Maria Savi Lopez
Leggende del mare
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Le figlie della terra

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Le figlie della terra

Vicino alle innumerevoli leggende intorno alle figlie dei mari e degli oceani, nelle quali appaiono con aspetto bellissimo o strano Sirene e Mermaids, Mary Morgan e fate del mare, Vily slave e Rusalke, non mancano quelle che ricordano le figlie della terra, e primi a narrarle furono certamente i marinai innamorati.

Nell'ora della calma, quando i marinai riposano dopo le fatiche usate, e splende l'Orsa in mezzo al cielo, o le quattro luci sante «Non viste mai fuor che alla prima gente» guardano il mare, il loro pensiero deve correre con maggior passione verso la patria lontana, verso la vecchia madre e la fanciulla amata; e forse quando si ode soltanto il mormorio dell'acqua che si frange contro i fianchi della nave, e par che l'amore con mille fili invisibili leghi i loro cuori ad altri cuori, essi, per rendere meno tristi le ore che passano fra la solitudine del mare, narrano sulla tolda le leggende che ricordano le figlie lontane della terra.

Fra le più gentili leggende marinaresche intorno alle fanciulle morte del mare, parmi che vada notata quella danese che parla della bellissima Rosa di Seeland.

Spesso all'alba o nell'ora del tramonto, quando il cielo è sereno ed il vento del Nord non si alza a sconvolgere le dune della Danimarca, una luce rosea tinge le onde che si frangono lungo la costa dell'isola di Seeland. Il pescatore che la vede dice spesso: «Ecco la rosa di Seeland» e ricorda la pietosa storia di una fanciulla adorna di tanta bellezza, che non vi era nessuna giovane sulla terra bella come lei.

Ella era figlia di un pescatore, e, quando giunse ai sedici anni, la leggiadria della sua persona era tale, che, vedendola, ingelosivano anche le bionde divinità del mare. Suo padre la guardava con orgoglio, dove ella passava il suo sorriso faceva dimenticare agli uomini ogni dolore, ed una pace soave scendeva in tutti i cuori. Quando vi era minaccia di burrasca, gli abitanti dell'isola la pregavano di guardare il cielo ed il mare, e innanzi al suo sguardo sereno le nubi sparivano, il sole splendeva, e le onde del Baltico, più non avendo la furia usata, venivano umilmente a lambire la sabbia della spiaggia.

La fanciulla pareva l'angelo protettore dell'isola, e per questo motivo la chiamavano «la Rosa di Seeland». Tutti l'amavano, i giovani specialmente l'avevano cara, ma essa non dava il suo cuore a nessuno, e diceva che non voleva portare catene d'oro. I vecchi la guardavano sorridendo e dicevano che il fiore, il quale si apre fra una pace divina, è più di ogni altro profumato e bello.

Ma in ogni cuor gentile deve un giorno o l'altro accendersi una pura fiamma d'amore, e coll'andar del tempo Rosa non si allietò più fra la pace consueta; ella cominciò a guardare con nuovo affetto le stelle, la terra, il mare, e, mentre passeggiava lungo la spiaggia solitaria, il cuore le parlava misteriosamente. Ella ascoltava commossa, esitante e non le riusciva ancora d'intendere il suo linguaggio misterioso.

Una tempesta spaventevole sconvolse il mare intorno alle spiagge dell'isola, ed un villaggio intero fu distrutto; molti suoi abitanti perirono, gli altri abbandonarono le case rovinate e cercarono altra dimora; fra questi vi era un giovine chiamato Rolf, il quale andò colla vecchia madre nel villaggio abitato da Rosa, dove trovò cortese ospitalità e divenne compagno dei giovani pescatori.

Rolf e Rosa vedevansi tutti i giorni, ed il cuore del giovine si accese d'amore per lei, ma egli non osava manifestarle il proprio affetto, e soffrendo taceva sempre.

Un giorno Rosa sedette nella sua barchetta leggera, sciolse la fune che la legava alla riva e prese a vogare verso l'alto mare. Ella sapeva remare con molta grazia, e Rolf, fermo sulla spiaggia, la guardava, mentre andava battendo l'acqua coi remi. Spiacevagli che la fanciulla partisse sola, perché il Baltico è un perfido mare, e osò dirle gridando: «Rosa, volete prendermi per pilota?». La fanciulla sorrise, come per ringraziarlo, ma rispose di no e se n'andò sola, spiegando anche la piccola vela della barca.

Il solo Rolf stava sulla spiaggia quando Rosa partì; egli la guardò con dolore, mentre si allontanava fra lo splendore del sole sulle onde che parevan d'argento, poi riprese lentamente, come assorto in tristi pensieri, a distendere le reti sull'arena, ma il suo cuore andava lontano lontano, verso la barchetta che pareva abbandonata in balìa del mare.

Dopo breve tempo il cielo si annuvolò, le onde del Baltico presero a frangersi con violenza contro la spiaggia, e certe onde enormi, livide e verdastre vennero furenti dal largo. Rolf spaventato lasciò le reti, s'inoltrò sulla spiaggia coi piedi nell'acqua, mentre la schiuma delle onde gli balzava sul petto e sul volto, e guardò lontano lontano, ansiosamente, per vedere se tornasse la barchetta di Rosa.

La violenza della tempesta cresceva sempre; i pescatori atterriti si affrettavano a toccare la spiaggia ed a legar le navi; in alto mare, fra la guerra dell'acqua e del cielo, rompevansi le più forti navi, gli uomini più valorosi erano travolti nell'abisso, e la barca di Rosa non appariva mai, fra tutta quella desolazione! Rolf non poté durarla più nell'inerzia, egli saltò nella propria barca ed innanzi al padre disperato della fanciulla, innanzi ai giovani tutti del villaggio, sciolse la vela, vogando rapidamente verso la morte, mentre non valse a trattenerlo il grido di spavento che uscì da ogni petto, non valse a richiamarlo la voce della propria madre. Egli non udiva altro che il fragore delle onde, non pensava ad altro che al pericolo di morte nel quale si trovava Rosa, e sfidando la furia tremenda del Baltico andava innanzi.

A poco a poco la luce sparve, ma il mare non si calmò, e sull'oscurità dell'acqua e del cielo guizzavano in modo pauroso le saette. La madre di Rolf ed il padre di Rosa piangevano disperatamente sulla spiaggia in mezzo ai pescatori atterriti, e la speranza era morta in ogni cuore, quando giunse a riva la barca di Rolf, il quale discese in mezzo alle grida di gioia, portando fra le braccia Rosa svenuta.

Dopo quel giorno Rolf ebbe il coraggio di chiedere a Rosa se volesse essergli sposa; la fanciulla commossa non seppe celare al giovane che l'amava, disse che l'avrebbe tenuto con gioia per suo fidanzato, e che la sua riconoscenza per lui sarebbe stata eterna; poi soggiunse con molta tristezza: «Quando vorrai ti seguirò all'altare, perché tu sei il mio signore, ma lasciami per ora la mia libertà di fanciulla; ed in nome del nostro affetto ti prego di non comandarmi ancora d'essere tua moglie, perché vedo ciò che tu non vedi, e so che l'ora in cui saremo uniti sarà anche quella della nostra morte».

Rolf non chiese alla fanciulla il suo segreto e tornò silenziosamente al lavoro. Passò molto tempo, venne il maggio e sulle rive del Baltico si affollavano giovani, donne, fanciulli, in un giorno di festa, in cui le fanciulle usavano d'intrecciare una specie di danza coi loro fidanzati, inoltrandosi alquanto sull'arena, in mezzo all'acqua, mentre fra la tinta cinerea dell'acqua e dell'orizzonte spiccavano i vivi colori dei nastri e dei fiori che portavano sul capo e sulle spalle.

Rolf si avvicinò a Rosa, e la pregò di lasciargli usare del suo diritto di fidanzato, accompagnandola al ballo sulla spiaggia, vicino alle compagne; la fanciulla impallidì e ricusò di seguirlo; Rolf divenne insistente. Poiché Rosa era la sua fidanzata, per qual motivo sarebbe dovuto egli rimanere tristamente in disparte, mentre invece i suoi compagni danzavano con tanta allegria colle fanciulle amate, in mezzo alla schiuma del Baltico? Deciso a non cedere prese per mano la fanciulla e si provò dolcemente a trarla verso il mare, ella prese a piangere e disse finalmente con voce sommessa e tremando il suo segreto:

«Senti, benché io t'abbia dato il cuore non posso ballare con te e mostrare sulla spiaggia che sono la tua fidanzata. Nella notte tempestosa, quando ero sola in mezzo al mare, prima che tu giungessi per salvarmi, vidi un pauroso fantasma, il quale innanzi a me sollevò dall'acqua la testa gigantesca e mi disse: "O Rosa di Seeland, tu sei la mia fidanzata, ed è già pronto nel mare il tuo palazzo di perle e di cristallo. Voglio lasciarti ancora per qualche tempo sulla terra, ma guardati di dare ad altri il cuore, perché sareste perduti entrambi"».

Rolf rise forte nel sentire quelle parole, perché non temeva il gigante del Sund e gli altri spiriti del mare, e parevagli che nessuno avrebbe potuto rapirgli la fidanzata dalle forti braccia. Non curandosi delle lagrime e delle preghiere di Rosa la trasse ancora verso l'acqua, e, come a sfidare il suo invisibile rivale, s'inoltrò sulla sabbia bagnata, passando innanzi alle coppie liete di fidanzati che ballavano.

Allora avvenne un caso meraviglioso; l'acqua del Baltico si agitò alquanto, ed emerse fra le onde una testa spaventevole che aveva gli occhi di fuoco, il volto bianco, ed una corona di serpi di mare, invece di capelli. Una voce diversa da quella degli uomini gridò forte: «Bellissima Rosa, ora sei finalmente la mia sposa!» e due braccia enormi afferrarono i fidanzati che sparvero nel mare insieme coll'orribile gigante del Sund.

La Rosa di Seeland è forse prigioniera da secoli nel suo palazzo di cristallo e di perle, e geme pensando al suo perduto amore. Il suo celeste sorriso non rallegra più la terra danese, ma i marinai non possono dimenticarla, e quando nelle ore di calma la tinta calda del cielo si riflette sulle onde del Baltico essi dicono: «La Rosa di Seeland non ci ha per sempre abbandonati, e danza per noi fra la spuma del mare».

I marinai della Bretagna non hanno conosciuto la bellissima fanciulla danese, e quando all'alba o al tramonto il cielo sereno s'imporpora sul mare tranquillo, non ricordano una pietosa storia d'amore, e dicono semplicemente che il mare è cosparso di rose.

Una nostra leggenda calabrese di Corigliano ricorda pure la triste storia di una bella fanciulla.

Un marinaio viveva colla moglie e con tre figli nella sua casetta presso la spiaggia, e non era pienamente felice perché desiderava con tutta l'anima una bambina, che domandava sempre alla Madonna. La sua preghiera fu esaudita ed una fanciulla di meravigliosa bellezza venne a rallegrare la sua casa. Egli stabilì di darle una ricca dote, ma questo non piaceva ai fratelli della fanciulla che si chiamava Maria.

Essa cresceva in grazia ed in bellezza, aveva sulla fronte lo splendore della modestia e della virtù, ed i giovani del suo paese la guardavano con amore, ma ella non si dava pensiero di loro, ed il solo suo diletto era di andare sulla spiaggia per adornare di fiori una cappelletta della Madonna.

Un giorno, mentre era intenta a mettere garofani e rose sul piccolo altare, ed il sole tramontava sull'orizzonte di porpora, irradiando ancora la spiaggia calabrese ed il mare, un cavallo bianco balzò dall'acqua scintillante, portando in groppa un cavaliere bello come un cherubino, coi biondi capelli fluenti sulle spalle e gli occhi sfavillanti. Maria lo guardò stupita, non sapendo indovinare chi fosse colui che usciva dal mare in modo così meraviglioso. Egli si avvicinò di più alla spiaggia, e con voce dolcissima chiese alla fanciulla in cortesia un po' d'acqua dolce per bere.

Ella, commossa oltre ogni dire dal suono di quella voce, guardò intorno, non sapendo ove trovar subito l'acqua che le veniva chiesta; poi disse timidamente al cavaliere che non vi era acqua dolce in quel sito.

Poiché mancava l'acqua, il cavaliere chiese alla fanciulla se almeno avesse una secchia o altro recipiente dove metterla; ella rispose che aveva una secchia presso la cappella, ed il cavaliere se la fece porgere. In quel momento zampillò dal mare una fontana d'acqua limpidissima, il cavaliere bevette, ringraziò la fanciulla, e spronando il cavallo, che prese a galoppare velocemente sul mare, andò lontano lontano e sparve. Maria lo guardò finché le riuscì di vederlo, poi tornò a casa pensando sempre al bel cavaliere, mentre il cuore le batteva con insolita violenza.

Un'altra volta ancora avvenne la stessa scena sulla spiaggia lambita dall'acqua scintillante del mare Jonio, fra Maria ed il cavaliere; ma dopo che costui ebbe bevuto, prima di andare lontano lontano e di sparire verso l'orizzonte sereno, raccolse un fiore, lo baciò e lo diede alla fanciulla.

I fratelli di costei avevano stabilito d'indurla a non lasciare mai la casa paterna, per non portare ad altri la ricca dote, ed essendo da qualche tempo morti i loro genitori, le fecero vestire l'abito di monaca, senza permetterle di ritirarsi in qualche convento. Forse la fanciulla pianse quando le recisero i capelli d'oro e pensò ancora al bel cavaliere; ma si rassegnò al suo destino.

Un giorno, mentre stava pensosa sulla riva, apparve il cavaliere, uscito sfolgorante dalle onde, e dopo averla chiamata a nome le disse: «Perché non hai più i tuoi capelli d'oro sulle spalle; perché porti la rozza veste delle suore?».

Ella rispose tremando, mentre lagrime ardenti le scendevano sulle guance: «Così vestita non ho più bellezza, i miei capelli biondi sono stati recisi; non mi guardate più, bel cavaliere!».

Unendosi al lieve mormorio dell'onda, fra la calma solenne del cielo e del mare, una voce dolcissima disse:

«Sei bella sempre, Maria, anzi più bella ancora, adesso che hai tanta mestizia sul volto e nello sguardo; chinati verso il mare, specchiati e vedrai se dico il vero».

La fanciulla avrebbe dovuto compiere il suo dovere, fuggendo innanzi alla strana apparizione; invece chinò il capo, come se la vincesse una forza soprannaturale, e non sapendo negarsi a far quanto le chiedeva la cara voce ch'essa amava, si specchiò nel mare. Subito cessò il lieve movimento dell'acqua, ed il mare Jonio parve immobile come il cielo azzurro. Maria scorse in quello specchio terso la sua candida fronte, le guance impallidite, le labbra di corallo; mentre un altro volto si specchiò nell'acqua accanto al suo, senza ch'ella osasse muovere o cessare dal guardare l'immagine gentile riflessa nell'acqua; ed il capo biondo del cavaliere, la sua fronte luminosa, i suoi grandi occhi di fuoco si avvicinarono a lei, finché due labbra toccarono la sua fronte, ed ella non si mosse neppure, accettando il bacio che le veniva dato.

In quel momento avvenne un caso portentoso: innumerevoli fiamme guizzarono sul mare Jonio, salirono verso il cielo, solcarono l'arena intorno alla fanciulla svenuta, mentre una risata squillante, beffarda, terribile, che non partiva da labbra umane, risonò sull'acqua e sulla terra, ed il cavallo bianco del cavaliere prese proporzioni gigantesche, mettendo fiamme dalle narici.

Il cavaliere gli balzò in groppa, la sua bellezza affascinante era sparita, egli aveva aspetto feroce; mandava fiamme dagli occhi, parea vestito di fuoco sul dorso bianco del cavallo, e la sua persona divenuta anche gigantesca dominava il mare. Egli spronò il cavallo che prese, secondo il solito, a galoppare sulle onde, mentre nuove fiamme gli guizzavano fra le zampe ed intorno alla criniera, finché lontano lontano, dove pareva che si unissero cielo e mare, sparve col cavaliere spaventevole.

Questi andò consigliando trista cosa ai fratelli della povera Maria; per un caso che la leggenda non narra seppero quanto era avvenuto ed ebbero paura di colei che amava il diavolo, perché non poteva essere altri il pauroso cavaliere. Di notte, nella casa paterna, uccisero la sorella, e non volendo tenere le ricchezze che le sarebbero toccate, perché le credevano maledette, le misero in una cassetta vicino al suo cadavere.

Prima che il sole sorgesse, scavarono sulla spiaggia una profonda buca nell'arena e vi misero Maria colla cassetta, poi la lasciarono sola vicino all'acqua che mormorava dolcemente. Ma dopo il delitto non ebbero mai pace, e ad uno ad uno si ammalarono. Dopo il primo morì il secondo; quando il terzo fu in fin di vita confidò ad un uomo il suo segreto e quello dei suoi fratelli, poi soggiunse che se egli fosse andato di notte sulla tomba di Maria, conducendo seco una capra, e l'avesse in quel luogo adorata, avrebbe subito potuto avere come cosa sua il tesoro sepolto coll'uccisa.

L'uomo si lasciò più tardi allettare dalla brama della ricchezza, e di notte, avendo seco una capra bianca, andò sulla spiaggia, dove, invece di chieder pace per l'anima della povera Maria, rivolse con voce sacrilega una preghiera alla capra, ma non gli fu dato di avere il tesoro agognato; invece un fulmine lo colpì, le onde si alzarono con furia verso il cielo, e la terra fu scossa da un tremuoto fortissimo.

Forse in quel momento, lontano lontano, nel luogo dove in altri tempi spariva il bel cavaliere biondo, emerse dalla profondità del mare una gigantesca figura sfolgorante nella notte, ed echeggiò sull'acqua e sulla terra un'altra risata sonora, a scherno della fragilità dei poveri mortali; ma la leggenda non fa cenno di questa terribile apparizione.

La figura di Anton da Noli, valoroso navigatore, è ricordata ancora sulla spiaggia della Liguria, e narrasi che egli amava una fanciulla dalla quale era teneramente riamato, ma non poteva sposarla, perché essa apparteneva a nobilissima famiglia, ed egli era figlio di un povero pescatore.

Anton da Noli coll'animo profondamente addolorato lasciò la spiaggia ligure, cercando nuova gloria e nuove terre, ma benché la sua fama crescesse coll'andar del tempo, non gli riusciva di aver la pace in cuore, e pensava sempre alla fanciulla amata.

Un giorno mentre stava sopra un'isola da lui scoperta, una nave fieramente combattuta dalla tempesta si avvicinò alla spiaggia, chiedendo coi segnali pronto soccorso. Anton da Noli riuscì col suo valore a salvare l'equipaggio che si trovava in tanto pericolo; ed è possibile immaginare quale fu la sua gioia, quando vide in mezzo ai naufraghi la fanciulla diletta, e seppe che aveva lasciato la patria per cercar di lui sul mare immenso.

Anton da Noli la ricondusse in Liguria sulla propria nave, ed ella fu accolta dalla sua famiglia con infinita gioia. Suo padre, pensando non ai natali oscuri, ma alla gloria di Anton da Noli, volle che fossero celebrate con molta pompa le sue nozze colla fanciulla amata.

In una leggenda irlandese troviamo che in un villaggio ripetevasi da pescatori ignoranti una strana profezia, la quale diceva che l'unica figlia dell'ultimo lord Kettering, padrone di quella parte dell'Irlanda, non avrebbe avuto altro sposo che il Cavallo bianco; promontorio di forma bizzarra che si avanzava molto nel mare, ad una certa distanza dal villaggio. Harriet Kettering, bellissima fanciulla ed unica figlia dell'ultimo lord Kettering, conosceva la strana predizione, che la faceva ridere di cuore, e stimando impossibile che le fosse destinato per marito un promontorio, avea preferito accettare per fidanzato un giovine lord che l'amava con tutta l'anima.

La gente del villaggio cominciava a perdere la fede cieca avuta sempre in certe antiche tradizioni lasciate dagli avi, poiché era giunto il giorno in cui Harriet doveva sposare il suo fidanzato, e nessuna cosa poteva far supporre che avrebbe invece sposato il Cavallo bianco.

Le nozze dovevano essere celebrate verso sera, ed Harriet volle nel mattino uscire a cavallo per fare una corsa nelle vicinanze del suo castello. Ella montò sulla giumenta chiamata Bella, e non volle essere seguita dal suo groom.

Prima del mezzogiorno arrivarono nel castello di lord Kettering gl'invitati, i quali si stupirono di non vedere la sposa; ma suo padre ed il fidanzato non erano inquieti a cagione della sua assenza, pensando che da un momento all'altro sarebbe tornata.

Passò ancora qualche tempo e la giovane non veniva, in maniera che tutti cominciavano ad essere inquieti, quando la sua vecchia governante entrò nella sala dove erano raccolti i convitati, e disse al padrone piangendo che la fanciulla era stata vista mentre cavalcava in vicinanza del Cavallo bianco, e intanto si avvicinava l'ora dell'alta marea!

Questa notizia era davvero terribile, perché in quell'ora il Cavallo bianco rimaneva isolato come uno scoglio in mezzo all'acqua, e nel rapido avanzarsi di questa, la distesa di sabbia della spiaggia era molto pericolosa, non essendo possibile camminare su di essa senza affondare.

Il povero padre corse subito verso la spiaggia, seguìto dallo sposo atterrito e da tutti gl'invitati. La marea saliva rapidamente, e la sabbia cominciava a non essere più ferma quando lo sposo esclamò: «La veggo, lontano lontano, laggiù!».

Tutti guardarono nella direzione indicata dal giovine e scorsero Harriet, a poca distanza dalla punta, che faceva galoppare Bella verso di essa; allora capirono che le riusciva impossibile di avanzarsi sulla sabbia verso il castello, senza essere travolta dall'acqua minacciosa, ed aveva speranza di salvarsi sulla punta, che non era mai ricoperta dal mare.

Ella si avanzava sempre coraggiosamente, e dopo qualche tempo poté udire le grida dei parenti, degli amici che, impazziti quasi per il dolore, le gridavano di andar innanzi senza paura, di sperare, di spronare Bella verso la punta, e intanto nessuno poteva aiutarla, non essendo possibile di andarle vicino in una barca o camminando sulla sabbia movente!

Harriet era vicina alla punta, e tutti la credevano salva, quando parve che Bella provasse una certa difficoltà nell'andare avanti, ed invano il povero padre ed il fidanzato gridavano: «Coraggio, Harriet, coraggio, avanti!». Bella rimase immobile: l'acqua saliva rapidamente, la sabbia bagnata si moveva sotto i passi della giumenta; non eravi più speranza di salute per Harriet! Essa lo capì, ma fece un ultimo tentativo per costringere Bella a muoversi, perché si chinò a morsicarle l'orecchio; la giumenta a cagione dell'acuto dolore fece uno sforzo violento per balzare verso il Cavallo bianco e non vi riuscì. La coraggiosa fanciulla lasciò cadere le briglie ed il frustino inutili, e si voltò verso la spiaggia dove i suoi cari, vinti dalla disperazione, piangendo la chiamavano a nome, mentre Bella affondava sempre più e nitriva dolorosamente. Poi Harriet cominciò ad essere anche cinta dall'acqua e dalla sabbia; ella tolse il suo capello piumato, lo alzò per mandare ai suoi un estremo saluto e, raccomandando a Dio l'anima sua, scomparve nella sabbia.

L'unica predizione si era avverata, e ancora adesso nel villaggio irlandese dura il ricordo di Harriet, unica figlia dell'ultimo lord Kettering, divenuta la sposa del Cavallo bianco!

Un canto epico dei Finni dice di un'altra fanciulla vittima del mare. Il vecchio eroe, l'impassibile Wäinämöinen passa i giorni nei boschi, ripetendo i suoi canti immortali. Il giovane Joukahainen, il magro garzone della Lapponia, sente parlare del vate divino, e prova contro di lui violenta gelosia. Non ascolta i consigli della madre e vuole combattere il vecchio cantore; parte montato sopra un cavallo dalle narici fiammeggianti, dalle gambe di fuoco, attaccato alla slitta d'oro; fa schioccare la frusta ornata di perle e slanciasi nello spazio.

Dopo breve tempo incontra il runoia eterno, e viene con lui a contesa; è vinto e Wäinämöinen l'immerge in una palude, senza piegarsi ad accettare quanto gli offre per il suo riscatto. Finalmente il giovane dice all'eroe che gli farà sposare sua sorella Aino, purché gli lasci la vita e lo tolga a tanto supplizio.

Il vecchio poeta si allieta nell'udire quella proposta, accetta, e libera il giovane, che torna nella casa paterna, disperato a cagione di quanto è accaduto. Sua madre invece si rallegra, pensando che la propria figlia sarà sposa dell'immortale cantore ma la bella Aino si duole di questo acerbamente. È felice nella casa paterna e non vuole lasciarla; piange pensando che le toccherà nascondere i suoi riccioli di seta, siccome usano le spose in Finlandia.

Aino va nel bosco a raccogliere rami di betulle, e nel tornare a casa incontra il suo fidanzato che le dice: «Per me solo, o fanciulla, e non per altri, devi portare un monile di perle, adornare il tuo petto con una fibbia di metallo, e annodare i tuoi capelli con un nastro di seta».

La fanciulla non vuole adornarsi per il vecchio poeta, gitta a terra nella foresta gli anelli preziosi, la collana di perle che porta al collo, il nastro rosso che le annoda i capelli, e torna a casa piangendo.

Aino piange durante un giorno, durante due giorni, perché è quasi una bambina ancora, ed i suoi hanno stabilito che sarà il sostegno di un vecchio, la gioia dell'uomo decrepito. Ella dice: «Ah! meglio sarebbe stato mandarmi nel fondo del mare, per divenire sorella dei pesci, sarebbe stato meglio per me essere sepolta nel fondo del mare».

Aino vinta dal dolore comincia a percorrere i campi e le paludi, le foreste e gl'immensi deserti, e nella sua corsa vagabonda canta; camminò per un giorno, per due giorni; il terzo il mare svolse innanzi ad essa le sue spiagge coperte di giunchi, e la notte le tolse di continuare a correre, le tenebre la costrinsero a fermarsi.

Aino pianse tutta la sera, pianse finché durò la notte; seduta sopra una pietra, sulla spiaggia del mare immenso. All'alba scorse all'estremità di un capo tre fanciulle che prendevano il bagno; volle raggiungerle, sospese la sua veste ad un pioppo, mise le sue calze sulla nuda terra, le scarpe sopra una pietra, le perle sulla sabbia, gli anelli sugli scogli.

Uno scoglio emergeva dall'acqua, uno scoglio lucente al pari dell'oro. La giovane si gittò nel mare, e nuotando giunse fino allo scoglio sul quale salì; ma questo precipitò nell'abisso traendola seco.

Così sparì la colomba, così morì la povera fanciulla, ella sussurrò scendendo nell'acqua:

«Ero venuta per bagnarmi nel mare, per nuotare nel golfo, ed ecco che sparisco sotto le onde, povera colomba, triste uccello, ucciso da morte prematura. Ah! finché mio padre avrà vita non venga mai a pescare in questo gran golfo... finché mia madre avrà vita non venga più ad attingere in questo gran golfo l'acqua per fare il pane... finché mio fratello avrà vita, non meni più il suo cavallo di battaglia in questo gran golfo... finché vivrà mia sorella, non venga più a lavarsi gli occhi in questo gran golfo.

«Tutte le gocce d'acqua che vi si troveranno, saranno gocce del mio sangue, tutti i suoi pesci lembi della mia carne, tutti i rami sparsi sulla spiaggia frammenti delle mie ossa, tutti i fili d'erba avanzi dei miei capelli».

Questa fu la triste avventura della fanciulla, questa la fine della bella colomba.

Ed ora chi porterà la triste notizia nella casa famosa di Aino? Sarà il lupo o sarà la volpe? No! la lepre porterà la notizia; balzando leggermente sulla terra giunge verso la bella casa di Aino, e fermasi vicino alla porta della stanza del bagno, ove sono tante fanciulle. Esse la minacciano, la lepre dice arditamente che le facciano tutto il male possibile, ma dirà la triste notizia, poiché la fanciulla è caduta nell'acqua, la bella fanciulla colla fibula di stagno, colla cinta di rame, colla benda d'argento. È scomparsa, è discesa nel fondo del mare, sotto le onde immense, per divenire la sorella dei pesci, la parente degli abitanti delle onde.87

Allora la madre di Aino comincia a piangere e dice: «Guardatevi, povere madri, guardatevi in questa vita terrena di cullare le vostre figlie, di nutrire le vostre fanciulle per unirle all'uomo che non avranno scelto, siccome ho fatto».

E la madre piange, le lagrime le scendono dagli occhi azzurri sulle tristi guance.

Una lagrima cade e poi un'altra; dalle sue tristi guance scendono sul suo bel petto.

Una lagrima cade e poi un'altra; dal suo bel petto scendono sulle pieghe sottili delle sue vesti.

Una lagrima cade e poi un'altra; dalle pieghe delle sue vesti scendono sulle sue calze rosse.

Una lagrima cade e poi un'altra; scendono dalle calze rosse sulle scarpe ricamate in oro... finché scorrono sulla terra per il bene della terra; scorrono sull'acqua per il godimento dell'acqua.

Da quelle lagrime scaturiscono tre fiumi, da ogni fiume tre cateratte impetuose come la fiamma, ed in mezzo alle tre cateratte tre isole, sulla spiaggia di ogni isola una montagna d'oro, sulla cima d'ogni montagna tre betulle, stilla cima d'ogni betulla tre cuculi. Questi si misero a cantare.

Il primo disse: «amore, amore».

Il secondo disse: «fidanzato, fidanzato».

Il terzo disse: «gioia, gioia».

Quello che disse: «amore, amore» cantò durante tre mesi per la fanciulla priva d'amore, per colei che riposa nel fondo del mare.

Quello che disse: «fidanzato, fidanzato», cantò durante sei mesi, per il fidanzato privo della sposa.

Quello che disse: «gioia, gioia», cantò per tutta la vita, per la madre priva di gioia, per colei che piange di continuo senza posa.

E la madre d'Aino disse: «Non deve una madre affranta dal dolore ascoltare a lungo il canto del cuculo. Quando il cuculo canta il cuore batte, le lagrime empiono gli occhi, le lagrime scorrono sulle guance, più grosse dei piselli maturi, più gonfie del seme delle fave. La vita è abbreviata, il corpo invecchia, il cuore si spezza, quando ascoltasi il cuculo della primavera!...».

La leggenda napoletana di Maria Stella ricorda una fanciulla morta sulla spiaggia a breve distanza dal palazzo di donna Anna Carafa, creduto da molti palazzo di quella regina Giovanna, vedova del re d'Ungheria, la quale, innanzi al popolo napoletano, ha aspetto quasi simile a quello che ha Madama Cristina in Piemonte; essendo entrambe credute capaci d'ogni delitto, per non lasciar memorie dei loro tristi amori.

Maria Stella amava un bel marinaio chiamato Salvatore; erano fidanzati e dovevano sposarsi fra breve, ma per somma loro sventura, la capricciosa regina discese un giorno sulla marina colla sua corte, vide il giovine che le piacque tanto e volle andasse nel suo palazzo e divenisse il suo barcaiuolo. Egli dovette ubbidire e non ritornò più vicino alla fanciulla amata! Dicesi che era tenuto in una specie di prigionia, e che, essendosi provato a fuggire per tornare presso Maria Stella nel giorno in cui dovevano sposarsi, fu dalla regina punito colla morte. Vi fu pure chi asserì che la regina lo aveva mandato lontano come pilota sopra una nave; in ogni modo Maria Stella non seppe più cosa alcuna del suo fidanzato, e l'aspettò per lungo tempo sulla marina di Posillipo, presso una colonna alla quale i pescatori legavano le barche.

La pioggia cadeva sulla bellissima testa della fanciulla, il vento le sferzava la fronte, il sole le bruciava le guance, ed a nulla valevano le preghiere dei suoi congiunti per indurla a tornare a casa.

A poco a poco ella smarrì la ragione, ed un giorno, mentre aspettava ancora il fidanzato, morì sulla marina di Posillipo.





87 Kalevala, IV runo.



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