Maria Savi Lopez
Leggende del mare
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I re del mare e le donne cigni

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I re del mare e le donne cigni

Gli dei che, secondo le mitologie diverse, hanno impero sul mare, sono in grandissimo numero, e molti di essi hanno aspetto spaventevole e forza meravigliosa. Gelosi della loro potenza si mostrano spesso nemici degli uomini, che sfidano la furia del vento e delle onde; e quando accesi d'ira sconvolgono i mari e gli oceani, domandano ai marinai atterriti nuove vittime umane per celarle negli abissi dei loro regni misteriosi. Moltissime pagine basterebbero appena per la descrizione delle loro mitiche figure, e per contenere le notizie intorno al culto che venne reso loro da popoli antichi, o che ricevono ancora in tante regioni della terra, e dirò solo di alcuni spiriti marini che sono creduti re del mare.

Fra essi deve essere ricordato il re di Gibilterra, del quale parlasi lungamente in una leggenda popolare di Corigliano calabro. Questo re possedeva palazzi incantati nel mare, era molto potente, e la sua superbia non aveva limiti; egli era anche bellissimo e prode, e nell'udire quanto dicevasi di lui si accese d'amore la bellissima figlia del re di Sicilia. Il padre le voleva dare uno sposo, ma essa ricusò tutti quelli che domandavano la sua mano, e disse che desiderava solo per suo signore il re di Gibilterra, e che non si sarebbe piegata mai ad accettare altro sposo.

Il re fu molto dolente nell'udire quanto diceva la fanciulla, poiché sembravagli impossibile che il caso potesse farle conoscere da vicino il re di Gibilterra; ma poi vedendo che ella era tanto invaghita di colui, che solo nel suo affetto avrebbe potuto trovare ogni gioia, e stimando che doveva adoprarsi con tutta l'anima per renderla felice, credette ottimo consiglio andare a visitare il re superbo, e vedere che gli riuscisse di combinare le nozze.

Partì con molto seguito, lasciando la figlia in Sicilia, e navigò verso il regno del re superbo di Gibilterra. Quando entrò nel porto della sua città si sdegnò forte, non essendovi nessuno pronto a rendergli quelle onoranze che si convenivano all'alto suo grado. Egual cosa avvenne quando discese nella città, e giunse innanzi al principe, il quale lo accolse superbamente, non come sovrano a lui eguale nel grado, ma come un oscuro forestiere; eppure pensando all'amata figliuola il re sopportò con pazienza tanta scortesia ed acconsentì volentieri a seguire il re superbo, che volle fargli vedere le meraviglie del suo palazzo costruito sotto il mare.

In quella dimora incantata erano raccolte tali ricchezze che nessuno avrebbe potuto descriverle degnamente. Il corallo, la madreperla, la vegetazione stupenda del mare, le conchiglie bizzarre si vedevano da ogni parte, ed il re di Sicilia ammirava tutto, pur cercando il mezzo di parlare della propria figlia, finché riuscì nel suo intento. A poco a poco, come se discorresse senza fini ascosi ne vantò la grazia e la bontà; poi, come forse usavasi nei tempi lontani in cui avvennero i casi meravigliosi narrati dalla leggenda calabrese, il re finì col dire al Signore di Gibilterra che sarebbe stato altero di averlo per genero. Allora il re sdegnosamente lo condusse in una sala immensa dove erano moltissime statue di sale dalle forme bellissime; e additandole ad una ad una al re di Sicilia chiese se sua figlia avesse pari bellezza, e finì col dirgli che tutte quelle donne aveano sperato di poterlo sposare.

Ora pareva al re di Sicilia che una di quelle statue rassomigliasse alla figlia, ora ne vedeva altre da lei assolutamente diverse; ma quando il re di Gibilterra gli fece intendere che non si sarebbe piegato a sposare la fanciulla, il povero padre, che tanto amava quella diletta sua, non seppe nascondere il proprio dolore, e disse al re che se respingeva l'affetto della fanciulla essa si sarebbe uccisa. Nell'udir quelle parole il re superbo prese freddamente un pugnale e lo porse al misero padre dicendo: «Se vorrà uccidersi datele quest'arme».

Sempre più dolente il padre soggiunse: «Se dovrà rinunziare al vostro affetto si strangolerà». Il bel re di Gibilterra gli diede una sciarpa di seta rispondendo: «Se vorrà strangolarsi datele questa sciarpa». Il re di Sicilia si provò ancora una volta a commuovere il re superbo dicendo: «Se dovrà rinunziare a voi piangerà di continuo». Il bel re gli offrì un fazzoletto di stoffa d'oro dicendo: «Se piangerà datele questo fazzoletto per asciugarsi le lagrime».

Il re di Sicilia tornò tristamente nel proprio regno, e narrò alla figlia quanto era avvenuto, poi, nella speranza di toglierle dal cuore l'amore, provandole tutta la crudeltà del re di Gibilterra, le mostrò il pugnale, la sciarpa, il fazzoletto.

La fanciulla sentì acerbo dolore, ma non si sgomentò; prese quegli oggetti, poi chiese al padre in grazia che la lasciasse partire per un lungo viaggio, con un alto dignitario della corte. Il re versò molte lagrime nell'udire quella preghiera, ma non sapeva negare cosa alcuna all'unica figliuola, e le concesse quanto chiedeva. La fanciulla partì per Gibilterra, ove conobbe la sorella del re superbo; costei compiacevasi nel raccogliere molte belle fanciulle nei suoi palazzi fatati, che erano ascosi nel mare, e fra esse volle anche la giovane viaggiatrice, che non fece conoscere l'alto suo grado, ma seppe dare prova di tanta valentia nel sonare o nell'eseguire lavori diversi colle candide mani, che la sorella del re superbo parlò con frequenza a costui dell'ammirazione che provava per la giovanetta.

Il re volle vederla e andò nelle splendide sale del palazzo ove ella dimorava; le belle fanciulle, in attesa di quella visita, avean fatto sfoggio di vesti ricchissime, ed eransi con molta arte adornate; la sola figlia del re di Sicilia, vestita dimessamente, accolse con orgoglio il re, continuando a lavorare e mostrando di non curarsi di lui. Forse a cagione di quell'indifferenza egli si accese d'amore nel vederla, e dopo quel giorno furono frequenti le sue visite alla bella sdegnosa, che non curavasi dell'amore che gli ardeva nel petto.

Finalmente l'orgoglio del re superbo fu vinto, ed egli disse alla bella fanciulla che se non voleva accettarlo come sposo si sarebbe piantato un pugnale nel cuore. La fanciulla sorrise e gli presentò subito un pugnale. Al re parve di riconoscere quell'arme, ma nel dolore e nello sgomento di quell'ora badò appena a questo, e disse alla fanciulla che si sarebbe strangolato per amore. Ella sorrise ancora e gli presentò una sciarpa, che egli prese con somma meraviglia, riconoscendo in essa quella che aveva data al re di Sicilia. Sentì allora nel cuore una commozione profonda, e per togliersi dalla mente ogni dubbio disse con voce malferma alla fanciulla, che avrebbe pianto sempre, sempre. Ella sorrideva e gli porse un fazzoletto che egli ben conosceva; allora il re superbo seppe chi era colei che sdegnava l'amor suo; con molte lagrime le chiese perdono della crudeltà passata, e la pace fu conchiusa in mezzo al mare fra lui e la bella fanciulla.

Ella volle vedere il palazzo del suo promesso sposo, passò nelle sale di corallo e di madreperla e giunse innanzi alle statue di sale, pregando il re di far cessare l'incantesimo che teneva prigioniere tante belle giovani. Egli ubbidì; per un caso meraviglioso le statue ebbero moto e vita, le fanciulle liberate si elevarono verso la superficie del mare per tornare nelle case lontane, e nel gaudio inenarrabile di quell'ora la terra di Sicilia fu congiunta dall'affetto al regno del re superbo.

In molti canti epici russi detti biline parlasi della discesa di Sadko, il ricco mercante, nel mare, e dell'incontro che ebbe con un re potente. La figura di questo Sadko trovasi nel ciclo epico di Novgorod, il quale è tanto diverso dal ciclo di Kiev o di Vladimiro, in cui si vedono sempre eroi (bogatyr) di re Vladimiro pronti ad assalire draghi e serpenti, Tartari e Turchi. Invece le guerre che si combattono intorno a Novgorod sono quasi sempre guerre civili, ed i marinai di quella regione vanno nei paesi mussulmani, non già per assalire gl'infedeli, ma per estendere il loro commercio.

Novgorod era dunque realmente, come ci viene descritta nella sua poesia popolare e nelle sue cronache, una città di audaci mercanti e di ardimentosi navigatori, che non furono mai spaventati dalle burrasche o dalle rapide correnti dei fiumi; che ebbero esteso commercio colle Fiandre, colla Grecia, con altre terre lontane, e, dopo aver vinto i Finni, coprirono di colonie la Russia settentrionale.

Essendo il commercio fonte di ricchezze per quella operosa città, in un'epoca favorevole ancora, in quelle regioni europee, alla produzione spontanea e popolare dell'epica, mentre l'uso frequente delle armi era anche necessario per estendere e proteggere il commercio, non dobbiamo meravigliarci se i canti epici del ciclo di Novgorod ci fanno conoscere le imprese di un mercante, del ricco Sadko; il quale viene travolto, per così dire, fra mille avventure strane, al pari di Ulisse o del Sindbad dei racconti orientali, ma solo per il commercio.

Le biline ci dicono che Sadko navigava sul lago Ladoga o sulla Newa per giungere fino al mare azzurro, seguendo la via che dovevano percorrere i mercanti di Novgorod, per andare verso i paesi scandinavi e le città dell'Ansa; ma egli non si limitava a questo, e passeggiò anche per dodici anni sul Volga e sul mar Caspio.

Prima che Sadko diventasse un ricco mercante, egli era poverissimo e possedeva solo un'arpa, che andava sonando nei conviti per rallegrare la gente ed aver quanto gli bastasse per non morire di fame. Ma venne un tempo in cui non guadagnò più nulla, e poiché gli uomini non si curavano di lui, sedette tristamente sulla sponda del lago Ilmen, nella solitudine, e prese a sonar l'arpa, cercando nella musica un conforto al suo dolore.

Appena risonarono le prime note armoniose, l'acqua del lago cominciò ad agitarsi, e Sadko spaventato fuggì a Novgorod, ove non trovò altro che miseria, in modo che, dopo breve tempo, tornò presso il lago e ricominciò a sonare. Di nuovo le acque si mossero in modo insolito, e Sadko fuggì; ma la miseria divenne sempre più dolorosa per lui nella città; egli andò di nuovo a sedersi sulle rocce bianche presso il lago e sonò, finché apparve sull'acqua il re del mare, il quale gli disse:

«Senti, Sadko di Novgorod, io non so qual compenso darti pel piacere che mi hai procurato sonando. Vuoi un tesoro tale che tu non possa conoscerne tutto il valore? Ritorna a Novgorod e fa una grande scommessa; metti il tuo capo come pegno contro tutto ciò che posseggono nei loro magazzini i ricchi mercanti, ed afferma che nel lago Ilmen vi sono pesci colle pinne d'oro. Quando avrai fatto questa scommessa tessi una rete di seta, vieni a pescare nel lago Ilmen, e ti darò tre pesci colle pinne d'oro. Allora, Sadko, diverrai ricco».

La scommessa è accettata dai mercanti, Sadko, seguito dai suoi concittadini, corre sulle sponde dell'Ilmen, tre volte getta nell'acqua la rete di seta, e tre volte prende un pesce colle pinne d'oro. Egli ha vinto e gli dànno tutte le merci del bazar.

Sadko è un uomo energico, degno figlio della sua terra natia, poiché i mercanti di Novgorod sanno sul mare essere pronti ad ogni evento, ed usar le armi per la sua difesa. Egli, che non si appaga delle sue ricchezze e vuole guadagnarne altre, riunisce la sua droujina (compagnia di valorosi), siccome usavano gli eroi di re Vladimiro, imbarcasi con essa e parte. È seguìto da trenta vascelli e naviga sul Vascello fantasma, poiché è giusto che essendo il primo fra tutti i marinai, stia sul vascello che ha maggior fama di tutti gli altri.

Ma scoppia una spaventosa tempesta, e le navi dai fianchi vermigli cominciano a rompersi; Sadko dice ai compagni: «Sentite, voi tutti che formate la mia valorosa droujina, da gran tempo navighiamo senza aver pagato mai un tributo al re del mare, ed ora egli ci chiede il tributo, il tributo sul mare azzurro».

In queste parole di Sadko troviamo un nuovo ricordo del costume, che fu comune, come già notai, a quasi tutti i popoli, di far offerte al mare per calmare la sua furia; e le biline ci provano pure, come ora vedremo, che nel Medioevo durava ancora presso certe genti europee la credenza che si dovessero dare al mare vittime umane, compiendosi con minor pompa certi sacrifizi che possono in qualche modo ricordarci quelli in uso nell'antichità.

Quando Sadko ha manifestato il suo pensiero viene gittata nel mare una botte piena d'argento, ma ciò non serve a nulla, perché la tempesta continua; gittasi una botte piena d'oro, la violenza della burrasca aumenta, e poiché il re del mare non appagasi dei doni ricevuti è forza credere che richieda una testa vivente. Siccome usasi anche sulle navi tra i marinai affamati (a quanto dicesi in molte ballate), si tira a sorte sul Vascello fantasma di Sadko, per sapere a chi toccherà di essere gittato in mare.

Ogni viaggiatore prende una bacchetta di pino sulla quale scrive il proprio nome e la getta nell'acqua; la bacchetta di Sadko affonda; egli, come capo della droujina, fa ricominciare molte volte la prova; si adoperano bacchette di legno di noce o di cipresso, e Sadko perde di nuovo la sua; finalmente comanda ai compagni di gettare bacchette di ferro, mentre egli ne getterà una di legno, e la sua affonda sempre. È dunque certo che il re del mare vuole la sua testa. Sadko si rassegna; indossa una ricca pelliccia, prende in una mano l'immagine di San Nicola (Mikoula), coll'altra tiene l'arpa; gettasi nell'acqua, affonda e trovasi nel palazzo del re del mare, innanzi alla sua terribile persona.

Questo re del mare, che rassomiglia in qualche modo ad Ahti, dio del mare dei Finni, è possente e terribile divinità, che pur qualche volta diventa nei canti della Russia una specie di Pluto, guardiano delle ricchezze sotterranee. Egli è capriccioso, brutale, generoso, appassionato per la musica e qualche volta anche stupido: quando balla il mare si sconvolge, ed i marinai sono in pericolo.

Sadko vede il re seduto accanto a sua moglie, ed ascolta queste parole che egli dice: «Ti ho fatto venire perché tu dica alla mia Tsarina se in Russia è più prezioso l'acciaio o l'oro». Risponde Sadko che l'acciaio è più prezioso, poiché senz'oro e senza danaro si può vivere, ma non si può far senza del ferro. «Che cosa hai in mano?» gli chiede il re del mare. «Nella destra ho l'immagine del beato Mikoula; nella sinistra la mia arpa di platano».

Sadko comincia a sonare; il re si commuove e balla, tenendo i lembi della propria pelliccia. Secondo certe varianti dei canti epici, odesi una voce che ora vien detta quella della tsarina del mare, ora quella di San Mikoula o di un vecchio sconosciuto, che dice a Sadko: «Senti, ricco mercante, rompi la tua arpa di platano, perché mentre suoni e ti pare che il re balli nel suo palazzo, egli balla invece sulla spiaggia, e finché dura questo ballo le onde si alzano furenti, l'acqua si mischia colla sabbia d'oro, molte navi dai fianchi vermigli affondano, molte teste innocenti periscono, ed il popolo ortodosso prega, implorando San Mikoula».

Sadko, ubbidiente alla voce misteriosa, che gli fa conoscere le conseguenze terribili della danza che tanto diletta il re, rompe l'arpa di platano; il mare calmasi, il re non balla più, e non curandosi che Sadko abbia già moglie, vuole che sposi una delle sue figlie. La stessa voce che ha detto a Sadko di rompere l'arpa, gl'insegna il modo di vincere in quella dura prova. Egli fingerà di sposare la fanciulla, ma non la terrà come sua moglie; se l'accettasse veramente come tale resterebbe per sempre nel mare. Cento figlie del re sfilano innanzi a lui, poi ne passano altre cento; egli sceglie l'ultima, bruttissima, che sembra una mora, e finge di sposarla, ma non le rivolge neppure una parola: il giorno seguente ritrovasi con sua grande meraviglia a Novgorod e incontra i compagni desolati, che lo credevano morto.61

Sulla costa della Guinea credesi che Olokim, re del mare, abiti in un palazzo sotto l'acqua, dove è avvinto da sette catene. Dicesi che andava uccidendo gli uomini perché eransi dati a mentire; e solo alcuni di essi rimanevano in vita, quando Obataba, dio del cielo, lo cacciò nelle onde e l'incatenò per sempre nel suo palazzo. Quando Olokim si muove per frangere le sue catene, le onde furiose dell'Oceano si sollevano. Gli vengono offerti in sacrifizio animali e qualche volta anche uomini.

Sua moglie si chiama Olosa (la laguna); ha il suo palazzo nel mare, ed il coccodrillo è l'animale ch'essa predilige. Le si offrono sacrifizi in certi piccoli templi sulla laguna, e le vengono anche offerti esseri umani affinché sia favorevole ai pescatori.62

Nell'Harivansa trovasi che il re Jadou passeggiava sul mare in compagnia delle sue nobili mogli, pari al dio della luna circondato dalle stelle. Egli andò molto lontano, e fu rapito dal re dei serpenti, il quale lo trascinò nel fondo dell'acqua fino alla sua capitale, che aveva porte ed archi di trionfo, colonne e monumenti carichi di gioielli, ed ove, in ogni luogo, vedevansi ghirlande di perle vicino alle conchiglie splendide come brillanti.

Il re Jadou attraversò quella città sottomarina e giunse nel palazzo del re dei serpenti, simile ad una nube e abitato da moltissime donne serpi. Il re delle acque fece sedere il re Jadou sopra un ricchissimo trono e gli disse:

«Tuo padre è già stato rapito nel cielo, e tu avrai una gloriosa discendenza; vedi queste fanciulle giovani e bellissime; sono le mie cinque figlie, sposale ed io ti darò una dote degna della tua grandezza e della tua potenza».

Il re Jadou accetta la splendida offerta, sposa le fanciulle e torna sulla sua nave.

Secondo un racconto del Tibet, un certo Djiuna vuol compiere un viaggio sul mare, per conquistare una pietra che ha virtù meravigliose, ed anche per accrescere i suoi tesori, ed essere in grado di far maggiori elemosine. Seguito da cinquecento mercanti mettesi in via per andare verso il mare ed imbarcarsi; ma prima che giunga sulla spiaggia è assalito insieme coi suoi compagni dai briganti, e tutti sono spogliati d'ogni bene. Un bramino offre di prestare danaro a Djiuna, purché questi prometta di sposare sua figlia; egli accetta e le nozze si celebreranno al suo ritorno.

Il giovine raccoglie nel viaggio immense ricchezze, e quando i suoi compagni mostrano di voler tornare in patria, dice che non penserà a seguirli, se prima dal re delle serpi non avrà ottenuto la meravigliosa pietra del desiderio. I suoi compagni lo pregano di rinunziare a quella impresa, egli non cede e lascia che s'imbarchino senza di lui. Quando la nave è lontana prega Brahma e slanciasi nel mare; per sette giorni cammina sull'acqua che gli sale fino alle ginocchia; per altri sette va innanzi ancora e l'acqua gli giunge alle spalle; finalmente affonda e arriva nel palazzo del re delle serpi, che lo invita a passare un mese con lui; lo ammalia, sonando musica divina; impara da lui la dottrina di Buddha, e gli la pietra desiderata. Djiuna torna sulla spiaggia, si addormenta ed i serpenti gli rubano la pietra. Per costringerli a restituirgli il suo tesoro provasi a prosciugar il mare: i serpenti si spaventano e gli dànno di nuovo la pietra famosa del desiderio.

Nella Cocincina il re dell'inferno è pur creduto re del mare, e trattiene nel fondo dell'acqua i naufraghi rimasti senza sepoltura: li fa anche lavorare penosamente.

In una delle leggende del Caucaso, raccolte con amore dal Mourier,63 dicesi di un altro re del mare. In tempi lontani un certo Schah Ismaïl, avendo conquistato il mondo intero, andò ad assediare l'Oceano. Il suo esercito era tanto numeroso ch'egli comandò a ciascuno dei suoi soldati di andare ogni giorno a prendere una secchia d'acqua nel mare e di versarla sulla montagna.

L'acqua cominciò ad abbassarsi, le spiagge divenivano più estese, si disseccavano le alighe in mezzo agli scogli, e gli abitanti del mare andarono dal loro re, pregandolo di salvarli dal pericolo che li minacciava. Il re disse: «Andate a vedere se il nemico ha fretta o se ha pazienza. Se ha molta fretta mangia il fango, se ha pazienza dobbiamo pagargli un tributo».

Gli abitanti del mare dissero al re che ogni guerriero prendeva senza nessuna fretta una secchia sola d'acqua al giorno, ed il re stabilì che si dovesse capitolare.

Egli mandò a Schah Ismaïl un ambasciatore, ma non fu capita la lingua che questi parlava. Schah Ismaïl lo fece chiudere in un pozzo e gli diede moglie. Dopo qualche tempo l'ambasciatore ebbe un figlio, il quale all'età di sette anni poté fare da interprete, conoscendo la lingua del padre e quella della madre; allora l'ambasciatore andò presso Schah Ismaïl, e coll'aiuto del figlio gli fece intendere ciò che desiderava il re del mare.

Schah Ismaïl rispose: «Voglio da lui cento Khalvars (120.000 libbre) del cibo che il re mangia di consueto». L'ambasciatore riferì subito queste parole al suo signore, re del mare, il quale disse: «È impossibile! posso dare tutti i tesori del mare, ma non cento Khalvars di quel cibo perché non li ho».

Schah Ismaïl gli fece sapere che si sarebbe piegato ad accettarne solo 50 Khalvars; ma il re del mare non era neppure in condizione di darli, ed offrì invece al potente nemico sua moglie e le proprie figlie. Finalmente Schah Ismaïl si contentò di 25 Khalvars che gli furono dati.

Quel cibo era il riso che prospera nell'acqua, e che prima non trovavasi sulla terra. L'acqua che i guerrieri di Schah Ismaïl tolsero dal mare formò i laghi.

Gli Eschimesi credono nell'esistenza di una specie di regina del mare chiamata la vecchia donna. Ella dimora nell'Oceano e da una vasca che le sta dinanzi escono gli animali marini dei quali si cibano gli uomini. Se la pesca non è abbondante questo avviene perché la vecchia è tormentata da certi piccoli mostri che si attaccano al suo volto; in questo caso gli uomini debbono mandare presso di lei un possente Angâkôk, il quale discende nel mare e la libera; allora essa lascia che gli abitanti dell'Oceano risalgano verso la sua superficie.

Ancora adesso gli Eschimesi ricordano questa loro divinità, ed in quella parte alquanto incivilita della Groenlandia, che appartiene alla Danimarca, essa si è trasformata nel volgere dei secoli, innanzi alla fantasia popolare, in una specie di demonio; al pari del dio supremo Tôrnârsuk; così avviene che la regina del mare è pur creduta madre del diavolo, e par che conservi sempre un potere misterioso sugli abitanti dell'Oceano glaciale.64

La discesa degli Angâkôk (che già dissi specie di maghi e di sacerdoti) presso la regina del mare per ottenere da lei il bel tempo, o per indurla a mandare gli animali marini verso la superficie dell'Oceano, non era facile, e credo che si possa annoverare fra i pericolosi viaggi dei vivi nelle regioni dei morti, narrati fin da tempi lontanissimi ed in ogni parte del mondo, come a provarci l'unità di origine delle razze più diverse per l'ingegno, la coltura e l'aspetto.

Gli Angâkôk dovevano prima passare sulle tracce sanguinose lasciate da qualche ferito, poi scendevano innanzi alla dimora dei morti ed a quella degli spiriti felici; attraversavano una voragine nella quale girava una ruota, presso uno scoglio movente e liscio, e finalmente era forza che passassero vicino al solito cane delle tradizioni arie e messicane; specie di Càrvara indiano o di Cerbero greco, che stava a custodia della dea del mare. Presso la casa ove dimorava il cane eravi pure il solito ponte stretto come la lama di un coltello, ricordato nelle tradizioni americane e nelle visioni medioevali, del quale ho già fatto un breve cenno.

Il vestibolo della casa ove dimorava la regina dell'Oceano aveva per pavimento innumerevoli lame di coltelli bene affilati. Quando l'Angâkôk le si avvicinava, ella cercava di avvolgerlo nel fumo appestato di una lampada che era stata accesa per allontanarlo; poi cominciava la lotta fra il mago ed i piccoli mostri attaccati al volto della dea, la quale mostravasi cortese appena era liberata di quella molesta compagnia; allora la lampada mandava una luce vivissima, cessava il fumo, il cane si mostrava allegro, ed il mago poteva facilmente ritornare sulla terra.

In un racconto popolare di Corigliano calabro troviamo un'altra regina del mare. Due sorelle si erano maritate entrambe; una di esse aveva sposato un uomo ricchissimo; l'altra era povera, aveva molti figli ed era costretta a servire in casa della ricca sorella. Un giorno mentre impastava la farina per fare il pane, la più giovane delle sue figlie, che era bellissima, le stava accanto e l'annoiava per avere un po' di pasta, volendo farsi una focaccia. La povera donna non voleva darle la pasta, poi perdette la pazienza, le dette quanto chiedeva e le disse: «Va a mangiarla dove non c'è mondo».

La giovinetta se ne andò via mestamente, e camminò per lunghe ore, cercando un luogo dove non ci fosse il mondo. Quando giunse sopra una spiaggia deserta chiese: «C'è ancora qui il mondo?».

La regina del mare uscì dalle onde, che si erano alzate in forma di nube, e chiese alla giovinetta che cosa volesse. Ella, che si chiamava Teresinella, disse: «Signora bella, fatemi cuocere questa pasta perché ho fame». La regina, che era bellissima e tutta vestita di perle e di smeraldi, sorrise e batté insieme le mani. Tante belle fanciulle uscirono dalle onde; esse avevano dei capelli biondi così lunghi che le coprivano interamente, e portavano corone di alighe e di rose sulle belle teste. Tutte circondarono Teresinella, e la baciarono con affetto, poi presero ad accendere il fuoco sulla spiaggia per far cuocere la focaccia.

La bella regina sedette e volle che Teresinella la pettinasse. La fanciulla ubbidì, e quando passava il pettine fra i capelli della regina diceva: «Cadono dai vostri capelli perle, smeraldi e rubini». La regina disse a sua volta: «Possano cadere anche perle, smeraldi e rubini dagli occhi tuoi e dalla tua bocca quando piangerai».

Teresinella mangiò la focaccia, che le fanciulle del mare avean fatto cuocere, e le salutò prima di andarsene per tornare presso la madre. La più bella di quelle giovinette era la Sirena di mezzanotte e le disse: «Quando sarai sola ricordati di me e guarda il cielo». La fata Morgana la baciò e le disse: «Sarai colpita da una grande sventura, ma non ti abbandonerò, perché ti riporterò quello che perderai».

La fanciulla, che era molto commossa nel ricordar le parole udite, se ne andò verso la casa sua. Mentre camminava sonò la mezzanotte: ella guardò in cielo, e subito discese una stella lucente che si posò sulla sua fronte. La mandava la Sirena di mezzanotte. Più tardi Teresinella incontrò un bandito che le cavò gli occhi e la legò ad un albero; ella prese a piangere dirottamente, e, mentre piangeva, le perle, i rubini, gli smeraldi le cadevano dalle occhiaie vuote e dalla bocca. Vicino a lei passò un bel re che andava a caccia; dopo averla guardata egli esclamò: « Sei tanto bella che se tu avessi gli occhi ti sposerei! ». La fanciulla ricordò in quel momento ciò che le aveva detto la bella fata Morgana e la chiamò. Ella venne subito dagli abissi del mare e le portò due occhi lucenti come le stelle. Appena Teresinella riebbe la vista ringraziò la bella fata del mare e andò via col re, per raggiungere la mamma e farla assistere alle sue nozze.

Le tradizioni del popolo russo ricordano con frequenza lo Tsar Morskoi, altro re, che dimora nella profondità del mare o dei laghi e governa tutto il mondo acquatico. Questo Nettuno della Russia ha molte figlie di bellezza meravigliosa, le quali, quando mettono le vesti di penne, diventano simili alle fanciulle cigni che sono nominate nelle novelle e nelle leggende popolari di molte nazioni, di maniera che si può affermare che questo mito delle donne cigni, per la sua grande diffusione, non appartiene solo alle razze indoeuropee, ma, come tanti altri, si ritrova con molte varianti su gran parte della terra.

L'origine di queste donne cigni, che sono in relazione col mare, coi fiumi e coi laghi, è lontanissima da noi, e possiamo ritrovarla chiaramente nelle poetiche favole inventate dagli Arii intorno alle nubi illuminate dai raggi amorosi del sole, o benefattrici della terra, alla quale dànno la pioggia; essendo tanto diverse dalle nubi malefiche dei temporali, che spesso vengono a muover loro aspra guerra. Queste perfide nubi portano seco la rovina e la morte, ed in esse vuolsi ritrovare invece l'origine di personaggi mostruosi o cattivi di mitologie diverse, come i vedici Gandharvas, i centauri ed i ciclopi ellenici, come Polifemo, le Gorgoni sorelle ed altri innumerevoli, anche affini alle Sfingi alate.65

Le nubi candide e splendenti nell'azzurro del cielo, o tinte di porpora alla luce dell'aurora o del tramonto, diventano negl'inni vedici le Apsare o fanciulle dell'acqua, mentre in altri poemi indiani appaiono con aspetto quasi simile a quello che avranno le Valkyrie nella mitologia scandinava. Intorno a queste fanciulle meravigliose si moltiplicarono, come già notai, i poetici racconti, non solo presso i popoli arii, ma anche presso le tribù turaniche ed altre ancora; e mentre avvenivano tante strane trasformazioni di personaggi mitici in animali, le fanciulle celesti mutarono pure aspetto e divennero candidi cigni. Il loro potere divino era unito al possesso delle loro vesti o delle loro penne di cigno; per questo motivo doveva impossessarsi delle vesti o delle penne chi voleva costringerle a rimanere sulla terra. Anche le Peri persiane erano costrette a restare sulla terra, se non avevano le loro belle vesti divine.

Nell'inno greco di Esiodo ad Apollo già troviamo le nubi come ninfe intorno a Febo; mentre nell'inno di Callimaco le nubi sono i cigni che si affrettano ad uscire dal Pactolo, e che volano sette volte intorno a Delo quando nasce Febo. Come Venere e come la Lakshmi indiana questi esseri bellissimi escono dall'acqua.

Parmi che la stretta relazione delle nubi e delle fanciulle cigni col sole, il quale segue la via percorsa dalle anime e cerca il riposo verso le misteriose regioni dei morti, sia la cagione per la quale avviene in certi casi che quando l'eroe o l'eroina delle leggende diventa un uccello acquatico, quando è tirato da un cigno o cavalca su di esso, questo significa, come nota l'illustre professor De Gubernatis, che sta attraversando il mare della morte. E parmi ancora che nella bellissima leggenda americana del cigno rosso, anteriore alla scoperta, il sole, nel suo aspetto di cigno ferito, che tinge di porpora il cielo ed il mare, mentre tramonta, si trovi congiunto più strettamente che in altre leggende di simil genere col viaggio delle anime nella regione dei morti. Ma di questa leggenda dirò lungamente in altro volume.

Nel Medioevo il mito così strano e poetico delle donne cigni, spesso unito ad una breve storia d'amore, si ritrova con molte varianti presso i Celti, gli Slavi, i Germani ed altri popoli. In queste leggende intorno alle mitiche donne dicesi qualche volta del mare; altre volte esse appaiono sulle sponde dei laghi e dei fiumi.

Nel primo canto degli eroi detto il canto di Wolundar, che fa parte della vecchia Edda, e vien preceduto dai canti in onore degli dei, si parla di certe donne cigni, chiamate anche le fanciulle del mezzodì, le donne del sud, come per ricordare la loro origine orientale. Una di esse è Aelrum, l'amabile fanciulla, un'altra è Alhwit, dal bianco collo, un'altra chiamasi Iwanhwit. Esse sono Valkyrie e filano vicino all'acqua ed alle loro candide vesti di cigni. Tre fratelli che hanno nomi barbari, figli di un re, conducono le bellissime fanciulle nelle loro case, le sposano e vivono insieme per sette anni; poi le donne prendono il volo per andare a combattere e non tornano indietro.66

Anche nei Nibelunghi trovansi altre specie di donne cigni, quando il forte guerriero Hagano arriva cogli uomini del Reno sulle sponde del Danubio, mentre sono in viaggio per andare nella città di Attila. I suoi compagni non trovano un sito dove possano attraversare il fiume; Hagano va pure in cerca di un guado sicuro, e scorge tre fanciulle spaventate che saltano nell'acqua. Le loro vesti sono rimaste sulla spiaggia, Hagano le prende e le restituisce solo dopo che le donne gli hanno predetto l'avvenire. In questo caso possiamo notare una grande relazione fra le donne cigni del Danubio, la cui origine si trova fra le nubi, e certe ninfe diverse dell'acqua, le quali hanno in qualche modo la sapienza di Nereo, di Glauco o di Proteo.

Parmi che fra le leggende intorno alle donne cigni, quella russa di Potyk Ivanovitch sia una delle più belle. Potyk, il quale è un eroe famoso del ciclo di Kiev, va a caccia e vede un cigno bianco; già egli mette sulla corda di seta la freccia colla punta di acciaio, ma il cigno gli dice con voce umana: «Non tirare su di me, Potyk Ivanovitch, su di me, cigno bianco, perché forse posso renderti felice». L'eroe stupito lascia cadere la freccia che splendeva sulla corda di seta; il cigno nuota rapidamente verso la riva ed appena vi giunge si trasforma in una fanciulla di bellezza meravigliosa, nella seducente Avdotia, e l'eroe se ne innamora. Essa acconsente a sposarlo a patto che quello di loro che morrà prima seguirà l'altro nella tomba. Potyk accetta la terribile condizione e torna nella casa paterna dove è stato preceduto dalla bellissima fanciulla. Questa è una specie di maga, la quale ha voluto ingannare Potyk, ed invece di dargli la felicità promessa cerca di trarlo a morte, poiché subito dopo le nozze muore, ed il marito, che non può mancare alla promessa fatta, deve seguirla nella tomba.

Viene scavata nella fredda terra una larga tomba per la fanciulla; Potyk Ivanovitch dice addio al cielo azzurro, alla patria, alla luce del sole e col suo cavallo fedele, colla sua forte armatura scende vicino alla sposa. La fossa profonda è subito chiusa; accumulano su di essa la sabbia gialla, in mezzo alla quale piantano una croce di legno. Una sola cosa unisce ancora in qualche modo Potyk Ivanovitch al mondo dei viventi, ed è una fune la quale pende nel sepolcro, ed all'altra sua estremità è legata alla campana della cattedrale. L'eroe resta nella tomba sul suo buon cavallo, non ha paura e per guardarsi da ogni pericolo accende il fuoco e le candele di cera vergine.

A mezzanotte innumerevoli rettili strisciano, saltano, fischiano intorno a Potyk, e fra la luce vacillante del fuoco e delle candele appaiono le loro teste minacciose, splendono le loro squame, ma l'eroe non si sgomenta; la sua armatura è forte, il suo cavallo è valoroso, ed egli non può essere vinto. In ultimo giunge il serpente della montagna, mito antichissimo degli Slavi, che ritrovasi spesso nel ciclo epico russo degli eroi. Questo serpente ha l'alito di fuoco che brucia ogni cosa, ma Potyk l'uccide, colla sua testa frega Avdotia che resuscita, ed escono entrambi dalla tomba. Potyk morì di vecchiaia, e sua moglie, dovendo mantenere la promessa fatta negli anni lontani, fu costretta a seguirlo nella tomba dalla quale non uscirono più.

Racconti di simil genere hanno ispirato a Gogol la sua fantastica novella intorno ai Vyi o gnomi. Essi trovansi anche in Polonia, e colui che veglia nella tomba accanto ad una giovane principessa morta è quasi sempre un soldato od un seminarista, il quale deve combattere alla luce dei ceri qualche terribile lotta contro gli spiriti infernali. Non sempre l'infelice messo a così dura prova ottiene la vittoria; ma credo che in questo caso il fatto venga raccontato nelle varianti di formazione più recente, poiché la vittoria dell'eroe, il quale rappresenta un antico mito solare trionfante, dovrebbe trovarsi invariabilmente nelle leggende di formazione più antica, le quali sono più vicine alle loro origini.

Spesso la principessa alzasi a mezzanotte nella bara, e si unisce ai nemici del suo guardiano per ucciderlo; il combattimento può anche durare tre notti, e se il giovane ottiene la vittoria ha, qualche volta, i capelli bianchi ed è invecchiato di cinquant'anni. Avviene pure che dopo la terribile veglia viva felice colla principessa risorta, siccome fecero Potyk Ivanovitch ed altri eroi dei canti russi.

Di altre donne cigni parlasi nella leggenda polacca del principe inaspettato.67 Essa dice che vi erano un re ed una regina i quali non avevano figli e si dolevano molto di questa loro sventura. Il re andò in viaggio e sentì un giorno molta sete, ma i suoi non trovarono acqua. Egli andò in cerca di una fonte, e ne trovò una; mentre beveva la sua barba venne afferrata da una mano misteriosa che stava nell'acqua, e gli apparve il re sotterraneo Bony, che prese a ridere ed a schernirlo. Questo Bony aveva gli occhi verdi ed una bocca enorme; egli disse al re che lo avrebbe lasciato andare purché gli promettesse di dargli «ciò che ignorava quando era partito, e che avrebbe trovato al suo ritorno».

Il re promise e poté ritornare nella propria città, dove trovò il popolo esultante perché eragli nato un figlio durante la sua assenza. Egli si rallegrò molto nell'udire la lieta notizia, ma poi sentì acerbo dolore, ricordando la promessa fatta a Bony, e sapendo che un giorno o l'altro sarebbe stato costretto a dargli il proprio figlio per mantenerla.

Il bimbo cresce e diventa un uomo; un giorno, mentre è a caccia, gli appare un uomo orribile, cogli occhi verdi, il quale lo chiama per nome, e gli dice di rammentare a suo padre la promessa fatta.

Il principe, tornato nella reggia, racconta al padre l'incontro avuto. Il povero re si dispera, e rivela il suo doloroso segreto al figlio, che parte per andare presso Bony, e indurlo a rinunziare al diritto che vanta su di lui.

Il giovine viaggia durante un giorno, due giorni, tre giorni. Alla fine del quarto, al calar del sole, giunge sulla spiaggia del mare, e vede sulla sabbia dodici vesti candide come la neve; ma non discerne nessun essere umano fra le onde; solo dodici cigni nuotano a poca distanza dalla spiaggia. Egli ha gran desiderio di sapere a chi appartengano quelle vesti, ne prende una e si nasconde col cavallo dietro una macchia vicina. Dopo breve tempo undici cigni arrivano sulla spiaggia, si trasformano in bellissime fanciulle vestite di bianco e si allontanano volando. Il dodicesimo cigno che è rimasto nell'acqua guarda con inquietudine da ogni parte, poi dice con voce dolcissima: «Principe inaspettato, dammi la mia veste e ti sarò sempre riconoscente».

Il principe le getta la veste, essa la prende ed in un attimo si trasforma in una bellissima fanciulla vestita di bianco. Poi gli si avvicina e gli la mano, dicendogli che è la dodicesima figlia dell'immortale Bony, specie di re del mare, nel quale si vuole ritrovare una certa somiglianza col re del mare, celebrato nel ciclo di Novgorod.

Il giovine dice alla fanciulla che deve andare presso Bony; essa gli ottimi consigli affinché possa senza pericolo affrontare il padre, che è molto irato contro di lui. In quel momento la terra si apre ed entrambi discendono nel regno di Bony.

Dopo molte avventure in cui non dicesi più parola del mare, la bella figlia di Bony va col principe nel suo reame, dove sono accolti con infinita gioia dal re, dalla regina, dal popolo e si sposano.

Vuolsi che l'origine dei racconti così diffusi in cui le donne cigni, le mermaids, le fate, le Rusalke ed altre ninfe sposano uomini mortali, si trovi in parte nel Mahâbhârâta, dove viene fatta una promessa che Maometto ripeterà più tardi ai fedeli Mussulmani, poiché si dice che un eroe ucciso non va compatito, dovendo salire nel cielo dove troverà le bellissime Apsare, che gli chiederanno di sposarle.

Nelle tradizioni russe trovasi con frequenza Elena, trasformata in modo strano, e tanto diversa da ciò che fu innanzi alla fantasia dei Greci. In una delle varianti dei racconti in cui vien ricordata, narrasi che lo Tsar si era innamorato di lei, e forse per ordine del loro sovrano sette fratelli dopo averla rapita la condussero sopra una nave.

Quando la giovane principessa vide l'Oceano profondo, e non poté più scorgere la spiaggia, sulla quale erano rimaste le sue ancelle e le sue compagne, incominciò a piangere dirottamente, gridando: «Ah! padre mio, ah! cara madre, toglietemi a questa dura prigionia, a questa grande nave, ed io volerò incontro a voi come un bianco cigno, e mi poserò sulla finestra che ha la cancellata d'oro».

Rapidamente la fanciulla si trasformò in cigno (forse in memoria di suo padre, Giove?) e volò sull'Oceano, sul mare profondo, verso il suo Terem adorno. Allora il settimo dei fratelli disse al quinto: «Prendi la tua freccia d'acciaio e colpisci all'ala destra il cigno bianco». Il quinto dei fratelli fece scoccare la freccia, il sesto raccolse fra le braccia il cigno bianco e lo portò sulla nave dove si trasformò di nuovo, divenendo subito Elena la bella.

Sono anche molto numerose le leggende in cui le fanciulle si mutano in colombe ed hanno grande affinità colle donne cigni. Queste leggende trovansi con maggior frequenza presso i Cinesi, i Malesi, gli Scandinavi e gli abitanti del Caucaso. Una delle più strane è popolare fra gli Arabi, e la ripeterò fra queste pagine benché non si parli in essa del mare.

Una specie di santo, il taleb Ahmed ha rinunciato ad ogni gioia terrena, e vive beneficando gli uomini. Un giorno vede una fanciulla bellissima in un ruscello sulla sponda del quale trovasi la pelle di una colomba. Il santo uomo prende la pelle e non vuol cedere alle preghiere della fanciulla che la domanda, dicendo che morrà se non potrà riaverla. Finalmente egli si commuove e rende la pelle, a patto che dopo quindici giorni la fanciulla torni nello stesso luogo, vicino al ruscello.

Essa mantiene la promessa, ritorna dopo quindici giorni nel sito indicato da Ahmed, depone la pelle e prende di nuovo aspetto di fanciulla bellissima. Il santo mussulmano non si fa aspettare, e chiede subito alla fanciulla, chiamata Djnoun, se vuole essere sua moglie. Essa gli fa osservare che è un santo uomo, e che Maometto si oppone al loro matrimonio; il santo risponde che essendo ella tanto bella vede in lei un essere soprannaturale, uno spirito del paradiso, e crede che gli sia lecito di sposarla. Tutti i vicini di Ahmed sono stupiti quando sanno la notizia del suo prossimo matrimonio; egli non si cura di ciò che pensano, sposa la Djnoun nel giorno stabilito, e per diversi anni vivono insieme felicemente. La giovane ama assai il marito ed i suoi bellissimi figli, ma è triste se pensa alle compagne che ha dovuto abbandonare. Un giorno i suoi ragazzi, trastullandosi in una stanza, trovano una pelle di colomba e la portano alla madre; ella si rallegra molto nel vederla, poi pensa al dolore che proverebbe se lasciasse il marito ed i figli; ma è vinta finalmente dal desiderio di rivedere le compagne, mette la veste di colomba e fugge. Quando Ahmed ritorna a casa sa quanto è accaduto e prova immenso dolore; sol qualche volta la Djnoun ritorna accanto ai figli, li bacia e fugge di nuovo.68

Molto spesso avviene che certe leggende popolari, nella loro grande diffusione, e secondo le vicende diverse dei popoli che ne conservano il ricordo, si adattano in qualche modo all'ambiente nel quale vengono trasportate, senza perdere tutti i loro caratteri primitivi; e così le donne cigni degli Arii, che si mutano spesso, come già notai, in donne colombe, specialmente presso certi popoli slavi, i quali credettero che l'anima umana potesse mutarsi in colomba, si cambiano invece con maggior frequenza in uccelli marini nei paesi al nord di Europa. E se questa variante non si trovasse anche in un canto del Kalevala, del quale non possiamo conoscere l'antichità, oserei affermare che le leggende nordiche nelle quali le donne si mutano in uccelli marini sono posteriori nella loro trasformazione alla vecchia Edda scandinava, nella quale le donne cigni si avvicinano maggiormente alla loro origine orientale.

Nella leggenda dell'uomo che sposò un uccello marino troviamo le strane avventure di un vecchio celibe, il quale scherzava sopra una spiaggia dell'Oceano glaciale con certi teschi di vitelli marini, dicendo che erano figli suoi. Quando andava a pescare li deponeva sulla spiaggia, e prima di allontanarsi nel suo kajak diceva a quei figliuoli strani: «Badate ad essere buoni e andate subito a casa». Quanto tornava e li vedeva immobili nello stesso luogo, gridava: «Siete sordi e muti? non vi avevo detto di star lontano dall'acqua mentre ero assente?» e prendendo uno dei teschi lo gittava fra le onde gridando: «Vedete! il vostro fratellino è caduto nell'acqua».

Dobbiamo credere che questo vecchio celibe della leggenda non avesse molto spirito, ma egli non la durò per tutta la vita a trastullarsi coi teschi dei vitelli marini; invece, essendo stanco della solitudine che lo circondava da tanto tempo, andò verso l'interno del paese e incontrò molte donne. Costrinse una di esse a sposarlo e la condusse nella sua capanna, dalla quale non osava allontanarsi per tema che la donna fuggisse per tornare colle sue compagne. Un giorno essa gli disse: «Lasciami, senz'aver paura ch'io ti abbandoni, perché adesso ti amo molto, e puoi fidare in me». Ella ebbe due figli: quando furono grandicelli usciva in loro compagnia, e voleva che raccogliessero per via ale e penne di uccelli. Un giorno legò un paio di quelle ale al dorso di uno dei ragazzi che si mutò in uccello marino e fuggì, fece lo stesso per il secondo, e finalmente, avendo messo anch'ella un paio di ale, si trasformò in gabbiano e seguì i figli.

Quando il vecchio marito tornò a casa la trovò deserta e n'ebbe gran dolore. Egli non cessò per questo di andare in alto mare col suo kayak, ma non diede più la caccia alle foche. Un giorno si avvicinò ad una collina di sabbia, e lasciando il kayak nella baia, attraversò la collina e s'inoltrò molto nel paese. Guardando intorno vide un uomo che gli voltava le spalle, e spaccava colla scure un tronco d'albero. Il vecchio si avvicinò e gli disse: «Ti darò il mio kayak nuovo purché tu mi dica se hai veduto passare tre persone».

L'uomo rispose: «Non ho bisogno del tuo kayak nuovo e non ho veduto le tre persone».

Disse ancora il vecchio: «Ho visto che spacchi legna e ti darò la mia scure nuova, dimmi solo dove hai veduto tre persone».

«Ebbene, te lo voglio dire perché la mia scure è consumata. Vattene e siedi vicino alla coda di un salmone nel fiume che scorre laggiù; chiudi gli occhi e ricordati di non aprirli quando udrai le voci di alcuni ragazzi».

Il vecchio sedette vicino al salmone e chiuse gli occhi; nell'udire un forte rumore li aprì un poco e si avvide che era trasportato da una rapida corrente. Li chiuse di nuovo e tutto era silenzioso; più tardi udì le voci di certi ragazzi che gridavano: «Nostro padre si avvicina». Una donna rispose loro: «Non è possibile, lasciammo vostro padre senza ch'egli avesse il mezzo di seguirci fin qui». I figli dissero di nuovo: «Nostro padre è vicino!».

Il padre salì sulla sponda, si avvicinò ad una casa che aveva alcune finestre, e vide che era abitata solo da donne. Presso una parete sedeva sua moglie, e di fronte a lei un uomo con un naso di scimmia ripetevale sempre: «Vuoi sposarmi?».69 La donna rispondeva: «No, perché ho già marito».

Tutti gli altri lasciarono la casa e rimasero solo quei due; poi l'uomo col naso di scimmia andò via. Il vecchio si provò a farsi seguire dalla moglie, ma ella raggiunse prontamente le sue compagne, e quando egli l'inseguì si trasformò in gabbiano. Egual cosa fecero le altre donne; l'uomo col naso di scimmia si mutò in anitra selvaggia, e quando il marito deluso tornò indietro, vide che la casa era divenuta una collina.

Nel Kalevala una fanciulla amata dal fabbro Ilmarinen non gli è stata fedele, ed egli vuole vendicarsi crudelmente. Dovrà ripetere i canti magici e mandare la perfida fidanzata nella foresta, mutata in belva, o la manderà nel mare cambiata in pesce?

No! egli non la manderà nella foresta, non la manderà nel mare, perché tutta la foresta, tutti i pesci sarebbero spaventati; la colpirà invece col suo pugnale, l'ucciderà colla lama d'acciaio.

Il pugnale capì la parola dell'uomo, indovinò il proposito dell'eroe e disse: «Non sono stato fatto per uccidere le donne, per colpire le deboli fanciulle». Allora il fabbro Ilmarinen cominciò a cantare disperatamente e trasformò la donna in gabbiano; la cacciò sopra uno scoglio solitario, in mezzo al mare, sulla cima di un promontorio per gridare in mezzo alle tempeste.

Ora essa grida sempre sopra una roccia in mezzo al mare, urla sulla cima d'uno scoglio sul mare.70

I Lapponi raccontano che un contadino aveva un sol figlio, il quale andò un giorno a caccia, e giunse presso una baia, dove la spiaggia era coperta di sabbia finissima e l'acqua era tanto limpida che si scorgeva bene il fondo scintillante. Mentre mangiava in pace, tre fanciulle si gittarono nell'acqua, lasciando sulla spiaggia tre vesti, una delle quali era più bella delle altre. Per qualche tempo le fanciulle del mare si trastullarono nell'acqua inseguendosi, poi presero le vesti e sparirono.

Per due mattine di seguito si ripeté la stessa cosa; nel terzo giorno il giovine nascose la veste più bella e costrinse la fanciulla alla quale apparteneva a promettergli di sposarlo. Essa lo seguì piangendo presso i suoi genitori, le fu dato un nome cristiano e si sposarono. Dopo un anno le nacque un bambino, il quale era già divenuto grandicello quando seguì un giorno il padre nella stanza dove si conservavano le provviste, e, vedendo in una cassa un abito bellissimo, domandò di chi fosse. Il padre non rispose e chiuse la cassa.

Nel giorno seguente la donna del mare stava nel bosco col suo ragazzo quando egli le parlò dell'abito che aveva visto. Essa lo prese per mano e gli chiese con insistenza di condurla nel luogo dove si trovava l'abito prezioso. Quando giunse presso la cassa l'aperse e vedendo l'abito provò gioia e dolore; poi baciò il ragazzo, andò sulla spiaggia e si gettò nel mare dal quale era venuta.

Quando il marito, essendo tornato a casa, non la vide, chiese al ragazzo:

«Dov'è tua madre?». Egli rispose: «É andata nel mare».

Il giovane capì che sua moglie aveva ritrovato il suo abito prezioso, e provò un dolore intenso, pensando che era tornata nella sua antica dimora. Finalmente andò da un certo Gieddayàts-galgjo, che doveva essere una specie di mago e gli raccontò quanto era avvenuto.

«Hai un figliochiese il mago.

«Sì, ho un ragazzo».

«Ebbene, rallegrati, perché tua moglie tornerà ancora tre volte in casa tua; ma bada a non lasciarla andar via la terza volta; perché non tornerebbe più. Stanotte verrà per la prima volta; tu starai in letto e fingerai di dormire, mentre essa rimarrà seduta presso il bambino per accarezzarlo e baciarlo. Nella seconda notte farai lo stesso, ma la terza volta, quando si alzerà per andarsene, dovrai afferrarla e tenerla così strettamente che non possa fuggire, mentre la costringerai a prometterti di non andare via. Quando sarà addormentata mi porterai la sua bella veste e la nasconderò in tal maniera che nessuno sguardo umano la vedrà più».

Il giovane seguì i consigli del mago, e dopo aver vinto nella dura prova visse sempre felice colla moglie, la quale riceveva dai servi che aveva nel mare tutto ciò che desiderava.

Una delle più belle leggende sulle giovani sposate per forza, che riprendono le ali e tornano fra le loro compagne immortali trovasi fra i canti popolari bulgari. Il giovane Stoïan, pastore celebre nelle leggende bulgare, che spesso combatte valorosamente contro le Vile malefiche e le Samodive, faceva pascolare i vitelli nel sito dove danzano le Samodive e sonava il flauto. Le Samodive si riunirono e cominciarono a ballare; ballarono e quando furono stanche presero a volare fra i pini verdi ove sono le limpide sorgenti, e sui prati fioriti fino alle pianure. Esse si tuffarono nell'acqua dopo aver lasciato i fazzoletti cogli angoli d'oro, le cinture verdi e le vesti meravigliose.

Stoïan fece discendere l'armento sul pendio, vide le vesti delle Samodive e le prese. Esse supplicarono Stoïan, il giovine pastore: «Rendici i nostri abiti, i nostri abiti meravigliosi». Stoïan non vuole restituirli, poi cede e prega una delle sorelle chiamata Marika di sposarlo. Per un caso strano prendono San Giovanni per padrino della sposa; dopo le nozze vivono insieme per tre anni. Nel giorno in cui si battezza il primo figlio di Marika, Stoïan suona e Marika vien pregata di ballare una danza delle Samodive; ella dice che non può farlo se non indossa la sua veste di Samodiva. Stoïan pensa ch'essa non fuggirà, perché dovrebbe abbandonare il suo bambino e si piega a darle l'abito meraviglioso. Appena Marika l'ottiene fugge sul tetto, fischia come fanno le Samodive e vola verso le verdi foreste solitarie dove dimorano le sue sorelle.71

Trovansi nei paesi nordici di Europa parecchie leggende intorno alle donne foche, e parmi che si debba cercare in esse una delle trasformazioni più recenti delle mitiche donne cigni, unita alle reminescenze di altre credenze.

In una di esse, che il popolo ripete ancora adesso nelle isole Faröer e nelle Shetland, si dice che le foche vengono di notte sulle spiagge, lasciano cadere le loro pelli, si trasformano in fanciulle bellissime e danzano fino all'alba. Un pescatore prese una di quelle pelli, non volle restituirla alla donna alla quale apparteneva, e costei fu costretta a sposarlo. Dopo qualche tempo ella ritrovò la sua pelle, la mise di nuovo e fuggì.

Un pescatore di una delle isole Shetland vide un gruppo di fanciulle del mare che danzavano sulla sabbia, s'impossessò di una delle pelli di foche che avevano lasciate, e la fanciulla alla quale essa apparteneva dovette per forza sposarlo. Spesso ella fermavasi sulla spiaggia per discorrere col popolo del mare. Un giorno uno dei suoi ragazzi trovò in casa la pelle di foca, la quale era stata nascosta dal pescatore, e la portò alla madre, che la mise subito, prese aspetto di foca, si gettò in mare, e sparì fra gli scogli innanzi al marito che non poté indurla a tornare indietro.

Dicesi che queste donne foche vivono nelle grotte di corallo, sono mortali, e possono essere uccise dai pescatori, al pari delle altre foche.

In Islanda una donna si muta in pescecane, eppure in questa trasformazione stranissima la sua storia leggendaria ha tanta affinità con quella delle splendide fanciulle orientali mutate in cigni o in colombe!

Un uomo di Myrdalur andò una mattina molto presto verso il mare. Giunto presso una specie di caverna sentì che molta gente allegra vi stava dentro e ballava. Fuori erano distese a terra certe pelli di pescicani; egli ne prese una, la portò in casa sua e la chiuse dentro una cassa. Più tardi ritornò presso la caverna e vide una bellissima donna che piangeva: era il pescecane al quale apparteneva la pelle ch'egli avea presa. Egli sposò la donna, che era sempre buona, ed ebbe parecchi ragazzi.

Un giorno, dopo parecchi anni, l'islandese dimenticò in casa la chiave della cassa dove era custodita la pelle di pescecane, e, secondo certe varianti della leggenda, questo avvenne nella notte di Natale, prima che andasse in chiesa per le funzioni religiose. Sua moglie, che non aveva voluto seguirlo, trovò la chiave, prese la pelle, disse addio ai suoi ragazzi e dopo essere entrata nella pelle andò verso il mare. Prima di tuffarsi nell'acqua esclamò tristamente: «Come è doloroso per me - avere sette figli nel mare - e sette sulla terra!».72

L'islandese fu molto addolorato quando non trovò più la moglie in casa. Più tardi, quando pescava, un pescecane nuotava accanto alla sua barca ed egli era sempre fortunato nella pesca. Spesso, quando i suoi ragazzi si trastullavano sulla spiaggia, lo stesso pescecane portava loro pesciolini e conchiglie, ma essi non videro più sulla terra la mamma nel suo aspetto umano.





61 Rambaud, op. cit., p. 152.



62 Baudin, Fétichisme et féticheurs.



63 Mouricr, Contes et légendes du Caucase, «Conte arménien», Paris 1888, p. 109.



64 Morillot, Mythologie et légendes des Esquimaux du Groenland, Paris 1874, p. 234.



65 Cox, Aryan Mythology.



66 Die Edda, die ältere und jungere... von Karl Simrock.



67 In una traduzione inglese dell'originale polacco vien chiamato The Prince unexpected.



68 Certeux, op. cit.



69 Il novelliere eschimese ha detto un momento prima che nella casa stavano solo alcune donne! Il naso strano dell'uomo può indurci a credere che fosse un Ingnersuit.



70 Kalevala, XXXVIII runo.



71 Dozon, Chansons populaires bulgares inédites.



72 Arnason, Isländische Volksagen, Berlin 1891, p. 17.



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