Maria Savi Lopez
Leggende del mare
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I venti e le streghe

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I venti e le streghe

In tutte le mitologie troviamo le divinità dei venti, e nei racconti bizzarri o spaventevoli nei quali esse appaiono con parvenze strane e diverse, abbiamo una delle prove più importanti del lavorio meraviglioso che ha saputo compiere la fantasia umana di secolo in secolo e di gente in gente, intorno a qualche semplice racconto o mito antichissimo.

Tra i miti dei venti che possono in un baleno devastare la terra e sconvolgere gli oceani ed i mari, o accarezzare le chiome fluenti delle fanciulle ed i fiori, parmi che abbiano aspetto più maestoso e terribile i Marut indiani, che aiutano Indra contro il suo gran nemico Vritra. Sono fratelli e nessuno di essi è più giovane o più vecchio degli altri; sono luminosi, hanno sul capo le tiare d'oro; le lance splendono sulle loro spalle e le corazze sui loro petti; ruggiscono come leoni, sradicano gli alberi, distruggono le foreste, scuotono le montagne, si vestono colla pioggia e sono rapidi nella corsa come il pensiero; hanno per armi i lampi, e si ode il sibilo delle fruste che portano in mano. Dopo le maggiori imprese, quando è cessata la loro furia, prendono forma di bimbi, e par che in questo fatto della loro vita turbinosa abbia origine il mito di Mercurio, che ritorna nella sua culla dopo avere sconvolto le foreste.

Credo che il mito del vento furioso, il quale nella sua parvenza contrasti maggiormente con queste luminose figure orientali, essendo tuttavia una loro trasformazione, sia la Bába Yagá russa; orribile vecchia, altissima, col naso molto lungo, coi capelli arruffati e disciolti. Credesi che abbia il naso di ferro al pari dei denti, e che dimori in un gran palazzo, circondato dalle ossa delle persone che ha divorate, ed in gran parte costruito con ossa di morti. Essa viaggia sopra un mortaio di ferro, e con una scopa cancella le tracce del suo passaggio. Il sole, il giorno e la notte la servono; essa può, come Medusa, cambiare gli uomini in sassi. Dicesi nella Russia Bianca, che, mentre viaggia, i venti fischiano, la terra geme, gli alberi si spezzano; nell'Ucrania viene chiamata la serpe; insegue i ragazzi e li ruba, o mena seco, in una ridda infernale, i fantasmi che le sono donati dalla Morte. Di certo si aggira sulle spiagge del golfo di Finlandia, sulle onde furiose del Baltico; mentre Odino, il gran dio del vento, passa di galoppo sull'Oceano glaciale o sul Mare del Nord, rapido come la saetta, cavalcando il suo meraviglioso cavallo Sleipnir, fra la burrasca che trae a rovina i miseri marinai, ed è seguìto da spiriti innumerevoli fra la nebbia o la luce rossa delle aurore boreali.

Anche sul mare passano i selvaggi cacciatori medioevali, ed alla gran voce dell'acqua si unisce il suono squillante delle trombe, mentre il vento sospinge nella corsa vertiginosa i vecchi cavalieri, le anime dannate, gli animali mostruosi e i demoni, che ridono fra la burrasca, seguendo la bellissima Freya, la quale guida la caccia notturna, ed in certi casi diventa anch'essa una personificazione del vento.

I Finni chiamavano il dio delle burrasche Husi e lo dicevano seguito nella corsa sul mare da cani, gatti ed altri animali; i contadini inglesi credono invece che il demonio del vento abbia per compagne le anime dei bambini morti senza battesimo. Gli Eschimesi della Groenlandia affermano che un gigante passa col suo canotto sul mare, e solleva a suo talento le burrasche. Altre genti credettero che le raffiche, le quali precedono la tempesta, fossero spiriti di donne inseguiti da Odino e dai suoi compagni; i Cinesi dicono che i draghi si traggono dietro le nubi, e che le tigri menano i venti.

In certe regioni il vento vien creduto lo spirito di Erode, il quale si aggira nell'aria, o il demonio che si diverte a sconvolgere l'atmosfera. Nell'Edda si dice invece che il gigante Hraesvelgr sta seduto al confine del mondo, e coi battiti delle sue ale d'aquila mette in moto i venti. Soloveî, che forse non ha nulla di comune col re del mare, esperto nel guidare la sua nave e nel cantare, del quale già feci cenno fra gli eroi del mare, è un usignuolo gigantesco, ricordato nell'epica russa, il quale, insieme coi suoi figliuoli, fa parte della grande famiglia indoeuropea degli uccelli tempeste.

I Russi credono pure che nell'isola misteriosa chiamata Buyan, che ricordai in altro capitolo, risiedano i venti, ai quali dicono gl'innamorati: «Nell'Oceano, nell'isola Buyan abitano tre fratelli, tre venti: il primo è quello del nord, il secondo quello dell'est, il terzo quello dell'ovest. O venti, portate alla mia fanciulla dolore e malinconia, affinché ella non sia capace di passare senza di me né un giorno né un'ora».130

In un canto popolare i Bulgari ci dicono che cosa sono i venti. Questi cominciano a soffiare; sono così violenti che sradicano la foresta, e vengono seguiti da nebbie oscure. Sotto i venti si alza la polvere delle strade, dalla nebbia scende una pioggia minutissima: i venti si avvicinano al villaggio di Angelina.

Certe fanciulle dicono le une alle altre: «Perché vi sono tanti venti; tanti venti e tante nebbie? Perché sono i venti così impetuosi che la polvere si alza sulle strade? Perché la nebbia è così densa che da essa scende la pioggia minuta?...». Angelina risponde alle compagne: «O giovinette, care compagne mie, non capite che non sono né i venti, né le nebbie, ma sono le Youdas e le Samovile? La polvere alzasi sulle strade quando esse combattono insieme per sapere chi di loro rapirà una fanciulla!». Appena Angelina ha detto queste parole giungono i venti e le nebbie, che la rapiscono e la portano sulla cima della montagna.131

In una leggenda bulgara i venti rapiscono pure una fanciulla. La piccola Todora è rimasta a custodire all'ombra di un albero un suo fratellino, nato da poco, vicino al quale arrivano le tre Fortune. Todora non chiude gli occhi ed ascolta ciò ch'esse dicono. La prima dice: «Prendiamo il bambino»; la seconda dice: «No, lo prenderemo quando avrà sette anni». Dice la terza: «Lasciamo che cresca; quando sarà un giovanotto verrà fidanzato ad una bella fanciulla; quando andrà a sposare in chiesa lo prenderemo».

Passano gli anni ed è prossimo per il giovane il giorno delle nozze. Todora racconta alla madre quanto hanno detto le tre Fortune, e mostrasi decisa a trarle in inganno. Essa mette gli abiti del fratello, e tutti vanno in chiesa per il matrimonio. Appaiono certi venti impetuosi, ed un turbine solleva la polvere, un uragano di neve sconvolge l'aria: i venti sono le Youdas (le Fortune) che rapiscono Todora, credendo di prendere suo fratello, e la trasportano fra le nubi.

Secondo certe credenze dei popoli che vivono verso il Nord di Europa, i venti non sono chiusi nei monti cavernosi quando regna la calma sul mare, ma dormono placidamente. Nell'epica dei Finni, quando il fabbro divino Ilmarinen ha finito il meraviglioso Sampo, eppur non ottiene per moglie la bella vergine di Pohjola, che ricusa di seguirlo, egli, col petto oppresso dal dolore, pensa di ritornare nella patria diletta.

La madre di famiglia di Pohjola gli chiede: «O Ilmarinen, desideri il tuo paese lontano!».

Ilmarinen risponde: «Sì, sospiro pensando alla patria mia; vorrei rivedere la mia casa per morirvi; per esservi sepolto».

La madre di famiglia fa sedere l'eroe in una nave, presso il timone coperto di rame, e desta il vento del Nord, al quale comanda di soffiare con violenza.

In certe regioni credesi ancora che le burrasche, le quali sconvolgono i mari e gli oceani, siano cagionate dalla perfidia delle anime dannate. Esse suscitano la tempesta sul mare che mugghia, combattuto da venti diversi; ma, come Paolo e Francesca, vengono travolte fra la bufera infernale, o, come Aiace d'Oileo, fulminato da Minerva per il suo folle amore, sono dai turbini gettate contro gli acuti scogli. In alcuni paesi tedeschi quando si scatena una tempesta violenta si dice che il diavolo passa nell'aria, portando l'anima di un appiccato; quando si calma la tempesta questo avviene perché il corpo di quell'infelice è stato sepolto. Invece in Franconia quando si seppellisce un suicida nel camposanto scoppia un temporale, a quanto crede il popolo. Presso le genti gaeliche della Scozia avvengono ancora adesso sommosse quando l'autorità vuol fare seppellire un suicida nel camposanto di qualche parrocchia, e cercasi per deporre il suo corpo una caverna isolata sopra una montagna, in luogo quasi inaccessibile, dal quale non si veda né la terra coltivata né il mare. Se non si facesse questo, gli abitanti della regione visibile dalla tomba del suicida avrebbero gravi danni nel raccolto e nella pesca. Si gittano in mare il martello ed i ferri usati per far la bara del suicida, e si ha gran paura del suo fantasma, perché si crede che abbia facoltà di nuocere agli uomini, mentre si aggira fra le tombe. Nella Prussia orientale e nella Slesia si teme egualmente la potenza malefica dei suicidi, ed in Inghilterra per impedir loro di riapparire sulla terra si usò di seppellirli presso le grandi strade provinciali, mettendo loro a traverso il corpo un palo che li teneva come inchiodati nella tomba. Nel 1824 un editto di Giorgio IV impose che i suicidi fossero sepolti in qualche cimitero, senza il palo, e questa ordinanza fu di nuovo promulgata nel 1882 nella legge sulle sepolture.132

A proposito di pali una leggenda irlandese ci dice che il re Conchobar per dividere anche nella morte due amanti chiamati Naisi e Deirdre, comandò di sotterrarli separatamente; ma il vero amor è più forte della morte, e dopo qualche tempo una delle tombe fu trovata vuota: nell'altra riposavano i due cadaveri. Il re li fece separare nuovamente ed a ciascuno di essi fece conficcare nel corpo un palo. Da ogni palo venne fuori un albero; questi crebbero tanto che i loro rami giunsero ad intrecciarsi insieme sulla chiesa di Armagh. Una variante della stessa leggenda dice invece che furono sepolti sulle sponde opposte di un fiume, e che dai loro corpi uscirono due pini, i quali intrecciarono sull'acqua i loro rami.

Altre leggende gentilissime ricordano presso diverse nazioni gli alberi cresciuti sulle tombe in modo meraviglioso, ma non è ora il caso di dire altro su questo argomento, nel quale non si fa parola né del mare né dei venti. Dirò invece che nella Bassa Bretagna i marinai fischiano in un modo speciale quando vogliono avere il vento favorevole, e lo chiedono a Sant'Antonio. Non fischiano mai quando il vento è favorevole, per tema che si muti, e neppure quando il mare è burrascoso, perché vogliono evitare che aumenti la violenza del vento.

Credesi pure nella stessa regione che la polvere raccolta in certe chiese abbia grande influenza sul vento. Nella parrocchia di Combrit, nella Bassa Bretagna, vedesi una cappella dedicata a Santa Marina, della quale hanno cura speciali i genitori, le spose e le sorelle dei marinai, che dopo avere spazzata la cappella prendono la polvere raccolta e vanno a gittarla fuori nella direzione in cui è bene che soffii il vento. In altri paesi della Bretagna le famiglie dei marinai hanno lo stesso costume; invece sulle spiagge della Normandia le donne dei pescatori che non li vedono tornare quando dovrebbero, bruciano una scopa perché abbiano il vento favorevole.

Sulle coste dell'Irlanda, per avere il vento favorevole, si usa di sotterrare un gatto nella sabbia fino al collo, colla testa volta dalla parte donde viene il vento contrario, e di lasciarlo in quella posizione finché muoia. In questo caso par che si debba ritrovare il ricordo di antichi sacrifizii fatti al vento, e vediamo che i poveri gatti, tanto maltrattati in certe città dove si usò di bruciarli pubblicamente, credendo che fossero streghe, continuano ad essere vittime dell'ignoranza.

Secondo una tradizione della Bretagna i marinai prima d'imbarcarsi andavano a comperare da certe Druidesse delle frecce, le quali, se erano lanciate nell'acqua dal marinaio più giovane e più bello dell'equipaggio, avevano la facoltà di calmare i venti e le onde. Quando ritornava il bastimento, il giovine doveva offrire doni alle Druidesse, che mettevano certe conchiglie sugli abiti suoi, in numero minore o maggiore, secondo il valore dei doni ricevuti.133

Le Druidesse sono scomparse fra la polvere dei secoli lontani, ma in molti paesi si usò per lungo tempo o si usa ancora di vendere il vento. I Finni specialmente lo vendevano ai marinai, e quando avevano ricevuto il prezzo stabilito per la merce strana davano ai compratori un laccio annodato tre volte. Bastava sciogliere il primo nodo per avere il vento favorevole; sciogliendo il secondo si faceva diventare il vento fortissimo, se scioglievasi il terzo cominciava una violenta tempesta.

Questi tre nodi vendonsi pure su certe funi che i mercanti scozzesi del vento dànno anche adesso ai marinai. Il primo nodo, essendo sciolto, il vento favorevole, il secondo il vento forte, il terzo la burrasca; ed in certe regioni gli abitanti delle spiagge affermano che i marinai increduli, i quali hanno senza paura disciolto il terzo nodo, si sono perduti colle loro navi.

Nella relazione di un viaggio fatto da un certo De la Marinière nel 1671, questi dice: «Noi navigammo fin sotto il cerchio polare artico; finché cominciò una grande calma in vicinanza della spiaggia. Sapendo che coloro i quali abitano presso il mare, dopo il cerchio, sono quasi tutti stregoni, e che gli abitanti delle coste del mare di Finlandia dispongono a loro talento dei venti, mettemmo in mare una barca per andare a comperare il vento in un villaggio vicino, dal più esperto stregone. Dicemmo a costui dove eravamo diretti, e gli chiedemmo il vento; egli non poteva darlo secondo il nostro desiderio, ma solo fino ad un certo promontorio assai lontano. Lo stregone venne a bordo della nostra nave con tre compagni suoi, e ci vendette il vento, al prezzo di venti lire di Francia e di una libbra di tabacco. I tre uomini legarono ad una vela un pezzo di tela con tre nodi, e se ne andarono; noi sciogliemmo il primo nodo ed un vento favorevole si alzò; più tardi sciogliemmo anche il secondo; quando fu sciolto il terzo cominciò una burrasca».

Le streghe e gli stregoni che governano sul mare i venti, e possono a lor talento sconvolgere le onde, suscitando le tempeste, non sono dunque, secondo le leggende marinaresche, meno possenti di quelli che imperano colle arti diaboliche, in certe regioni della terra, dove la civiltà moderna non ha fatto dimenticare ancora molte favole assurde, che cagionarono tanto terrore ai nostri avi. Spesso le imprese di questi stregoni vengono ricordate seriamente dalla storia.

Guglielmo Pugliese nel suo poema storico latino dice che Massimo, minacciato dai Normanni e costretto a lasciare la città di Otranto, pianta i suoi accampamenti in luogo ben riparato sopra certe rupi tagliate a piombo sul mare profondo; ordina che si tirino a secco le sue navi presso alcuni scogli, e fa sottoporre alla tortura o bruciare alcune persone accusate di aver fatto imperversare una burrasca. In altro luogo lo stesso Guglielmo ricorda che i Palermitani, assediati da Roberto Guiscardo, non avendo ordine di battersi in terra ferma, offrirono la battaglia sul mare, dove credevano di trovarsi a miglior agio. Avendo apprestato le navi, secondo l'arte della guerra navale, sparsero in ogni parte i rossi filtri magici per respingere indietro i sassi e i dardi dei nemici, e vennero a combattere con forte animo, per vivere o morire da uomini.

Virgilio nella strana trasformazione medioevale della sua figura ebbe anche potere sui venti. Dicesi che volle esaminare le acque minerali di Pozzuoli, e lasciò su certe tavole di marmo incisi i loro nomi e le notizie sulle loro virtù. Moltissimi ammalati andavano a cercar la salute usando quelle acque; ma dopo che tante persone, durante tredici secoli, erano guarite, seguendo i consigli del grande poeta, tre medici salernitani andarono di notte per mare a Pozzuoli, distrussero le iscrizioni benefiche e tornarono sulla loro barca. L'ombra sdegnata di Virgilio suscitò una violenta burrasca, i tre medici annegarono, ed i loro cadaveri furono gittati sulla spiaggia di Pozzuoli.

Non meno possenti di Virgilio nel comandare ai venti e alle onde sono due streghe ricordate nella saga di Frithjof, in cui si dice che Helgi, il Plutone del nord, manda contro la bella nave Ellide due streghe; esse cavalcano sul dorso di una balena, che pare un'isola galleggiante. Una di esse, chiamata Heyd, porta una splendida veste di neve, e pare un orso del ghiaccio; l'altra, chiamata Ham, va colle grandi ale spiegate, movendo l'aria come un uccello delle tempeste.

Marco Polo, nella relazione dei suoi viaggi, fa anche cenno di stregoni, che hanno facoltà di comandare ai venti, e parla specialmente di quelli dell'isola di Socotara, che possono cambiare il vento e cagionano grandi tempeste. Egli fa pure cenno di stregoni, che hanno il potere di affascinare i pesci, e parlando della pesca delle perle dice che i mercatanti donano al re X parti l'una di ciò che pigliano, e ancora ne donano a coloro che incantano i pesci, che non facciano male agli uomeni che vanno sotto acqua per trovare le perle, a costoro donano delle XX parti l'una, e questi sono Abrin-amani incantatori; e questo incantesimo non vale se non il die, sì che di notte nessuno pesca; e costoro ancora incantano ogni bestia e uccello.134

Al pari dei maghi della Groenlandia, e di quelli dell'Oceano Indiano, anche la bella e perfida Alcina avea facoltà d'incantare i pesci, e Astolfo dice a Ruggiero:

E come la via nostra, e il duro e fello
Destin ci trasse, uscimmo una mattina
Sopra la bella spiaggia, ove un castello
Siede sul mar, de la possente Alcina.
Trovammo lei ch'uscita era di quello,
E stava sola in ripa alla marina;
E senza rete e senz'amo traea
Tutti li pesci al lito, che volea.
Veloce vi correvano i delfini,
Vi venia a bocca aperta il grosso tonno;
I capidogli coi vecchi marini
Vengon turbati dal loro pigro sonno;
Muli, salpe, salmoni e coracini
Nuotano a schiere in più fretta che ponno;
Pistrici, fisiteri, orche e balene
Escon del mar con monstruose schiene.

Parmi che presso gli Eschimesi si trovino in maggior numero le leggende in cui si parla degli stregoni che hanno potere sui pesci, sul mare e sul ghiaccio; e si direbbe che lo scopo principale della loro povera letteratura sia quello di celebrare l'arte ed il potere di questi stregoni, chiamati angakok, i quali dimorano sulle spiagge. Una di queste leggende narra del famoso stregone Tiggak. Questi sposò una fanciulla, che aveva molti fratelli, e dopo il suo matrimonio rimaneva ozioso in casa, mentre gli altri andavano a pescare. Quando nelle prime ore del mattino uscivano i suoi cognati, non potevano indurlo ad accompagnarli, e spesso egli dormiva mentre erano assenti, o teneva compagnia alla moglie, finché giungeva l'ora di andare a letto. Questo suo procedere offendeva gli altri uomini, i quali gli fecero intendere che erano irritati contro di lui.

Nel mezzo dell'inverno tutti furono una notte destati dai sibili del vento. Imperversava una burrasca venuta dal Nord. I fratelli non uscirono più per la pesca, e vissero usando le provviste raccolte, le quali finalmente furono esaurite. Un giorno, quando non potevano ancora uscire coi canotti, Tiggak si assentò da casa; verso sera lo cercarono mentre eravi di nuovo una burrasca e cadeva la neve. La notte era assai inoltrata quando si sentirono chiamare, e videro Tiggak che si avvicinava trascinandosi dietro due foche. Da quella notte egli fu nuovamente stimato assai nella sua famiglia; nel giorno seguente fece lo stesso, e durante l'inverno continuò nello stesso modo a provveder di cibo i suoi, ma appena venne l'estate lasciò che i cognati lavorassero di nuovo senza di lui.

Quando tornò l'inverno ed il mare era coperto interamente di ghiaccio, Tiggak fu il solo che sapesse trovare i buchi fatti nel ghiaccio, dai quali uscivano a respirare gli animali marini; e lontano, al di delle più remote isolette, andava in cerca di foche. Un giorno il cielo era sereno, il vento era mite; egli avea stabilito di andar sul ghiaccio coi cognati, e rivolgendosi ad un suo figlio adottivo disse: «Oggi devi venire con noi a provarti ad imparare come si pescano le foche».

Quando giunse verso le isolette più remote Tiggak fece un'apertura nel ghiaccio, per esaminare lo stato delle acque sottostanti, e disse: «Guardate! Le alighe sono sospinte verso la terra». I fratelli videro che la corrente volgendo verso terra era più rapida del solito. Tiggak disse: «Avremo presto una burrasca; affrettiamoci a giungere sulla spiaggia». Tutti pensarono che era difficile credere alle sue parole, perché il tempo era calmo, pur lasciarono le foche prese e lo seguirono prontamente. La neve cadeva già sulle cime delle montagne, ed appena giunsero presso le isolette una burrasca violentissima cominciò e ruppe il ghiaccio. Tiggak prese suo figlio per mano, correndo rapidamente per quanto era possibile, e dopo breve tempo tutti rimasero sopra un masso di ghiaccio, che era trasportato verso l'alto mare. Quando le onde si frangevano contro il masso, tacevano tutti, vinti da paura.

Finalmente uno di essi disse: «Tiggak ha fama di conoscere bene la magia, ed ora andiamo lontano sul mare tempestoso». Tiggak rispose: «Conosco solo una breve canzone in cui dicesi della schiuma del mare», e cominciò a cantare.

Andavano alla ventura sul mare, uno di essi disse: «Moriamo di sete se Tiggak non conosce qualche incantesimo che possa procurarci un po' d'acqua». Egli rispose: «Conosco una canzonetta per avere dell'acqua». Essendo compito l'incantesimo l'acqua zampillò dal masso di ghiaccio. Essi erano già assai lontani quando videro un grosso pesce e Tiggak disse: «Se vi sarà fra voi chi avrà tanta fortuna da poter saltare a terra, non dovrà voltarsi per guardare il mare, finché uno di noi resti qui, altrimenti il nostro sostegno sarà annientato». Quando furono saltati a terra l'uno dopo l'altro, nessuno di essi guardò il mare, e quando giunsero tutti al sicuro Tiggak disse: «Guardate ora il masso di ghiaccio, non è altro che schiuma del mare».

Molte furono le avventure di Tiggak e dei suoi fratelli su quella terra ove erano discesi, ed il mago seppe vincere sempre ogni ostacolo e salvare da grandi pericoli i suoi compagni. In ultimo, per evitare altre sventure, disse loro che dovevano pensare a riprendere la via che menava alla propria dimora. Giunsero presso una collina coperta di neve, che si ergeva vicino al mare, e Tiggak chiese al maggiore dei suoi cognati: «Che amuleto prendesti, quando facesti la tua scelta?». Questi rispose: «Un pezzo di pelle d'orso». Il secondo e gli altri avevano tutti lo stesso amuleto, poi fece al figlio la stessa domanda; egli rispose: «Io presi un osso di uccello per amuleto».

Tiggak tacque, poi disse: «Ebbene ti poserai sopra uno di noi». Poi si gittò nel mare e scomparve, ma dopo breve tempo riapparve trasformato in orso. Fece cadere l'acqua che eragli entrata nelle orecchie e disse agli altri: «Ora seguitemi tutti», ed essi si mutarono anche in orsi nel mare. Quando venne la volta del figlio adottivo gli mancò il coraggio di gittarsi in mare; dopo che lo ebbero pregato a lungo di farsi animo, si tuffò nell'acqua, ne uscì in forma di uccello e prese a volare. Tutti gli orsi nuotavano verso il loro paese, e quando l'uccellino era stanco si posava sulla testa dell'uno o dell'altro dei suoi compagni. Finalmente approdarono presso la loro antica dimora, e appena salirono sulla spiaggia Tiggak lasciò cadere la pelle d'orso; gli altri ripresero pure il loro aspetto solito e tutti si avviarono verso la propria casa.135

In una nostra leggenda marinaresca calabrese dicesi di una maga, regina del mare, e di un'orca spaventevole al pari di quella che doveva divorare Angelica verso l'occaso, nell'isola

Nomata Ebuda, che per legge manda
Rubando intorno il suo popol rapace,
E quante donne può pigliar, vivanda
Tutte destina a un animal vorace.136

Dicesi in questa leggenda che un re aveva sette figli, i quali desideravano vivamente una sorellina; essi dissero che se mai avessero avuto un altro fratello sarebbero partiti tutti dalla reggia, affranti dal dolore, e non vi sarebbero tornati mai più. Finalmente nacque loro una sorellina, ma una zia perversa ch'essi avevano disse invece che era un altro maschio, ed essi, mantenendo la promessa fatta, partirono. Eravi in quel tempo una guerra tremenda fra un'orca orribile e la regina maga, padrona dei mari. L'orca le aveva uccisi tre figli, ed ella, che ne piangeva amaramente la perdita, andava gridando sui mari: «Figli miei, chi mi rende i figli miei?». Il dolore l'aveva anche resa crudele, ed ella rapiva i bambini e gli adulti, li mutava in colombi; poi, affinché non riprendessero l'aspetto umano, dava loro da mangiare pane incantato.

Questa maga, regina del mare, incontrò i sette figli del re che viaggiavano, li rapì e li mise insieme colle altre sue vittime, poi rapì anche la fanciulla, loro sorella, quando essa era già divenuta una giovinetta, ma non la trasformò in colomba, e la tenne seco in casa perché l'aiutasse nelle faccende domestiche. La giovinetta, che si chiamava Violarosa, viveva in pace nel fondo del mare, nella specie di castello che apparteneva alla regina maga; ma la sua tranquillità non durò a lungo. Un giorno, mentre la regina maga era assente, l'orca venne ad assalire il castello. Essa era mostruosa nell'aspetto, e non aveva solo tre teste come Cerbero, ma sei! Violarosa non si sgomentò, prese un'arme fatata che apparteneva alla regina e andò incontro all'orca, la quale ringhiò orribilmente, e gittando fiamme dagli occhi e dalle sei bocche spalancate le corse addosso. Violarosa non si trasse indietro, e rapidamente le recise cinque teste. L'orca l'implorò, e le promise di farla regina dei mari, purché volesse lasciarle l'ultima testa che le restava, e andar a prendere un unguento che avrebbe risanato tutte le sue ferite. La fanciulla andò a prendere l'unguento prezioso, nel luogo indicatole dall'orca, ma quando ritornò le recise l'ultima testa, e liberò così i mari.

Violarosa sapeva che la regina maga conservava in una stanza, come un tesoro, i tre cadaveri dei figli suoi; ella andò subito vicino ad essi, unse coll'unguento le ferite che l'orca aveva fatto loro, e tornarono subito in vita; dopo breve tempo la regina maga ritornò in casa, trovò il cadavere dell'orca, e, se non fosse stata immortale, sarebbe morta di gioia quando i tre figli le corsero incontro per abbracciarla, e le dissero che Violarosa avea ridato loro la vita.

Intanto la fanciulla, che era un po' curiosa, era salita all'ultimo piano del castello, per vedere da vicino tanti bei colombi che stavano sempre lassù. Appena la videro le si affollarono intorno, ed ella sapendo che la regina maga dava loro del pane da mangiare, ne andò a prendere in una stanza, ma per caso ne prese che non era fatato; e si può intendere con quanto stupore vide i colombi che ne mangiavano trasformarsi rapidamente in bambini ed in giovani bellissimi; fra i quali seppe che erano i suoi sette fratelli. Ella li fece fuggire tutti, poi tornò vicino alla regina maga, che non sapeva trovar parole adatte per manifestarle la sua gratitudine.

I tre figli della regina s'innamorarono di Violarosa; ma prima di sceglierne uno per suo sposo ella volle andare a rivedere i suoi genitori. I tre principi del mare l'affidarono ad un delfino sul dorso del quale ella sedette e partì; per via trovò sopra una spiaggia un pesciolino boccheggiante; il delfino le disse: «Prendilo e rimettilo nell'acqua; chi sa!». Più tardi trovarono un uccello ferito in un'ala; il delfino disse a Violarosa: «Medicalo; chi sa!». Poi videro una schiera di pesciolini ed il delfino disse: «Gitta loro del pane; chi sa!».

Quando giunsero più lontano ancora, la regina del mare di Francia volle sposarla, perché ella era vestita da uomo; ma intendesi bene ch'ella ricusò; allora la regina indispettita le chiese un suo uccello, che già da un anno era caduto in mare. Violarosa piangeva, ma il pesciolino salvato da lei trovò l'uccello e glielo diede. La regina volle allora che andasse a cercare certe perle, che erano cadute in mare; i pesciolini che avevano mangiato il pane andarono e le raccolsero. Finalmente la regina del mare di Francia chiese l'acqua dell'Inferno e quella del Paradiso, e l'uccello che Violarosa aveva medicato andò subito a cercare queste acque. La regina volle lavarsi coll'acqua del Paradiso, ma usò invece per errore quella dell'Inferno e morì. Così Violarosa poté andare a vedere i genitori ed i fratelli; quando tornò presso la regina maga sposò il maggiore dei suoi figli. Parmi che questa nostra novellina, che si direbbe fatta solo per dilettare i bambini, abbia invece una grande importanza, poiché penso che sia una delle strane varianti di una leggendaria aria antichissima, molto diffusa in Europa. Balna, principessa indiana, e sei sorelle sue hanno sposato sette fratelli, principi indiani, i quali partono per un viaggio e non tornano più. Il figlio di Balna, divenuto grande, va come Telemaco in cerca del padre, e da un giardiniere sa che è stato trasformato in pietra dal gran mago Punchkin, il quale tiene Balna prigioniera in una torre, perché essa non vuole sposarlo.

Il giovane giunge a vedere sua madre, e stabiliscono che essa indurrà con arte il mago a dirle dove si trovi la sua potenza. Egli confessa che lontano, lontano, a centinaia di migliaia di miglia, si trova una regione desolata, nel mezzo vi è un cerchio di palme, in mezzo ad esse vi sono sei anfore piene d'acqua, le une sulle altre; sulla sesta anfora vi è una piccola gabbia che contiene un piccolo pappagallo verde: la vita del mago è collegata a quella del pappagallo, difeso da legioni di spiriti cattivi.

Il figlio di Balna parte per andare ad uccidere il pappagallo ed è aiutato da alcune aquile di cui ha salvato i figli, uccidendo un serpente che minacciava il nido. Le aquile gli dànno gli aquilotti per servirlo; essi lo trasportano nel luogo dove si trova il pappagallo del quale s'impossessa.

In una versione norvegese dello stesso racconto, i sei principi e le loro mogli sono mutati in pietre da un gigante, e Boots, che rappresenta la parte dell'eroe indiano e della nostra fanciulla calabrese, aiuta un corvo, un salmone e un lupo. Il lupo lo porta sul dorso fino alla casa del gigante, che ha mutato in pietra i suoi fratelli, ed egli non trova, come il figlio di Balna, la propria madre, ma la bellissima principessa che dovrà sposarlo, e che gli promette di adoperarsi per sapere dove il gigante conservi il proprio cuore. Questi dice che lontano in un lago si trova un'isola, nell'isola una chiesa, nella chiesa un pozzo, nel pozzo nuota un'anitra, nell'anitra si trova un uovo, in quell'uovo sta il suo cuore. Il lupo trasporta il giovane nell'isola; il corvo gli le chiavi della chiesa; il salmone trae dal pozzo l'uovo che Boots rompe, uccidendo così il gigante.

In un'altra leggenda degli Eschimesi troviamo pure una strega che comanda al mare. In essa narrasi che uno stregone disse ad un uomo di dare al proprio bambino per amuleti un uccello, una pietra nera, che non fosse mai stata irradiata dal sole, ed un pezzo d'osso tolto al cadavere della nonna. Il ragazzo che aveva questi strani amuleti chiamavasi Kajavarsuk, ed appena fu grandicello, suo padre, seguendo il consiglio dello stregone, fece costruire per lui un canotto (kayak); egli andò subito a pescare, prendendo ogni volta dieci foche, la qual cosa fece molto piacere alla sua famiglia.

Kajavarsuk sposò due donne e dava grande aiuto alla propria famiglia ed ai suoi vicini. Quando il tempo era cattivo, egli solo era capace di pescare il pesce necessario per tutti. Il mare agghiacciò, durante un inverno, assai presto, e per lungo tempo rimase solo un'apertura innanzi alla dimora dell'esperto pescatore, il quale ne tirava fuori ogni giorno dieci foche. Venne tempo in cui l'apertura si restrinse molto, poi si chiuse interamente, e tutto il mare era coperto di ghiaccio. I poveri Eschimesi erano assai perplessi e si riunirono per decidere se fosse necessario chiedere aiuto ad uno stregone. Uno di essi disse che nell'estate aveva visto la figlia di una vedova, che faceva in un lago opere di magia al pari degli angakok.

Kajavarsuk le mandò un messo per farle sapere che le avrebbe dato una gran pelle di foca, purché comandasse al ghiaccio di rompersi. Ella ricusò, le offrirono abiti e lampade, ricusò ancora; poi vi fu chi le portò certe perle di vetro che le piacquero assai, ed ella disse alla madre: «Portatemi i miei abiti d'estate». Quando li ebbe messi camminò sulla spiaggia e sparì in mezzo a certi enormi ammassi di ghiaccio.

Dopo breve tempo gli spettatori udirono un tonfo ed ella non fu più veduta. Rimase per tre giorni nelle profondità dell'Oceano dove ebbe una contesa colla vecchia donna, per costringerla a lasciare in libertà gli animali del mare; e quando l'ebbe resa più benigna verso gli Eschimesi ritornò sulla terra.

Nella sera del terzo giorno dopo la sua partenza riapparve fra gli ammassi di ghiaccio sulla spiaggia, e disse alla gente che voleva le più belle pelli di foche; ma il ghiaccio copriva ancora il mare. Invece nel mattino seguente, all'alba, il ghiaccio si ruppe, e fecesi in mezzo ad esso, innanzi alle case, un'apertura che, dopo breve tempo, divenne tanto larga, che gli uomini poterono uscire coi loro canotti; e ciascuno di essi prese due foche. Kajavarsuk, secondo il solito, ne prese dieci.137

Parecchie volte ho già avuto occasione di nominare il diavolo in altri capitoli, ora dirò ancora che la sua trista figura ritrovasi con molta frequenza nelle leggende marinaresche, sia che s'impossessi dei naufraghi, o si mostri sui vascelli fantasmi o su quelli dei morti e dei dannati, sia che si adoperi nel fare imperversare le burrasche o guidi sugli Oceani i cicloni, e si unisca anche alle streghe, che comandano ai venti ed alle onde, per aiutarle nelle loro malvagie imprese.

In una delle leggende russe in cui appare Salomone, dicesi che questi invecchia e vorrebbe morire; ma in altri tempi sua madre lo ha maledetto, ed egli non può lasciar la vita se prima non ha veduto gli abissi del mare e la profondità dei cieli; in maniera che preparasi a compiere quei viaggi faticosi. Egli fa fare una catena di ferro tanto lunga che giunge sino al fondo del mare, ed una cassa anche di ferro; poi comanda a sua moglie di chiuderlo nella cassa e di lasciarlo andare nel fondo del mare, mentr'ella terrà sempre in mano l'estremità della catena.

Egli discese negli abissi sotto le onde, e sua moglie rimane sulla spiaggia dove passa il diavolo, e le dice che Salomone è stato insieme colla sua cassa inghiottito da un mostro marino. Essa lascia l'estremità della catena, e par che Salomone debba rimanere sempre a godersi il fresco nel mare; ma giungono molti diavoli sulla spiaggia, e vengono insieme a contesa per il possesso di certi talismani che hanno rubati, fra i quali sono da annoverarsi il cappello che rende invisibile, il bastone che batte da sé, il tappeto volante, il berretto ed il mantello di San Giovanni; e per metter fine alla lite, pensano di chiedere a Salomone il suo parere.

Questi fa notar loro che nel fondo del mare è impossibile che giudichi, poiché non ha visto gli oggetti che hanno cagionato la contesa. I diavoli tirano sopra Salomone, che prende un oggetto appartenente a San Giovanni, e fa il segno della croce; i diavoli fuggono abbandonando la preda fatta.

Secondo certe leggende il diavolo si aggira sul mare, e si disse ch'egli trascinava da un capo all'altro del mondo certe donne perverse, che gli avevano venduta l'anima; ma fu più diffusa la credenza che dimorasse nel fondo del mare, o vi scendesse facilmente; e ne troviamo anche un ricordo quando Angelica nella speranza di farsi ben volere da Rinaldo, usando cortesia a Malagise, si fa coll'arte sua portare nel fondo del mare,

Ch'andarvi ad altra via non c'è ragione;
Malagise ode l'uscio disserrare,
E ben si crede in ferma opinione
Che sia il demonio per farlo morire,
Perché a quel fondo altrui non suol mai gire.138

Anche gli Amakua, i quali dimorano nell'Africa occidentale, dicono che i diavoli stanno nel fondo del mare, nel paese di Kussipi, che fu inghiottito a cagione della perversità dei suoi abitanti. Sulla Costa degli schiavi si crede pure che di notte i diavoli si ritirino nel fondo del mare. I marinai inglesi chiamano il demonio del mare Davy Gones; e gli Arabi dicono che di tanto in tanto una mano enorme e minacciosa esce dall'Atlantico ed è quella del diavolo.

In Danimarca si credette che certi demoni detti Landvattir trattenessero sul mare le navi; nel XIII secolo si fece una legge affinché si togliessero le teste messe sulle prore delle navi, quando esse entravano nel porto, per non ispaventare quei demoni. Nel Medioevo si disse pure che Satana prendeva l'aspetto del mostro Leviathan; e il forte Odino della mitologia nordica si trasformò in Nick, demonio del mare. Il diavolo appare anche in una novella russa raccolta da Afanassief. Egli distrugge le bestie del serraglio dello zar, e finalmente chiude il terzo figlio dello zar sotto una enorme pietra bianca, nel mondo inferiore, dove sono palazzi d'oro e d'argento, e tre bellissime fanciulle, sorelle del mostro che dorme nel mare e russa in tal maniera, che spinge le onde ad una distanza di sette verste, finché Ivano, dopo aver bevuto le acque della forza, taglia con un colpo la testa del mostro.139





130 Ralston, op, cit., p. 365.



131 Dozon, op. cit., p. 318.



132 «Mélusine», t. IX, col. 85.



133 «Revue d'Ethnographie», t. V, p. 14. Sébillot, Les coquilles de mer.



134 I Viaggi di Marco Polo, per cura di Adolfo Bartoli, p. 255.



135 Rinck, op. cit.



136 Ariosto, Orlando furioso, IX.



137 Rinck, op. cit., p. 150.



138 Boiardo, Orlando innamorato, v, 19.



139 De Gubernatis, op. cit., p. 390.



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