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Certe apparizioni cagionate dal miraggio, le credenze religiose di popoli diversi, la facilità colla quale i marinai vanno immaginando cose strane, ed anche il costume di certi popoli che affidarono i loro morti al mare, diedero origine alle innumerevoli leggende in cui dicesi dei vascelli fantasmi, delle navi del diavolo o dei dannati e delle barche dei morti.
Fra tutte queste leggende sono maggiormente note fra i marinai quelle che narrano dell'Olandese maledetto, e da esse trasse il Wagner argomento per l'opera Il Vascello fantasma, servendosi, come fecero altri uomini illustri, di una credenza popolare per andar formando una stupenda opera d'arte. Questa leggenda, nella forma in cui ci viene presentata dal Wagner, è troppo nota, e dirò invece di certe sue varianti che ricordano il Capitano maledetto.
L'Olandese partì sulla sua nave per andare lontano lontano, verso il Capo di Buona Speranza, dove si trova, come già notai, secondo la credenza dei marinai, uno spaventevole fantasma. Presso il Capo tanto pericoloso la nave ebbe il vento contrario, e parve che da un momento all'altro si sarebbe rotta inevitabilmente contro gli scogli. Il terrore dei marinai si accrebbe quando sentirono le bestemmie e le sacrileghe canzoni del Capitano, che sfidava la burrasca siccome il Capaneo sfidava i tormenti dell'inferno; e quando cresceva la furia della tempesta, cresceva pure la sua empia baldanza. Mentre mostrava in questo modo tutta la malvagità dell'animo suo, apparve a prua una figura maestosa d'angelo o di santo, e innanzi ad essa la ciurma si prostrò riverente; invece il Capitano la guardò senza interrompere il suo canto, e acceso d'ira le sparò contro un colpo di pistola. La palla tornò indietro per ferire la mano sacrilega, il braccio del capitano rimase immobile, come se fosse colto da paralisi, e la celeste figura disse:
«Ti maledico! starai eternamente di guardia sulla tua nave, e non avrai riposo; un mozzo solo colle corna di fuoco, venuto dall'inferno, ti sarà compagno nel pauroso viaggio, e poiché non avesti mai compassione dei marinai non troverai pace. Diverrai il demonio del mare, ti sarà compagna la burrasca, e la sola vista della tua nave sarà per gli uomini triste annunzio di sventura».
Quando la santa apparizione ebbe detto queste parole ella trasse seco in Paradiso, sopra una nube d'oro, i marinai. Il maledetto rimase solo in mezzo alla burrasca, sulla tolda della nave che apparteneva all'inferno, e dove apparve ben presto il mozzo spaventevole, colle corna di fuoco, coll'aspetto diabolico. La nave aggirasi di continuo fra le tempeste; i fulmini colpiscono il suo albero maestro senza spezzarlo; le saette guizzano in mezzo alle sue vele senza bruciarle; le onde balzano con furia contro i suoi fianchi senz'aprirli; e quando appare ai marinai atterriti, essi sanno bene che fra breve si uniranno nell'abisso alle misere schiere dei naufraghi. Qualche volta l'Olandese manda lettere a bordo dei bastimenti, e se un capitano le legge impazzisce, la nave ch'egli comanda balla sulle onde in modo spaventevole e finisce col sommergersi.
L'Olandese leggendario vien chiamato in Inghilterra: «The Flying Dutchman». In Francia lo dicono: «Le Voltigeur hollandais». I marinai danesi chiamano il Vascello fantasma «Refanu», e, parlando della sua grandezza straordinaria, dicono che occorrono tre giorni per andare da poppa a prua; che un uomo a cavallo porta da un'estremità all'altra gli ordini del Capitano, e che una volta, essendo entrato nel Cattegat, non poté voltare per tornar indietro e dovette andar nel Baltico.
Una nave immensa detta dagl'Inglesi The merry Dun of Dover, è anche conosciuta dai Francesi col nome di Grand chasse foudre, e narrasi che per trent'anni si lavorò in molte fucine per preparare il ferro necessario nella sua costruzione. Le sue gomene hanno un diametro pari a quello della cupola di San Pietro, e possono circondare la terra; il suo albero più basso è tale che se un mozzo vi sale sopra ha i capelli grigi quando giunge sulla cima. La pipa dei suoi mozzi più giovani è grande come una fregata; la cabina del capitano è un vero paradiso; sopra una parte della tolda crescono alberi altissimi, e vivono elefanti, tigri e leoni.
È anche enorme il vascello che gl'Islandesi chiamano Rothramhach, e che alla fine del mondo si andrà ancora aggirando sulla terra e sull'acqua, come certe navi fantastiche dei Vikings. Questa nave conterrà mille letti, ed in ogni letto potranno stare mille uomini.
Se pensiamo agli strani effetti del miraggio, che può ingrandire di molto gli oggetti, non ci stupiremo notando le cose meravigliose che le leggende dicono intorno alla grandezza del Vascello fantasma, il quale può anche attraversare gli oceani con rapidità vertiginosa, poiché dicesi in Francia che compie in dodici ore il giro del mondo.
Narrasi ancora che l'Olandese fu un marinaio del XVII secolo chiamato Fokke. Era audacissimo e fortunato, e si credeva che la sua nave dovesse ad opere di magia la sua velocità meravigliosa. Essa non tornò più nel porto dove riparava dopo i lunghi viaggi, e si pensò che, essendosene impadronito il diavolo, dovesse navigare continuamente fra il Capo di Buona Speranza e l'estremità meridionale dell'America. Certi navigatori i quali passarono in altri tempi in quei paraggi dissero che la nave minacciosa appariva di notte ed aveva solo quattro uomini di equipaggio, come si poteva discernere fra la luce infernale che illuminava la tolda. Qualche volta scorgevasi di giorno e spariva se una nave le si avvicinava.
Certe varianti di questa leggenda dicono che il pilota della nave comandata da Fokke era cattivo al pari del suo capitano. Un giorno la nave giunse nello stretto della Sonda, ed a cagione del vento contrario non poté avvicinarsi all'isola di Krakatoa. Il pilota furente chiese aiuto al diavolo, promettendogli l'anima purché lo facesse giungere alla mèta del suo viaggio. Il diavolo non si fece aspettare, il patto infernale fu conchiuso, ed il pilota guidò la nave a suo talento, ma non poté mai ritornare in alto mare. Egli appartiene al diavolo, e per tutta l'eternità non potrà lasciare il timone che governa colla mano di ferro; intorno a lui odesi di continuo la voce spaventevole del vento che sibila nelle grotte e fra le rocce.
Altri afferma che la nave dell'Olandese è proprio l'inferno o il purgatorio di tutti i marinai discredenti e colpevoli. Sulla tolda vastissima si affollano pirati e traditori, marinai pigri e bestemmiatori, codardi o assassini, ed essi lavorano di continuo sotto gli ordini del Capitano maledetto, senza speranza che cessi il loro supplizio, perché il mare non può distruggere il carcere, l'inferno dei dannati, e quando è più violenta la battaglia dell'acqua e del cielo, la diabolica nave sfida la tempesta, cogli alberi alzati e con tutte le vele spiegate.
In Olanda raccontasi di un certo cavaliere di Falkenberg, che, acceso da tremenda gelosia, uccise il proprio fratello e la sua fidanzata. Un eremita al quale egli chiese consiglio, volendo espiare il delitto commesso, gli disse di camminare sempre, finché venisse a mancargli la terra sotto i piedi. Egli andò innanzi verso il Nord, e giunse sopra una spiaggia presso la quale l'aspettava un uomo seduto in una barca diversa da quelle che usano gli uomini. Questa lo portò vicino ad una nave sulla quale dovette salire, e dove trovò il suo angelo buono ed il suo angelo cattivo. Il demonio lo costrinse a giocarsi l'anima coll'angelo cattivo, e la partita dura da 600 anni. Avrà fine solo nel Giorno del Giudizio, ed intanto la nave si aggira sui mari e sugli oceani del Nord, fra la luce delle aurore boreali, o fra le tenebre dell'eterna notte invernale.
Par che la leggenda olandese del cavaliere di Falkenberg ricordi in qualche modo un'antichissima tradizione conservata nella saga di Frithjof. Essa dice che il Viking Stöte, specie di Prometeo del Nord, rubò un anello agli dei, e fu visto più tardi, in forma di scheletro, con una veste di fiamme, seduto vicino all'albero maestro di una nave.
Se ora, sotto il tristissimo cielo del Nord, sulle onde dell'Oceano sollevate in continua ed aspra guerra contro gli uomini, passa in lontananza innanzi ai vulcani fiammeggianti dell'Islanda, agli ammassi di ghiaccio, il Vascello fantasma, colle vele gigantesche spiegate, colle antenne superbamente alzate, o pur si eleva verso il cielo e resta sospeso nell'aria, a spavento dei marinai della Francia e di altri paesi, raccolti insieme per la pesca in quelle regioni desolate, lo spettacolo che scorgesi deve essere di una grandezza indescrivibile e tale da meravigliare non solo gl'ignoranti, ma pure chi conosce la causa dello strano fenomeno. Ma diverso assai ed infinitamente più grandioso doveva essere l'aspetto dell'Oceano, quando si spiegavano sulle flotte degli audaci Vikings le vele dagli splendidi colori, le quali spiccavano sulla tinta bigia dell'acqua, che una saga dice cosparsa di cenere, e vicino ai massi azzurrini di ghiaccio. Allora passavano fra le nubi Odino e Freya montati sui veloci cavalli, additando ai re del mare la preda verso le terre lontane, ed erompevano dai fortissimi petti grida di gioia; scintillavano gli sguardi, le mani correvano a stringere l'else delle spade vittoriose; risonavano insieme col grido degli alcioni, col fragore delle armi, coll'alta voce del mare gl'istrumenti strani ed il canto dei vati divini, mentre lontano, nello sfondo della scena bizzarra, verso l'ignoto, verso le montagne di ghiaccio e gli stalattiti di brillanti, che parevan sospesi fra l'acqua ed il cielo, passava il Vascello fantasma del Viking Stöte, audace al pari di Prometeo, e come lui condannato ad eterno supplizio.
Marryat, il romanziere americano dalla fervida fantasia, si è avvalso di parecchie varianti delle leggende popolari intorno all'Olandese per il suo romanzo Il Vascello fantasma. Egli dice che un certo capitano Vanderdecken non tornò nel proprio paese in Olanda. Scrisse invece una lunga lettera a sua moglie, dicendole che per nove settimane si era provato a girare intorno al Capo tempestoso, e dopo aver lottato a lungo contro i venti e le correnti contrarie, aveva gittato in mare il pilota, e giurato sulla vera Croce, che, a dispetto del vento, del cattivo tempo, del mare e del fulmine si sarebbe adoperato fino al Giorno del Giudizio per passare al di là del Capo. A cagione di quel giuramento era condannato a tremendo supplizio, dovendo aggirarsi sempre sul mare senza mai aver pace. Avrebbe fine il suo supplizio solo se riuscisse ad un mortale di portare a bordo un pezzo della vera Croce.
Dopo la morte della moglie infelicissima dell'Olandese, suo figlio Filippo trova la lettera. Egli stabilisce di mettere anche a rischio la propria vita per salvare il padre, e parte per andare alla ricerca del Vascello fantasma, che gli appare con una certa frequenza. Una volta lo scorge nell'ora del tramonto; il mare è calmo, non soffia un alito di vento, eppure si direbbe che il Vascello sia in balia della burrasca; odonsi i fischi degli ufficiali, i comandi che vengono dati sul ponte, e par che tutti si adoperino per evitare il naufragio imminente. Dopo breve tempo ogni cosa scompare fra la nebbia. Un'altra volta il Vascello appare, in mezzo ad una tempesta violentissima, con tutte le vele spiegate, e naviga tranquillamente come se il mare fosse calmo; più tardi è ravvolto fra le spire di una tromba marina che lo trascina in una corsa vertiginosa.
Nell'ultima sua apparizione il Vascello fantasma esce lentamente dall'acqua, e dai suoi fianchi si stacca una barca, che porta alcune lettere al Capitano della nave sulla quale trovasi Filippo. I marinai sanno bene a qual tremendo pericolo si espone chi accetta le lettere dell'Olandese e le gittano in mare, poi, seguendo il consiglio del diavolo, e ritenendo che la presenza di Filippo a bordo possa cagionare la loro rovina, lo gittano pure fra le onde; ma egli, sorretto da una forza divina, non piomba nell'abisso, si avvicina nuotando alla nave misteriosa, giunge a salire sul ponte per dare al padre un pezzo della vera Croce che ha portato seco, e la santa reliquia salva l'Olandese dalla dannazione eterna.
Un'altra leggenda non ci parla della redenzione di Vanderdecken, ma di quanto avvenne al Gelderland, che era il vascello più forte della flotta olandese, nel suo pauroso incontro colla nave da lui comandata.
Da parecchi giorni non soffiava un alito di vento, ed il Gelderland rimaneva immobile sull'Oceano. Questo caso rendeva più crudele il suo capitano, il quale non conosceva che cosa fossero la bontà e la cortesia, ed i suoi dipendenti sentivano più viva la tema d'ingiusti castighi, in maniera che sotto la sua mano di ferro ed innanzi al suo aspetto feroce, non riusciva più ad essi di avere un'ora di pace e d'allegria.
Una sera, mentre durava quel riposo forzato, un mozzo seduto sulla tolda presso un vecchio marinaio lo pregò di parlargli del Vascello fantasma. Il marinaio ricusò, perché era cosa tristissima discorrere della nave paurosa e dell'Olandese dannato che la guidava, e bastava nominarli per chiamare a bordo la sventura; ma poi si lasciò piegare dalle insistenti preghiere del mozzo, e prese a dire del minaccioso Vascello fantasma e del suo capitano Vanderdecken.
«Costui era oltre ogni dire crudele; quando si accendeva d'ira uccideva sempre alcuni marinai; non sapeva dire due parole senza bestemmiare orribilmente, come il diavolo; e qualche volta pronunziava certe parole strane, che nessuno della ciurma intendeva ed alle quali dava subito risposta un essere invisibile, mentre udivasi tale rumore a bordo, che pareva ai marinai di trovarsi in mezzo a tutti gli spiriti infernali.
«A quanto pareva una grande amicizia univa il diavolo al malvagio capitano, il quale rallegravasi assai quando nei suoi viaggi poteva accogliere a bordo i diavoli e le diavolesse che trovava per via, e prendere parte alle loro ridde infernali.
«Il Capitano maledetto possedeva sopra una duna, nel Mare del Nord, una grande casa, dove ritiravasi per breve tempo dopo lunghi viaggi, raccogliendo fra le sue mura le ricchezze guadagnate colla frode, ed in quel luogo, coll'aiuto di una vecchia strega, che gli era compagna, e del diavolo, commetteva infiniti delitti.
«Tra le molte persone uccise da lui in quella triste dimora vi fu un'angelica fanciulla, bella e pia, che non avea voluto ascoltare le sue mendaci parole. Siccome egli usava quando aveva commesso un nuovo assassinio nella propria casa, mise la fanciulla in un sacco coll'aiuto della vecchia; la portò sulla spiaggia e la gittò fra le onde burrascose del Mare del Nord, mentre la notte era oscura e non brillava in cielo neppure una stella; poi rise di cuore, senza provare il minimo rimorso, e risero al pari di lui, sulla spiaggia, la vecchia strega ed il diavolo.
«Ma egli non poté rallegrarsi lungamente, perché dopo alcuni istanti uscì dall'acqua il fantasma bianco e luminoso della fanciulla uccisa e gli disse: "Seguimi!".
«Invano l'Olandese volle rimanere immobile sulla spiaggia; invano la strega e il diavolo usarono la loro malefica potenza per aiutarlo, una forza irresistibile lo attirava verso l'acqua, e dovette seguire la fanciulla che andò innanzi a lui camminando sulle onde, in mezzo alla nebbia densa, illuminandola collo splendore delle vesti e dell'angelica testa.
«L'Olandese camminò a lungo sul mare come un fantasma, vinto per la prima volta da paura, trovandosi di fronte ad una volontà più forte della sua. Egli giunse finalmente innanzi alla propria nave, divenuta in quella notte il Vascello fantasma; salì sul ponte per ubbidire al comando ricevuto, e la nave prese a filare in modo vertiginoso, seguendo sempre il bianco fantasma che andava innanzi sulle onde».
Il mozzo ascoltava attentamente il vecchio marinaio che soggiunse:
«Da quella sera l'Olandese è divenuto il terrore dei marinai, ed io so che ha per costume di mostrarsi col suo Vascello maledetto, dopo le lunghe ore di calma, a quei capitani che non temono Dio».
Il mozzo atterrito strinse con forza il braccio del marinaio e disse con un fil di voce:
«Il mare è calmo, ed il nostro capitano non teme Iddio!».
Il marinaio guardò l'orizzonte con occhi inquieti, sospirò e disse anche sottovoce:
«Per ora il Vascello fantasma non è ancora apparso». In quell'istante si levò un vento fortissimo; tutta la ciurma si mise in moto per ubbidire agli ordini degli ufficiali e del capitano, ed il Gelderland prese a filare così velocemente sulle onde, che poteva solo essergli pari nella rapidità della corsa il Vascello fantasma dell'Olandese.
L'oscurità della notte copriva da qualche tempo l'Oceano quando apparve all'orizzonte una nave di aspetto soprannaturale, colle vele fiammeggianti, coll'albero maestro che parea di fuoco. Gli ufficiali ed i marinai del Gelderland la guardarono atterriti, benché fossero avvezzi ad affrontare con frequenza la morte sugli oceani; il capitano solo, ritto sul ponte, stette a mirarla senza tema; dopo alcuni istanti volse lo sguardo feroce su quelli che lo circondavano, e impugnando una pistola si avvicinò ad un giovine ufficiale al quale disse:
«Pare che abbiate paura, ed io non voglio codardi sulla mia nave».
Con un colpo di pistola lo ferì mortalmente al cuore; i compagni gli si slanciarono intorno per aiutarlo, ma era troppo tardi; ed egli poté solo, prima di morire, dar loro un ultimo saluto e raccomandare l'anima sua a Dio.
Il capitano stava di nuovo al suo posto, col viso minaccioso, coll'arme in pugno, cogli occhi che mandavan lampi e guardava il Vascello spaventevole, quando una voce esclamò: «Il Vascello fantasma ci manda un messaggio!».
I1 caso meraviglioso, che era anche minaccia di prossima morte per tutto l'equipaggio, distolse gli animi dall'ira provata per l'uccisione dell'ufficiale rimasto a terra, col bellissimo capo inerte sulle ginocchia del vecchio marinaio, il quale piangeva sommessamente; e tutti guardarono un battello di un rosso sanguigno luminoso, che si avvicinava al Gelderland, guidato da un marinaio gigantesco che splendeva in modo pauroso. Quando la barca giunse a pochissima distanza dalla nave olandese, il marinaio spaventevole guardò in alto e disse:
Questi si avvicinò alla sponda della nave verso il marinaio diabolico, balzato sul ponte in mezzo alla ciurma atterrita, e, senza tremare, senz'abbassare gli occhi di fronte al bagliore che mandava il volto del marinaio, avanzò una mano per prender le lettere che gli venivano offerte; ma il vecchio marinaio, che aveva lasciato disteso a terra il cadavere dell'ufficiale, e da alcuni istanti stava allato al capitano, ebbe il coraggio di afferrarlo per il braccio dicendo:
«Se prende le lettere del maledetto siamo perduti!».
Il volto feroce del capitano splendeva anch'esso nella notte, come se l'irradiasse un riflesso del fuoco infernale che ardeva sul Vascello fantasma: egli respinse alteramente il vecchio, rise in maniera diabolica, dicendo che non temeva né il diavolo né l'inferno, e con atto pronto prese le lettere. In quel momento sparvero la barca rossa, il marinaio gigantesco ed il Vascello fantasma; il Gelderland rimase solo nella nebbia, fra la notte oscura, mentre il mare ed il vento lo assalirono con furia tremenda.
Invano gli ufficiali ed i marinai fecero prodigi per la salvezza della nave; tutto fu inutile, perché il capitano aveva preso le lettere dell'Olandese. Dopo alcune ore il Gelderland affondò negli abissi dell'Oceano, ed il suo capitano andò ad unirsi agli altri dannati sul Vascello fantasma di Vanderdecken.73
Nei poemi di H. Dana parlasi anche di un Vascello fantasma. Un pirata, chiamato Lee, rapisce una donna e la porta sulla sua nave; ella salta in mare, il suo cavallo vivente è gittato dietro di lei. Quando ricorre l'anniversario della morte di quella donna, una nave di fuoco appare sul mare, colle vele fiammeggianti; vicino ad essa nuota un cavallo.
Washington Irving dice pure di un Vascello fantasma del quale parlasi ad Hudson. Un certo Ramhout von Dam, avendo di sabato ballato e bevuto fino a mezzanotte, entrò nella sua barca per tornare a casa; gli fecero osservare che già incominciava la domenica, ma egli volle partire ugualmente, giurando che se pur avesse dovuto passare sul mare un mese intero fatto tutto di domeniche, non sarebbe approdato se prima non fosse arrivato a Spiting Devil. Egli non giunse mai nel luogo al quale era diretto, ma divenne simile all'Olandese malefico, e fino al Giorno del Giudizio navigherà verso Spiting Devil.
In un suo poema Bret-Harte ricorda la leggenda di un altro Vascello fantasma, dicendo che certi fanciulli salirono sopra una nave che era stata tirata sulla spiaggia. Appena furono sulla tolda ove cominciarono a trastullarsi insieme, la nave discese lentamente in mare e si perdette; ma dicesi che in tempo di burrasca passa lungo le spiagge, e odonsi ancora le voci dei fanciulli che stanno sul ponte.
In un racconto popolare della Cornovaglia parlasi di un vascello di aspetto spaventevole, che, a dispetto del vento e della marea, si accostò alla spiaggia, aspettando che salisse sulla sua tolda l'anima maledetta di una specie di pirata o di stregone, morto poco prima fra tormenti inenarrabili, mentre una tempesta infuriava nella sua camera. Quando l'anima perversa giunse nella nave misteriosa videsi il fulgore dei lampi e si udirono tuoni fortissimi.
Questa leggenda è anche popolare in altri paesi, ed in una delle sue varianti si dice di un pirata, il quale, mettendo lumi di notte sopra una spiaggia, ingannava i piloti, e traeva le navi a perdizione fra gli scogli. Quando morì, un vascello che stava in mezzo ad una nube passò sulla sua casa, che fu scossa con violenza; l'anima del pirata salì verso la nube ed entrò nel vascello mentre sentivasi il rumore delle onde. Parmi che in questo caso la leggenda si sia formata a cagione di uno strano effetto di miraggio superiore, apparso, siccome avviene qualche volta, in alto sulla spiaggia. Questo fenomeno può fare grande impressione sull'animo di chi l'osserva, poiché si vede in cielo il colore verdastro del mare, sul quale certe navi sospese si muovono ed altre stanno immobili.
Il popolo superstizioso non si limitò ad immaginare paurosi racconti intorno alle bizzarre apparizioni formate da questa specie di miraggio, ma credette pure che le navi apparse in cielo annunziassero l'arrivo di nemici o altre gravi sciagure.
Nel golfo di San Lorenzo appare un altro Vascello fantasma. Una nave chiamata Packet Light naufragò con tutta la ciurma presso l'isola del Principe Edoardo. Quando vi è minaccia di burrasca in quei paraggi, una palla di fuoco emerge dal mare, si allarga e scoppia, divenendo un vascello di fuoco, poi si abbassa nell'acqua e scompare.
Nello stesso golfo dicesi pure dell'apparizione di un altro Vascello fantasma. Esso è coperto di lumi e di soldati: in piedi, vicino all'albero maestro, sta un ufficiale che addita con una mano la spiaggia, e coll'altra stringe la mano di una donna. Viene un momento in cui i lumi spariscono, si ode un forte rumore e la nave affonda. Si dice che sia il fantasma della nave ammiraglia di una flotta, che andò perduta miseramente in quel luogo.
Dennys nel libro sul folklore cinese dice che una compagnia di cacciatori di tigri trovò a bordo di una nave, nella gabbia di una tigre, un serpente a sonagli: essi lo misero in un'altra gabbia e viaggiarono verso Canton. Nel corso del viaggio un fulmine ruppe la gabbia del serpente che fuggì nella stiva; e poiché andava consumando rapidamente il carico di riso, il padrone della nave offrì mille dollari a colui che riuscisse ad ucciderlo. Due marinai coraggiosi andarono ad assalire il serpente che li uccise; la ciurma spaventata abbandonò la nave in balia delle onde; ma le burrasche non hanno potuto distruggerla e spesso passa lungo le coste.
Presso le isole Maldive appare un vascello carico di lumi. Su di esso naviga un diavolo che non ha più la facoltà di nuocere agli uomini.74
Secondo una leggenda inglese molti marinai ribellatisi ai proprii superiori, e padroni di una nave da guerra, pensarono di disporre le sue vele in tal maniera da farla credere un vascello fantasma, volendo così spaventare l'equipaggio di un bastimento che aveva preso ad inseguirli. Ma dopo breve tempo avvenne un caso spaventevole, perché la nave da guerra colla sua perfida ciurma incontrò il vero Vascello fantasma, ed avendo i marinai atterriti fermato la nave per evitare l'incontro colla trista apparizione, furono raggiunti, presi e condannati.
In un'altra leggenda ricordata in un poema del Leyden si dice che la ciurma di una nave, carica di molte ricchezze, compì sul mare atti feroci di pirateria, e per castigo un morbo crudele cominciò a fare strage a bordo. Respinta da ogni luogo fu condannata ad aggirarsi di continuo colla sua ciurma in balia dei marosi, fra le dense nebbie e la solitudine, maledetta da Dio e dagli uomini.75
In una leggenda italiana, ricordata da Marin Sanuto nelle Vite dei Veneti Duci, si allude ad una specie di Vascello fantasma diabolico, narrando che mentre imperversava una burrasca, un pescatore acconsentì a condurre colla sua barca un forestiero prima all'isoletta di San Giorgio, donde scese nella barca un giovine guerriero, e poi a San Nicolò del Lido, per prendere un terzo personaggio. Intanto la violenza della tempesta era divenuta più terribile, ed una galera piena di diavoli si avanzò verso Venezia per farla sommergere. I tre uomini che stavano col pescatore fecero verso la nave diabolica il segno della Croce, costringendola così ad andarsene e salvarono la città. Essi erano San Nicolò, San Giorgio e San Marco. Questi disse al pescatore: «Va al Senato, narra quello che hai veduto e fatti pagare, perché hai contribuito alla salute di Venezia. Et in segno della verità prendi questo anello e di' che guardino nel Santuario, che non ve lo troveranno».
«Laonde la mattina il prefatto barcaiuolo andò dal doge e dissegli quanto la notte aveva veduto. E mostrogli l'anello per segnale. E fu mandato pe' Procuratori, e guardato dove stava il detto anello no 'l trovarono. Et il detto anello fu dato a ser Marco Loredano et a ser Andrea Dandolo procuratori, che lo allogassero nel Santuario, e data provvigione perpetua al vecchio barcaiuolo sopradetto».
Si dice che il barcaiuolo chiese «anche il privilegio di poter vendere, solo con la di lui famiglia, sabione, senza perturbazione alcuna» e che il Consiglio accordò la presa della rena dal lido di Sant'Erasmo. Da questo fatto, ricordato anche in un prezioso codice del Museo Correr di Venezia, trae la sua origine la corporazione dei Sabbioneri (renaiuoli) di Grado. Il grande pittore Giorgione dipinse la tempesta sedata dai tre santi.
Un'altra leggenda marinaresca italiana accenna in qualche modo ad uno strano Vascello fantasma. I marinai di parecchie città al sud della Sicilia hanno per costume di portare nei loro viaggi della bambagia benedetta, che serve, secondo una loro credenza, a calmare le tempeste, o fa sì che le barche possano entrare in qualche porto per mettersi in salvo. Per dare tanta virtù alla bambagia si usa, l'undici gennaio di ogni anno, di passarla sulla fronte e sulle tempie del Crocifisso, e credesi di tergere così il sudore benedetto. Quest'uso ebbe, a quanto dicesi, origine dalla seguente leggenda:
In tempi lontani lontani, una tempesta violenta si scatenò a terrore dei marinai sulle coste della Sicilia; le onde furenti rompevansi contro gli scogli, ed una fitta nebbia impediva che si potesse guardare lontano verso l'orizzonte; quando da levante apparve una barca bianca, colla vela spiegata, che volava sui marosi. Tutti i marinai raccolti sulle spiagge la guardavano stupiti, e non sapevano intendere come potesse reggere in mezzo a quella tempesta, e correre con tanta velocità contro il vento impetuoso, che soffiava da ponente. La barca filando tranquillamente passò a poca distanza dalla riva; nessuno la guidava, ed essa andava per la sua via, come se una forza soprannaturale, più possente dell'aria e del mare, la governasse a suo talento.
La tempesta durò nella sua furia per tre giorni e tre notti, e la candida barca, che parea fatta di neve o di bambagia, ripassò anche per tre giorni e tre notti, lasciandosi dietro una striscia luminosa; e si disse che era formata dalle anime di tutti coloro che eran morti in naufragio, nelle vicinanze di queste coste.
La calma tornò sul mare, ed i pescatori ripresero a pescare, ma non potevano dimenticare l'apparizione della candida barca, e furono assai meravigliati trovando in un seno di mare, ove essa era passata, della bambagia. La raccolsero con molta cura, e quando il mare era tempestoso, bastava che ne gittassero alcuni fiocchi sull'acqua, per calmarla, ed essere in condizione di ripararsi in un porto. La bambagia della barca bianca durò poco, e fu sostituita da quella benedetta che non finisce mai, e che, secondo la credenza dei marinai, calma sempre le tempeste.76
Forse in questa pia credenza si potrebbe trovare una reminiscenza del costume antichissimo pagano, che dura ancora in certe regioni, di far doni al mare per placarne l'ira, siccome già notai. I marinai cinesi hanno invece molta fede nell'efficacia della cenere che tolgono dalle lampade per l'incenso, che ardono innanzi all'idolo grottesco di Chua, possente divinità del mare, che ha molti templi; fra i quali va notato per la sua grandezza quello di Ningpo. Dicesi che questa dea era figlia di un marinaio, ed avendo sognato che suo padre era in pericolo sul mare si adoperò per salvarlo. La cenere tolta dai suoi altari viene messa dai marinai in certe borse rosse che sospendono alle navi nell'ora del pericolo. Se questo non basta per calmare le tempeste, vanno ad inginocchiarsi a poppa, parte sacra della nave, e bruciano incenso innanzi all'immagine di Chua.
Possiamo riannodare le leggende dei vascelli fantasmi con quelle medioevali intorno all'Ebreo errante. L'Olandese maledetto, il Cavaliere di Falkenberg, Vanderdecken, sono gli ebrei erranti del mare. Ma parmi che le origini di tutte queste leggende si debbano cercare in tempi molto più lontani di quelli in cui i racconti intorno all'Ebreo errante divennero popolari in Europa, poiché troviamo che in parecchi inni vedici, Indra e Savitar, nel loro aspetto di mitici personaggi, hanno per destino di viaggiare sempre senza tregua, essendo respinti da coloro ai quali domandano l'ospitalità. Quasi simile è il destino di Wuotan Wigtam nella mitologia teutonica, ed anche Perseo, Bellerofonte, Edipo, Ulisse, Bacco e Sigurd sono fino ad un certo punto costretti ad errare. Molti incidenti della vita di questi eroi si trovano pure in quella dello scandinavo Grettîr, nel quale possiamo anche vedere, congiunti insieme strettamente, il mito e l'eroe, e che pur si avvicina in qualche modo all'Ebreo errante ed all'Olandese dannato. Nella Saga di questo eroe Grettîr, intorno alla quale molto si discusse, essendovi chi voleva dare ad essa una grande importanza storica, mentre altri vi trovava semplicemente una nuova trasformazione di racconti mitologici, Grettîr si mostra ora malvagio, ora benefico, e può ridar la vita ad un certo Glam, il quale era morto da lungo tempo. Finalmente il diavolo gli dice: «Finora hai acquistato fama colle tue imprese, ma da ora in poi la sventura cadrà su di te, ciò che farai ti riuscirà dannoso, sarai un bandito e dovrai sempre errare in terre straniere». Da quel tempo Grettîr viaggia di continuo ed è respinto da tutti. Anche Giuda sarebbe, secondo certe credenze popolari, costretto a vagare sul mare. San Brandano, in quel suo viaggio del quale parlerò in altro capitolo, lo vide sopra uno scoglio.
Nel Medioevo sono numerose le leggende che dicono di altre navi misteriose. Fausto, il gran mago germanico, costruisce una nave di vetro, e non può navigare senza l'aiuto di un Nix, specie di folletto o spirito famigliare.
Fra le navi più strane va ricordata quella della dea Freya, chiamata Skidbladnir, abbastanza grande per contenere tutti gli dei. I nani o trolli l'avevano costruita e donata a Freya; essa era sempre sospinta da un vento favorevole, nel luogo dove, per desiderio degli dei, doveva approdare. Quando costoro non viaggiavano per mare, potevano piegarla e ridurla a tale da tenerla in mano. Più grande ancora di questa nave era la Naglfar, formata colle unghie dei morti. Nell'Edda, Gangleri domanda se non sia la Skidbladnir la nave migliore e più artistica;77 gli si rispose che è migliore e più ornata di tutte le altre, ma che la Naglfar è più grande; si discute ancora sulla bontà di queste due navi, e più lungi78 parlasi della spaventevole apparizione della Naglfar che avverrà sull'Oceano, quando la vecchia terra sarà distrutta. Questa nave non è finita ancora, e le credenze strane intorno ad essa diedero origine a molte superstizioni, che riguardano il taglio delle unghie.
Le saghe dicono che se una persona muore senza avere le unghie tagliate, deve aiutare per forza coloro che lavorano alla costruzione della Naglfar. Bisogna dunque evitare di avere le unghie lunghe morendo; anche perché esse potrebbero servire ad aumentare il materiale usato nel costruire la nave fatale che, per interesse degli dei e degli uomini, deve essere finita il più tardi possibile. Ora nell'Islanda si ricorda ancora qualche cosa delle antiche credenze intorno a questa nave, poiché dicesi che bisogna fare in diversi pezzi le unghie quando vengono tagliate, affinché Satana non se ne serva per la costruzione di una nave diabolica.
Invece certi popoli slavi credettero che i morti dovessero salire sopra un erto colle di ferro o di ghiaccio, per andare in Paradiso, aiutandosi colle mani; e per questo motivo si usò, e ancora adesso si usa fra i contadini russi, di mettere ritagli d'unghie nella tomba di un cadavere che le avesse corte. I Russi non conformisti, fra i quali durano molti ricordi della loro antica religione, hanno il costume di portare in certi anelli o amuleti unghie di falchi, o ritagli delle proprie, dovendo dopo la morte servirsi di esse nell'arrampicarsi sull'alta ripa che mena in Paradiso. I Lituani bruciavano le unghie di certe bestie selvagge e sui roghi, insieme coi morti.
Parmi inutile di discorrere a lungo fra queste pagine delle favole tanto note che possono dirsi classiche e narrano del soggiorno dei morti dove approdò Ulisse, oltre il gran fiume Oceano, il quale forse per Omero non fu altro che il Mediterraneo centrale, e non è neppure opportuno che io ripeta le ragioni addotte da coloro che vorrebbero indurci a credere che l'Odissea abbia per argomento principale il mito del viaggio delle anime; dirò invece che fin dalla più remota antichità parlasi del viaggio misterioso delle anime che lasciano i miseri corpi umani, come se l'uomo, anche fra le tenebre dell'errore e dell'ignoranza, non potesse dimenticare il suo eterno destino ed affermasse l'immortalità dello spirito.
Le antiche leggende che ci restano ancora su questo argomento sono molte, e possiamo dire innumerevoli quelle che vengono ripetute dai popoli di ogni razza nelle regioni della terra dove non si estende ancora la civiltà cristiana. Di queste ultime tratterò a lungo in altro lavoro, ora noterò che anche presso le genti arie sono numerose le leggende intorno al viaggio che deve compiere lo spirito dopo che la morte lo ha diviso inesorabilmente dal corpo.
Pare che fin dai tempi più antichi le anime dovettero, secondo la credenza popolare, attraversare un fiume reale o immaginario per andare nel regno delle ombre,79 e solo più tardi invalse presso certe genti l'idea che si dovesse compiere il viaggio sul mare reale o sul gran mare atmosferico.
La credenza nell'Oceano atmosferico si ritrova in antichissime tradizioni, specialmente fra quelle degli Arii primitivi, che confondono spesso, al pari dei loro discendenti, questo mare superiore col vero Oceano; e per questa ragione molte loro divinità celesti si trasformano in divinità del mare o governano il cielo e la terra. Anche la scienza moderna si compiace nel chiamare Oceano aereo l'atmosfera, ma tornando al passato dirò che i Celti credettero che vi fosse il mare delle nubi, stimando possibile andarvi dalla terra. I contadini della Vandea credettero pure in questo mare misterioso, e pensarono che gli uccelli attraversandolo andassero in Paradiso.
Il tramontare del sole parve nel vecchio e nel nuovo mondo una immagine del dipartirsi dell'anima dalla terra, e poiché verso l'Occidente il sole scendeva nel mare ed il mistero univasi al mistero, si credette che le anime lo seguissero nel suo diurno viaggio verso i mari occidentali, quando non salivano nell'Oceano superiore. Per questo motivo l'Atlantico divenne per molti popoli arii il gran mare misterioso dove si trovava la regione delle anime, ed il Pacifico fu certamente guardato con paura dagli antichi Americani. Certi popoli arii credettero pure che il Mar Nero ed il Caspio fossero popolati dalle anime che andavano nel tenebroso mondo inferiore.
Molti Slavi credettero, al pari di altre genti arie, in questi viaggi delle anime, e stimando che i morti dovessero attraversare un immenso mare, mettevano vicino ai cadaveri certe monete che dovevano servire per pagare il passaggio dello spirito a qualche misterioso Caronte o alle schiere di spiriti malvagi che avrebbero incontrate per via. Quest'uso si conserva ancora in certi paesi slavi, e anche molte tribù selvagge hanno il costume di mettere presso i cadaveri i doni che debbono dare agli spiriti possenti.
La convinzione che il gran viaggio si dovesse compiere per mare diede origine al costume che ebbero popoli diversi di bruciare o di seppellire i morti in barche o in bare fatte a foggia di barche, o ancora di metterli in certe barche le quali erano lasciate in balia del mare.
I Vikings lavavano accuratamente, dopo le battaglie, i volti dei loro morti, li vestivano coi loro abiti più belli, poi ciascuno di essi era disteso sul proprio scudo, colle armi allato per essere in perfetta tenuta di guerra innanzi al forte Odino. Il parente più stretto del morto gli metteva la «forte calzatura dell'inferno» utilissima nella faticosa discesa che doveva fare per giungere presso l'infernale Hela, fino alla profondità di nove mondi, ove la dea tratteneva gli schiavi ed i vigliacchi, lasciando che gli altri andassero presso Odino.
Ma non sempre i cadaveri dei fortissimi Normanni furono chiusi sotto i tumuli e nelle camere sepolcrali, che trovansi con tanta frequenza nei paesi al Nord di Europa. Molte notizie che si possono raccogliere nella poesia epica medioevale ed in certe vecchie prose ci provano che gli Scandinavi, i Danesi, e specialmente fra essi i pirati, ebbero anche il costume di chiudere i loro morti in una barca e di affidarli al mare, affinché potessero giungere nella regione dei morti.
Troviamo nell'Edda che dopo la morte del grande eroe Baldur il suo cadavere fu portato nella sua nave, più grande di tutte le altre; gli dei vollero lanciarla in mare, ma non vi riuscirono; dovette invece spingerla nell'acqua una strega, la quale usò tanta forza che uscirono fiamme dalla chiglia, quando questa si mosse. Il Yarl Magnus fu insieme colla sua vedova messo in una nave che se n'andò verso il regno dei morti.
Beowulf dice che l'eroe Scyld fu sepolto nella nave dei nobili, che stava presso la spiaggia pronta per il viaggio pauroso dal quale non sarebbe tornata più. I guerrieri, dopo aver dato l'ultimo addio all'amato principe, legarono un'insegna d'oro sull'albero maestro e fecero scendere la nave nel mare. Un altro eroe fu messo, a quanto narra Guglielmo di Malmesbury, in un battello e lasciato in balìa del mare.
Qualche volta gli antichi re del Nord, sentendosi vicini a morte, si facevano portare sopra una nave nella quale era già acceso il fuoco che doveva consumare il loro cadavere. Il re Hake, essendo gravemente ferito, capì che la sua morte era vicina, ma non si sgomentò, e, mentre era ancora vivente, volle cominciare il viaggio verso l'eterna dimora dei forti guerrieri. Fece deporre sopra una nave da guerra i cadaveri dei guerrieri morti nella battaglia, poi comandò che fosse alzato sul ponte un rogo per lui. Era vicino a morte quando si fece mettere su di esso e volle che vi si appiccasse il fuoco. Il vento che soffiava con violenza spinse dopo breve tempo la nave avvolta dalle fiamme lontano, verso l'Oceano.
Forse alle leggende intorno alle barche dei morti, vaganti sui mari, si riannoda la novellina italiana in cui si dice di una damigella morta d'amore per il bel cavaliere Lancialotto de Lac. Ella dispose che «quando sua anima fosse partita dal corpo, fosse arredata una ricca navicella, coperta d'uno vermiglio sciancito, con un ricco letto ivi entro, con ricche e nobili coverture di seta, ornato di ricche pietre preziose. E fosse il suo corpo messo in questo letto, vestito di suoi più nobili vestimenti, e con bella corona in capo ricca cintura e borsa. Et in quella borsa aveva una lettera che era dello infrascritto tenore. Ma imprima diciamo di ciò che va innanzi la lettera. La damigella morì di mal d'amore, e fu fatto di lei ciò che disse, la navicella senza vela fu messa in mare con la donna. Il mare la guidò a Camalot e ristette alla riva». E questa volta ancora la leggenda, la novellina ha allettato la fantasia di un grande artista, e Domenico Morelli ha dipinto la navicella della morta fanciulla, che approda, guidata verso l'uomo amato da una misteriosa forza, pari a quella che guidava le navi dei morti verso le misteriose dimore delle anime eterne.
Non era però generale la credenza che per giungere nella regione dei morti si dovesse proprio navigare, poiché, al pari di altre genti, certi Slavi credettero che l'arcobaleno fosse il ponte fra la terra dei viventi e quella dei morti; altri stimarono che fosse la Via Lattea. Ancora adesso nel governo di Novgorod la misteriosa strada è detta Via dei topi; essendo il topo un'immagine dell'anima; a Perm si chiama la Via di Gerusalemme; i contadini di Tambof dicono che passa intorno alle colline di ferro in cui sono chiusi i Tartari invasori, i quali nelle leggende medioevali si trasformarono in cattivi spiriti. Nel governo di Jaroslaf si dice invece che vi è una sacra città nascosta nelle acque profonde, e che ad essa conduce la Via dei morti.80
Gli Slavi, i quali credettero invece nella necessità del viaggio delle anime sul mare, non furono sempre in condizione di affidare ad esso i loro morti, quando nelle emigrazioni si trovavano lungi dalle spiagge; ma è certo che in ogni regione dove posero la loro dimora mostrarono nella solennità dei riti per i funerali molta riverenza verso i morti, ed usarono quasi generalmente le bare in forma di barche. Parmi che in questo costume si debba anche trovare un ricordo del loro dio Perum, il quale, prima della sua confusione medioevale col profeta Elia, dovette compiere misteriosi viaggi, poiché si dice in certi antichi racconti che egli muore qualche volta, come l'Osiride egiziano ed altri miti solari, e che il suo frale galleggia sull'acqua in una bara.
In ogni modo sia che popoli diversi abbiano avuto il costume di affidare tutti i loro morti al mare nelle barche, sia che tal cosa sia stata in uso in certi casi speciali, quando si rendevano gli ultimi onori ai capi slavi e normanni, è certo che vi furono tempi in cui galleggiarono sui mari del Nord, e forse sul Caspio e sul Mar Nero, le navi dei morti, che i marinai, i pirati, i commercianti dovettero guardare con terrore, essendo così estese ed antiche le credenze intorno ai fantasmi dei morti ed alla loro malefica potenza.
Ma non solo queste barche dei morti restarono sui mari e sull'Atlantico in balìa delle onde. Certe pietose leggende e molte canzoni popolari, che si trovano presso popoli diversi, dicono la tristissima storia di poveri marinai, che sono morenti per fame in mezzo al mare.81 Si tira a sorte per sapere quale di essi sarà ucciso e mangiato dai compagni. Qualche volta, prima che si compia il sacrifizio dell'infelice, scende dal cielo una colomba che trae la nave e la ciurma da ogni pericolo. In una canzone danese del XVII secolo si dice che un vecchio marinaio vuole sacrificare la vita per i compagni e domanda che l'uccidano. Essi, come impazziti per la fame, compiono il delitto, poi non hanno il coraggio di divorare l'ucciso; preferiscono morir di fame e sono salvati da un angelo.
Una variante provenzale delle canzoni popolari su quest'argomento dice che vi sono a Marsiglia tre vascelli che partono per il Portogallo. Essi rimangono per sette anni sull'acqua senza poter approdare, e tutto manca a bordo. I marinai tirano a sorte, per sapere a chi toccherà di essere ucciso prima degli altri; il padrone divide la paglia ed a lui tocca il filo più corto. Egli domanda se fra i mozzi vi sia un valoroso che voglia salvarlo; gli darà per mercede una delle proprie figlie ed un vascello dorato. Un mozzo esclama: «Io vi salverò!». «Sali», grida il capitano, «Sali, valoroso mozzo, sulla punta dell'albero maestro, e guarda se si scorge il porto».
Il mozzo sale: quando giunge verso la metà dell'albero maestro, il capitano trepidamente domanda se vede il porto. Il mozzo sale ancora; quando arriva sulla cima dell'albero canta e grida: «Veggo Tolone, Marsiglia e tre fanciulle che passeggiano sulla spiaggia». «Se così è», dice il capitano, «canta pure, valoroso mozzo: hai guadagnato una sposa ed un vascello d'oro».
Ma non tutti i marinai ebbero fortuna pari a quella del capitano, ed avvenne che si trovarono anche sul mare certe navi o barche, le quali, portavano cadaveri di uomini morti per fame o per pestilenza, ed intorno ad esse i marinai spaventati dissero strane cose. In maniera che adesso molti credono ancora che passino sui mari e sugli oceani le lugubri navi dei morti. Secondo certe leggende questi morti sono santi, ma con maggior frequenza si afferma che sono dannati, o povere anime che vadano espiando sul mare le proprie colpe.
Sopra alcune spiagge del Morbihan si parla spesso di certe navi enormi sulle quali stanno uomini e cani giganteschi; gli uomini sono dannati, i cani sono demoni che debbono custodirli. I vascelli maledetti vanno dall'Atlantico al Mare del Nord, senza entrare in qualche porto, senza mai gittar l'àncora, ed il loro viaggio avrà fine soltanto quando non vi sarà più il mare.
Un altro vascello dei morti, chiamato Libera nos, è spaventevole: coperto con drappi neri porta una bandiera nera circondata di teschi, sulla quale si vede scritto: «Libera nos». Gli uomini della ciurma, comandati dal Capitano Requiem, aspettano che passi qualche equipaggio cristiano, al quale possano chiedere che si facciano celebrare Messe per il riposo delle anime loro.82
Il Longfellow, imitando una leggenda popolare, ci dice coll'armonia del verso che il Carmilhan è un vascello dei morti, il quale ha una ciurma di fantasmi ed appare prima e dopo le tempeste. Naviga senza vele e senza pilota: grave sventura piomba inevitabilmente sulla nave che l'incontra , poiché il mare balza sul suo ponte, ed essa deve piombare nell'abisso.
In una leggenda tedesca si dice di un povero capitano ammalato che sta sul ponte della sua nave, e chiede al pilota donde venga il suono di una campana che ode distintamente.
Il pilota gli risponde che non sentesi nessuna campana, invece l'orologio ha sonato un quarto prima della mezzanotte; il vento che soffia dal nord è freddo, sarà meglio che egli torni nella sua cabina.
«Lascia» dice il capitano «ch'io resti ancora qui per alcuni istanti. Ben presto dovrò per sempre abbandonare la nave, perché la febbre mi consuma. Non vedi tu la terra, non si scorge qualche lume?».
«No, ma domani all'alba, se durerà il vento, vedremo la terra».
«Dammi il braccio e andiamo via. No! aspetta, non vedi una vela?».
Il pilota, alquanto impaurito, afferma che non vede cosa alcuna; il capitano sostiene invece con ira che un vascello si è alzato sulle onde, fra una luce rossa, e non è simile agli altri. Sul suo ponte vedesi uno scheletro involto in parte in un sudario; da ogni boccaporto si affaccia un teschio orribile, bianco al pari della neve appena caduta. Sulle vele sono dipinte teste di morti; scheletri umani si affollano sulla tolda. Il pilota continua a non discernere cosa alcuna, ma trema, e dice sommessamente: «È il Vascello dei morti!».
Un altro marinaio, che sta vicino al capitano, dice al pilota di tacere, perché si chiama la sventura a bordo, nominando il Vascello dei morti. Il capitano guarda ancora il luogo dove si trova la spaventevole apparizione, invisibile agli altri, poi si lascia accompagnare nella cabina, e la nave continua a andare per la sua via, mentre il rumore delle onde che balzano contro i suoi fianchi si unisce ai sibili del vento che scuote le vele, formando un concerto pauroso.
Dopo breve tempo il pilota ritorna sulla tolda, e dice al nostromo che il capitano si è coricato e che lo veglia un marinaio, mentre egli nel delirio continua a parlare del Vascello dei morti. Il nostromo chiede al pilota se sa qualche cosa intorno a questo pauroso vascello; poi seggono l'uno vicino all'altro, bevono ed il pilota comincia a dire:
«Vi era una volta una città molto grande e bella, che si trovava in un regno forte e possente. Il mare bagnava parte delle sue mura, e molte navi con ricchissimo carico erano ancorate nel suo vasto porto. Il re di quel regno mandò uno dei suoi favoriti a governare la ricca città; costui era molto avaro, e non operava secondo il desiderio del re e quello della popolazione affidata alle sue cure. Pensava solo ad accrescere con ogni mezzo le sue ricchezze, e tutti erano costretti a pagargli forti tributi, per non soffrire danno peggiore.
«Un giorno, mentre stava sopra un terrazzo del suo palazzo, e guardava con invidia e con cupidigia la città che si estendeva innanzi a lui, colle vie larghissime ed i palazzi suntuosi, esclamò: "Vorrei che tutti laggiù avessero una testa sola, così potrei troncarla colla mia spada, ed impossessarmi delle loro ricchezze. Ah! se potessi ucciderli in un attimo".
«"Questo si può fare molto facilmente" disse vicino al crudele governatore una voce dall'intonazione strana. Egli si voltò e videsi accanto un nano coi capelli ricciuti e di color fulvo, cogli occhi neri che mandavano scintille e colla lunga barba bianca. Meravigliato oltre ogni dire chiese a quell'essere bizzarro:
«"Chi sei?".
«"Sono uno spirito dell'altro mondo e desidero il bene di tutti gli uomini; ho sentito che manifestavi un giusto desiderio, e sono venuto subito per darti il mezzo di ottenere quanto brami. Voglio che ti riesca di uccidere tutti gli abitanti di questa città, e che tu possa diventar padrone delle loro ricchezze".
«"A qual prezzo farai tutto questo?" chiese il governatore.
«"Ti chiedo soltanto di seguirmi per qualche tempo".
«"Vado subito con te".
«"Vieni!".
«Il nano, seguito dal governatore, discese verso il porto, entrò con lui in una barchetta nera, e lo condusse sopra una nave di aspetto spaventevole, coperta con ossa di morti. Su di essa passeggiavano molti scheletri che digrignavano i denti, e battevano insieme le ossa delle mani.
«Il governatore tremò nel trovarsi in mezzo a quella ciurma paurosa; il nano invece rise e disse:
«"Questo è il Vascello dei morti, invisibile agli uomini, e visibile solo per coloro che debbono morire fra breve tempo. Manca su questo vascello il capitano, ma l'avremo fra breve tempo. Tutti coloro che vedi furono peccatori impenitenti, ed ora servono qui. Appena giungono sono assegnate loro le occupazioni più vili, che disimpegnano durante un secolo; i diversi gradi che debbono acquistare sono venti, ed in ciascuno di essi rimangono anche per un secolo. Il più anziano ha il grado di capitano e sta per un altro secolo sul ponte colla falce in mano. Ora siamo nel giorno che separa per noi un secolo dall'altro, e lo spirito che comandava, avendo finito il suo tempo, è caduto in mare. Il suo posto era vuoto, e la nave non poteva muoversi perché le mancava un uomo d'equipaggio. Ora la ciurma è di nuovo completa, abbiamo un altro servo e si può navigare".
«Il nano fece un cenno al pilota, ed il Vascello dei morti prese a filare velocemente, finché giunse presso una spiaggia dove crescevano altissimi alberi; il nano discese a terra col suo compagno, e si trovarono in un luogo orribile. Molti uccelli notturni volavano fra gli alberi, rettili schifosi strisciavano sui tronchi involti, e mille fiere ruggivano nell'ombra, quando una voce chiese:
«"Chi siete?".
«"Siamo tuoi servi fedeli", rispose subito il nano.
«"Che cosa volete da me?".
«"Angelo della morte" disse ancora il nano, "dammi il mezzo di uccidere molti uomini in pochi minuti".
«"Eccovi una cassetta, apritela in vicinanza degli uomini, e riuscirete nel vostro intento".
«Il nano prese la cassetta, la diede al suo compagno e tornarono insieme sul vascello, che ricominciò la rapida corsa; allora il governatore riebbe la facoltà di parlare, che aveva perduta vicino alla Morte, e chiese con raccapriccio al nano quando sarebbe finito quel pauroso viaggio. Questi rispose:
«"Tu resterai come servo sulla nave dei morti, ed il tuo servizio durerà per venti secoli".
«Il governatore capì che era in balia di Satana, e volle ridargli la cassetta fatale, che aveva ricevuta dalla Morte. Satana rideva guardandolo e non curavasi delle sue preghiere e delle sue domande; allora egli gittò ai piedi del nano la cassetta, dicendo che non sapeva che cosa fare di quell'inutile dono.
«Nel cadere a terra la cassetta si aperse e ne uscì fuori la peste, che si sparse sulla nave. Il governatore fu in un attimo colpito dalla tremenda malattia, e cominciò ad implorare aiuto, perché non voleva morire come un maledetto, ed essere dannato eternamente; ma il diavolo rideva sempre e non moveva un passo per soccorrerlo. Egli cadde morto sul ponte, e rapidamente la carne sparve dalle sue ossa; dopo pochi istanti divenne uno scheletro, si alzò, si avvolse in un sudario, e dovette cominciare sul Vascello dei morti il faticoso lavoro che gli era assegnato».
Quando il pilota tacque, il nostromo esclamò: «Questo racconto farebbe paura se ricordasse un fatto avvenuto realmente! Ditemi un po' in qual paese del mondo vi hanno narrato questa favola assurda?». «Favola assurda? Non avete sentito che il nostro capitano ha veduto il Vascello dei morti? Esso è vicino a noi e presto avremo un cadavere a bordo».
In quel momento la nave spaventevole apparve nell'oscurità della notte, colle vele spiegate fiammeggianti, collo scheletro gigantesco vicino all'albero maestro. Nell'istesso tempo si sonò forte un campanello nella cabina del capitano, il pilota ed il nostromo sbigottiti corsero presso l'ammalato; egli era morto, ed il marinaio che lo svegliava disse: «Le sue ultime parole sono state queste. Il capitano del Vascello dei morti lascia cadere la sua falce, essa è sopra di me!».
Il pilota esclamò: «Ed anche sopra di noi, perché abbiam veduto il Vascello dei morti. Capitano, buona notte, vi raggiungeremo presto». In quel momento il Vascello dei morti spariva nell'oscurità della notte!83
Specialmente nel Medioevo si credette nell'apparizione delle barche dei morti, che andavano sul mare senza vele e senza timore. Esse avevano forme diverse e vennero anche nominate in certi poemi cavallereschi. Il nome del re Artù è qualche volta ricordato insieme con quelle navi, e dicesi pure nei poemi bretoni che Merdhyn (Merlino), a cagione della cieca passione che sentiva per la sua amante, s'imbarcò in un vascello di cristallo, che secondo il linguaggio degli antichi bardi sarebbe la morte.84
In Bretagna havvi una baia detta Baie des trépassés ove si raccolgono le barche, che debbono trasportare verso l'isola dei morti le anime; e specialmente quelle degli annegati. Secondo la credenza popolare si odono le grida dei miseri passeggeri, che si affollano su quelle barche. In altro sito della costa di Bretagna dicesi che passano certe piccole barche, che trasportano le anime dei marinai morti in mare, e tutti evitano di andar di notte da quella parte.
Devesi riconoscere che uno dei ricordi più splendidi della credenza secolare dei popoli nel viaggio dei morti sul mare si ritrova in Italia nella Divina Commedia, quando Dante ci parla delle anime che non discendono verso la riviera trista d'Acheronte, e vengono invece raccolte alla foce del Tevere dall'angelo, sul vascello leggero e snello che porta l'anime gentile di Casella, fino alla sponda dell'isola ove ergesi la montagna del Purgatorio.
Sul gran mare misterioso Casella è passato con rapidità vertiginosa, mentre il celeste nocchiero che splende di viva luce
...sdegna gli argomenti umani
Sì che remo non vuol né altro velo
Che l'ale sue, tra liti sì lontani.
E non v'è di certo fantastico racconto di antica gente, o visione medioevale che narri di misteriosi viaggi, che possa uguagliare in grandezza la scena vista dal sommo poeta, quando l'uccello divino venne a riva colla navicella leggera
Tanto che l'acqua nulla ne inghiottiva.
Da poppa stava il celestial nocchiero,
Tal che parea beato per iscritto,
E più di cento spirti entro sediêro.
«In exitu Israel de Egitto»,
Cantavan tutti insieme ad una voce
Con quanto di quel salmo è poscia scritto.
Poi fece il segno lor di santa croce;
Ond'ei si gittar tutti in su la piaggia,
Ed ei sen gì, come venne, veloce.
Il Longfellow, che ha preso da una leggenda popolare l'argomento per il suo canto The phantom ship dice che una nave partì da New Haven accompagnata da mille benedizioni, mentre le preghiere salivano nell'aria che gonfiava le sue vele. I marinai che vennero dall'Inghilterra dopo l'inverno non portarono nessuna notizia della nave e del suo padrone Lamberton; ed il popolo pregò Iddio di fargli conoscere la sorte dei suoi marinai tanto amati. Le preghiere furono esaudite, e nel mese di giugno, un'ora prima del tramonto, apparve la nave di Lamberton, che era partita da tanto tempo. Essa veniva con tutte le vele spiegate contro il vento e si potevano riconoscere le facce dei suoi marinai. Poi le vele si dileguarono come nebbia, caddero gli alberi con tutti i loro attrezzi, e la nave sparì a poco a poco.85
Celia Thaxter ha pubblicato un poema che ha per titolo: Il Mistero. La nave che ha questo nome porta 200 schiavi chiusi nella stiva; essi muoiono ed i loro corpi sono gittati in mare. Il capitano che fa commercio di carne umana si prova a tornare nel porto della sua città, ma comincia nell'Oceano una calma perfetta. Gli spettri degli schiavi escono dal mare, salgono sulla nave e legano il suo capitano all'albero maestro. La terribile apparizione spaventa i marinai che scendono a precipizio nei canotti, si allontanano rapidamente dalla nave maledetta e riescono a salvarsi. Il capitano solo rimane in balìa dei morti e non ritorna più nel suo paese, ma naviga sempre cogli spettri, fra la calma o la tempesta, sul Mistero che non può essere sommerso neppure fra le burrasche più violente.
Un'altra nave dei morti vien ricordata in una leggenda dello Schleswig Holstein. Una fanciulla aspettava sulla spiaggia il suo fidanzato. Questi non venne accanto a lei come uomo vivente, ma non mancò al giuramento fatto di esserle sempre fedele, e di non lasciarla più quando sarebbe tornato dal suo viaggio. Con un vascello fantasma si avvicinò alla spiaggia e prese seco la fanciulla in mezzo ad una ciurma di morti, volendo che fosse unita a lui eternamente.
I Normanni convertiti al cristianesimo credettero che se le offerte che facevano per le anime del Purgatorio non riuscivano a liberarle, un Vascello fantasma appariva in vicinanza di qualche spiaggia, avendo per ciurma le anime di coloro che erano negli anni passati morti in mare. Adesso, in certi paesi del Nord, si crede ancora che questa nave si mostri nella notte d'Ognissanti, e che partano da essa le grida spaventevoli dei marinai naufragati nel corso dell'anno.
Si fa cenno di un'altra nave misteriosa, in uno di quei fantastici racconti degli Egiziani che cominciarono ad essere intesi dopo il 1852, quando il De Rougé lesse una novella egiziana dell'epoca dei Faraoni, nella quale si trovò molta somiglianza con certi racconti delle Mille e una notte. Essa ci provò che, oltre agl'inni in onore delle divinità, ai poemi storici, agli scritti di magia e di scienza, le future mummie ebbero una letteratura popolare e divertente.
I fatti narrati in quel racconto o romanzo egiziano, che ha per titolo Satni, sono veramente mitici e si svolgono in gran parte nella seconda regione dell'universo; quella delle tombe e della notte. Le acque eterne, dopo essere passate nel giorno lungo i baluardi del mondo, dall'oriente al sud e dal sud all'occidente, giungono ogni sera al Ro Pegaït, o Ro Pegarït (bocca della fessura) e s'ingolfano nelle montagne che chiudono la terra verso il nord, trascinando seco la barca del sole col suo seguito di divinità luminose. Per dodici ore la barca va innanzi, percorrendo lunghi corridoi oscuri, dove genii ostili si provano a chiudere il passo agli dei, mentre altri genìì benefici li aiutano a superare ogni ostacolo.
Di tanto in tanto una porta, difesa da un serpente gigantesco, apresi dinanzi alla barca meravigliosa, lasciando libera l'entrata in una sala immensa, piena di fiamme e di fumo, di mostri dalle forme spaventevoli e di carnefici che tormentano i dannati; poi gli dei trovano altri corridoi oscuri e stretti e continuano la corsa fra le tenebre. Al mattino la barca del sole giunge al confine della regione tenebrosa, ed esce dalla montagna verso l'oriente, per illuminare di nuovo la terra.86