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Sulla terra apparirono innanzi alla fantasia popolare, nel volgere dei secoli e presso ogni nazione, innumerevoli mostri d'aspetto pauroso, nemici tremendi degli uomini, e parvenze maledette, sotto le quali si nascondevano divinità malefiche, e diavoli medioevali, esperti nell'assalire i viandanti sulle vie solitarie, fra i terrori della notte, o avvezzi a chiedere alle popolazioni atterrite, come tributo di sangue, baldi giovani e bianche fanciulle. In forma di draghi spaventevoli passavano sulle cime delle montagne, colle corone d'oro sulle teste orribili, e cogli occhi più splendidi delle gemme; stavano raccolti nelle grotte profonde, a difesa d'immensi tesori o di belle vergini incatenate; nuotavano nei laghi solitarii, o regnavano nelle isole incantate, vivendo di sangue e di rapine, finché li uccideva la spada di un semidio antico o di qualche cavaliere medioevale, il cui nome era ripetuto dai popoli riconoscenti. Altre volte, resi mansueti dalla potenza di qualche santo, lo seguivano tremando, e ancora adesso, a cominciare dal Minotauro fino alla Tarasca vinta da Santa Marta, al serpente mostruoso ucciso da Sigurd, eroe dei nordici canti, ed all'orca spaventevole che doveva divorare Angelica, i popoli ricordano la loro storia colla semplice parola della leggenda, o fra la solennità dell'epopea e l'armonia dell'ottava.
Anche il mare, secondo molte leggende, è stato ed è ancora abitato da mostri spaventevoli, dalle forme gigantesche e dalla forza tremenda, i quali balzano dalle onde, fra i turbini violenti delle tempeste, o appariscono nell'ora della calma, alzando le teste enormi a minaccia delle navi, mentre afferrano gli alberi maestosi per trarre i bastimenti negli abissi sotto le onde, o prendono fra i marinai la vittima prescelta.
A rendere grande il numero delle leggende intorno ai mostri marini non bastarono solo le reminiscenze di antiche mitologie, gli errori di naturalisti antichi e medioevali, e gli strani racconti ideati dai marinai; ma spesso le trombe marine, che si svolgono toccando il mare, mentre fra le violente raffiche odesi una confusione spaventevole di ululati, di sibili, di ruggiti, come se tutte le fiere e le serpi della terra fossero raccolte in una ridda infernale sulle onde, diedero pure origine ad altre credenze dei marinai, intorno ai mostri immani che abitano nel mare. Altre volte certe strane processioni di porci marini viaggiatori, qualche stormo di uccelli, che in lunga fila rasentavano le acque del mare, o le alighe ed altre erbe marine intrecciate insieme fra il movimento delle onde, formando una specie di corda lunghissima e grossa, furono creduti giganteschi serpenti del mare.
Dicono i Giapponesi che in mezzo ai cicloni scorgesi in forma di drago il genio delle tempeste, che ha potere sterminato, che solleva le navi come fuscelli di paglia, e spezza gli alberi più forti. Si credette da altri che passassero sui mari e sugli oceani, ma specialmente sull'Atlantico, i draghi delle tempeste, e, per dire il vero, lo spettacolo che scorgesi sul mare all'avvicinarsi di un ciclone è tale, che i marinai ignoranti debbono credere che esso abbia una causa soprannaturale.
Quando si avanza il ciclone, la tinta rossastra che già scorgevasi da alcuni giorni all'orizzonte, verso l'alba ed il tramonto, e riflettevasi nel mare, diventa più viva. Una fascia nerastra e paurosa distendesi sul cielo, e già gli uccelli marini volano rapidamente verso la terra. Nell'accennare a questo minaccioso aspetto del cielo, il Reclus dice nel volume La terre che non dobbiamo meravigliarci se, nella mitologia degl'Indiani, Budra, il dio dei venti e delle burrasche, abbia finito col divenire sotto il nome di Siva il dio della distruzione e della morte.
Quando giunge l'ora in cui il ciclone, che s'aggira nelle regioni superiori, si avvicina alla terra o al mare, una massa oscura si avanza, ingrandisce e manda bagliori sanguigni, svolgendo le sue spirali. Al silenzio solenne che precede l'imperversare della tempesta succede un rumore strano, che pare un gemito, al quale risponde un altro gemito che viene dal largo, ed è chiamato dagl'Inglesi: «l'appello del mare».
Quando il ciclone avvolge una nave, i suoi marinai sono atterriti dall'imminenza del pericolo: essi trovansi quasi all'oscuro, pare che il mare bollisca; le nubi, che strisciano sull'acqua, mandano una luce infernale, ed allo zenit appare in mezzo alle tenebre uno spazio bianco, il quale vien detto: «l'occhio della tempesta».113
Nel Medioevo i cicloni furono chiamati da molti i draghi del mare, e si usavano varii mezzi per farli dileguare. Quando i cannoni vennero anche in uso sulle navi, spesso i marinai fecero fuoco contro le colonne minacciose, che si avanzavano sulle onde. Giovanni di Brompton dice, parlando dei cicloni, che un enorme drago nero scende dalle nubi, mette il capo nell'acqua e tocca il cielo colla coda. Quel drago muove con tanta violenza le acque quando beve, che le navi, le quali si trovano vicino ad esso, vengono balzate a grande distanza. Coloro che vogliono costringere il mostro ad allontanarsi debbono gridare con forza, battere sul ponte della nave e sparare molti colpi contro di esso.
Altri marinai, credendo sempre che i cicloni fossero draghi, sfoderavano le spade quando uno di essi si avvicinava alle loro navi.114 I Finni credettero invece che sui cicloni apparisse Vidar, dio del mare.
Secondo parecchie leggende si trovano nei mari orientali certe grosse serpi chiamate tannins, le quali, mentre dura l'inverno, penetrano nelle nubi che vanno rasentando le onde, e rimangono in balìa dei venti, fino al momento in cui quelle nubi cadono in forma di pioggia. Allora le serpi precipitano nel mare o sulla terra, distruggono quanto si trova intorno ad esse e poi spariscono.
Il popolo siciliano usa certi scongiuri per tagghiari le trombe marine; una delle loro varianti dice:
Sant'Ancilu non durmiri
Chi jo tri neuli vidu viniri,
Una d'acqua e una di ventu
E una di gran furtuna.
A vatinni a chiddi parti scuri
Unni non spunta non suli e non luna,
Unni n'è nata nudda criatura,
Unni non canta non ghiaddhu e non ghiaddini,
A ddhi furnara unni non c'è cuddhuri,
Unni non si trova arma cristiana battiata
E sta trumma sia tagghiata
A nomu de Diu e di la Santa Trinità.115
In una leggenda intorno a San Patrizio narrasi che le trombe sono formate dalle serpi, che quel santo chiuse in una scatola e gittò in mare, dopo averle prese in Irlanda.
Spesso vedonsi fra le onde dei mari e degli oceani certe serpi, che vi furono trascinate dalla violenza delle correnti di grandi fiumi; ed or sono alcuni anni che il piroscafo Mexico, all'entrata del golfo del Messico, si trovò in mezzo ad un numero grande di serpi. Queste erano di diverse specie, a cominciare dalle serpi d'acqua, della lunghezza di due piedi, fino a quelle che avevano quattordici o quindici piedi di lunghezza, ed erano state certamente trasportate dalle acque di qualche fiume. Anche l'enorme anaconda fu trovato spesso, per lo stesso motivo, nelle acque degli Oceani.
Ma sonovi pure innumerevoli serpi del mare, che si trovano specialmente nell'Oceano Indiano e verso i tropici. Esse hanno colori smaglianti, e se ne vedono certe lunghe appena come una vipera comune, mentre altre hanno dodici o quattordici piedi di lunghezza; i marinai le temono molto, perché sono più velenose di tutte le altre, e quando restano impigliate nelle reti mordono rabbiosamente quelli che le toccano per caso.
Avvenne qualche volta che una di quelle seppie gigantesche, le quali vivono realmente nel mare, parve ad alcuni un serpente enorme; altre volte quegl'intrecci strani di alighe, di cui ho fatto cenno, trassero in inganno gli uomini, i quali credettero, vedendoli, di avere dinanzi il famoso serpente di mare, intorno al quale tanto si discusse. Ma è anche molto probabile che vivano nelle profondità degli oceani certi serpenti mostruosi, somiglianti in qualche modo a quelli di cui trovasi il ricordo nelle leggende marinaresche, fin da tempi antichissimi. Alcuni casi avvenuti in questo secolo ci dànno quasi la certezza della loro esistenza, perché di tanto in tanto sono stati visti da ciurme intere e dai loro ufficiali, come avvenne nel 1848, quando uno di essi passò fra il Capo di Buona Speranza e Sant'Elena, vicino alla nave inglese da guerra Daedalus. Per venti minuti poté essere osservato dagli ufficiali, che fecero un'accurata relazione del caso meraviglioso; nel 1875, innanzi al vascello Pauline, che andava verso la spiaggia di Zanzibar, apparve una balena intorno alla quale un serpente enorme si avvolgeva.
Il maggiore Senior, che stava nel 1879 a bordo del vapore City of Baltimore, nel golfo di Aden, vide un oggetto nero che si avanzava rapidamente verso la nave. Il suo capo era eguale a quello dei draghi leggendarii, ed aveva anche qualche cosa che lo rendeva somigliante alquanto alla testa di un cane. Quando quella testa orribile era rimasta per alcuni istanti fuori dell'acqua, tornava a tuffarsi dentro di essa, agitandola sino a grande distanza.
Certi signori americani molto stimati, ed incapaci di trarre il pubblico in inganno, videro presso la costa del Massachusetts, il 30 luglio 1875, tra Swampscott ed Egy Rock, un mostro del mare di aspetto molto strano. La sua testa, vista ad una distanza di circa 150 yards, somigliava molto a quella di un serpente, ed era nera di sopra e bianca di sotto. Di tanto in tanto quella testa si alzava per circa otto piedi fuori delle onde, e per cinque o dieci secondi stava immobile. Non essendovi fuori dell'acqua che il capo e piccolissima parte del corpo di questo serpente, non era possibile conoscere la sua lunghezza. Par che fosse lo stesso mostro apparso ai passeggeri della nave Roman, nel loro viaggio da Boston a Philadelphia, mentre combatteva contro un pesce spada.
I naturalisti cercarono se, fra le specie fossili, si potesse trovare qualche animale che si avvicinasse nell'aspetto al serpente moderno reale o immaginario del mare; e trovarono molta somiglianza fra le descrizioni di questo mostro, fatte dai viaggiatori, ed i plesiosauri fossili, i quali hanno la testa di lucertola, i denti di coccodrillo, un collo enorme, che somiglia a quello di un serpente, e certe natatoie pari a quelle della balena. A questo animale strano rassomiglia anche molto il mostro visto dal capitano Giorgio Hope, dal vascello inglese da guerra Fly nel golfo di California, perché aveva una testa simile a quella dei coccodrilli ed un collo lunghissimo.116
Se realmente vivono nelle profondità degli oceani mostri enormi apparsi per caso a pochi uomini, sarà molto importante per i naturalisti l'uccisione e la cattura di uno di essi; ma di certo questo non potrà avere aspetto più orribile e forza più prodigiosa dei favolosi serpenti del mare ricordati nelle leggende popolari.
Per molti secoli gli Scandinavi credettero nell'esistenza di un leggendario serpente del mare; di questo parla Olaus Magno, arcivescovo di Upsala, in uno scritto del 1555, e dice che molti navigatori della Norvegia affermano che un serpente di circa 200 piedi di lunghezza e 20 di circonferenza vive nelle caverne o fra gli scogli presso Bergen. Esso lascia la sua misteriosa dimora nelle notti serene d'inverno, va sulle spiagge in cerca di preda e divora capre ed agnelli, altre volte va pescando le aragoste; ha una criniera nera lunghissima ed occhi fiammeggianti; qualche volta si drizza in parte, in modo da sembrare una colonna; poi si precipita sugli uomini che passano e li divora.
Non sappiamo se quest'orribile serpente del mare avesse trecento piedi di lunghezza come quelli che, secondo Plinio, venivano fuori dal Gange; o se era capace di trascinare nell'Oceano un elefante, come quello, anche ricordato da Plinio, che viveva nell'Oceano Indiano.
In una delle versioni del viaggio di San Brandano si trova la seguente descrizione di un serpente del mare:
Vient vers eals un marins serpenz
Qui enchaced plus tost que venz
Li fus de lui si embraise
Cume buche de fornaise;
Sanz mesure grant est li cors
Sur les undes que il muveit
Par grant turment plus s'estuvait.
Ed i monaci provarono alla vista di questo serpente terrore pari a quello che sentirono più tardi i compagni di Colombo, secondo quello che immaginò lo Stigliani, quando tutti i mostri del mare, raccolti insieme da Astarotte e da un mago, mossero all'assalto delle navi di Colombo, e sopra una di esse saltò un mostro
...c'havea d'orca in viso stampa
E parea cocodril ne la fattezza:
Con quattro gambe di pungente zampa,
Scaglioso, eguale a un huom nella grandezza.117
Pontoppidan, il famoso vescovo di Bergen, non credeva nell'esistenza del serpente mostruoso del mare, ma dopo avere interrogato molti marinai e pescatori della Norvegia finì col credervi fermamente.
Hans Egede, nel giornale delle missioni in Groenlandia, dice di aver veduto il grande serpente del mare, che alzava la testa fuori dell'acqua; ma dalla descrizione ch'egli fa di questo mostro, si può intendere che non era il leggendario serpente dei mari del Nord; invece era una di quelle seppie gigantesche, le quali diedero origine ai fantastici racconti intorno al mostruoso Kraken, che, secondo certe leggende, viveva pure verso il Polo.
Non poche notizie raccolte in questo secolo nelle regioni nordiche, intorno all'apparizione di un serpente del mare, certamente non inferiore per le sue dimensioni straordinarie a quelli che furono visti, come ho notato, in vicinanza dell'America e dell'Africa, darebbero ragione, fino ad un certo punto, a coloro i quali affermarono da secoli esservi in quei paraggi mostri spaventevoli del mare, intorno ai quali la fantasia popolare andò immaginando leggende bizzarre.
Nello Schahnameh dei Persiani è anche nominato il grande serpente del mare, e parlasi nell'Edda del serpente Midgardson, il quale ha tanta importanza nella mitologia dei popoli scandinavi e circonda la terra. Questo serpente ed altri mostri di simil genere potrebbero essere un mito antico dell'Oceano che bagna la terra. Nella scrittura allegorica degli Egiziani troviamo invece l'universo rappresentato da un serpente, ma in questo caso, come nel serpente uccello dei Nahuas, che circonda il sole, non credo che si possa trovare un mito del mare.
Una leggenda indiana dice che il venerando Samkha Rakchita, imbarcatosi con cinquecento mercanti, vide sul mare una grande quantità di serpenti che fermarono il bastimento. I marinai disperati gridarono: «Che la divinità del mare, vergine, demonio o serpente, ci dica quanto desidera».
Una voce salì dalle profondità dell'Oceano e rispose: «Dateci Samkha Rakchita». I mercanti si fecero pregare lungamente prima di cedere, ma poi Samkha si adattò al pericoloso viaggio, prese il suo mantello, la scodella dove raccoglieva le elemosine e si precipitò nel mare. La nave fu subito liberata, ed i serpenti trascinarono Samkha nel loro palazzo, ove dovette insegnar loro la sua religione. Quando li ebbe istruiti espresse il desiderio di tornare sulla terra; apparve allora il suo bastimento, ed egli vi salì per continuare il viaggio.
Krichna, il re indiano, nel quale vuole il Rambaud trovare qualche somiglianza col grande eroe Dobrina del ciclo di Vladimiro, vinse il mostruoso Kalü, re dei serpenti, il quale per isfuggire ad un altro suo nemico, l'uccello Garonda, si era ritirato colla moglie e coi figli nel fiume maledetto chiamato Samouna. Mentre Krichna calpestava con rabbia la testa del mostro, questo gli chiese misericordia; il dio ne ebbe pietà, ma volle che insieme con tutta la sua famiglia andasse a vivere nel mare, senza uscirne mai, altrimenti sarebbe stato ucciso.
Nei canti epici del ciclo di Vladimiro si dice di un serpente alato che appare in vicinanza di Kiev, ed al pari di tanti mitici draghi antichi e medioevali, voleva da ogni famiglia una bella fanciulla. Venne la volta di una figlia dello zar, ed ella, fra i pianti del popolo, fu condotta dal serpente che non la divorò; invece la portò nella sua caverna dove la tenne per moglie, essendo essa bellissima, e quando usciva in cerca di preda la chiudeva nella caverna. Un cane fedele l'aveva accompagnata presso il mostro, ed ella un giorno lo mandò dai suoi genitori con un biglietto in cui domandava soccorso. Le fu risposto, sempre per mezzo del cane, che doveva adoperarsi per sapere chi fosse più forte del serpente. Ella usò molta astuzia per saperlo, e il drago finì col dirle che il solo uomo più forte di lui era Nikita, il conciatore di pelli, che dimorava in Kiev.
Lo zar andò subito a visitare costui, pregandolo di combattere contro il serpente. Qualche volta nei canti epici russi, come in quelli carolingi, gli eroi non si mostrano molto ubbidienti al volere del loro Signore, ed anche Nikita rifiutò di servire lo zar. Gli furono mandati cinquecento fanciulli, che gli chiesero piangendo di liberare la zarina, e Nikita, commosso profondamente, corse ad assalire il serpente e l'atterrò. Esso gli chiese in grazia la vita, e soggiunse che, essendo entrambi tanto forti, potevano conquistare il mondo e dividerlo fra loro.
Nikita finse di acconsentire a quanto gli proponeva il serpente, e per fare la divisione della terra lo attaccò ad un aratro pesantissimo, poi gli fece tracciare un solco profondo da Kiev fino al Mar Caspio, sulla spiaggia del quale il serpente si fermò. Ma Nikita sapeva che gli era anche possibile di lavorare nel mare e disse: «Ora che hai diviso la terra dobbiamo dividere fra noi il mare». Il serpente continuò a tracciare il solco nell'acqua, ma non poté compirlo, perché quando giunse in mezzo al Caspio fu ucciso da Nikita.
Uno dei miti arii più diffusi in Europa è certamente quello dei draghi e dei serpenti in relazione coll'oro. Nel Medioevo, quando par che si vadano moltiplicando in mezzo alle genti, appassionate per i racconti meravigliosi, le reminiscenze di tanti miti lontanissimi, come per affermare la fratellanza antica dei vinti coi vincitori, delle genti nuove coi figli delle gloriose civiltà antiche, troviamo innumerevoli draghi custodi di tesori, e ancora adesso si parla in certe regioni delle Alpi delle Vouivres, draghi colle corone d'oro, mentre nei canti popolari dei Bulgari si dice dei draghi che passano sulle foreste nei carri d'oro.
In Islanda, dove si ricorda da ogni classe di cittadini l'epica poesia dell'Edda e specialmente la vittoria di Sigurd sul drago, custode del famoso tesoro, che doveva più tardi appartenere ai principi Nibelunghi, abbiamo anche altre chiarissime reminiscenze di miti indiani, in alcune leggende raccolte recentemente, nelle quali dicesi di certi draghi che dimorano sulla terra in mezzo all'oro, o di serpenti acquatici che hanno dell'oro intorno al corpo. Fra queste parmi che abbia maggiore importanza la leggenda del verme o serpente del Lagarfljot, che può in qualche modo collegarsi con un racconto indiano, nel quale si trovano ricordi storici del diluvio confusi con mitiche favole. Dicesi in questo racconto che il dio Vishnù comincia coll'essere un piccolissimo pesce, il quale prega il penitente Manus di toglierlo dal Gange, dove teme di essere divorato dai mostri acquatici. Manus riceve il pesciolino nel vaso di acqua, che gli serve per le sue abluzioni. In una notte il pesce cresce tanto che non può rimanere nel vaso. Manus lo porta in uno stagno, poi nel Gange; ma il pesce continua a crescere in modo meraviglioso, e Manus, riconoscendo in esso un dio, gli dà intera libertà nel mare.
Il pesce per dimostrargli la sua gratitudine, gli annunzia che fra sette giorni le acque inonderanno il mondo e che tutte le creature periranno; poi gli comanda di costruire una nave e gli dice: «Starai dentro di essa con sette savii, con una coppia di ogni specie di animali e coi semi di tutte le piante. Aspetterai nella nave la fine della notte di Brama, e quando il bastimento sarà agitato dalle onde, lo legherai con un grosso serpente al corno di un pesce enorme, che verrà presso di te, per guidarti fra le onde nell'abisso». Nel giorno indicato da Vishnù le acque del mare invasero la superficie della terra, ed il pesce apparve per guidare la nave, salvando Manus ed i suoi compagni.118
Nella leggenda islandese del verme o serpe del Lagarfljot, si dice che sulla sponda di questo fiume viveva in una casetta una donna che aveva una figlia giovinetta, alla quale ella diede in dono un anello. La fanciulla chiese alla madre in qual modo avrebbe potuto trarre molto profitto di quell'oro; la madre le rispose di metterlo intorno al corpo di un verme delle brughiere. La fanciulla seguì il consiglio ricevuto, sperando che l'anello ingrossasse col verme, e ripose l'uno e l'altro nella cassa dove conservava la sua biancheria.
Un giorno ella volle vedere se il verme era cresciuto ed aprì la cassa; il verme era già divenuto un rettile tanto grosso, che non poteva più essere contenuto nella cassa, spaccatasi in diverse parti; e la fanciulla fu così spaventata che gittò nel Lagarfljot la cassa e quanto trovavasi dentro di essa.
Dopo qualche tempo il rettile, divenuto enorme, divorava gli uomini e le donne, che passavano in barca sul fiume, o veniva sulla sponda, gittando in aria tale quantità di veleno, che una pestilenza terribile fece strage fra gli abitanti di quella regione dell'Islanda, i quali non trovavano nessun mezzo per ucciderlo.
Basta leggere i canti epici dei Finni per sapere che questi si ritengono molto esperti nelle arti della magia; e bisogna credere che la loro fama di stregoni si fosse anche estesa nell'Islanda, poiché dicesi che due Finni vennero incaricati di uccidere il serpente del Lagarfljot; e di prendere l'oro che aveva intorno al corpo. Essi si affaticarono assai prima di vincere il mostro; finalmente riuscirono a legarlo con due catene, e liberarono gl'Islandesi, che tanto avevano sofferto a cagione della sua malvagità.
Un altro drago o serpente enorme aveva un letto d'oro ad oriente dell'isola Papey. Un olandese chiamato Kumper sparò contro di esso con un archibugio, per discacciarlo dal suo letto ed impossessarsi dell'oro. Egli riuscì a farlo fuggire, ma non si seppe mai quanto oro raccolse nel suo letto. Il drago si gittò nelle acque del golfo vicino, e sparì nuotando; dopo quel tempo si credette che avesse la sua dimora in quel golfo, dove i pescatori, per tema di essere divorati, non andarono più colle barche; e ora dicesi ancora che mostrasi agli uomini quando deve accadere qualche fatto di grande importanza.
In una leggenda scandinava troviamo il racconto di un'epica lotta col grande serpente del mare. Il dio Thor naviga col gigante Hymer, ed ha seco una grossa testa di toro, che deve servirgli per adescare il serpente. Thor rema a poppa con due remi, e Hymer vede con molto stupore che la barca avanza rapidamente. Hymer che rema a prora nota pure che sono già arrivati nel luogo dove hanno il costume di pescare; ma Thor gli assicura che possono andare molto più lontano. Continuano a remare finché Hymer grida che se non si fermeranno subito verrà a minacciarli Midgard, il grande serpente del mare. Thor non si cura di ciò che dice il gigante e rema ancora; quando si fermano, Hymer prende due balene. Thor gitta a mare un amo meraviglioso, attaccato insieme colla testa di toro ad una lenza fortissima. La testa vien subito divorata dal serpente, e l'amo gli resta conficcato in gola; Thor tira con tanta forza la lenza, che i suoi piedi sfondano la nave, e scendono nel fondo del mare, mentre egli tira il serpente verso la nave. In quel momento ha luogo una lotta terribile, fra Thor che assale il serpente, e questo che alza la testa dalle onde, e gitta sul suo nemico torrenti di veleno. Allora Hymer atterrito taglia la lenza, ed il serpente piomba nel fondo del mare.
Il Kraken è un altro mostro enorme del mare, famoso nelle tradizioni della Norvegia al pari del serpente di cui già tenni parola, e che dimorava, secondo le leggende, nelle vicinanze di Bergen. Quando i pescatori notavano che il mare non era profondo nel luogo dove andavano a pescare, questo caso li rallegrava, essendo certi di prendere molti pesci, i quali erano come sollevati dall'enorme Kraken, che si trovava certamente in quel sito nascosto dall'acqua. Essi dovevano tuttavia stare molto attenti per vedere se diminuisse ancora la profondità dell'acqua, ed in questo caso era necessario che si allontanassero rapidamente, verso un luogo dove l'acqua fosse di nuovo profonda, e dal quale potessero guardare senza pericolo il mostro, che si alzava fino alla superficie del mare.
Dice ancora Pontoppidan: «La circonferenza di quel mostro è di circa un miglio; esso pare una piccola isola circondata da qualche cosa che somiglia all'erba di mare. Par che abbia certe braccia enormi che crescono in grossezza a misura che escono dall'acqua, e sembrano alberi di una nave di mediocre grandezza. La forza di quelle braccia è tale che se afferrassero il più grande vascello da guerra lo trascinerebbero facilmente nell'abisso.
«Dopo essere rimasto per qualche tempo sulla superficie del mare il Kraken sparisce, ed il momento in cui immergesi nell'acqua è terribile per le navi che si trovano a poca distanza, poiché spostasi un volume d'acqua così grande che si forma un vortice simile a quello del Maelstrom».
Gli enormi tentacoli del Kraken gli servivano per afferrare la preda, e si diceva che durante alcuni mesi dell'anno mangiava continuamente. Si narrò pure che certi pescatori, credendo di approdare in un'isola, discesero invece sopra un Kraken, e vi rimasero in pace, finché, avendo acceso il fuoco, il mostro che sentì il calore s'immerse interamente nell'oceano, e trascinò seco i poveri pescatori atterriti. In un'altra leggenda si dice che un santo della Norvegia, il quale stava di domenica sopra una nave, dolevasi di non poter celebrare la Messa sulla terra ferma. Subito emerse dall'acqua un'isola, sulla quale il santo discese con tutta la ciurma, ed essendo stato eretto un altare disse la Messa secondo il suo desiderio. Appena risalì sulla nave coi suoi compagni l'isola scomparve, perché era formata dal dorso di un Kraken.
San Brandano incontrò nel suo viaggio un pesce enorme detto Gascomus, sul quale discese coi suoi compagni, ma tutti fuggirono appena il pesce, sentendo il calore del fuoco acceso sul suo dorso, si mosse.
Un'altra volta un cete smisurato l'inseguì e certamente avrebbe inghiottita la sua nave, se un altro mostro marino colla bocca che gittava fiamme non lo avesse assalito ed ucciso.
Il Kraken fu detto immortale, e si parlò con frequenza degli uomini infelici uccisi nel volgere dei secoli dalle sue braccia poderose. Forse è stato, più di tutti gli altri mostri del mare ricordati nelle leggende, cagione ai marinai d'infinito spavento; ma non senza qualche buona ragione la fantasia popolare andò immaginando intorno ad esso tanti strani racconti, poiché si può trovare una certa somiglianza fra il suo aspetto leggendario e quello di certe seppie gigantesche, che trovansi anche nei mari del Nord, e delle quali già feci cenno. Da qualche tempo è pure stato tolto ogni dubbio intorno all'esistenza di certi mostri reali del mare, più strani ancora di queste seppie. Essi hanno intorno alla bocca un gran numero di piedi o tentacoli e vengono chiamati dagli Americani: «Seadevils» (diavoli del mare). Qualche volta i loro tentacoli hanno più di trenta piedi di lunghezza, e si afferrano con rabbia indicibile alle barche, o prendono gl'infelici pescatori, che non fuggono in tempo, e li trascinano nell'abisso. Sono tuttavia ben lungi dall'avere le dimensioni di un favoloso Kraken, sul dorso del quale, a quanto si dice, poté fare gli esercizii un reggimento intero di soldati! Secondo altre leggende, che si trovano non solo in Europa, ma anche presso gl'indigeni americani, il dorso di qualche testuggine venne creduto un'isola dagli uomini.
Il vortice spaventevole del Maelstrom, nel quale tante povere navi andarono perdute nelle notti burrascose o di giorno, fra la triste nebbia del Nord, fu anche detto in certe leggende un vorace mostro del mare, e forse è il solo che possa uguagliare nella forza e nella ferocia l'antico mostro Scilla, che
Dodici ha piedi, anterïori tutti,
Sei lunghissimi colli, e su ciascuno
Spaventosa una testa...119
Nel Medioevo si credette pure nell'esistenza del mostro Leviathan, nel quale credo che dobbiamo trovare un ricordo del mitico serpente antichissimo (l'Oceano) che cingeva la terra. Il Leviathan abbracciava fra le sue spire i continenti, e cagionava le maree quando assorbiva le acque dei mari e degli oceani e le rigettava. Recentemente gli abitanti delle isole Shetland credevano ancora nell'esistenza di un gran mostro, il quale abitava nella profondità del mare e col suo respiro cagionava la marea.
Si disse pure che, quando si cominciò a costruire Alessandria d'Egitto, certi mostri marini venivano tutte le notti a distruggere le fondamenta della nuova città. Alessandro fece fare una cassa di vetro, nella quale discese nel fondo del mare, per disegnare il ritratto di quei mostri. Quando tornò dal suo pericoloso viaggio fece eseguire certe statue somiglianti ai suoi disegni, e le fece collocare sulla spiaggia, presso la città nascente. Nella notte, quando i mostri marini uscirono dalle onde per compiere la solita opera di distruzione, videro le proprie immagini orribili, e spaventati fuggirono per sempre.120
Nella sua storia della Groenlandia Thormoder dice di un mostro marino così grosso che sembra un paese. Quando ha fame spande sull'acqua una saliva profumata, che piace molto ai pesci, i quali entrano nella bocca della bestia gigantesca, finché essa la chiuda, essendo satolla. Questo mostro impiega un anno per digerire la preda; vuolsi che abbia parecchie miglia di lunghezza, e che si lasci veder solo quando il mare è calmo; ha diverse teste, e certe grosse zampe colle quali afferra gli uomini e le navi. Si può trovare una certa somiglianza fra questa bestia ed il Kraken leggendario della Norvegia.
In una specie di ballata che vien ripetuta qualche volta dai marinai degli Stati Uniti, si dice di un'isola che fu vista per lungo tempo sul mare. Era coperta di rocce e di avvallamenti del terreno, e non aveva vegetazione; la sua circonferenza era di sei miglia. Certi marinai si avvicinarono ad essa, e videro che una parte della spiaggia si era alquanto sollevata, formando verso il mare una specie di caverna immensa, nella quale entrarono. L'isola non era altro che un'ostrica enorme.121
Gli antichi Arii paragonarono il sole che attraversa il cielo ad un cavallo di battaglia, poi esso divenne l'auriga che guidava cavalli divini. Le onde del mare colle creste bianche di schiuma divennero i cavalli di Poseidone, che nella gara con Minerva crea il cavallo, e troviamo in mitologie diverse certi spiriti del mare che si mutano in cavalli; per questo motivo il cavallo marino ha anche grande importanza leggendaria.
In Islanda il fantastico cavallo marino delle leggende chiamasi Hnickur; credesi che sia grigio, e se d'inverno odesi una specie di crepitio nel ghiaccio è segno che si avvicina. Spesso induce gli uomini e specialmente le fanciulle a montargli in groppa, indi balza nel mare e li porta seco nella sua dimora incantata. Nelle isole Orcadi si dice che lo spirito del mare è un bel cavallino coperto di alighe.
Il cavallo marino leggendario ha nomi vani e strani presso diversi popoli; dicesi che gli uomini ch'esso ha trascinati nel mare possono salvarsi soltanto se riescono ad ucciderlo. Nelle isole Shetland chiamasi «Shoopiltree», in Irlanda «Phookie», nella Germania del Nord «Sagow». Un Kelpie, specie di folletto scozzese, prendeva aspetto di cavallo, e traeva in inganno chi lo montava. Nella Scozia anche ogni lago, secondo certe credenze popolari, ha il suo fantastico cavallo.
Nei racconti popolari dell'Illiria dicesi che le Nixi, le quali dimorano le onde, hanno bellezza meravigliosa; se un giovane s'innamora di uno di questi spiriti, esso trasformasi in cavallo, lo prende in groppa, e lo trasporta nella dimora di cristallo che ha sotto le onde.
Nella leggenda di Corigliano calabro, della quale già tenni parola, in cui il diavolo appare ad una fanciulla, egli monta un cavallo bianco. In un'altra leggenda anche calabrese si parla di un certo Marecavallo, ma costui non ha aspetto di cavallo; è invece un bellissimo giovane, figlio della regina del mare. Egli salvò una giovinetta che era stata buttata in mare e s'invaghì di lei; la sposò, ma fu costretto a tenerla nascosta in una cameretta del suo splendido palazzo, perché sapeva bene che se ella fosse stata veduta da sua madre, sarebbe stata divorata da lei. Dall'alto di una torre la regina filava, e la giovinetta chiamata Teresa, che stava nel fondo del mare, ungeva il filo con miele, quando scendeva il fuso.
La vecchia accostava spesso alle labbra le dita che avevano toccato il filo ed esclamava: «Come è dolce questo filo! se sapessi chi mi usa tanta cortesia gli darei un bel compenso; se fosse un giovine lo amerei come figlio, se fosse una fanciulla la darei per moglie a Marecavallo». La fanciulla non rispondeva, e continuava ad ungere il filo. Un giorno la vecchia disse: «Tu che mi dai tanto piacere, perché non vieni sopra accanto a me? Sali, se vuoi ch'io ti doni un palazzo incantato e tutte le bellezze del mare, tutte le ricchezze dell'oceano». La fanciulla taceva sempre, finalmente la vecchia disse: «Sali, se ami Marecavallo!».
Teresa salì subito, e la regina del mare l'accolse con gioia, ma più tardi prese a odiarla, e le comandò di far bollire certi ceci al sole. Il cielo era oscuro, ma il sole fu chiamato da Marecavallo e mandò tanto calore sui ceci da farli cuocere subito. La vecchia domandò a Teresa un materasso di piume; Marecavallo fischiò, ed in un attimo certi stormi di uccelli discesero intorno alla fanciulla, che poté raccogliere le loro penne e contentare la sua nemica. Questa le ordinò ancora di andare in Inghilterra, per visitare una zia di Marecavallo, e la fanciulla ubbidì coraggiosamente, ricordando tutti i consigli che le aveva dato lo sposo.
Ella giunse in luogo dove le acque del mare erano limacciose e disse: «Che bell'acqua limpida! è un piacere vederla». L'acqua lusingata dalle parole cortesi divenne limpida, ed ella poté andare innanzi colla sua barchetta, finché trovò due isole galleggianti, che cozzavano con forza l'una contro l'altra. Ella disse: «Poverette! come sarei felice se potessi aiutarvi». Le isole rimasero subito immobili, lasciandola passare. Incontrò ancora molte balene e certi pescicani che si dilaniavano a vicenda, ed ella disse: «O buona gente, lasciate che vi aiuti!». Le balene ed i pescicani stettero fermi ed ella poté andare per la sua via; finché giunse vicino alla zia, regina dei mari d'Inghilterra, che prese a volerle bene, e dopo qualche tempo la rimandò a Marecavallo, col quale essa visse felicemente.
Il capitano Seymour e la ciurma della sua nave affermarono di aver veduto a quaranta o cinquanta miglia da Panama un mostro, il quale mise fuori dalle onde una testa simile a quella di un bellissimo cavallo, con due corna. Il suo corpo aveva circa venti piedi di lunghezza, quattro gambe e larghe natatoie; la sua coda era divisa in due parti. Altri marinai ed ufficiali di piroscafi appartenenti alla compagnia marittima del Pacifico, videro nello stesso luogo mostri simili a questo.
Nel poemetto russo che ha per titolo Kaniok Garbunok, un cavallo bianco porta Ivano nel mezzo del mare presso una balena che ha ingoiato una flotta. Questo Ivano, il quale deve cercare per il sultano un anello chiuso in una cassetta caduta nel mare, ha una certa affinità con Niccolò Pesce di cui dirò in altro capitolo.
Spesso fra le onde dell'Oceano glaciale e dell'Atlantico passano sui massi galleggianti di ghiaccio foche ed orsi bianchi, i quali hanno aspetto quasi soprannaturale fra lo splendore delle aurore boreali, o nei lunghi tramonti dell'estate, ed avviene con frequenza che i marinai dicano intorno ad essi strane leggende. Forse quelle che trovansi in maggior numero fanno cenno delle trasformazioni meravigliose di pescatori, e specialmente di stregoni islandesi ed eschimesi in foche ed in orsi bianchi; altre volte gli spiriti del mare prendono anch'essi l'aspetto di questi animali per trarre gli uomini a rovina o per aiutarli, come già notai nella leggenda eschimese di Stiliarnat.
Anche le balene hanno molta importanza fra le leggende marinaresche, e si dice che in Groenlandia due giovinette si trastullavano con alcune ossa sopra una spiaggia; una di esse aveva in mano ossa di aquile, l'altra ossa di balene. Un'aquila passò su di esse ed una delle ragazze disse: «avrò un'aquila per marito»; l'altra esclamò: «invece avrò per marito una balena!» ed in quel momento apparve sulle onde una balena. L'aquila rapì una delle fanciulle, la balena prese l'altra e la portò nel fondo del mare, avendole prima reso gli occhi e le orecchie impenetrabili, affinché non vi entrasse l'acqua.
L'aquila portò la fanciulla scelta per sua sposa in cima ad una rupe, e le dava diverse specie di uccelletti per nutrirsi. Ella conservava con molta cura i loro nervi, e intrecciandoli insieme fece con essi una fune. Un giorno, mentre l'aquila era assente, ella misurò la lunghezza della fune, e vide che giungeva a livello del mare. Un altro giorno scorse un pescatore sulla spiaggia, e quando egli giunse presso la rupe lo chiamò, pregandolo di mandare una barca per salvarla. Appena questa arrivò, la giovane discese, avvalendosi della fune di nervi, e tornò presso i suoi genitori che uccisero l'aquila.
La fanciulla rubata dalla balena fu legata con una fune al fondo del mare. Ella aveva due fratelli, che dimoravano a poca distanza, ed entrambi costruirono una barca leggerissima, colla quale speravano di liberarla. Più tardi distrussero questa barca, perché non avea sul mare rapidità pari a quella di un uccello. Ne fecero un'altra veloce come un uccello e la ruppero pure; finalmente ne costruirono una più veloce di un uccello, e partirono per liberare la sorella. Costei, sapendo che si avvicinavano, sciolse la fune che la legava, salì nella barca e fuggì con essi. Quando la balena tornò, e si avvide che la fanciulla era fuggita, le corse dietro. Ella, vedendo che si avvicinava alla barca, gittò nel mare il suo corpetto; la balena si fermò per raccoglierlo, poi, lasciandolo, corse di nuovo dietro alla barca. La fanciulla gittò nell'acqua altra parte dei suoi abiti, e la balena si fermò ancora; poi riprese la sua corsa; la fanciulla le gittò anche la sua sottana, e prima che la balena l'afferrasse scese a terra e fu salva. Dicesi che quando la balena giunse sulla spiaggia si trasformò in un osso di balena.
In altre leggende anche le balene, come il Kraken e le testuggini, sono credute isole dai marinai, e siccome sul dorso delle balene si trovano conchiglie ed alighe, si disse che quelle isole erano verdeggianti.
Il ricordo di certi mostri del mare nominati nelle leggende che possiamo dire classiche durò a lungo, mentre anche molte persone colte non vedevano in essi soltanto miti creati dalla fantasia del popolo, o immagini vagheggiate dai poeti, ma esseri reali; in maniera che in tempi non lontanissimi da noi si narrarono ancora strane apparizioni di Tritoni e di Sirene. Il Poggio racconta seriamente che apparve sulle coste della Dalmazia un tritone colla fronte ornata di piccole corna, aveva anche la barba, e poteva esser tenuto come una specie di satiro del mare, poiché rubava sulle spiagge le donne. Cinque fortissime lavandaie lo uccisero finalmente a furia di bastonate.
Si parla anche in certe leggende delle strane trasformazioni di uomini in mostri o in pesci del mare, avvenute anche senza che abbiano gustato l'erba che fece Glauco «consorto in mar degli altri dei». Queste trasformazioni sono raccontate con molta frequenza nelle leggende degli Eschimesi, e provano la grande importanza degli amuleti, senza dei quali gli uomini, in certi casi della vita, o in mezzo a certi pericoli, non potrebbero trasformarsi in animali diversi.
Il Fracastoro in un suo poemetto latino ci racconta anche una strana trasformazione di uomini in pesci. Carpo, pescatore del lago di Garda, vedendo fuggire Saturno, lo credette un ladro, che portasse via dell'oro, e cercò di derubarlo. Saturno maledisse lui ed il suo compagno, perché si mostravano nemici degli dei, e disse loro che in fondo al lago avrebbero potuto pascersi d'oro. Gl'infelici vollero chiedere perdono, ma venne loro meno la voce, le bocche allungate si mutarono in un ampio grifo, le mani divennero pinne, essi si coprirono di squame, i loro piedi si trasformarono in coda. Carpo, essendo stato il primo ad offendere il dio, si slanciò primo nell'acqua e si nascose nel fondo del lago.
Se Tommaso Stigliani avesse potuto in egual modo trasformare il Marini lo avrebbe fatto molto volentieri, ma dovette limitarsi a dir di lui
...per lo mar vicino
Vive il Pesciuom con sue mirabil membra,
Detto altramente il Cavalier Marino,
Verace bestia, bench'al vulgo uom sembra
Che nulla, fuor che l'alma, ha di ferino
E tutto a nostra immagine rassembra:
Figlio della Sirena ingannatrice
Ed alla madre egual, se 'l ver si dice.
Di un altro mostro del mare parla Guglielmo Pugliese nel suo poema latino intorno alle gesta dei Normanni e dice che «la fama riferiva trovarsi presso il lido di Reggio un pesce assai grande per quei mari e di forme mostruose, di cui non s'era mai veduto l'eguale. Il vento invernale l'avea trasportato in quel luogo a cagione delle acque dolci. Il sagace Roberto con varii artifizii prese quel pesce, il quale caduto appena nella rete di funi si sommerse insino al fondo del mare pel gran peso del ferro attaccato alla rete; ma i marinai lo finirono con varii colpi. Appena tirato in secco, il popolo vide un mostro meraviglioso, e il duca ordinò che ei fosse tutto tagliato a pezzi e dato a mangiare in gran copia a sé, ai suoi e al popolo che dimorava in quella contrada di Calabria. La gente pugliese ne gustò varie volte. La bocca di quel pesce, circondata da aguzzi denti, avea quattro palmi di lunghezza in giro».
Non solo i mostri del mare immaginati dalla fantasia dei popoli appaiono con frequenza nelle leggende marinaresche, ma si trovano anche ricordati in esse molti pesci e cetacei, i quali hanno intelligenza pari a quella degli uomini. Essi sono trasformazioni di eroi o di eroine solari, o li aiutano nella loro fuga, o ancora s'immergono nel mare per prendere la perla o l'anello, che l'eroe o l'eroina vi hanno lasciato cadere.122
Tra i cetacei ha grande importanza leggendaria il delfino, il quale a cagione delle sue pinne e del suo colore può rappresentare i due corni lunari e le fasi della luna; e il delfino e la luna, secondo una credenza ellenica, trasportavano anche le anime dei morti. I delfini erano specialmente cari a Nettuno, poiché scoprirono nascosta nelle case dell'Oceano la bella
Anfitrite, gentil di Nereo figlia.
…
E il chiomi-azzurro allor rapita a forza
Domolla, e sua la fe' sposa e reina;
I Delfini lodò, fidi ministri
E die' lor nel suo regno il primo onore.
De' Delfini non v'ha cosa più diva;
Uomini un tempo furo e di Cittadi
Abitator, ma per voler di Bacco
Nel mare entraro trasformati in pesci,
Ond'han senno viril, prudenza ed opre.123
Essi son amici fedeli degli uomini e
...Tra pesci è noto
Il fatto d'Arion, che fu sul dorso
Dal pietoso delfin condotto al lido.
Dicon ch'ei viene al fischio ed a la voce
Di chi Simon nel suo chiamar l'appella.
Il corno lunare annunzia la pioggia, e il delfino predice pure
Le tempeste al nocchiero, a fin che possa
Da l'ingannevol mar ritrarsi in parte.124
Nell'Orlando innamorato, Scombrano dice a Rodomonte:
La fulicetta, che nel mar non resta,
Ma sopra al sciutto gioca ne l'arena,
E le gavine che ho sopra a la testa,
E quell'alto aïron, che io veggio a pena,
Mi dànno annunzio certo di tempesta;
Ma più il dolfin, che tanto si dimena
Di qua, di là saltando in ogni lato,
Dice che 'l mare al fondo è conturbato.
Questi grandi meriti fanno sì che
Abominanda è dei Delfin la caccia,
Né il predator mai più fia caro ai numi,
Né santamente toccherà gli altari
Contaminato dallo strazio indegno,
Di quei prodi del mar duci sovrani.
L'odiano al par dell'omicida i numi,
Che umano hanno il pensier, fidi a Nettuno
Servi, ed amici della umana stirpe.
Aiutano anche gli uomini, poiché
Se a ricca apparecchiar pesca le reti
Nell'emboico sen del mare Egeo
Faticando la notte, i pescatori
E vanno in barca al meditato assalto
Col subito splendor di ferrea lampa,
Cortesi gli hanno in lor soccorso amici
E respingono indietro i fuggitivi
Pesci, che andriano spaventati al fondo.
…
Terminato il lavor, della fatica
Vengon chiedendo e della lega il prezzo
Del fatto acquisto in adeguata parte
Non mai negata e volentier largita;
Che se superbamente alcun li froda
Più non ne tragge util soccorso all'uopo.125
Può anche il delfino sentire affetti profondi, e fra gli altri fatti narrati per darci prova della sua bontà, Oppiano Cilice126 parla di un delfino, il quale portava grande amore ad un giovinetto, e stava sempre in sua compagnia. Il giovine morì ed il povero delfino
...lunghesso il lido
In traccia del fanciul correa dolente,
E udir pareati il gemebondo suono
D'umano lamentar; di tal vestissi
Commiserando, inconsolabil duolo,
Né più degl'isolani al noto segno
Il porto cibo ad abboccar venia;
Tanto il corruccio fu, tanto il dolore,
Che a morir s'affrettò col morto amico.
Quando Apollo volle condurre in Dello la ciurma di una nave mercantile, che navigava carica di mercanzie, egli apparve in mezzo alle onde, sotto forma di delfino, mentre i marinai atterriti guardavano la nave che si moveva senz'aiuto di vele e di remi. Quando giunsero verso la sponda sulla quale dovevano discendere, Apollo apparve sulla nave con aspetto di stella sfavillante, poi si trasformò ancora in bellissimo giovine, e domandò ai marinai chi fossero e donde venissero. Risposero che erano stati, contro il loro volere, portati a Crisa dalla nave. Febo disse loro che non dovevano più sperare di rivedere le loro case, le mogli ed i figli. Un destino più alto li aspettava, perché sarebbero stati guardiani del suo tempio. Questa volta invece di trovare nel delfino un mito lunare ne troviamo uno solare, ed Apollo in queste sue trasformazioni ha come Proteo una grande affinità coi miti arii delle nubi, se, come ben nota il Cox,127 queste trasformazioni delle divinità, che sono ricordate insieme col mare, non accennano al mutevole aspetto dell'acqua ed al movimento delle onde. Una leggenda islandese intorno all'origine dei pescicani dice che Faraone e tutti i soldati, che gli erano compagni nell'inseguire Mosè e gli Ebrei, si trasformarono in pescicani dopo essersi annegati nel Mar Rosso. Olafson chiama questi pesci popolo del mare, ed anche in Islanda si credette che nella notte di San Giovanni o in quella dell'Epifania, essi uscissero fuori dalle loro pelli, e, salendo sulla terra, si mettessero a sonare ed a ballare, come se fossero esseri umani.
Altra cosa strana ci vien detta intorno al polipo poiché
...dal mar, visto l'olivo,
Esce il polipo ingordo, e su pel lido
Va tutto lieto dalla pianta al piede.
Desïoso si striscia intorno al tronco
E ad abbracciarlo strettamente s'alza,
A fanciullo simil che la diletta
Nutrice a lui tornar alfin rivegga.128
In uno strano racconto della Mingrelia parlasi di un altro pesce. Un re aveva un figlio unico chiamato Sanartia, il quale era tanto bello e così savio, che era ammirato da quanti lo conoscevano; ma non ubbidiva alla propria madre, che l'odiava e disse al re: «Costui non mi ubbidisce mai, conducilo con te e gittalo in un mare grande e profondo».
Il padre fu molto dolente nell'udire queste parole, ma si piegò a fare quello che voleva sua moglie. Il giovine, che erasi accorto di quanto avevano stabilito i suoi genitori, non si ribellò contro il loro proposito.
Un giorno il padre gli disse: «Andiamo a vedere la città». Il ragazzo rispose: «Mio piccolo padre, dammi un po' di danaro». Il padre gliene diede e partirono.
Quando giunsero in una città il giovanetto comperò una piccola scure, un coltello, del filo, un ago ed una pietra focaia.
Dopo aver passeggiato arrivarono sulla spiaggia, ed il giovine sradicò una quercia che prese a portare sulle spalle. Suo padre lo chiamò dicendogli: «Vieni a vedere un grosso pesce che voglio mostrarti». Appena il ragazzo si avvicinò per guardare il pesce, il padre lo gittò nell'acqua, ed egli affondò coll'albero che portava sulle spalle.
In quel momento un grosso pesce che passava inghiottì l'annegato, ed il re tornò a casa. Il giovine accese il fuoco nel ventre del pesce che era pieno di uova, ne prese uno, lo fece cuocere e lo mangiò. Visse così per trent'anni, nutrendosi colle uova del pesce; ma la legna era in gran parte bruciata, la pietra focaia si consumava, ed il giovane accese ancora un gran fuoco. Nel sentire l'insolito calore il pesce balzò fuori dell'acqua e rimase sulla spiaggia. Il giovine esclamò: «Voglio tagliare il ventre del pesce; se siamo ancora nell'acqua lo ricucirò, se siamo a terra aprirò interamente la mia dimora e me ne andrò».
Egli fece una corta incisione nelle carni del pesce, e vide che stava sopra un prato; allargò l'apertura ed uscì, poi accese ancora il fuoco, fece cuocere il pesce e lo mangiò.
In quel momento passava un principe, che andava presso la sua fidanzata, e vide il giovane che usciva dal pesce; mandò presso di lui un messo, per farsi indicare la via da tenere. Il naufrago rispose che non la conosceva; il viaggiatore gli si avvicinò e chiese: «Chi sei?». L'altro nominò il re suo padre.
I due giovani si misero in via, ed il povero naufrago il quale era fortissimo, fu di grande aiuto al suo compagno; poiché in qualche modo fece per lui ciò che il Sigfredo dei Nibelunghi fece per Guntero, principe del Reno, vincendo colla propria forza dure prove, per far ottenere all'amico l'affetto della giovine fidanzata.129
Nella leggenda russa cristiana di Feodor Tyrianine, costui torna dalla guerra; sua madre prende per la briglia il suo cavallo e lo conduce a bere l'acqua del mare azzurro; dal quale esce il serpente della montagna che vola su di essa, l'afferra, e tenendola per la sua cintura di seta, la porta al di là delle montagne e dei boschi, nelle sue grotte, dove la dà a succhiare ai proprii figli. Feodor sa quale sventura gli è toccata, corre in chiesa, prende il libro dei Santi Evangelii, poi va vicino al mare azzurro, legge, si commuove e versa lagrime ardenti.
Il pesce Kitra si avvicina alla spiaggia, Feodor monta sul suo dorso, attraversa i mari, giunge nella caverna del serpente e gli uccide i figli. Il loro sangue pestifero sale a lui d'intorno come la marea; egli solleva la madre sul proprio capo, ma il sangue sale, sale sempre; Feodor fa una invocazione alla terra, dicendole: «Apriti, o terra umida, bevi questo sangue di serpenti». La terra beve il sangue, e Feodor ritorna colla madre sulla spiaggia, ove li aspetta il pesce Kitra, che li trasporta entrambi nella casa paterna.