ruppe, ed il giovine disse loro che non potevano più seguirlo. Dovettero fabbricarsi una capanna sopra una roccia vicina, e gl'Inui pensarono sempre a provvederli di ogni cosa necessaria.
GI'Inui cattivi hanno aspetto d'uomini, ma sono senza capelli e senza naso. Quando salgono sul mare vanno in cerca dei pescatori più robusti, li travolgono fra le onde, e dopo aver tagliato loro il naso li tengono in dura prigionia.45 Una leggenda dice di un pescatore fortissimo, il quale, nel gittare un rampone ad una foca, cadde nell'acqua e divenne prigioniero dei cattivi genii. Non potendo colle sole sue forze liberarsi, chiese aiuto ai suoi genii protettori, e fra costoro e gl'Inui cattivi del mare avvenne una lotta terribile, dopo la quale riuscì al pescatore di fuggire.
Un'altra leggenda dice che un certo Kuvitsina, avendo lasciato la sua nave e la ciurma che eragli stata compagna nell'estate, se ne andava solo col suo kajak lungo una spiaggia. Quando fu giunto vicino ad uno scoglio questo si aperse innanzi a lui, ed egli entrò nel vano che erasi formato. Appena fu andato alquanto innanzi i cattivi Inui lo circondarono, presero il suo canotto, lo fecero a pezzi, e condussero il poveretto in una loro casa. Mentre egli era costretto a star fermo nell'angolo di una stanza, una vecchia affilò un coltello, si avvicinò a lui, lo legò ad una colonna e gli recise il naso.
Il pescatore, trovandosi fra tanto pericolo, volse il pensiero ai buoni genii. I primi che chiamò vennero per aiutarlo, ma non ebbero la forza di vincere i suoi nemici; allora egli chiamò due altri genii più possenti, ed il rumore che fecero avvicinandosi a lui fu udito da tutti. Uno di essi gridò forte: «Che cosa avete fatto di Kuvitsina?». Egli era furente, ruppe i lacci che stringevano il suo protetto, gli diede un amuleto e disse ancora: «Affrettati a fuggire».
Quando insieme col suo salvatore il giovine giunse vicino ai pezzi del suo canotto, tornò subito ad essere in ottimo stato; poi uno dei buoni Inui ammonì quelli cattivi, dicendo loro di non offendere gli uomini che vanno pescando sull'Oceano, perché uccidono le balene, che sono nemiche degli spiriti.
Mentre il pescatore tornava a casa vide ancora uno degl'Inui benefici, e sentì sul capo uno strano rumore: era il suo naso che giungeva volando, e si rimise subito al solito posto.
Le donne o Inue del mare sono, secondo la credenza degli Eschimesi, ghiotte della carne delle volpi, che vengono ad esse sacrificate dai pescatori per ottenere una buona pesca: sono pur credute nemiche dei ragazzi disubbidienti.
Nelle tristi regioni della Lapponia parlasi in certe leggende di un misterioso popolo delle spiagge e del mare, il quale ha molta somiglianza cogl'Inui o Ingnersuit della Groenlandia. Questi spiriti della Lapponia si chiamano Gusitarak o Tjatse-haldek (popolo del mare) e sono spesso in relazione cogli uomini.
In una leggenda dicesi che vi era una volta un uomo, il quale aveva due figli. Il maggiore di essi era superbo, l'altro era cortese e buono. Un giorno pescavano insieme, e quando la loro barca fu piena di pesci discesero sulla spiaggia, accesero il fuoco, mangiarono, e poi il padre ed il figlio maggiore si addormentarono nella barca; il più giovine non aveva sonno, e per passare il tempo passeggiava sulla spiaggia. Di là scorse una piccola barca che si avvicinava, ed egli sedette sopra una pietra, aspettando per vedere chi stava dentro di essa. Quando la barca si appressò alla spiaggia una voce chiese: «Perché siedi lassù, e che cosa aspetti?».
Il giovine rispose: «Voglio vedere chi sta nella barca».
Nella barca stava un vecchio, il quale disse: «Vieni con me; andiamo a pescare insieme».
Il giovine saltò nella barca, prese a remare col suo compagno e si allontanò dalla spiaggia; dopo un breve tempo furono circondati da una densa nebbia, e non videro più la terra.
«La nebbia è così folta» disse il giovine, «che non ci riuscirà più di tornare a terra».
«Non pensare a questo!» rispose il vecchio.
Dopo un breve tempo, quando la nebbia si diradò, il giovine scorse un villaggio sopra una spiaggia, ed il vecchio gli disse che era quello il suo paese. Appena approdarono, due figli del vecchio vennero ad aiutarlo per tirare a terra la barca, e intanto il giovine era molto inquieto, perché non conosceva né quella spiaggia, né quella gente.
«Seguimi nel villaggio» gli disse il vecchio.
Il giovine ubbidì, e quando furono giunti il vecchio gli offerse da mangiare; ma il giovine non osava toccare il cibo, sapendo che colui il quale mangia coi Gusitarak rimane sempre con loro. Il vecchio gli fece animo, e gli disse: «Mangia senza paura, perché non ti accadrà nulla di spiacevole. Non siamo cattivi come i Gusitarak che vivono sulla terra».
Il giovine andò a pescare coi figli del vecchio; quando tornarono nel villaggio il vecchio gli disse: «Lascia che i tuoi compagni vadano a vendere il pesce, e non temere, perché avrai tutto ciò che hai guadagnato».
Il giovane prese a passeggiare aspettando, e vide un gran numero di capre. Da uno strato di nebbia sul suo capo vide pure pendere certi fili ai quali erano legati degli ami; uno di questi fu abboccato da una capra che venne tirata su e sparve fra la nebbia: altre capre furono pescate nello stesso modo.
I figli del vecchio tornarono dal mercato e dettero al giovine cento monete d'oro; egli si rallegrò molto ed il vecchio lo volle seco nella barca, per riportarlo sulla spiaggia dalla quale era venuto. Quando furono soli sul mare, il giovane parlò al vecchio, raccontando la pesca delle capre alla quale aveva assistito, e lo pregò di dirgli chi erano coloro che pescavano in quel modo strano. Il vecchio rispose: «Gli ami che vedesti appartengono agli uomini, e le capre non sono altro che i pesci ch'essi pescano nel mare, il quale trovandosi sul tuo capo ti sembrò una densa nube. Noi siamo i Gusitarak del mare, e qui abbiamo, sotto le onde, i nostri villaggi e le nostre dimore».
Mentre i due uomini remavano, una densa nebbia li circondò; essi andarono innanzi egualmente, e quando la nebbia sparve il giovine scorse la spiaggia che aveva lasciata per seguire il vecchio, il quale gli raccomandò di non dare a suo fratello qualche parte dell'oro che aveva seco, e di non parlare a nessuno del suo recente viaggio; poi lo lasciò sulla spiaggia e sparve. Egli non voleva beneficare il fratello del giovine, perché gli uomini superbi non piacciono ai Gusitarak.
Certe leggende scandinave dicono che quando i giganti ed i trolli furono dai cristiani costretti a lasciare la terra, si rifugiarono in mare, e trovansi in lontane regioni dove spesso accade ai marinai di vederli. Nel vecchio libro scandinavo dei re dicesi di uno di questi spiriti, il quale è alto, di aspetto maestoso, e mostrasi qualche volta in parte fuori dell'acqua. Dalla cintola in su ha forma umana, porta un elmo sul capo ed è senza braccia; nessuno ha potuto mai sapere se la parte di lui che resta ascosa nell'acqua ha forma di pesce. Egli ha colore azzurrino, pari a quello del ghiaccio e chiamasi Hafstraub.
Sempre secondo le credenze scandinave i giganti del Polo posseggono cani feroci, rubano spesso le fanciulle della Groenlandia, che sposano benché, per dire il vero, siano molto brutte, ed i loro genitori per riaverle debbono ricorrere alla scienza degli Angàkok, specie di maghi assai rispettati e temuti nella Groenlandia, i quali possono uccidere i giganti usando armi incantate.
Vi sono verso il Polo altri giganti che hanno un occhio solo, come i vecchi ciclopi e certi spiriti temuti dai Lapponi. I Kajarissat, che dimorano al di là delle più lontane stazioni di pesca, hanno statura gigantesca, e danno prova della loro potenza cagionando le burrasche. Anche in un libro italiano del XVI secolo si fa cenno dei paurosi giganti che dimorano verso il Polo Nord, dicendo:46 «...ne gli estremi e nevosi liti della Norvegia, dicono che praticano huomini salvatichi, d'aspetto monstruosi, coperti di setole e di peli lunghi, e grandemente horribili; i quali quando vogliono parlare terribilmente gridano, e con le mani sterpano con mirabil forza gli alberi minori della terra; si tuffano anche sotto acqua, così nell'Oceano, come ne' fiumi, meravigliosamente per pigliar pesci; ma a cacciar le fiere corrono sopra la terra e sopra il ghiaccio con tanta fermezza di piedi che mai non sdrucciolano, appoggiandosi solamente a scorze d'alberi o a qualche pertica indurita al fuoco. Quei poveri forestieri, che sono gittati a questi liti, sono da essi la notte, perocché odiando la luce vanno massimamente allo scuro, assaltati e coi bastoni ammazzati e divorati».
Quando cessa il terribile inverno del Nord, e l'Oceano, libero finalmente, rompe fra la luce del sole le montagne di ghiaccio di forme bizzarre, tinte coi più vivi colori dell'iride, che sembrano ammassi di gemme, i giganti del Polo, molti dei quali, secondo le credenze dei Lapponi, hanno una lunga barba e sono vestiti di rosso, salgono sulle piramidi gigantesche, sui gelidi templi sorretti da fragili colonne scintillanti, sui monumenti di cristallo e di brillanti che galleggiano sull'Oceano maestosamente, e percorrono insieme cogli orsi bianchi i loro vasti dominii, soffiando in certe piccole canne per suscitare le tempeste a danno dei marinai e delle navi. Quando debbono remare usano i remi piatti da un lato solo simili a quelli di certi indigeni americani; e quando sulle spiagge della Groenlandia trovansi avanzi di barche fatte con legno di betulle dicesi che appartengono ai giganti.
Gli antichi Scandinavi e gl'Islandesi dicevano pure di certe donne selvagge chiamate Vilde-koner o Trold-koner (mogli dei Trolli); esse erano di statura gigantesca ed abitavano nelle caverne apertesi nel ghiaccio, nutrendosi di carne umana e del prodotto della pesca e della caccia. Dicesi pure che un gigante è riuscito a separare dalla terra l'isola di Heligoland.
Sulle coste della Cornovaglia credevasi che uno spirito cortese, chiamato Hooper, distendesse sulla baia di Sennen una densa striscia di nebbia per avvertire i pescatori, i quali, vedendola, non dovevano andare in alto mare, dove la tempesta li avrebbe certamente messi in grave pericolo. Un vecchio pescatore non volle un giorno curarsi di quell'avvertimento pietoso; disse che lo spirito mentiva, ed insieme con alcuni giovani andò colla sua barca in alto mare, tenendo in mano una frusta per castigare lo spirito. Dopo un breve tempo si alzò una violenta tempesta, il vecchio ed i suoi compagni non tornarono più, ed ora lo spirito offeso dà molto di rado il pietoso avviso ai marinai.47
Le leggende slave dicono a lungo dei Vodyany, spiriti perversi dell'acqua, che si allietano cagionando la morte degli uomini, e credesi che nella settimana in cui si celebra la festa del profeta Elia, confuso dagli Slavi col loro antico dio Perum, sia molto pericoloso bagnarsi, perché i Vodyany chiedono maggior numero di vittime. Lungo il giorno stanno ascosi sulle spiagge, o si battono cogli spiriti dei boschi. Spesso mostransi seduti con una frusta in mano, dalla quale scendono nastri di svariati colori. Le anime delle vittime dei Vodyany sono costrette a servirli.
Spesso i Vodyany si trasformano in pesci, al pari dei Mermen delle regioni occidentali europee, e credesi nell'Ucrania che quando il mare è tempestoso il popolo marino appare cantando sulla superficie dell'acqua. I Chuinaki, carrettieri di quei paesi, vanno in quell'occasione sulle spiagge, e dicono di udire canti meravigliosi, che provansi più tardi a ripetere nelle città e nei villaggi. In altre regioni quel popolo del mare è detto Pharaohs, perché si suppone che sia quanto rimane dell'esercito di Faraone che perì nel Mar Rosso.48
I Vodyany diventano spesso gli sposi delle fanciulle annegate, che si trasformano in altri spiriti dell'acqua chiamati Rusalke; e vuolsi che in occasione di quelle nozze i Vodyany sconvolgano le acque. Una volta il figlio di un Vodyany fu preso nella rete di un pescatore. Egli sgambettava allegramente finché restava nell'acqua, ma appena ne era tratto fuori, gittava grida acutissime di dolore. Suo padre lo chiese al pescatore, promettendogli in compenso della sua bontà di fargli sempre prendere molti pesci, e mantenne la sua promessa.
Una delle leggende intorno ai matrimoni delle figlie degli uomini coi Vodyany rassomiglia in parte alla novella che servì di argomento a Mathew Arnold per il suo bel racconto The forsaken Merman (L'uomo del mare obliato). Essa dice che una fanciulla morì annegata, e rimase per alcuni anni nell'acqua, avendo sposato uno spirito. In una bella giornata uscì dal mare, vide il sole, i campi, i prati verdi, udì il ronzio degl'insetti e il suono delle campane. Allora provò desiderio vivissimo di rivedere la propria casa e vi andò, ma i suoi fratelli ed altri parenti non la riconobbero; verso sera ella tornò mestamente sulla spiaggia e discese presso lo spirito. Due giorni dopo il suo cadavere mutilato giaceva sulla sabbia, ed il Vodyany pentito piangeva la morte della sposa.
In una variante danese di questa leggenda troviamo che due genitori poveri avevano una figlia sola chiamata Grethe. Un giorno mentre questa raccoglieva certa arena sulla spiaggia, vide uscire dalle onde un uomo del mare bellissimo, il quale aveva una barba lunga, verde come le onde, e disse con voce armoniosa alla fanciulla:
«Seguimi, Grethe, e ti darò tutto l'oro che puoi desiderare».
La fanciulla si lasciò allettare dalle parole affettuose dell'uomo del mare, lo seguì nella sua dimora sotto le onde, lo sposò e divenne madre di cinque figli.
Dopo un lungo tempo ella aveva dimenticato la sua fede cristiana, e cullava sulle ginocchia l'ultimo dei suoi bambini, quando sentì le campane del suo villaggio che suonavano a festa, e provando un desiderio intenso di andare in chiesa per pregare si mise a piangere. L'uomo del mare, che l'amava con tutta l'anima, le domandò la cagione del suo dolore; ed essa lo supplicò di lasciarla tornare un giorno solo sulla terra per pregare. Egli acconsentì e la pregò di non dimenticare i figli e di tornare presto.
Grethe corse sulla terra ed entrò in chiesa. Mentre si faceva la predica una voce gridava fuori dolorosamente: «Grethe, Grethe». La giovane sentì la voce, ma stabilì di ascoltare tutta la predica; quando il prete finì, l'uomo del mare tornò presso la porta della chiesa e chiamò di nuovo la moglie che non si mosse. Egli tornò per la terza volta e con voce più addolorata disse: «Grethe, Grethe, i tuoi ragazzi piangono e ti chiamano!».
Ma Grethe non rispose all'uomo che tanto l'amava, ed egli tornò nel mare. La giovane andò in casa dei suoi genitori, ed ogni notte, quando le onde si rompono sulla spiaggia, si odono i lunghi gemiti dell'uomo del mare, il quale chiama la sposa infedele.
In certe leggende dei Russi intorno ai Vodyany dicesi ancora che quando Satana fu scacciato dal cielo, molti spiriti caddero nelle profondità della terra, dove rimasero nani; altri andarono nei boschi, divenendo una specie di fauni o di satiri; altri piombarono nell'acqua dove dimorano ancora; altri rimasero nell'aria e si divertono cavalcando sui venti e guidando i temporali. Molti sono divenuti folletti domestici che vivono presso gli uomini.
Tra i nostri marinai di Trani devesi notare una credenza che si avvicina molto a quella dei Russi. Essi dicono che dopo la ribellione degli angeli cattivi, questi furono divisi in tre schiere: una di esse sta nell'aria, la seconda dimora nelle profondità della terra, la terza nel mare. Quando la burrasca sconvolge il mare è cagionata dagli spiriti cattivi dell'acqua.
La credenza in altri spiriti simili a questi, scacciati dalla loro celeste dimora, fu estesissima in Europa nel Medioevo, e diede in parte origine alle leggende innumerevoli intorno agli elfi ed ai folletti, dei quali dissi lungamente in altro volume.
I Kelpys sono uomini e pesci come i classici tritoni, regolano il movimento delle onde e sono molto temuti da certi marinai, i quali credono che vadano usando ogni mezzo per farli annegare. Parecchi uomini perirono fra le onde in una notte oscura, presso una spiaggia al Nord di Europa, perché nessun marinaio dimorante in quelle vicinanze volle aiutarli, credendo che le grida udite venissero dai perfidi Kelpys.
Nell'isola d'Arz credesi che i suoni lamentevoli che mandano di notte le onde, non siano altro che i gemiti dei Colbignéandets, genii malefici dell'acqua, i quali si rallegrano quando possono annunziare le tempeste ed i naufragi.
Gervasio di Tilbury scrisse che sulle spiagge meridionali della Francia dimoravano certi spiriti dell'acqua, i quali avevano forma umana e chiamavansi Dracae; trascinavano nelle caverne le persone che prendevano, ed avean per costume di uccidere gli uomini e di sposare le donne, che allettavano facendo splendere sulle onde coppe o anelli d'oro. Si disse che una donna era tornata sulla terra dopo aver passato sette anni con uno spirito dell'acqua.
Nella Scozia è molto noto il folletto dell'acqua chiamato Shellycoat; è vestito d'alighe e di conchiglie, e nell'udire il suono che queste mandano quando cammina, gli uomini si avvedono della sua presenza. Dicesi che si diverte spesso nell'ingannare e nello schernire gli uomini: un giorno due pescatori sentirono una voce che implorava aiuto; corsero, credendo di poter aiutare qualche infelice, e videro invece Shellycoat, che rideva e facea battere insieme le sue conchiglie.49
Secondo le credenze dei marinai del Morbihan i folletti (lutins) del mare sono certi piccoli esseri che hanno una agilità straordinaria, e che si divertono molto sulle navi, staccando le vele e facendo mille burle ai marinai. Se un uomo li scorge e prende ad inseguirli, fuggono rapidamente ed è impossibile afferrarli. Giungono ad avere tanta audacia che saltano anche sulla schiena dei marinai, e tirano loro i capelli e la barba. Sono sempre disposti a favorire i loro compagni di viaggio; ma sono invisibili, come se provassero un senso di ripugnanza nel ricevere i ringraziamenti degli uomini.
Nel secolo XV e nel XVI il folletto del mare fu detto in Germania Kobalos; ora si chiama Klabautermann. Ha grandi occhi rossi con espressione feroce e lunghi denti verdi; è vestito di giallo, porta gli stivaloni e mostrasi benevolo verso i marinai se lo trattano bene. Dice di lui il Longfellow che è invisibile quando cammina sugli attrezzi di una nave, quando dà colpi di martello nella stiva o all'albero maestro, e quando ride e canta sulla prora. Si unisce ai marinai quando lavorano e scherza con loro piacevolmente; li aiuta ad aggiustare le botti e ad alzare l'àncora ed ha molta simpatia per quelli che sono operosi e buoni; ma di giorno e di notte molesta invece i fannulloni, i pigri della ciurma. Colui il quale vede Klabautermann ha sicuro annunzio di prossima morte.
Spesso questo celebre folletto beve il vino in compagnia del capitano ed accetta il cibo che gli viene offerto, ma non vuole gli abiti usati. Anche i pescatori di Plumouth credono nella sua esistenza, e dicono che si mostra solo per annunziare qualche pericolo. Egli appare su certi vascelli fantasmi, e fuma usando una pipa cortissima.
Nell'isola d'Arz dicesi che uno spirito malefico del mare, chiamato il Guardiano della costa, lavora di notte intorno a certe navi misteriose che spariscono, quando sorge la luna, come se piombassero in un abisso profondo. Quando i marinai dormono taglia con frequenza le gomene delle loro navi, alza le àncore dei bastimenti e li spinge contro le scogliere; altre volte chiama i marinai gridando: «Imbarca, imbarca!». Chi risponde a quella voce muore annegato.
Nella stessa isola dicesi che spesso vedonsi passeggiare sul mare certe donne ignote, che hanno un grembiale disteso sotto i piedi.
In Bretagna certe donne dell'acqua, che non bisogna confondere colle Sirene, di cui parlerò in altro capitolo, sono belle di notte e brutte di giorno, avendo come gli elfi dell'Inghilterra ed i folletti della Germania occhi rossi e capelli bianchi. Hanno due piedi di altezza e sono avvolte in un velo; hanno voci soavi e dicesi che sono principesse le quali non vollero farsi cristiane.50
Nel Kalevala troviamo personificato il freddo, il quale al pari di certi venti sembra uno spirito possente, che abbia anche impero sui mare. L'eroe Ahti, dio del mare, spinge la sua nave, la fa scivolare sulle onde al pari della serpe velenosa, della serpe vivente che striscia sotto la paglia secca, e volge la prora verso i golfi di Pohjola; ma il Freddo gli viene incontro come nemico, vuol sottomettere il mare al suo potere, fermare il movimento delle onde. Quando passava sulla terra le fronde ingiallivano, l'erba si disseccava; quando giunse sulle sponde, sulle sponde immense del mare di Pohjola, cominciò fin dalla prima notte la sua guerra contro i golfi ed i laghi; ammucchiò il ghiaccio sulle loro sponde, ma non giunse in alto mare e non toccò ancora le sue onde.
Nella notte seguente il Freddo mostrò tutta la sua potenza tremenda, e fu crudele, inesorabile; il ghiaccio alto si formò, la neve cadde in molta quantità, e la nave dell'audace Ahti rimase immobile sul mare; poi il Freddo volle assiderare l'eroe, ma non vi riuscì; il figlio selvaggio dell'inverno dovette rispettarlo.
Sonovi anche sul mare certe divinità che custodiscono i morti. Fra queste va notata Ran, moglie del terribile Eger, dio scandinavo delle onde, mito dell'Oceano tempestoso. Ran raccoglie nelle nasse tutti gli annegati, e sta in agguato in mezzo ai massi di ghiaccio, per prendere gli uomini. Nella saga di Frithjof questi dice: «Nel letto dell'Oceano – Ran prepara per noi i cuscini azzurri... – È buona cosa possedere dell'oro – Quando un uomo va per fare la sua corte. – Che nessuno discenda colle mani vuote – Nel palazzo azzurro di Ran. – I suoi baci sono gelidi, – il suo amore è incostante; – ma noi incanteremo la fidanzata del mare – col nostro oro vermiglio».
In altra parte della medesima saga il re Ring e la regina Ingeborg attraversano un lago per andare ad un banchetto. «Essi volano come la tempesta vola sull'Oceano. – Il re Ring fa poca attenzione alle preghiere della regina. – Il loro compagno (Frithjof), calzato d'acciaio, non riposa, – Passa innanzi ad essi e vola più rapidamente del vento... – Essi vanno nella loro rapida corsa, – Ma Ran, la traditrice, è ascosa sotto il ghiaccio – Nel suo letto d'argento ha fatto un'apertura. – La slitta precipita nel crepaccio spalancato».
Ma Frithjof non è lontano «e con un semplice sforzo afferra – e riporta sul ghiaccio il corsiere e la slitta».
Le onde figlie di Eger e di Ran sono anche spiriti del mare, hanno capelli di una pallida tinta, e portano lunghi veli bianchi. Di rado si mostrano benevole verso gli uomini, sono sempre deste quando soffia il vento, ed hanno letti di pietre. I nomi diversi che vengono dati alle figlie di Eger e di Ran, rappresentano le onde nelle loro diverse grandezze e nei loro aspetti differenti.
Per un caso strano vi è fra gli dei marini, nell'esistenza dei quali credesi nella Polinesia, un certo Akaenga, padrone delle acque profonde, che raccoglie gli spiriti degli annegati in una nassa, siccome usa pure la Ran scandinava, e li lava nel mare. Certi spiriti gelosi, i quali non volevano che si conoscessero i loro segreti, dovevano trovarsi presso l'isoletta detta Capo di Fieno, in vicinanza della Corsica; poiché dicesi a Finalmarina che il padrone di una barca raccoglieva più corallo degli altri nell'epoca in cui molti pescatori di corallo, partiti da quella spiaggia, nel giorno di San Giuseppe, per ritornarvi alla Madonna del Rosario, rimanevano sul mare, usando certe barche sottili nelle quali stavano appena due uomini, una cassetta per il corallo e gli attrezzi per la pesca.
I pescatori fecero quanto possibile per sapere qual mezzo usasse il marinaio fortunato per raccogliere tanto corallo, ma non riuscirono a conoscere il suo segreto. Finalmente ubriacarono il marinaio che stava con lui e si adoperarono per indurlo a parlare. Finché il marinaio conservò un poco di ragione non volle cedere alle insistenti preghiere, ma poi, avendo bevuto ancora, disse in dialetto certi versi i quali significavano che bastava passare vicino all'isoletta chiamata Capo di Fieno, per fare una pesca abbondante. Quando i marinai di Finalmarina seppero questo vogarono verso l'isola, ma non fu loro possibile di prendere neppure un pezzo di corallo perché le onde si alzarono con furia e scoppiò una violentissima tempesta.
Qualche volta gli spiriti del mare prendono aspetto di orsi bianchi, di gabbiani, di foche, o di pesci come accade in una nostra leggenda di Trani, in cui dicesi di un povero marinaio il quale non avea fortuna, perché non gli riusciva mai di tirar su la rete piena di pesci, e sua moglie e due figliuoletti intisichivano per la fame. Una sera l'infelice, che avea la disperazione nell'animo, uscì di casa, scese nella sua barchetta, e la lasciò in balìa del mare che era alquanto burrascoso. Per qualche tempo stette disteso nella barca, pensando alla sua tristissima condizione, poi gittò la rete in mare, ma non si curò più di essa e, affranto dal dolore, si addormentò. Ad un tratto sentì una forte scossa che lo destò, e s'accorse che il fragile legno era tratto giù da un lato. La rete era piena!
Il pover'uomo, fuori di sé per la gioia, cominciò a tirare con forza, e vide che un pescecane era stato preso nella rete. Egli si rallegrò maggiormente scorgendo quella bella preda, poi fu molto stupito perché il pesce prese a discorrere e gli disse: «Sono il tuo genio; quando mi avrai fatto a pezzi seminerai i miei denti nel tuo orticello, e fra tre mesi sarai contento di me».
Il marinaio portò subito a casa la sua preda, e lietamente disse alla moglie che fra tre mesi sarebbero finite tutte le loro sventure. Egli andò nell'orticello, seminò i denti del pescecane, e subito venne fuori dalla terra un grosso albero. Ora la leggenda dovrebbe dirci che il marinaio aspettava con impazienza che il pescecane mantenesse la sua promessa; invece ci fa sapere ch'egli non se ne dava più pensiero, quando un giorno, dopo tre mesi, trovò nell'orticello, invece dell'albero, un bel cavallo bianco, alto, lucente, il quale aveva la sella e parlava come un notaio. Il cavallo gli disse: « Saltami in groppa e partiamo!».
Il marinaio viaggiò a lungo col cavallo bianco, come i cavalieri del Medioevo; vide nuovi paesi e cose meravigliose; discese nel mondo sotterraneo abitato dalle fate e raccolse grandi ricchezze. Quando ritornò a Trani per godere in pace di tutto ciò che aveva acquistato nella sua vita errante, sentì che mentre era assente la voce della sua morte erasi sparsa e che sua moglie aveva sposato un altro marinaio. Egli fece molte riflessioni profonde sulla poca durata delle gioie umane e sulla leggerezza delle donne, e come per chiedere qualche conforto al suo buon genio andò nell'orticello, proprio nel sito dove aveva seminato i denti. Vi trovò un pesciolino il quale, come certi vermi dell'Islanda che divennero rapidamente serpi del mare, prese ad ingrossare subito in modo meraviglioso; ed essendo divenuto un enorme pescecane disse:
Marinaro, portami in mare.
Marinaro, portami in mare.
Il marinaio riuscì a farlo entrare in una barca e lo portò in alto mare, dove il pesce disse al suo buon amico: «addio, addio», e balzò nell'acqua.51
Parmi che questa leggenda nostra si colleghi con quella dei figli d'oro, e coll'altra del pescatore e della moglie, entrambe germaniche; nelle quali si ritrova in modo palese il mito ario del sole coll'aspetto di pesce. Nella leggenda dei figli d'oro un pover'uomo prende il pesce d'oro che lo fa padrone del palazzo del sole, e vuole essere diviso in sei parti, due delle quali debbono essere date alla moglie del pescatore, due alla sua giumenta, e le altre debbono essere seppellite. La donna ha due figli d'oro che montano su due puledri d'oro nati dalla giumenta. I pezzi sepolti del pesce producono due alberi, dall'esistenza dei quali dipende la vita dei due ragazzi.
Nella leggenda del pescatore e di sua moglie, il pesce tagliato adempie i voleri della donna, che prima domanda di essere una dama, poi una regina, e ottiene sempre il suo intento; ma quando domanda di essere padrona dell'universo ritorna nella sua prima condizione.
Così avviene che la semplice leggenda dei marinai tranesi, la quale può sembrare a chi l'ascolti puerile ed anche assurda, acquista una grande importanza per chi studi le trasformazioni stranissime dei miti e delle leggende antiche, di secolo in secolo e di gente in gente.
Certi spiriti del mare possono avere aspetto d'uomini, senza che vi sia nella loro persona qualche cosa che li distingua dagli esseri umani; e troviamo in una leggenda nordica che eranvi tre fratelli, il maggiore dei quali si chiamava Stiliarnat. Un giorno stavano sul mare gelato, in compagnia di un uomo che non era loro parente, quando in un attimo si levò il vento del sud-est, il ghiaccio si spezzò sotto i loro piedi, e furono costretti a salire sopra un masso di ghiaccio galleggiante, il quale li portò al largo sull'Oceano. Erano sul punto di morire a cagione del freddo e della fame quando l'iceberg si accostò ad una spiaggia; vi discesero, e mentre andavano vagando su quella terra sconosciuta, in cerca dei suoi abitanti, passarono presso un istmo, sul quale scorsero una capanna con una sola finestra. Un vecchio, che viveva in quella povera dimora, li accolse benevolmente ed essi rimasero con lui per parecchi anni.
Una sera il vecchio chiese al maggiore dei fratelli: «Che cosa ti diedero per amuleto quando nascesti?». Stiliarnat rispose che nella sua infanzia gli avevano dato per amuleto lo scheletro di un gabbiano. Quando il vecchio udì quella risposta disse: «Puoi essere certo che tornerai nel tuo paese». Un altro dei fratelli disse: «Ciascun di noi ha per amuleto il medesimo uccello». Quando l'altro pescatore fu interrogato rispose che aveva per amuleto un corvo; uccello che cerca la preda sulla terra, ed il vecchio gli disse: «Non mi pare probabile che tu rivegga il tuo paese!».
Il vecchio aveva per costume di alzarsi il mattino prima dei suoi compagni, e quando essi uscivano egli stava già sulla cima di qualche montagna, dove studiava il tempo ed il cielo. Un giorno disse loro: «Quando il vento sarà cessato, ed il tempo sarà stabile io vi porterò via». Essi furono molto stupiti nell'udire quelle parole e dissero: «In qual modo ci porterete via mentre l'acqua non è gelata, e non solo non si vedono in mare né barche né canotti, ma non sapete neppure da qual parte si trovi il nostro paese?».
Una mattina, quando i pescatori dormivano ancora, il vecchio li chiamò e disse: «Fate presto, alzatevi, non è più tempo di dormire se volete rivedere le vostre case!». Essi si alzarono subito e seguirono il vecchio sulla spiaggia dove erano discesi alcuni anni prima. Il vecchio disse: «Guardatemi!» e saltò nell'acqua; dopo breve tempo riapparve trasformato in orso e riprese a dire: «Se Stiliarnat ha veramente un gabbiano per amuleto si gitti nell'acqua». Stiliarnat esitò, ma quando l'orso gli disse: «Se non vuoi seguirmi nell'Oceano non vedrai più la tua casa», egli si gittò nell'acqua, e quando ritornò a galla si accorse che poteva camminare sulle onde come se fosse sul ghiaccio molto consistente. Nello stesso tempo apparve un gabbiano presso un grosso ammasso di ghiaccio galleggiante sul quale salirono i fratelli. Lo straniero dovette invece rimanere a terra.
L'orso disse ai fratelli: «Chiudete gli occhi e sedete. Se aprirete gli occhi non vi riuscirà di tornare nella vostra casa; io spingerò il masso di ghiaccio».
Viaggiarono così finché l'orso disse che potevano aprire gli occhi, e si trovarono innanzi al loro paese dove discesero, pregando l'orso di seguirli, perché volevano in qualche modo compensarlo di quanto aveva fatto; ma l'orso rispose dicendo che non voleva essere pagato; desiderava solo che, se nell'inverno venisse un orso sulla spiaggia, presso la loro casa, guardassero di non lasciarlo offendere dai loro compagni, e di mettergli qualche cibo dinanzi. Quando ebbe detto queste parole sparve nell'acqua.
I fratelli furono accolti con molta gioia nella propria casa. Le loro mogli, credendoli morti sul mare, avevano sposato altri pescatori, e pareva che costoro temessero quelli che erano tornati. Questi invece li ringraziarono, perché mentre durava la loro assenza avevano provveduto di cibo le donne, che ripresero per mogli.
Nell'inverno seguente i tre fratelli avevano quasi dimenticato l'orso benefico, quando una sera, mentre erano in casa, alcuni uomini gridarono: «Un orso si avvicina alla spiaggia», e prepararono le armi per assalirlo. I tre fratelli, ricordando la promessa fatta, gridarono subito: «Aspettate, prima di offenderlo, vogliamo vederlo». Essi riconobbero l'orso che li aveva salvati, e dissero agli altri: «Senza il suo aiuto non saremmo tornati a casa. Invece di assalirlo venite tutti a festeggiarlo».
L'orso, salito sulla spiaggia, si avviò verso la casa dei tre fratelli e sedette innanzi alla porta, presso la quale gli portarono certe foche intere e l'invogliarono a mangiare. Quando fu sazio si coricò per dormire ed i fanciulli gli scherzavano intorno. Dopo un breve tempo si destò, mangiò ancora alquanto e prese a camminare verso la spiaggia, seguendo le orme che aveva lasciato a terra. Giunto presso l'Oceano scese nell'acqua e non fu più veduto da nessuno. Dicesi che i discendenti di Stiliarnat vissero felici e si moltiplicarono.52
In un'altra leggenda degli Eschimesi, che vien raccontata con parecchie varianti, si può trovare, fra la rozzezza della forma, il ricordo di una tradizione storica unita alla credenza assai estesa che se le foche sono uccise dagli uomini in numero troppo grande, quelle che sopravvivono si vendicano, prendendo aspetto di umiarissat, spiriti armati che siedono in una nave costruita con un pezzo di ghiaccio.
Due fratelli vivevano sulle sponde di un fjord: il primo dimorava verso il mezzogiorno, l'altro stava dalla parte opposta. Una notte la serva del più giovine uscì fuori della casa, e vide qualche cosa che splendeva sull'Oceano; nello stesso tempo scorse una nave che avvicinavasi. Mentre guardava attentamente si spaventò, scorgendo che era un'amiariak, specie di nave usata da esseri favolosi.
Ella si provò a fuggire, e non le riuscì di muovere un passo; volle gridare ma non poté, e dovette rimanere silenziosa ed immobile nel sito dove si trovava, mentre certi esseri strani che discesero dalle barche e portavano spade fiammeggianti, camminarono verso la tenda. Alte grida partirono da quella, poi gli stranieri corsero alle loro barche. Ella vide ancora una moltitudine di foche le quali nuotavano verso l'alto mare.
La giovane poté muoversi solo quando gli stranieri furono lontani, e corse nella tenda ove vide i suoi padroni uccisi, ed il sangue che scorreva sul pavimento. Benché fosse notte non volle aspettare, e corse lungo il golfo finché giunse nella casa dell'altro fratello, e gli disse quanto era accaduto. Questi venne in sospetto e pensò che ella avesse ucciso i suoi padroni; la giovane disse: «Vieni e giudica tu stesso vedendo quanto è accaduto, poi se non mi crederai potrai uccidermi».
Egli andò nella dimora di suo fratello, e vedendo la tenda bucata da ogni parte non accusò più la serva, ma andò in cerca dei nemici.
Dopo molti casi e coll'aiuto di uno stregone gli riuscì di vendicarsi.53
Non mancano nel mare le fate cortesi, che si mostrano benevole verso i marinai. Nella Bretagna sono chiamate fées des houles, e spesso sposano gli uomini, siccome usano anche le fate della terra. Certe sono vestite con abiti tessuti, altre con alighe e conchiglie; e in parecchie leggende dicesi che al pari di Circe possono trasformare gli uomini in animali. Vi è molta somiglianza fra queste fate del mare e le Sirene, e sarà meglio discorrerne in altro capitolo, quando tratterò delle affascinanti figlie del mare.