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Intorno allo scoglio dei due fratelli, che emerge dal mare vicino all'incantevole punta di Posillipo, narrasi dai marinai napoletani la seguente storia di amore e di dolore. Due fratelli, Carmine e Luigi, pescatori di Posillipo, videro dalla spiaggia una barchetta, che lottava colle onde furenti, finché si ruppe contro gli scogli, e i due giovani si gettarono in mare per dare aiuto ai miseri, che forse si trovavano nella barchetta. Riuscì a Luigi di salvare una fanciulla bellissima chiamata Concetta, ch'egli portò svenuta nella propria casa, ove l'affidò alle cure dei suoi genitori.
La fanciulla, che era rimasta sola al mondo, fu tenuta nella povera casa dei pescatori come figlia e come sorella; e di lei s'invaghirono perdutamente i due giovani. Luigi era preferito da lei, ed entrambi sapevano della passione violenta provata da Carmine, il quale avea qualche volta parlato alla fanciulla delle sue speranze.
Per evitar le sventure che avrebbero potuto accadere se Luigi avesse manifestato altamente il desiderio di sposare Concetta, i due giovani stabilirono di partire insieme in una barchetta per andare a sposarsi in altro luogo, dove non dovessero temere l'ira e la gelosia di Carmine.
In una sera di carnevale Carmine, il quale era sempre mesto e silenzioso, si lasciò indurre ad accompagnare fuori i genitori che volevano, al pari di tutte le famiglie dei marinai di Posillipo, passare un po' di tempo allegramente. Concetta, che portava ancora le vesti nere per la morte del padre, rimase in casa, aspettando Luigi, il quale doveva più tardi, vestito in maschera, andarla a prendere. Tutto era pronto per la fuga, ma Concetta mal si piegava a lasciare in quel modo i suoi benefattori, e Luigi, vedendo che a poco valevano le preghiere, l'indusse colle minacce a seguirlo. Una fanciulla, che vide la scena fra Luigi e Concetta, corse nel sito dove si trovavano i genitori ed il fratello di Luigi, e disse loro che un uomo mascherato avea per forza rapito la giovane.
Carmine non suppose neppure che colui fosse suo fratello, e, furente di gelosia, corse nella propria casa, ove non trovò più Concetta. Correndo sempre andò sulla spiaggia, e vicino allo scoglio fatale, dove erasi rotta la barca di Concetta, ne vide un'altra, in cui gli parve di scorgere un uomo ed una donna. Balzò in una barchetta, che era legata ad un palo vicino alla spiaggia, e remò colla maggior rapidità, per raggiungere coloro che fuggivano.
Nel vedersi inseguito, senza speranza di fuggire all'uomo che si avvicinava con tanta rapidità, Luigi saltò sullo scoglio dove meglio avrebbe potuto sostenere l'assalto di colui che gli pareva nemico: dopo brevi istanti Carmine saltò pure sullo scoglio, tenendo in mano il coltello, e cominciò una lotta tremenda tra i due fratelli, che non potevano riconoscersi, perché entrambi portavano la maschera.
Finalmente Luigi immerse il suo pugnale nel petto di Carmine, che fu colpito a morte; nel cadere ch'egli fece si sciolsero i lacci della maschera, ed il suo volto apparve al fratello atterrito, il quale, pazzo per il dolore, rivolse verso il proprio cuore l'arme fratricida e si uccise. Concetta si fece suora, e dopo la morte dei due fratelli nessun pescatore osò più avvicinarsi allo scoglio fatale. Si narrò che di notte le anime dolenti di Carmine e di Luigi andavano vagando sulla spiaggia, gemendo senza posa.
Lo scoglio si spaccò, essendo roso nel mezzo dalle onde, e formò due scogli isolati. I vecchi marinai dimoranti sulla spiaggia affermano che intorno ad essi l'acqua bolliva, e che nel giorno di San Pietro mutavano entrambi posizione. Per allontanare i fantasmi fu eretta una chiesa a San Pietro.88
Al pari di molti altri popoli gli Arabi hanno anche infinite leggende intorno a certi tesori nascosti nella terra, nelle caverne, in luoghi selvaggi e deserti, e sventuratamente anche nelle tombe e nei monumenti antichi, la qual cosa li ha indotti a distruggere tante preziose reliquie del passato. Stranissime sono le leggende che narrano accennando a certe rovine dette «la tomba della cristiana», la quale fu nel 1555 presa a cannonate dal pascià d'Algeri, Salah Raïs, che tentò inutilmente d'impadronirsi dei tesori che essa, secondo la credenza popolare, racchiude. Ma non è qui il caso di narrare quelle leggende, e dirò invece del Capo Matifù, che, per via di terra, trovasi a 27 chilometri da Algeri.
Visto dalle alture di Algeri quel Capo sembra, specialmente verso l'imbrunire, un animale fantastico, una specie di lucertola che s'inoltri nel mare. All'estremità di quel Capo i corsari d'Algeri spiavano il passaggio delle navi per dare ad esse la caccia o farle arenare, usando di notte falsi segnali, e derubarle. Presso il Capo Matifù venne annientata nel 1541 la flotta di Carlo V, intorno alla quale narrai altra leggenda.
Dicesi che le rovine romane di Rusgania sul Capo Matifù racchiudono meravigliosi tesori. Circa trent'anni or sono un taleb marocchino, accompagnato da tre algerini, andò in cerca di quei tesori. Uno dei suoi compagni fece più tardi lo strano racconto che segue, dicendo: «Abbiam trovato vicino al mare l'entrata di un sotterraneo, nel sito che ci era stato indicato. Dopo aver, secondo l'usanza, bruciato profumi, siamo entrati in un sepolcro, dal quale siamo passati in un secondo e finalmente in un terzo. In questo abbiamo visto tre vasche, una era piena di mercurio, l'altra di acqua bollente, la terza di monete d'oro. Su questa pendeva una lunga spada, tenuta da un filo così sottile, che non era possibile vederlo. Dopo aver fatto le fumicazioni e gli scongiuri necessarii, il taleb volle prendere le monete d'oro; ma la vasca piena d'acqua bollente lanciò sulla sua persona tanti getti d'acqua ch'egli fu scottato in modo orrendo; ed ora non è guarito ancora perfettamente».
I compagni del taleb pensarono che nel primo tentativo fatto per trovare il tesoro, avessero dimenticato qualche scongiuro importante, e ritentarono la prova; ma nel momento in cui avanzarono le mani verso le monete d'oro, un fiume scaturì dalla terra e cominciò a scorrere fra le loro persone e il tesoro, in maniera che dovettero andarsene senz'averlo toccato.
Essi pensarono che per riuscire nel loro intento fosse necessaria la presenza di un cristiano, e si rivolsero ad un membro della società storica algerina. Costui ricusò, e ancora adesso il tesoro trovasi nella caverna del Capo Matifù.89 Una leggenda, la quale non è che una variante dei celebri racconti in cui parlasi dei sette dormienti, dice che questi trovansi in una grotta vicino al tesoro del Capo Matifù.
Una nostra leggenda nota in Finalmarina dice che un principe passeggiava fra gli scogli sulla riva del mare, e aveva intorno ai fianchi un nastro ricamato dalla fanciulla che egli amava. Il vento scortese portò via il nastro, che andò a cadere lontano sulle onde azzurre del Tirreno. Il povero principe era disperato, ma un marinaio, il quale pescava colla canna, ed era seduto sopra uno scoglio vicino, vide quanto era accaduto, si tuffò nel mare, giunse a prendere il nastro e lo portò al principe. Questi si rallegrò assai e disse al pescatore: «Chiedimi ciò che vuoi e l'avrai».
Il pescatore domandò di essere il solo, che potesse pescare dall'alto dello scoglio, sul quale era seduto prima di andare a prendere il nastro, ed il principe fece quanto egli desiderava. Il pescatore chiamavasi Mombrino, ed il suo scoglio favorito, più alto di quelli che lo circondano, porta ancora adesso il suo nome.
Dicesi che il Drowning Stol, roccia sulla costa della Norvegia, era il trono della regina del mare, che avea per costume di sedersi su di esso, pettinando la sua bella chioma, come la Loreley del Reno, e favoriva i naviganti.90
Victor Hugo dice che i marinai di Guernesey credevano che San Maclodio vivesse sopra una larga roccia chiamata Ortach, presso Les Casquets, ed avevano per costume d'inginocchiarsi passandole innanzi.
Una leggenda sorrentina dice che, verso la metà del XVIII secolo, un gentiluomo della nobil casa Marsati discese dai colli di Fontanella, e si diresse verso la marina di Cassano, dove s'imbarcò sopra un brigantino che salpava per la Calabria, e che era comandato da un certo Giuseppe Amalfi. Questi aveva un figliuoletto di dieci anni che mostrava grande amore per il disegno.
Il gentiluomo sorrentino prese a proteggere il ragazzo, e l'affidò in Napoli a Sebastiano Conca detto il Gaetano, il quale era valoroso pittore e gl'insegnò l'arte sua. L'Amalfi acquistò presto fama, e dopo diverse vicende andò in Sorrento, ove incontrò un certo Luigi Blower, il quale gli si mostrò amico sincero ed amorevole, ma lo invidiava assai e cercava di nuocergli.
Carlo ebbe incarico di fare un quadro per una basilica, Luigi si adoperò con molta scaltrezza per ottenere che lo stesso incarico fosse invece dato a lui, e non più all'Amalfi. Costui conobbe allora la perfidia del falso amico, e dopo averne ricevuto altre prove divisò di vendicarsi; finse di dimenticare le offese che gli avevan dato tanto dolore, e prese il costume di andar con Luigi in una barchetta sul bellissimo mare di Sorrento.
Una sera, mentre erano in barca, si alzò in un attimo un forte vento, ed una tempesta violenta cominciò a sconvolgere le onde. Parve ai due giovani che sarebbero stati salvi se fosse riuscito loro di giungere allo scoglio del Verevere, dove avrebbero potuto aspettare che il mare fosse calmo. Quando vi furono proprio vicino Luigi fu il primo a saltarvi su; allora Carlo Amalfi, che era rimasto nella barca, si allontanò prontamente dallo scoglio gridando: «Rimani pure, ribaldo, sul Verevere, per meditare su tutto il male che mi hai fatto».
La tempesta durò a lungo e gli abitanti delle marine di Puolo e del Capo dissero che nella notte molti spiriti infernali erano discesi sul Verevere, insieme con uccelli giganteschi, serpenti, foche e mostri marini; ululando in modo spaventevole. Dopo quella notte il marinaio che passava innanzi allo scoglio del Verevere vogava più rapidamente, vinto da paura, e segnavasi con divozione.
Carlo Amalfi non voleva che Luigi morisse, essendo abbandonato sullo scoglio; era solo stato suo desiderio che provasse una gran paura, ed appena spuntò l'alba si accostò al Verevere colla sua barchetta, ma non gli fu possibile di ritrovare su di esso Luigi. Dopo molti anni Carlo, che provava sempre un acuto rimorso, pensando a colui che credeva annegato per sua colpa, si ammalò in Nocera assai gravemente, ed un padre dei cappuccini di Sant'Andrea fu chiamato per assisterlo. Si può intendere come fu intensa la gioia di Carlo quando riconobbe nel cappuccino Luigi, che era stato raccolto da una barca di Procida, nella notte spaventevole in cui si credeva perduto sul Verevere, ed avea più tardi pensato di abbandonare il mondo. Entrambi si perdonarono le colpe passate e Carlo morì in pace; ma non furono dimenticate così presto le favole narrate intorno al Verevere, e per lungo tempo ancora si disse che all'imbrunire si partivano da quello scoglio gemiti e grida di dolore.91
Altra leggenda dice che le Sirene furono mutate in rocce presso Sorrento dove si trovano ancora.
Non mancano neppure molte leggende intorno alle montagne, alle rupi, agli scogli di calamita, che attraggono in modo irresistibile le navi e le barche, e sono credute cagione della loro perdita. Le irregolarità che si notavano in certi casi nei movimenti dell'ago magnetico della bussola, furono in altri tempi cagione di grande terrore per i marinai, e quando i compagni di Cristoforo Colombo si accorsero di una di queste variazioni si credettero perduti. Si disse che erano cagionate dalla vicinanza di una di queste rupi o montagne di calamita; intorno alle quali, secondo la credenza popolare, vedevansi molti pesci morti. Le navi dovevano rompersi inevitabilmente contro di esse.
In una leggenda medioevale dicesi che Ogieri il Danese trovavasi con mille cavalieri sopra una nave che fece naufragio; egli si salvò coi compagni sulle barche, ma anche queste naufragarono nell'isola di Avalon attratte da una montagna di calamita. Questa leggenda è forse compresa nel testo che trovasi al Museo Britannico, in cui dicesi delle «Enfances Ogier» e dei loro viaggi in Inghilterra ed in Palestina.92
In un canto dell'Edda scandinava, che ha per soggetto il lamento di Gudruna, dicesi che una flotta danese è costretta a fermarsi sul mare perché viene attratta da uno scoglio chiamato Gyfers.
Vi sono anche altre leggende in cui si parla di persone o di case trasformate in rocce e scogli, siccome già accadde alla nave dei Feaci, mutata in un sasso che aveva sembianze di naviglio. Presso le coste della Cornovaglia due scogli sono chiamati il Parroco ed il suo sagrestano. Altre leggende della Cornovaglia dicono che se qualcuno si avvicinasse ad uno scoglio chiamato Ness, vicino a Westray Firth, portando seco qualche oggetto di ferro, sarebbe offeso dalle onde finché non gittasse lontano il ferro.
Altri scogli furono pur creduti dimore o troni di spiriti malvagi.
Il suono delle campane, il quale, secondo certe credenze popolari, può allontanare i temporali che minacciano le città ed i villaggi, ha invece il potere di suscitare le burrasche sul mare, o avverte i marinai di un pericolo imminente. Presso Samland, in Germania, il Rufen, suono di una certa campana, obbliga il mare a restituire gli annegati. Molte campane appartenenti alle chiese di Guernesey caddero in mare mentre erano portate in Francia, dovendo servire per pagare un tributo; ora dicono i pescatori di Saint Ouen che suonano prima di un temporale, e quando par loro di udirle non vanno in alto mare.
La leggenda della nave di Tintagels in Cornovaglia dice che una nave era giunta nel porto, ed aveva a bordo delle campane; sonò il vespro ed il pilota ringraziò Iddio del felice viaggio che avea concesso alla nave, il capitano lo schernì e la nave si sommerse; ora quando imperversa una burrasca, le campane che sono rimaste nel fondo del mare suonano.
Una leggenda dell'isola di Heligoland ricorda che una campana unita ad un crocifisso fu trovata sopra una spiaggia, dopo una burrasca venuta dall'est. Quando si desiderava che il vento soffiasse da quella parte bastava andare in chiesa, e pregare innanzi al crocifisso, perché il vento soffiasse durante tre giorni.93
Presso Hartington in Inghilterra narrasi che un capitano, il quale faceva il traffico degli schiavi, partì un giorno mentre sonavano le campane di Natale, e guadagnò tesori col suo commercio abbominevole; al suo ritorno egli entrava in porto col vento favorevole, e di nuovo sonavano allegramente le campane per la festa di Natale; i marinai si affrettavano a tirar le reti sulle spiagge, per andar nelle proprie case, e prepararsi a festeggiare quel santo giorno, ma il capitano maledetto colla sua ciurma non poté scendere a terra, perché il vento si mutò, e mentre le campane continuavano a sonare a distesa, il bastimento si ruppe contro gli scogli.
Un vascello che portava le campane per la chiesa di San Davide nel Pembrokeshire affondò, e dicesi che odesi ancora il suono delle campane che stanno sott'acqua.
In una ballata di Southey dicesi che sir Ralph, il pirata, prese le campane che un buon abate avea poste sullo scoglio chiamato Inchcape, per dare avviso ai naviganti di qualche pericolo. Più tardi naufragò in quel luogo istesso, perché non vi erano più le campane, e fra i terrori della morte, parve al pirata di udire un suono che lo atterrì, come se il diavolo sonasse per lui nell'ora dell'agonia le campane di Inchcape.
In Italia una leggenda di Cammarana dice che i Saraceni saccheggiarono la città e portarono via una campana e l'immagine della Vergine; ma la loro nave si perdette, e adesso la campana suona ancora sotto le onde, nell'anniversario di quel giorno. Le campane di una chiesa svedese che bruciò caddero nel mare, e fu solo possibile di riprenderle invocando la Vergine e Sant'Olaf.
Dicesi pure che San Pol de Leon permise ad una campana d'argento, della quale voleva impossessarsi un lord, di navigare fino alle spiagge d'Inghilterra; altre campane compirono pure viaggi meravigliosi sul mare.
Un'altra leggenda in cui dicesi di una campana e dei Saraceni narrasi in Sorrento. In tempi non ancora lontanissimi usavano gli abitanti di Massa, di Termini, di Montecchio e della Nunziatella di andare ogni anno il 14 febbraio, quando ricorreva la festa di Sant'Antonino, patrono della penisola Sorrentina, in pellegrinaggio, cantando, fino alla punta della Campanella, e dicevasi che in quel giorno venivano dal fondo del mare i rintocchi di una campana i quali risonavano più distintamente se le onde erano agitate.
La storia di questa campana va unita a quella tristissima dell'invasione dei Saraceni, che fecero nel 1558 danni infiniti in Sorrento. Per tradimento di uno schiavo chiamato Ferdinando, il quale apparteneva ai Correale, che aveva ottenuto dai re Aragonesi il privilegio di custodire le quattro porte di Sorrento, furono aperte ai Saraceni quella della Marina grande e l'altra di Capo di Cervo.
Gl'infedeli entrati di notte in Sorrento vi passarono anche un'intera giornata, rovinando le case, i conventi, le chiese, e colla solita ferocia fecero strage degli abitanti; poi quando verso sera ritornarono sulle navi, carichi di bottino, e trascinando seco gl'infelici Sorrentini fatti prigionieri, portarono anche via la campana maggiore della chiesa di Sant'Antonino.
Quando le navi barbaresche si allontanarono da Sorrento, e giunsero presso la punta della Campanella, quella che aveva a bordo la campana di Sant'Antonino rimase immobile, e non fu possibile che seguisse le altre. «Narrasi ancora che ritentata la rotta col variar di manovre e di bordate, mentre la nave si mostrava obbediente e cedevole in ogni altro sito, giunta in quel punto rimaneva immobile, non altrimenti di come fosse trattenuta da un ostacolo sottomarino o da una forza soprannaturale».
Finalmente mentre le altre navi si allontanavano con rapidità, i Saraceni, rimasti come abbandonati su quella che non poteva oltrepassare il Capo, decisero di alleggerirla di una parte del grave suo carico, e cominciarono col gittar la campana nel mare. Appena questa cadde fra le onde, la galera turca poté andare innanzi velocemente, e raggiungere le altre lungi da Sorrento.
Dicesi ancora che per moltissimi anni, quando ricorreva la festa di Sant'Antonino, essa sonava allegramente, e correvano i devoti fino al Capo per udirla.94