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Qualche volta appaiono sugli oceani e sui mari, per effetto del miraggio, certe isole bellissime, coperte di ricca vegetazione, sulle quali si alzano città ridenti, immagini di città reali e lontane. Altre volte le isole, emerse come per opera delle fate innanzi ai marinai, sono aride e selvagge, hanno aspetto soprannaturale, e par che si agiti su di esse un popolo strano di mostri e di fantasmi.
Nelle regioni nordiche il miraggio dà origine più che altrove ad apparizioni meravigliose, e questo avviene per certe cause fisiche intorno alle quali non è qui il caso di discorrere. A cagione del fenomeno strano, gli ammassi di ghiaccio prendono forme bizzarre, ed il Flammarion ci dice che molte volte, sui mari polari, l'ammiraglio Wrangell ed i suoi marinai credettero di vedere catene di montagne azzurrine; dai contorni distinti, in mezzo alle quali si scorgevano valli profonde; ma quando si avvicinavano a quella terra così ardentemente desiderata, questa mutava aspetto o spariva, ed essi avevano di nuovo intorno la solitudine paurosa ed il mistero.
Il viaggiatore Hayes navigava sull'Oceano polare nell'estate, mentre il sole mandava una luce abbagliante sull'acqua, dove galleggiavano ancora ammassi enormi di ghiaccio. Passavano le foche, i narvali e le balene innanzi alle splendide tinte verdi del ghiaccio, quando, per un effetto strano del miraggio, certi oggetti che stavano realmente a molta distanza dalla nave, si avvicinavano ad essa o rimanevano sospesi in aria, mutando sempre forma. Rupi di ghiaccio, coste e montagne apparivano in lontananza, anch'esse avevano contorni spiccati, ed in un momento si alzavano o si abbassavano, secondo che il vento agitava l'atmosfera. Quelle rapide apparizioni avevano aspetto strano, e tutte le figure che si possono immaginare spiccavano sull'orizzonte. Un campanile acuminato slanciavasi nell'aria, poi prendeva forma umana o si mutava in croce, in pugnale, in altro oggetto, finché spariva, ed al suo posto l'ombra di un iceberg appariva in forma di fortezza. I campi di ghiaccio prendevano aspetto di pianure coperte d'alberi e d'animali, poi sparivano anch'essi e vedevasi una lunga fila d'orsi, di cani, d'uccelli, d'uomini danzanti nell'aria, o che balzavano dal mare verso il cielo, mentre un fantasma seguiva l'altro nella ridda fantastica, e spariva a sua volta con rapidità.
Questi effetti strani del miraggio, l'ignoranza di genti antiche e medioevali intorno a certi fenomeni della natura ed all'aspetto reale della terra, le credenze religiose dei popoli diversi intorno alle remote dimore degli spiriti e delle anime, hanno dato in parte origine a molte leggende in cui si dice di isole misteriose bellissime o spaventevoli, credute dimore di santi o di demoni, di angeli o di spiriti bizzarri, di giganti o di nani mostruosi, di fate o di dannati sulle quali, secondo le credenze di molte genti, vissute in secoli diversi, si poteva anche trovare la dimora delle anime dei pagani o dei cristiani, l'Eliso o l'Inferno, il Purgatorio o il Paradiso terrestre; e dove vanno ad approdare, dopo lunga navigazione sui mari e sugli oceani, le barche ed i lugubri vascelli dei morti e dei fantasmi.
Anche le tradizioni che ricordavano antiche terre sparite fra le onde o emerse dal mare e sparite di nuovo, diedero origine a molte leggende intorno a continenti ed isole misteriosi, e vanno notate specialmente quelle in cui si disse dell'Atlantide e della Friselanda.
Molto si discusse sull'Atlantide di Platone, dove, come sulla Merope di Teopompo, gli uomini erano esenti dai mali che affliggono in altre regioni i miseri mortali; ma per non allontanarmi troppo dall'argomento principale di questo studio, dirò di essa brevemente, notando che vi è chi, avvalendosi delle oscure notizie che ne diedero gli antichi, si è provato a descriverla, e giunge ad affermare che formava non solo un ponte fra il Nuovo mondo e l'Europa, ma che era abitata da un popolo coltissimo, e che fu la culla della civiltà.95
Credo che sarà impossibile di trovar prove certe di questa civiltà, ma si può affermare che fra l'Europa e l'America rimasero le tracce di un cataclisma che non era antichissimo; e certi navigatori parlarono di campi immensi coperti di erbe marine e di scogli, i quali rendevano molto difficile la navigazione sull'Atlantico. Ora sono in gran parte spariti, come a darci la prova che il fondo di quell'oceano si è di molto abbassato nella parte dove si trovava il mare di fango, del quale parlano i poeti del Medioevo.
Non manca neppure chi vuole che l'Atlantide sia stata una grande isola, che si trovava in posizione molto diversa, ed afferma che, alcuni secoli prima di Omero, un gran mare univa il Baltico, l'Oceano glaciale ed il Caspio: esso penetrava nella Tartaria, si univa alle paludi della Polonia, e bagnava le falde dei Carpazi. Le colonne d'Ercole sarebbero state non già verso lo stretto di Gibilterra, ma invece presso il Bosforo; e innanzi ad esse si trovava l'Atlantide, che forse occupava il luogo dove si vede ora l'immensa laguna, chiamata mare putrido, che dipende dal mare d'Azof.
In quell'Atlantide si trovava, in un impero fiorente, l'Atene di cui parlano Platone, Strabone e Pausania. Le quattro province dell'Inferno, fra le quali si notavano l'Erebo, il Tartaro ed i Campi Elisi, erano quattro isole del gruppo di cui faceva parte l'Atlantide, e che esistono ancora, dipendendo dalla penisola di Taman.96
In questo racconto intorno alla posizione dell'antica Atlantide, par di ritrovare le stranezze di certe leggende popolari, e forse si attiene al vero chi crede invece che nell'Oceano Atlantico si trovasse il continente, dove par che venissero gli uomini ad avere sotto re possenti una grande civiltà.
Si disse pure l'Atlantide divisa in sette isole, una delle quali era consacrata a Plutone, un'altra ad Ammone ed una al vecchio Poseidone; altri disse che le isole dell'Atlantide erano dieci, governate dai figli di Nettuno; altri ancora che era un'isola sola, non lungi dalle colonne d'Ercole, la quale fu sconvolta da violenti terremoti, e dopo un giorno ed una notte di pioggia continua affondò nell'Oceano.
Se è possibile mettere in dubbio l'esistenza dell'Atlantide, o avere opinioni diverse intorno alla sua posizione, non si può invece negare che vi sia stata ancora nel XVI secolo, al sud dell'Islanda, una grande isola chiamata Friselanda di cui non resta più traccia. Parlarono di essa parecchi navigatori italiani, e marinai appartenenti ad altre nazioni. Dicevasi che era grande come le isole britanniche.
Al pari della grande Atlantide e della Friselanda, altre isole minori di importanza sparvero fra le acque degli oceani e dei mari.
Una delle leggende più antiche in cui si dica di un'isola misteriosa è certamente quella egiziana, trovata a Pietroburgo in un papiro, scritto con lingua chiara ed elegante, e che nel 1880 non era stato ancora svolto.97 Essa fa parte di quella strana letteratura romantica dell'Egitto dei Faraoni, scoperta recentemente, e della quale ho già fatto cenno, in cui trovansi novelle, narrazioni di lontani viaggi e racconti popolari, che sono le reliquie più antiche di questo genere di letteratura, poiché l'India non ne possiede che abbiano antichità pari a quelli raccolti su certi papiri, che sono certamente copia di papiri più antichi, e la Caldea, che sola possiede monumenti contemporanei a quelli dell'antico Egitto, non ci ha dato ancora un solo romanzo.
I Greci ed i Latini affermarono che gli Egiziani dicevano il mare impuro, e che nessuno di essi navigava per propria volontà. I moderni finirono col credere che gli antichi Egiziani non ebbero né marina nazionale né marinai indigeni, ed il viaggio di esplorazione della regina Hâtshopsiton, le vittorie navali di Ramses III sarebbero opera di Fenicii, che combattevano navigando sotto le insegne egiziane. Invece la novella marinaresca in cui si parla dell'isola misteriosa, dice di marinai egiziani, i quali andavano in cerca di profumi dell'Arabia.
Non è qui il caso di riassumere tutto il romanzo egiziano, e dirò soltanto le cose principali che in esso si riferiscono al mare. Dopo un lungo viaggio la prora della nave egiziana, che era andata in alto mare, tocca le spiagge della patria. Tutti si rallegrano e si baciano perché non manca un solo uomo della ciurma, benché tornino da lontana regione, dopo un viaggio pericoloso.
Pare che i marinai egiziani menino vanto di essere giunti, seguendo il corso del Nilo, fino al grande mare nel quale si credeva che avesse quel fiume la foce, dopo essere disceso dal cielo per bagnare l'Egitto.
Si direbbe che i lieti marinai abbiano per via raccolto un povero naufrago, poiché trovasi nel romanzo, subito dopo la narrazione del felice ritorno, lo strano racconto di un uomo, il quale ha sofferto grandi sventure e visto un'isola meravigliosa. Egli era partito sopra una nave che aveva proporzioni favolose, se tiensi conto della grandezza reale dei bastimenti egiziani, e che possiamo annoverare fra i vascelli leggendari ricordati nei racconti popolari di molte genti. Su di essa stavano 150 marinai, scelti fra i migliori dell'Egitto, che avevano già visto il cielo e la terra, ed avevano il cuore forte come quello dei leoni. Era stato predetto che il vento non sarebbe divenuto contrario, anzi che non vi sarebbe stato vento; ma cominciò ad imperversare una burrasca mentre erano al largo, e quando la nave si avvicinò alla terra le onde furiose si sollevarono molto. Tutti quelli che erano nella barca perirono, eccetto un sol marinaio che si attaccò ad un pezzo di legno, e fu da un'ondata gittato in un'isola, «dove passò tre giorni colla sola compagnia del proprio cuore».
Egli si coricò in mezzo ad una macchia e l'ombra lo ravvolse, «poi mise le sue gambe alla ricerca di qualche cosa per la bocca». Trovò fichi ed uva, ogni specie di ottimi legumi, bacche e semi, melloni, pesci ed uccelli, e finalmente, dopo avere scavato un fosso, accese il fuoco ed eresse un rogo in onore degli dei.
«In quel momento», dice l'egiziano, «udii un rombo simile a quello del tuono, e credetti che venisse da un'ondata del mare: gli alberi fremettero, la terra tremò, io scoprii il mio volto e vidi che si avvicinava un serpente, il quale aveva cento cubiti di lunghezza, e la sua barba era lunga due cubiti; il suo corpo era come intarsiato d'oro ed aveva il colore del lapislazzuli. Si drizzò in faccia a me, aprì la bocca, mentr'ero prostrato innanzi a lui e mi disse: "Chi ti ha condotto, chi ti ha condotto, piccino, chi ti ha condotto? se tardi a dirmi chi ti ha condotto in quest'isola, ti farò conoscere che sei una cosa dappoco; diverrai invisibile come una fiamma (?) o mi dirai qualche cosa che io non abbia ancora udita, e che ignoravo prima di te". Poi il serpente mi prese nella sua bocca, mi portò nella sua tana dove mi depose senza farmi alcun male».
Il marinaio racconta le sue sventure, e la morte dei suoi compagni al serpente, il quale gli dice:
«Non temere, piccino, non temere; che il tuo viso non si attristi. Sei venuto presso di me perché il dio ti ha lasciato vivere; egli ti ha condotto in quest'isola98 dove nulla manca e trovasi ogni buona cosa. Tu passerai qui un mese dopo l'altro, finché siano trascorsi quattro mesi; poi giungerà una nave del tuo paese con dei marinai; potrai andare con loro verso il tuo paese e morirai nella tua città. Il discorrere rallegra: chi si compiace del discorrere sopporta la sventura, voglio per questo dirti ciò che vi è in quest'isola. Io vi dimoro coi miei fratelli ed i miei figli, e siamo 75 fra serpi, ragazzi e persone della famiglia, senza contare una fanciulla che mi era stata condotta dalla fortuna, e sulla quale cadde il fuoco del cielo che la ridusse in cenere.
«Se tu sarai forte, e se il tuo cuore sarà paziente, stringerai i tuoi figli sul tuo petto, abbraccerai tua moglie, rivedrai la tua casa, che è migliore di ogni altra casa, e ti troverai fra la gente della tua famiglia».
Il marinaio s'inchina innanzi al serpente cortese e gli promette di descriverlo al Faraone, al quale farà conoscere anche la sua potenza. Gli farà portare del belletto e del profumo d'acclamazione, specie d'olio che offrivasi nei sacrifizii agli dei ed ai morti, avrà per lui incenso e pomate; gli saranno mandati ringraziamenti innanzi al popolo raccolto, ucciderà per lui parecchi asini, piumerà per lui degli uccelli, e gli farà condurre delle navi cariche di tutte le meraviglie dell'Egitto, siccome si deve fare per un dio amico degli uomini, in un paese così lontano, che gli uomini non conoscono.
Il serpente sorride nel sentire quelle promesse, e dice al marinaio che questi non possiede ricche essenze, poiché tutto ciò che gli ha promesso non è altro che incenso, mentre invece egli è padrone del paese di Pounit, ricco in profumi. Il solo profumo d'acclamazione non vi è abbondante, ma appena il marinaio si allontanerà dall'isola questa sparirà in mezzo alle onde.
Secondo la predizione una nave egiziana si accosta all'isola misteriosa. Il marinaio avventurato sale sopra un albero altissimo per vedere se può discernere quelli che vi stanno dentro, e poi corre a dare l'annunzio di quell'arrivo al serpente, il quale ne è già informato e gli augura buon viaggio.
Il marinaio si prostra innanzi al suo benefattore, che gli regala molti profumi e mille cose preziose, e gli predice di nuovo che fra due mesi tornerà nel suo paese, stringerà sul petto i suoi figliuoli e riposerà più tardi nella sua tomba. Dopo aver udito quelle confortanti parole, il marinaio scende sulla riva, si appressa alla nave, chiama i marinai, e prima di partire ringrazia di nuovo il padrone dell'isola e gli altri suoi abitanti.99
Il Golinischeff nota giustamente una certa somiglianza fra questo racconto egiziano e quello di Sindbad il marinaio; solo avviene che i serpenti incontrati da costui non sono cortesi e buoni come il serpente egiziano; ma il professor Maspero non crede che si possa a cagione di quella somiglianza pensare che abbiamo una versione egiziana del racconto di Sindbad, poiché sono numerosissimi i racconti di viaggi meravigliosi narrati dai marinai, nei quali si fa cenno della burrasca, del naufragio e dell'isola abitata da mostri. Per questo motivo il borghese del Cairo che scrisse i sette viaggi di Sindbad poté trovare argomento al suo dire senza curarsi d'imitar antichissimi racconti. Bastava che conoscesse le opere del medioevo egiziano, ed ascoltasse i racconti dei marinai e dei mercanti venuti da lontani paesi.
Il Maspero ritiene pure che l'isola sulla quale è gittato dalla tempesta il marinaio sia una terra favolosa, poiché essa si dissolve e sparisce in mezzo alle onde, e non è molto dissimile da quelle isole incantate che i marinai del Medioevo scorgevano in lontananza, e che sparivano innanzi ad essi. Anzi essa potrebbe essere l'isola abitata dalle anime dei morti, simile in qualche modo alle isole Fortunate di cui tanto si parlò nell'antichità e nel Medioevo; ed è probabile che il serpente sia custode delle anime dei morti, poiché si disse che le anime erano custodite dai serpenti.
Secondo certe credenze degli Egiziani, che hanno tanta somiglianza con quelle degli antichi Aztechi, delle quali tratterò in altro lavoro, un'anima non poteva giungere nell'altro mondo che dopo un lungo viaggio. Nel giorno delle esequie fatte ad un morto, l'anima sua imbarcavasi sul Nilo e andava all'ovest di Abido, dove si apriva la Bocca della fessura, per darle il mezzo di uscire dalla terra. Ella dirigeva la sua nave colle vele spiegate verso il mare misterioso d'Occidente, senza dire quale fosse la meta del suo viaggio. Chiede il Maspero se la credenza nel mare d'Occidente era una semplice immagine mitologica o un ricordo confuso dell'epoca lontanissima in cui i bassi fondi del deserto libico, chiamati ora i Bahr belâma (fiumi senz'acqua) non erano ancora disseccati e formavano come una corona di laghi e di paludi intorno alla valle del Nilo. In ogni modo la leggenda egiziana è, a quanto sembra, la prima in cui dicesi che un vivo va impunemente nella regione dei morti; e se veramente l'isola dove dimora il serpente è la terra dei morti, parmi che si potrebbe trovare nel marinaio egiziano il primo precursore della Divina Commedia.
Forse vi è una certa relazione fra quest'isola e quella dei Beati, descritta da Esiodo, al di là del profondo Oceano, dove tre volte all'anno la terra dava i suoi frutti, e si raccolsero le anime dei guerrieri che avevano combattuto sotto le mura di Troia per la bella Elena.
Al di là dell'Atlantide si trovava non solo la dimora del vecchio Crono, ma anche il Paradiso dei Celti, che doveva essere un'isola meravigliosa; e secondo certe tradizioni molti arditi eroi celti e gaelici avrebbero sfidato i pericoli del mare tenebroso per cercarla. Gweir, Pwyl, Pryderi, il bardo Taliessin, il re Gafran ab-Aeddan coi suoi compagni, il mago Merlino ed il re Artù dei poemi cavallereschi, coi nove bardi sapienti; Condla il Rosso, Fionn Mac-Curnhail, Cuculain ed altri, giunsero alla Grande terra, alla Grande spiaggia, all'Isola degli eroi, alla Terra dei viventi, alla Terra dei giovani, alla Pianura delle delizie dove si trovavano il Dintsid, collina fortificata, ed il Caer Sidi, fortezza delle fate. Essi erano guidati da esseri soprannaturali verso quelle regioni beate, dove i mortali non avrebbero potuto giungere senza il loro aiuto. Vi è chi si adopera con molta dottrina per farci trovare in queste terre, che possiamo dire mitiche, l'America lontana, la quale sarebbe stata in relazione coi Celti! ma non sono esse invece semplicemente le regioni misteriose abitate dalle anime?
Si vorrebbe anche provare che l'Islanda, l'ultima Thule degli antichi, fosse pure la famosa isola di Crono, dove Giove trasportava le anime dei beati. In quest'isola andavano audaci naviganti, che dovevano passarvi tredici anni sacrificando agli dei; ma la maggior parte non la lasciavano più, poiché senza che lavorassero erano provveduti di ogni cosa per vivere fra gli agi e la pace, mentre studiavano le lettere e la filosofia.
Dice Plutarco: «alcuni di quelli che volevano abbandonarla furono trattenuti dal suo genio, che mostrasi ad essi come se fossero suoi familiari ed amici. E non è soltanto col mezzo dei sogni e degli augurii che gli abitanti di quell'isola sono in relazione coi genii; li vedono direttamente e li sentono. Crono è chiuso in un antro profondo100 dove Giove lo tiene legato dal sonno. Egli dorme sopra una rupe lucente come l'oro, in cima alla quale gli uccelli vengono volando e portano l'ambrosia. Da quella rupe come da una fontana si spargono soavi profumi in tutta l'isola. I genii che sono i servi, i ministri di Crono, e che vegliano assiduamente su di lui, erano compagni suoi quando governava gli dei e gli uomini. Essi fanno molte predizioni, e le più importanti di queste sono sogni di Crono, il quale vede sognando ciò che pensa Giove. Quando Crono si desta, il suo respiro è affannoso ed egli è preso da convulsioni, finché ricade nel sogno e vede di nuovo le cose che saranno».
L'ultima Thule, la patria degli scaldi medioevali e dei valorosi guerrieri di Odino, non sarebbe soltanto la favolosa isola d'Ogigia, la dimora di Crono, ma anche la misteriosa Tullan Tlapallan dei Messicani da essi visitata, la dimora del sole, l'isola del gran mare che si confonde col cielo, dove va il mitico Quetzalcoalt, il serpente uccello, per avere al pari dei suoi abitanti l'immortalità.
Non credo che si giungerà mai a dimostrare con ragioni inconfutabili che la terra del ghiaccio, l'Eisland degli Scandinavi, sia la città del sole dei Messicani. Ci è nota chiaramente la posizione dell'antica Tula, città del sole, nella valle del Messico, che ebbe innanzi ai Toltechi tanta importanza e divenne una specie di città mitica; e parmi che se nell'oscurità delle antiche tradizioni degli Aztechi si fa cenno di una Tula o Tullan Tlapallan verso l'oriente, al di là dell'Atlantico, essa non possa essere che la favolosa città donde sorgeva il sole, dopo la sua corsa nel mondo inferiore, abitato dalle anime, per irradiare la terra americana.
Vicino a queste notizie che possiamo dire favolose intorno all'Islanda, non deve essere dimenticata la descrizione che fa di essa il Porcacchi, dicendo:101
L'isola d'Islanda giace sotto il Polo Artico fra l'Austro e 'l Borea, vicina al mare Glaciale o agghiacciato, la qual cosa fece credere a tutti gli autori antichi ch'essa fosse l'ultima Thile, tanto da essi celebrata, e chiamata terra glaciale... è l'isola memorabile per molti e insoliti miracoli, come dirò poco appresso, dopo ch'haurò detto d'alcuni luoghi principali che son venuti a notizia mia senza ordine e senza ch'io possa notare il sito. Presso a un lago posto quasi in mezzo dell'isola è la Cathedral Chiesa Hollense, e da questa distendendosi al mare è una pianura, o prateria di tanta fertilità e grassezza, che gli animali ci crepparebbono per il soverchio grasso, se non fossero cacciati... Havvi tre eccelsi monti, in cima dei quali è perpetua neve e alle radici perpetuo fuoco, uno si chiama Heclafiel, l'altro della Croce, e il terzo Helgafiel: fra i quali sono sassi elevati posti per memoria dei fatti degli antichi che vi si veggono scritti. V'è la chiesa del Vescovo Scalholdense, vicino alla quale son quattro fontane di quattro contrarie qualità, percioche l'acqua d'una è caldissima, dell'altra totalmente fredda, della terza buona a bere, della quarta mortifera... Di verso ponente dell'isola, presso al lito del mare son due miracoli stupendi, d'acqua e di fuoco. Questo non può abbruciare la stoppa e quello non pur non ammorza il fuoco, ma è abbruciata e consumata da esso. Qui anchora è una profondissima voragine, alla sponda della quale son dipinti spettacoli di morti, percioche molte volte avviene che gli huomini che ci sono annegati in mare, appariscono qui il giorno medesimo à loro, come se fossero vivi: e se vengono richiesti ad andare a casa; rispondono con profondo sospiro di dovere andare al monte Hecla. Vi si trovano per tutto Orsi, Volpi, Lepri, Falconi e Corvi bianchissimi: e (quel che più mi muove a meraviglia) il ghiaccio da cui si sente uscir fuora miserabil pianto di voce humana: il che fa fede che quivi siano tormentate l'anime degli huomini, sì come il medesimo credono, che sia in un Promontorio, che à guisa di Mongibello getta fuora perpetue fiamme di fuoco: dove tengono che l'anime dei rei e scellerati huomini siano puniti, percioche quivi si veggono l'ombre, e si sentono gli spiriti di coloro che siano morti per qualche violente caso, i quali si offeriscono pronti ad aiutare gli huomini nelle faccende; e tanto simili appariscono che non son conosciuti per ombre, se non quando gli vogliano toccare.
Se in Islanda andavano le anime dei naufraghi e degli uccisi, quelle di tutti i morti in generale approdavano, secondo una credenza degli antichi ricordata da Procopio, in Gallia o in Bretagna. Egli dice di certi marinai i quali avevano l'incarico di trasportare le anime dei morti dalle coste settentrionali della Gallia in Bretagna. Questa tradizione dura ancora adesso in Bretagna. Nel paese di Tréguier si crede che vi siano delle barche le quali trasportano le anime dei morti, e specialmente quelle dei naufraghi su certe isole che nessuno ha mai vedute, e che si mostreranno alla fine del mondo. Nelle sere di estate, quando il vento cessa ed il mare è calmo, si sentono muovere i remi d'invisibili marinai, e si vedono certe ombre bianche, le quali si aggirano intorno alle barche nere; se qualcuno si prova a seguire sul mare le barche, nelle quali stanno le anime, è obbligato ad accompagnarle fino al Giorno del Giudizio.102
Si disse pure di un'isola, chiamata Brittia, nell'Oceano glaciale, dove approdavano le barche dei morti; sopra un'altra isola, non lungi dall'Inghilterra, vivevano, secondo le leggende, certi pescatori, sudditi dei Franchi, i quali non pagavano tributo, perché trasportavano le anime dei morti che di sera andavano a bussare alle loro porte, e li pregavano di portarli per mare nelle regioni dei morti. E di certo queste bizzarre credenze popolari tanto diffuse nel Medioevo furono ricordate dal nostro sommo Poeta, quando egli, colla fervida fantasia, vide affollarsi alla foce del Tevere le anime trepidanti dei morti, le quali aspettavano che il nocchiero divino le raccogliesse nel vascello misterioso, dove più di cento sedevano.
I morti approdarono anche sulle spiagge dell'Irlanda
...fabulosa dove
Il santo vecchiarel fece la cava,
In che tanta mercé par che si trove
Che l'uom vi purghe ogni sua colpa prava.103
Quest'isola non è soltanto famosa nelle leggende e nelle visioni del Medioevo a cagione del pozzo di San Patrizio, dal quale il Cavaliere Owen discese nel Purgatorio; ma ha pure molta importanza nelle tradizioni antiche dei Celti, confuse colla storia dei loro miti. Essa era abitata dai Fomor, giganti feroci simili ai Ciclopi delle favole classiche. Il loro re Tethra, simile al Crono dei Greci ed al Serpente uccello degli antichi abitanti dell'America, divorava i proprii figli. I Fomor chiedevano ai figli di Nemed i due terzi dei fanciulli nati nel corso di ogni anno. Costretti ad abbandonare l'Irlanda ripararono sulla Grande riva; e siccome gli antichi sudditi di Crono, divenuti suoi ministri, avevano per compagni i Titani ed i giganti, così i Fomor avevano per amici i Sidi nella favolosa terra chiamata Mag-Mell, la quale era in continue relazioni coll'Irlanda, per mezzo di strade sottomarine che arrivavano fino ai Sidi dell'isola, specie di tumuli sotto i quali erano nascosti tesori.
Gli spiriti detti Sidi, che passavano fra il Mag-Mell e l'Irlanda, loro patria antica, non viaggiavano sempre sotto le onde dell'Oceano, ma, come i cavalli di Giunone ed il grigio Sleipnir di Odino, come i cavalli neri di Jòde d'Upsala e quelli dei Vikings, camminavano sul mare. Essi potevano anche volare sulle ali del vento sotto forma di uccelli; passavano sull'acqua nelle navi di cristallo (spesso ricordate nelle tradizioni celtiche e gaeliche), si avvolgevano nella nebbia o nei mantelli magici, ed avevano aspetto di vecchi, i quali portavano un libro in mano.
Le ninfe appartenenti a questa razza di spiriti andavano spesso a chiedere protezione agli eroi irlandesi, e prendevano per qualche tempo aspetto umano per vivere sulla terra con uno sposo mortale; altre volte rapivano l'eroe amato, portandolo nel Mag-Mell, al di là dell'Oceano, dove gli davano l'immortalità, ma se l'eroe tornava in Irlanda diveniva subito decrepito.
Gli antichi Slavi credettero pure che la dimora dei morti si trovasse in un'isola misteriosa chiamata Rai, che era la dimora del sole, il quale vi si ritirava dopo il suo lavoro giornaliero. Essa era circondata dall'Oceano, e più tardi si credette che vi andassero le anime dei fanciulli battezzati, i quali si potevano trastullare all'ombra degli alberi folti e cogliere certe frutta d'oro.
Secondo una tradizione dei Lituani dimorano su quell'isola gli spiriti che debbono essere mandati sulla terra per abitare nei corpi umani; dopo una specie di esiglio, quando sono liberati dal peso molesto del corpo, ritornano nell'isola beata, dove non soffiano venti freddi, dove non regna mai l'autunno e si conservano i semi ed i tipi di tutti gli esseri che dimorano sulla terra. Gli uccelli e gl'insetti fuggiti dalla terra a cagione del freddo, cercano un rifugio sicuro fra i verdi boschetti delle sue rive.
Dicesi che gli antichi furono spinti ad inoltrarsi verso le isole misteriose al Nord di Europa, non solo dal desiderio di conoscere altre terre e d'impadronirsi di esse; ma specialmente da quello d'innalzare nuovi altari alle divinità, nelle regioni dove per un fenomeno, incomprensibile nei tempi lontani, pareva che si manifestasse in modo strano l'opera di un nume, nell'alternarsi dei giorni lunghissimi colle notti eterne, secondo le diverse stagioni; e molti andarono cercando le regioni polari, dalle quali, secondo un'asserzione di Plinio, si vedeva durante sei mesi il sole sull'orizzonte.
Questo può sembrarci possibile se pensiamo ad altri infiniti pericoli ai quali andarono incontro gli antichi, presso i quali non era certamente di moda l'alpinismo, per salire sulle vette quasi inaccessibili di montagne altissime, dove innalzavano un tronco d'albero, una colonna, un'ara in onore di qualche possente divinità.
Anche un profondo sentimento religioso indusse Colombo a cercare le Indie lontane, ma egli, illuminato dalla fede cristiana, non cercava solo una terra nuova dove innalzare altri altari: voleva anche dare ad altri uomini il nome di fratelli, e raccoglierli intorno alla croce del Salvatore.
Molti monaci medioevali sfidarono pure audacemente i misteri dell'Oceano per trovare l'isola beata del Paradiso, il Paradiso terrestre, o qualche nuova terra dove potessero alzare la croce. Certe tradizioni del IX e dell'XI secolo c'inducono a credere che alcuni di essi toccarono l'America, e si vorrebbe trovare in certi aspetti del mitico Quetzalcoatl dei Nahuas qualche reminiscenza di San Colombano, monaco ed ardito navigatore. Di queste tradizioni dirò anche in altro lavoro, trattando dell'America; ma debbo ora notare che fra i meravigliosi racconti di viaggi che dilettarono maggiormente il Medioevo va annoverato quello di San Brandano, detto dall'Ozanam: «une odyssée monacale».
Pare che il viaggio di San Brandano, monaco irlandese, ebbe luogo verso l'anno 561. Di certo la prima narrazione gaelica di questo viaggio acquistò nuovi elementi nel volgere dei secoli, e da quella latina, che forse appartenne al IX secolo, par che dipendano in gran parte le versioni tedesche, francesi, inglesi e spagnuole, in prosa ed in versi, che di essa si fecero.
Un racconto di San Barinto induce San Brandano a partire sopra una di quelle navi leggere coperte di pelli, usate dagl'Irlandesi. Egli vuol trovare verso occidente l'Isola deliziosa, serbata da Dio ai suoi santi, e conduce seco 17 compagni, tre dei quali si sono uniti agli altri contro la sua volontà. La prima isola che scorgono è altissima ed essi vi trovano ristoro, poi scoprono un'altra isola sulla quale vedonsi molte pecore bianche più grosse dei buoi. In un'altra stanno molti uccelli, e quegli angeli che non furori ribelli
Né fur fedeli a Dio, ma per sé foro,104
di cui tanto si discorre nelle leggende intorno ai folletti ed agli elfi, che ricordai in altro lavoro.105
San Brandano passa tre mesi navigando senza vedere altre isole, poi ricominciano le sue scoperte meravigliose. In un'isola trova 24 monaci santi nutriti del pane che vien dato loro dal cielo; essi non possono né ammalarsi né morire; più tardi il santo è costretto dalle tempeste a passare coi compagni tre mesi sopra un'altra isola; poi approdano a quella dove trovansi fanciulli, giovani e vecchi, i quali passano la vita cantando salmi in lode del Signore. Finalmente vedono la montagna dell'Inferno, che emerge dall'Oceano, abitata da certi fabbri neri che martellano sulle incudini le anime dei reprobi. Giuda solo, in mezzo all'acqua, ha ogni settimana un giorno di riposo, che gli viene accordato dalla misericordia infinita di Dio. Quando passa San Brandano gli viene concesso ancora un giorno di riposo.
Il santo saluta l'eremita Paolo, che dimora da oltre un secolo sopra uno scoglio, essendo nutrito da una lontra; poi giunge coi compagni, dopo sette anni di viaggio, alla mèta ardentemente desiderata, trovando l'isola del Paradiso dove colgono frutta dolcissime, e che sarà abitata dai cristiani, quando comincerà contro di essi il tempo delle nuove persecuzioni.106
In certe versioni del viaggio meraviglioso di San Brandano dicesi ch'egli crede di passare tre giorni nell'isola benedetta del Paradiso terrestre, ma quando torna in patria si accorge che vi ha passato tre secoli.
I navigatori spagnuoli cercarono lungamente l'isola di San Brandano; essa nel trattato di Evora fu compresa nella cessione fatta dal Portogallo alla Castiglia.
La nostra isola di Vulcano va anche ricordata fra quelle intorno alle quali si dissero le più strane leggende, e si volle che nello Stromboli, bocca dell'inferno, fosse piombato Teodorico. Anche nelle storie leggendarie di Alessandro il Macedone, che dilettarono il Medioevo, si parla d'isole meravigliose.
Par che le prime leggende intorno alla sua grande figura si formarono mentre egli era ancora in vita, poiché i popoli vinti o guidati da lui alle vittorie dissero favole strane sulla sua persona, come fecero più tardi quelli che si trovarono a contatto con Attila, Teodorico, Carlomagno o altri guerrieri famosi. In Francia i Romans d'Alexandre, di Alessando di Parigi e di Lambert le Tort vennero fuori nel XII secolo, quando le favole orientali su Iskander (Alessandro), prendevano forma splendida nello Schah Nahmed e nell'Iskander Nahmed, ed in Russia dicevano anche favole strane intorno a lui.
I novellieri popolari russi, imitando in qualche modo il falso Callistene, o facendo una strana confusione di paesi, dicono che Alessandro viaggia in Italia. Egli uccide mostri favolosi, impara il linguaggio degli uccelli, discende nel fondo del mare, come pure avviene nel Roman d'Alexandre, e giunge fino alle isole Fortunate dell'Oceano indiano, dove parla cogli alberi che predicono la sua morte.
Ancora adesso dura il ricordo di Alessandro nell'Epiro, nei Balcani, dove viene celebrato nei canti popolari; nella Siberia dove si raccontano le meravigliose avventure d'Iskander, il Roumi, sull'Oceano, e dicesi ch'egli s'imbarcò coi suoi guerrieri e col filosofo Platone. Navigarono per quindici giorni, il sedicesimo giunsero in un'isola dove videro un uovo gigantesco, grosso come dieci carri di fieno, e lo ruppero. Un pulcino enorme ne usci; soffiò una volta e divenne più grosso, soffiò due volte e crebbe ancora. Allora Platone esclamò: «Imbarchiamoci e fuggiamo, perché quest'animale non è un uccello, è un drago. Quando un drago è vissuto per mille anni diventa un astar, quando un astar è vissuto per mille anni diventa un askar, e noi abbiamo trovato un askar, il quale, se potrà raggiungerci, inghiottirà la nostra nave».
Appena Platone ha detto queste parole scoppia il fulmine, brilla il lampo, è l'askar che sta librato sulla nave, e batte la terra con un'ala, coll'altra batte il cielo. Iskander è perduto, ma Platone, che aveva rivolto il suo cannocchiale verso il monte Kaf, esclama: «Noi siamo salvi! ecco due uccelli giganteschi, che nutrono i loro pulcini colle carni dei giovani askar, eccoli che giungono rapidamente».107
Di un'altra isola misteriosa dicono i Finni nei loro canti epici. Mentre si fanno i preparativi per le nozze d'Ilmarinen colla fanciulla di Pojola, la bella Kalevatar dice ad un uccello: «O agile uccello, re dei campi fioriti, drizza il volo verso il luogo dove ti mando, verso l'isola nello stretto, verso l'isola situata in mezzo al vasto mare. Ivi dorme una fanciulla, dorme colla vita circondata da una cintura di acciaio, vicino a lei alzasi una pianta ricca di miele. Raccogli il miele colle tue ale, il dolce liquore colle tue penne, raccoglilo sulla cima della pianta luminosa, nel calice del fiore d'oro».
L'uccello volò rapidamente, come il lampo, sulla larga via; attraversò un mare, andò sopra un altro mare; giunse nell'isola in mezzo allo stretto, nell'isola in mezzo al vasto mare. Vide una fanciulla addormentata, una vergine adorna con gioielli di stagno, che dormiva sopra una pianura senza nome, sul limite di un campo di miele, con una pianta d'oro accanto, una pianta d'argento vicino alla sua cintura.
L'uccello bagna le ale nel miele, bagna le penne nel liquido, sulla punta della pianta luminosa, nel calice del fiore d'oro, e lo porta alla bella fanciulla. Questa lo mescola nella birra che prende a spumeggiare nel vaso nuovo, a gonfiarsi, a superare l'orlo del vaso, e finisce collo spargersi in terra.
In diverse parti del mondo credesi ancora che vi siano certe isole felici verso l'ovest, dove pur si ritira il sole quando tramonta. In Galizia dura la tradizione la quale ricorda che a grande lontananza, al di là dei mari, si trova la terra dove riposa il sole, e dimora la felice nazione dei Raklmani, i quali vivono santamente, e mangiano carne una volta all'anno, quando il guscio di un uovo di Pasqua benedetto galleggia verso di loro, sull'immenso mare che li divide dalla terra abitata dai mortali.
I Russi fanno cenno nei loro canti popolari dell'isola di Buyan, dove si trova il Paradiso terrestre, terra benedetta ricordata nelle tradizioni di tutti i popoli, e specialmente in quelle degli Arii. In quell'isola trovasi la dimora del sole che vi discende al tramonto e la lascia all'alba. Afasanief dice che nell'isola di Buyan stanno raccolti, secondo la credenza popolare, tutti i temporali violenti che scoppiano in primavera, tutte le mitiche personificazioni del tuono, dei venti, delle tempeste. Vi si trova il serpente più vecchio di tutti gli altri serpenti; vi dimorano il corvo, specie di profeta più vecchio di tutti gli altri corvi, l'uccello più grosso e vecchio di tutti gli altri uccelli, col rostro di ferro e gli artigli di rame, e la madre delle api, più vecchia di tutte le api. Dicesi che vi dimorano pure il serpe lampeggiante, gli uccelli delle tempeste e le api del tuono, che dànno alla terra il miele della pioggia.
Nell'isola di Buyan si trova pure una quercia sotto la quale giace il serpente Garafina; gli sta vicino la bella fanciulla Zaryà, che forse è la rugiada o la dea del fulmine.
Verso quell'isola mandavano gli antichi Slavi le loro preghiere, chiedendo agli dei di preservarli dalle ferite e dalle malattie, e di dar loro il coraggio nella guerra, la fortuna nell'amore, nella caccia e nella pesca.
Nell'isola di Buyan vien custodita, secondo certe leggende, la famosa pietra Alatuir, intorno alla quale discussero tanto i dotti slavi. Si diceva che vicino ad essa, lontano dal mare, nell'oceano, una bella fanciulla cuciva le ferite sanguinose. Più tardi, quando il cristianesimo si sparse fra gli Slavi, si disse che la pietra meravigliosa era stata portata nelle vicinanze del Giordano, e che su di essa avevano fabbricata una chiesa d'oro, con un trono d'oro, sul quale sedeva Iddio o la Vergine o un apostolo o qualche altro santo. Vicino ad essa crescevano parecchi cipressi. In ogni modo, secondo le diverse leggende, la pietra ha in sé qualche cosa di splendente, di sfolgorante.
Ma tornando all'isola di Buyan si potrebbe supporre che fosse pure creduta dimora dei morti, poiché in russo la parola bui o buivishche significa il terreno intorno ad una chiesa, dove si usava di seppellire i morti, ed un camposanto fu anche detto buevo.108 Si potrebbe trovare una certa somiglianza fra l'isola di Buyan e quella di Rai, detta dagli Slavi dimora del sole e dei morti.
L'isola di Heligoland fu pur creduta dimora degli dei, e venne onorata dai marinai.
Un racconto arabo di origine egiziana dice del principe Zeyn Alasnam, il quale conduce una fanciulla nell'isola del re dei genii, che la mette in mezzo ad otto statue, ed anch'essa pare una statua. In quell'isola si poteva andare sopra una barca governata da un genio, che aveva una testa d'elefante, e forse essa era l'isola di Elefantina, che è già stata ricordata in un racconto delle Mille e una notte, in cui dicesi di un'isola circondata dal mare dei tesori. Forse quest'isola potrebbe anche essere quella di Phila, ricordata da Plutarco, dove trovasi la tomba di Osiride, ed alla quale non possono avvicinarsi né gli uccelli, né i pesci, né gli uomini.
In questa leggenda, come pure in quella del re superbo di Gibilterra, ed in altre ancora in cui si dice del mare, si fa cenno di statue, forse per una strana confusione con altre leggende, nelle quali si diceva di statue colossali erette su certe isole o su diverse spiagge, le quali facevano cenno ai naviganti di non andare oltre.
In un'isola immaginaria del mare d'Irlanda, dimoravano, secondo le leggende, gli spiriti dei Druidi ed anche le fate. Essa era chiamata la nobil terra o la terra dell'uomo bianco. Si disse che vi fu chi riuscì ad approdarvi, ma quando ritornò nella barca l'isola sparve.
Parecchi eroi dei poemi cavallereschi bretoni vanno, come gli antichi eroi celti, dei quali già tenni parola, in cerca d'isole misteriose, anche credute qualche volta dimora delle anime dei Druidi. Si poteva vederle in lontananza, ma se qualcuno si avvicinava ad esse sparivano. Un uomo si provò ad accostarsi vicino ad una di esse, navigando sopra una zolla tolta dal camposanto e poté approdare secondo il suo desiderio. Pare che i Druidi credessero anch'essi nell'esistenza di queste isole.
Si disse che certe isole benedette dove si godeva una grande felicità, erano situate all'ovest dell'Irlanda o della Spagna. Quando si scoprirono le Canarie e l'isola di Madera, si credette che le isole benedette o fortunate fossero più lontane ancora; e si disse in certe leggende portoghesi e spagnuole che un pilota del XV secolo fu dalla furia di una burrasca portato nelle loro vicinanze.
Vi fu pure chi suppose che l'isola del Paradiso si trovasse nell'Oceano Indiano; altri volle vederla alla foce del Danubio, e ancora adesso molte tribù selvagge credono che vi siano isole misteriose dove dimorano le anime buone.
Gli abitanti delle isole Fiji credono pure che vi siano le isole benedette, dove si raccolgono le anime: esse trovansi verso l'occidente, sempre dove tramonta il sole, come nelle credenze più antiche dei popoli; e la ciurma di una nave costretta ad approdare sopra una delle loro spiagge non è più tornata. Anche gli abitanti del Cile e del Perù credettero che verso l'occidente si trovassero le isole delle anime. L'isola del Paradiso vien pure nominata fra le tribù dimoranti al sud della California, e finiamo col ritrovare anche nella Divina Commedia l'isola delle anime, col monte del Purgatorio; meravigliosa dimora degli spiriti che aspettano la gioia eterna del Paradiso, ed alla quale accenna forse Ulisse quando tra la luce vacillante della sua fiammella dice al poeta divino:
Cinque volte racceso, e tanto casso
Lo lume era di sotto della luna,
Poi ch'entrati eravam nell'alto passo,
Quando n'apparve una montagna bruna
Per la distanza, e parvemi alta tanto,
Quanto veduta non n'aveva alcuna.109
Si disse che le isole le quali apparivano coperte con erbe ed alberi, e dopo un tempo più o meno lungo piombavano nel mare, erano dimora di spiriti maligni, che le facevano emergere dalle onde e galleggiare, per trarre in inganno i marinai.
Le isole Bermude furono pure credute dimore di diavoli, ed i marinai di tutte le nazioni guardavano con terrore le loro coste, dicendo che vi abitavano anche certe streghe che facevano scoppiare tremende tempeste; le loro spiagge erano incantate, e si disse la loro superficie così sottile che poteva rompersi da un momento all'altro.
Certe isole, di cui si parla con frequenza nei poemi cavallereschi del Medioevo, sono abitate dalle fate; in una di esse approda il personaggio di una leggenda carolingia, il quale, stanco dopo aver lottato a lungo nella sua barca contro le onde e la fortuna avversa, si avvolge nel suo mantello, chiude gli occhi e si addormenta. Quando si desta sta presso la spiaggia incantata dove sorge un palazzo di topazii e di smeraldi.110
Le strane creazioni dei poeti antichi e medioevali che ci descrissero isole meravigliose vengono ricordate in parte dall'Ariosto, fra il verso armonioso delle ottave, quando narra di quelle terre in mezzo al mare dove pur qualche volta dimorano esseri così bizzarri, che
Non fu veduta mai più strana torma,
Più monstruosi volti e peggio fatti;
Alcun' dal collo in giù d'uomini han forma
Col viso altri di simie, altri di gatti;
Stampano alcun' con piè caprigni l'orma;
Alcuni son centauri agili ed atti;
Son gioveni impudenti e vecchi stolti;
Chi nudi, e chi di strane pelli involti.
Sui centauri cavalcano alcuni di quegli esseri bizzarri, altri montano cavalli senza freno, asini e buoi, struzzi, gru, aquile, e non manca nell'isola fra tante cose meravigliose una porta la quale
Parte non ha che tutta non si copra
Delle più rare gemme di Levante.
Da quattro parti si riposa sopra
Grosse colonne d'integro diamante.
O vero o falso ch'all'occhio risponda,
Non è cosa più bella e più gioconda.
E per virtù di grandi poeti italiani, le incantatrici, regine delle isole meravigliose, ci appariscono ancora, sorridenti colla loro bellezza affascinante, resa eterna dalla magia dell'arte tra i fiori e l'aura profumata nei giardini di Alcina e d'Armida.
Si dice pur dell'isola di Seeland in una strana leggenda. Gylfe, antenato del grande Odino, promise in dono alla dea Gefione tutto il territorio che le sarebbe riuscito di circondare con un solco. Ella attaccò quattro tori furiosi, figli di un gigante, all'aratro, e li fece correre di galoppo. La terra da essi smossa venne trascinata dall'aratro, scivolò sulle onde dello Skager Rack e del Sund, e si fermò presso lo stretto che ora separa la Danimarca dalla Svezia, formando la bella isola di Seeland. Nello spazio rimasto vuoto, quando l'aratro portò via la terra, si formò il lago Melar.
È famosa nelle leggende l'isola di Ceilan, nella quale si disse che un lago sul monte chiamato dai Portoghesi «Picco di Adamo» si fosse formato colle lagrime che Adamo ed Eva versarono dopo la morte di Abele. Su questo picco si trova anche l'impronta del piede di Adamo, o, secondo certe leggende, quella del piede di Buddha; il quale, a quanto dice il viaggiatore cinese Chi-Fa-Hian, impresse uno dei suoi piedi al nord della città regale e l'altro sopra una montagna.
Delle impronte strane di piedi o di zampe sulle pietre, si fa cenno in molte leggende, anche in Italia, ed esse sono, per la maggior parte, secondo la credenza popolare, fatte dal piede del diavolo, in qualche momento in cui egli si accese d'ira terribile; ma credo che, fra tutte, quella dell'isola di Ceilan sia nota ad un numero maggiore di genti. Il Ribeyro la descrive, dicendo che, presso il lago, sul Picco di Adamo, vi è una larga pietra, dove si vede l'impronta di un piede umano, lungo due spanne, e largo otto dita. Quell'impronta è perfetta, come se fosse fatta sulla cera; tutti i pagani hanno per essa molta devozione, e da ogni parte vengono pellegrini per vederla ed onorarla. Per rendere quel luogo più venerabile hanno piantato parecchi alberi presso la pietra.
Anche nelle leggende mussulmane è ricordata l'impronta famosa, e Abou Zeid dice: «Nell'isola di Serendib, vi è una montagna chiamata Er Rohoun (dal sanscrito Rohana) sulla quale fu gittato Adamo (su di lui sia la salute), la forma del suo piede è impressa sulla roccia che incorona la montagna, è incisa sulla roccia in cima alla montagna. Non si vede che un piede solo, e dicesi che Adamo mise l'altro nel mare».
Ibn Khordadbeh fa cenno della stessa leggenda che attribuisce ai Bramini, dicendo: «I Bramini, che sono i devoti dell'India, mostrano su quelle montagne l'impronta d'un piede d'Adamo, e raccontano che una fiamma zampilla sempre, come un lampo, sulla cima della montagna. Secondo ciò che dicono, Adamo avrebbe messo l'altro piede nel mare ad una distanza di due o tre giornate».111
Sono anche molte le leggende intorno alle città, alle chiese ed ai castelli sommersi, dei quali, secondo la credenza popolare, rimangono le rovine nel mare.
I contadini della Bretagna conservano parecchie tradizioni che ricordano città sommerse, fra le quali hanno maggior fama Bersido ed Is. Quest'ultima fu sommersa perché i suoi cittadini erano molto cattivi; quando uscirà nuovamente dal mare, Parigi sarà distrutta. Si sentono le sue campane, e quando la marea è bassa si scorgono le sue strade e le sue case.
Sulle coste d'Inghilterra si trovano leggende dello stesso genere. Lyonesse è una celebre città sommersa presso Land's End, e di essa parla un vecchio poema. I pescatori credono qualche volta di vedere le mura delle sue case, e dicesi che gli alberi delle sue piazze giungono quasi fino alla superficie dell'acqua.
Molte leggende irlandesi dicono pure di città sommerse, e si ritrovano con certe varianti in Germania. Büsen, sulla costa dell'Holstein fu, secondo la leggenda, anche sommersa a cagione delle colpe dei suoi abitanti; quando si abbassano le acque, i marinai vedono le sue mura rovinate, la chiesa che emerge dalla sabbia, e odono il suono delle sue campane. Anche Vineta, presso l'isola di Rugen, in vicinanza della costa danese, fu, a quanto dicesi, sommersa nell'anno 1183.
Il Müller scrisse un poema su questo argomento. Una leggenda di Trani fa cenno di una città sparita, presso il vecchio convento di Colonna. La riva che mena al convento è ineguale, tutta a seni ed a punte, ingombra di massi, ed a poco a poco le onde la rodono. Su questa strada vedesi una cappelletta innanzi alla quale si fermano i passanti per pregare; poi la strada continua fra gli scogli e risale fino al vecchio convento disabitato. Si dice erroneamente che vi era in quelle vicinanze l'antica cittadella, che fu inghiottita dal mare per le colpe dei suoi abitanti, e il popolo crede che, quando il mare è burrascoso e le onde si frangono su quella spiaggia, si vedono le vie di una città sottomarina. Vi è chi afferma di avere udito in quel luogo il suono di una campana, ed un pescatore dice di aver visto certe fiammelle che si movevano di notte in fondo al mare, nelle vie della città misteriosa, e dovevano essere i lumi portati dai suoi abitanti.
Non è solo sotto le onde dell'Adriatico che abitano esseri umani in una città misteriosa; essi dimorano anche sotto le sabbie del Sahara, poiché dicesi che i cristiani abitarono in altri tempi incerti luoghi del deserto, poi discesero nelle città sotterranee, portando seco le acque, i fiumi, i ruscelli, che rendevano fertile il deserto.
Presso certe rovine chiamate Bou Chougga, che si trovano nel Sahara, vedonsi gli avanzi di una vasca di pietra, che ha quattro o cinque metri di profondità. Ora la vasca è asciutta, ma odesi il mormorio sotterraneo dell'acqua che doveva in altri tempi alimentarla. Tutti i mussulmani affermano che i cristiani stanno in quel luogo, in una loro città sotterranea; dove godono una felicità soprannaturale, e dalla quale usciranno un giorno per ridare al deserto la fertilità, coi fiumi e coi torrenti, che tengono prigionieri.112
Si dice pure che Mondragone era in altri tempi fabbricato presso il mare, in un luogo il quale è ora sotto le onde, e molti marinai assicurano che quando l'acqua è limpida si vedono gli avanzi delle sue case.
Nei paesi scandinavi, nei quali si crede nell'esistenza dei vescovi del mare, si vedono anche nel fondo del mare, secondo la credenza popolare, certe chiese, e si crede che debbano riposare dentro di esse, fino al Giorno del Giudizio, quelli che sono morti in mare. Si dice che un pescatore trovò in mare una casa grandissima che sembrava una chiesa. Col mezzo di una scala si poteva scendere fino alla sua porta; egli legò la fune della sua nave ad un gradino, poi entrò nella chiesa, dove si trovavano molti naufraghi; parecchi di essi portavano gli abiti da pescatori, come usavano quando erano in vita.
Il marinaio ebbe paura tra quella folla di morti, perché gli parve di vedere in mezzo ad essi i fantasmi di certi pescatori da lui conosciuti, e si affrettò ad uscire da quella casa strana. Appena se ne allontanò alquanto essa scomparve.