Maria Savi Lopez
Leggende del mare
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Le sirene

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Le sirene

Fin da secoli lontani apparvero sulla spuma delle onde, fra la solitudine o sulle spiagge ridenti, le figlie del mare, colle chiome d'oro o verdi come lo smeraldo, cogli occhi lucenti, colle ale bianche e la voce armoniosa, che prometteva ogni felicità ai marinai affascinati. E mentre le belle fanciulle sorridevano sulla terra, e scherzavano le ninfe all'ombra dei boschi, le sirene ammaliatrici erano regine dei mari meridionali di Europa, e le mermaids, specie di nordiche sirene, imperavano sotto il triste cielo di altre regioni, colle bionde chiome disciolte, colle arpe d'oro in mano. Esse erano anche esperte nel trarre gli uomini a rovina nelle profondità del mare, vicino al Misterioso Kraken, al grande serpente ed alle schiere di naufraghi o di dannati, e ballavano di notte sulle onde del Baltico e del mare del Nord, insieme cogli uomini verdi del mare, appassionati anch'essi per le liete danze, al pari dei folletti e degli elfi della terra. Per ritrovare le origini di queste belle e perfide donne del mare, ingannatrici come le onde, dobbiamo ricordare miti antichissimi, i quali si confondono insieme nelle loro figure. Esse hanno una certa relazione colle Apsare o donne cigni, delle quali già tenni parola, e che, nella loro antichissima origine, ci ricordano le nubi luminose; ma sono anche miti del vento, poiché hanno facoltà di allettare in modo irresistibile i cuori colle voci dolcissime, e per questo motivo hanno una grande affinità con Orfeo e con Mercurio in certi suoi aspetti. Anticamente passavano sulle onde colle ale d'oro, e mostravano una ingannevole faccia virginea, o con ale bianche volavano come i falchi, spiando le navi ed ingannando i marinai; e benché avessero aspetto di bellissime fanciulle, pur si poteva trovare in esse qualche somiglianza colle Arpie o con altri uccelli tempeste di diverse mitologie. Ma ciò non basta ancora, perché le sirene hanno pur forma di fanciulle colla coda di pesce, ed in questo caso dobbiamo trovare in esse miti lunari.

L'antichità classica lasciò colla magia del verso tali ricordi delle sirene, e la credenza nella loro esistenza era così viva in mezzo al popolo della Grecia e dell'Italia fin da tempi lontanissimi, che il Medioevo non seppe dimenticarle. Per questo motivo intorno ad esse si moltiplicarono le leggende narrate dal popolo, mentre eravi ancora chi affermava che esistevano realmente, ed esse furono con frequenza ricordate nella poesia medioevale. Vi furono pure illustri guerrieri, che menarono vanto di discendere dalle divine fanciulle dell'acqua, al pari dei conti di Lusignano, che furono re di Cipro e di Gerusalemme, e dicevano che uno dei loro antenati, Raimondo di Tolosa, aveva sposato una specie di ninfa o sirena, chiamata Melusina.

In questa famosa sirena medioevale, bella come Partenope adorata sulla spiaggia napoletana, e che non ha le ale d'oro come le sirene cantate da Ovidio, o le ale bianche come quelle ricordate da Apollonio, dobbiamo trovar non solo il ricordo delle classiche sirene, mutate in rupi dalla divina arpa di Orfeo, ma anche una trasformazione della Mylitta babilonese, dea della luna, e di altri miti lunari.140

Le antiche favole greche e latine intorno alle sirene sono troppo note perché io le vada ripetendo fra queste pagine, e prima di narrarne altre noterò che mentre tante divinità inferiori del mare, create in parte dalla fantasia dei nostri padri antichi, sono dimenticate dal popolo, che non sa più dire cosa alcuna delle Oceanidi belle e delle figlie gentili di Nereo, il ricordo delle sirene è indimenticabile fra gli abitanti di molte spiagge nostre meridionali; e si potrebbe affermare che fra le leggende marinaresche quelle che dicono del fortissimo nuotatore Niccolò Pesce e delle sirene siano le più popolari in certe regioni d'Italia. E forse quando i pescatori di Napoli, della Calabria e della Sicilia vanno di notte sul mare nelle barchette brune, e dicono la canzone dell'amore o quella del dolore, il suon dell'arpe d'oro si accompagna al loro canto col mormorio delle onde; bianche figure splendenti si mostrano sull'acqua che trema, ed al pari dei loro padri antichi essi odono altri canti armoniosi che promettono l'amore e la felicità.

Le sirene non si dilettarono solo nel trarre a perdizione i marinai colle promesse ingannevoli e coll'armonia delle voci divine; ma spesso presero parte ad azioni diverse che si svolgono in molte leggende e novelline popolari.

In uno dei racconti più antichi del mondo, che forse dilettò parecchi Faraoni egiziani, si narrano le strane avventure del Principe Predestinato; sulle nostre spiagge del mare Jonio si dice invece, in una leggenda marinaresca, del Principe Nato e non veduto, vittima delle sirene.

Al pari del padre egiziano del Principe Predestinato, un certo re era molto dolente di non aver figliuoli. Egli regnava sul Portogallo, ma non sapeva allietarsi nel suo bel paese, ed era sempre triste nell'aspetto. Finalmente gli fu concesso un figlio, ma non poté averlo neppure per un'ora nella sua reggia, perché era tanto bello che le sirene del mare Jonio lo rapirono subito, per portarlo in uno dei loro splendidi palazzi di cristallo.

Il bimbo che fu da quel momento detto «Nato e non veduto» rimase colle bionde sirene nella dimora incantata, e crebbe e divenne un giovine bellissimo. Egli sarebbe stato felice sotto le onde, ma non gli veniva mai permesso dalle sue guardiane di risalire sulla terra, per vedere i suoi genitori, e questo gli dava molto dispiacere.

Una giovanetta bella e povera andava un giorno raccogliendo erbe in riva al mare Jonio; ella vide una grossa pianta marina e si provò a sradicarla; appena questa si staccò e le rimase in mano, il mare si aprì, ed ella cadde nel palazzo delle sirene; proprio accanto al Principe Nato e non veduto. Questi si rallegrò molto, vedendo quella bella figlia della terra, e volle subito sposarla. Per qualche tempo vissero insieme felici nella parte del palazzo abitata dal Principe, il quale seppe nascondere la fanciulla, tenuta da lui come un tesoro.

Un giorno il Principe Nato e non veduto fu costretto ad allontanarsi dal palazzo; egli raccomandò alla sposa di non uscire dalle sue stanze, e di non lasciarsi vedere dalle sirene, che le si sarebbero mostrate nemiche conoscendola. La giovane promise, ma, appena lo sposo si allontanò, prese a visitare il palazzo compiacendosi nel vedere tante cose meravigliose, mentre passava nelle sale di corallo e di madreperla, fra le piante bizzarre ed i fiori stupendi; fra le perle, l'oro ed i cristalli.

Ella non incontrò in nessuna sala le sirene, di cui le aveva parlato lo sposo, e giunta che fu in un salone splendidissimo vide molte gattine intente a lavorare all'ago. La giovane disse: «O belle gattine, per chi lavorate voi?». Le gattine risposero: «Lavoriamo pel figlio tuo».

La domanda della giovane avea turbato assai le gattine, le quali erano le belle sirene trasformate in quel modo, e non volevano che altri le chiamasse gattine. La giovane si avvide del loro sdegno, e, meditando dolorosamente sulle conseguenze della propria imprudenza, ritornò nelle sue camere ad aspettare il Principe, al quale narrò, appena egli giunse, quanto era accaduto.

Nato e non veduto fu molto inquieto nel sentire il racconto della sposa; egli pensò che doveva allontanarla dalle sirene, le quali avrebbero cercato di vendicarsi; e dolendosi assai della sua sventura le disse ch'ella doveva ritornare subito sulla terra, portando seco un gomitolo, il quale avrebbe cominciato a svolgersi innanzi a lei sulla spiaggia. Era forza ch'ella lo seguisse, e si fermasse solo nel luogo ove l'avrebbe preceduta il misterioso filo. Fra breve tempo egli l'avrebbe raggiunta.

La giovane partì e fece quanto le aveva detto lo sposo. Seguendo sempre il gomitolo, che aveva cominciato a svolgersi avanti a lei, giunse nel palazzo ove dimoravano i genitori di Nato e non veduto, i quali erano sempre desolati, e chiese loro aiuto e protezione. La madre del Principe l'accolse benignamente, senza sapere che fosse la moglie di colui che desiderava così ardentemente di rivedere, e le diede alloggio nel suo palazzo.

Dopo breve tempo nacque un figlio alla sposa del Principe, e di notte, quando tutti riposavano nel palazzo del re, Nato e non veduto sfuggiva all'assidua sorveglianza delle sirene, entrava dalla finestra nella camera della sposa, e prendeva a cullare il bambino, cantando le seguenti parole:

Fai lo sonno ninno mio,
Se lo sapesse mamma che tu sei figlio mio,
In fasce d'oro te fasceria
In cuna d'oro tu dormirria.

Benché il Principe cantasse sommessamente, la sua voce fu udita di notte nel palazzo, ed il re e la regina vollero sapere chi fosse colui che mostrava tanto amore per il bimbo ed osava entrare di nascosto nella reggia.

Nato e non veduto si fece conoscere dai suoi genitori, e si può immaginare la gioia di tutti; ma questa non durò a lungo, perché il Principe non poteva rimanere coi suoi oltre la mezzanotte, senza esporsi alla vendetta delle sirene, e non si trovava il mezzo di liberarlo. Finalmente non volle più ubbidire alle sirene, ed una volta, quando sonò la mezzanotte, non si mosse dalla sua camera.

Dopo breve tempo le sirene vennero nella via e cominciarono a chiamarlo dicendo:

«Vieni, vieni». Egli rispose: «Sono prigioniero, non posso uscire».

«Apri il portone», dissero ancora le sirene. «È chiuso con grosse sbarre di ferro».

«Salta nella via».

«È selciata con rasoi».

Le sirene s'indispettirono e fecero divenire idiota il povero Principe!

Questa leggenda così diversa nella conclusione da quella del Principe Predestinato, figlio di qualche antico Faraone, che giunge a trionfare del fato, il quale lo vuole ucciso da un serpente, da un coccodrillo o da un cane, è assai notevole, perché avviene di trovare in essa una strana confusione delle sirene colle fate e colle streghe, che hanno facoltà di mutarsi in gatti, secondo le credenze popolari di molte genti. Ma parmi che la leggenda di Biancofiore, anche popolare sulle spiagge calabresi, abbia importanza maggiore per le sue origini antichissime, abbastanza palesi, e per la sua grande diffusione.

Biancofiore era figlia di una sirena, che l'affidò ad una donna, la quale aveva un figlio bellissimo ed una figlia bruttissima. Il re del paese dove dimorava questa donna mandò in giro i suoi cavalieri, perché gli cercassero una sposa, ed essi gli dissero che non eravi nel suo regno altra fanciulla che fosse bella come la figlia della sirena.

Il re mandò una ricca nave vicino alla spiaggia ove dimorava la fanciulla, la quale salì a bordo colla donna che le facea da madre e colla sua famiglia per andare presso il re. Mentre erano in viaggio la sirena, madre della fanciulla, che sapeva ciò che accadeva ed anche l'avvenire, uscì dall'acqua vicino alla nave e piangendo disse: «O Biancofiore, spargi le tue trezze e nascondi le tue bellezze». Biancofiore stupita chiese il significato di quelle parole alla donna che l'accompagnava. Costei, accesa di gelosia nel pensare che Biancofiore sarebbe stata la sposa del re, le rispose: «Togliti il manto reale e dallo a tua sorella».

Biancofiore ubbidì, la sirena riapparve fra le onde e cantò più dolorosamente, guardando la fanciulla, che domandò alla donna il significato di quel canto. La perfida donna le fece togliere ad uno ad uno tutti i suoi gioielli e li donò alla brutta ragazza; la sirena si accese d'ira a quella vista, chiamò a raccolta tutti i pesci e suscitò una tempesta furiosa. La nave era quasi sommersa, quando la voce della sirena disse: «Biancofiore, gittati in mare e la nave sarà salva».

La fanciulla si gittò senza esitare tra le onde furiose, e fu ricevuta nel fondo del mare in uno splendido palazzo, ma era triste perché amava il sole ed il re.

La nave intanto riprese a filare sul mar Jonio divenuto calmo, e giunse al suo destino. La brutta fanciulla fu dalla donna malvagia presentata al re come sua sposa; egli fu costretto a tenerla nella reggia, perché l'aveva già sposata per procura, ma, per vendicarsi, credendosi ingannato dalla donna, mise costei in prigione, e condannò il suo bel figliuolo a condurre al pascolo sulla riva del mare alcune oche.

Il giovinetto ubbidì per aver salva la vita, e, mentre sedeva sul lido piangendo, prese a chiamare Biancofiore, dicendole: «Biancofiore, Biancofiore, vieni ad aiutarmi». Dopo alcuni istanti la bella figlia della sirena apparve vicino al lido, e gittò alle oche perle, rubini e smeraldi.

Le oche si rallegrarono assai, e appena tornarono a casa raccontarono alle loro compagne quanto era accaduto; anche il re lo seppe, e disse al giovinetto di chiedere a Biancofiore quel che bisognava fare per liberarla dagl'incantesimi che la tenevano in mare. Ella disse che potevano salvarla soltanto due giganti di un'altezza smisurata; il re li fece cercare, e, appena riuscì ai suoi cavalieri di trovarli, volle che scendessero nel mare. La loro altezza era tale che toccavano coi piedi il fondo degli abissi del mare, mentre le loro teste emergevano dalle onde. Uno di essi tenne stretta la sirena, l'altro prese Biancofiore e la consegnò al re.

La brutta fanciulla fu insieme con sua madre espulsa dal regno, e Biancofiore sposò finalmente il suo bel re.

Nella fiaba siciliana della Figghia di Biancuciuri, trovasi altra variante di questo racconto, e parmi che il nome di Biancofiore si ritrova in certe nostre fiabe e leggende, come ricordo del romanzo medioevale di Florio e Biancofiore, conosciuto in Italia, e che in parte servì al Boccaccio, quando compose il noto suo romanzo a diletto di Maria d'Aquino. Narra il racconto siciliano che una donna naviga con la propria figlia bruttissima, e con una sua bellissima nipote, che dovrà essere moglie del re. Ella getta in mare la nipote, chiamata Caterina, la quale è presa dalla sirena che la conduce nel fondo del mare e mette a sua disposizione i tesori che vi sono raccolti. È concesso a Caterina di ritornare sulla superficie del mare solo quando non vi è chi possa vederla. Suo fratello Gioacchino è disperato a cagione della sua perdita, e per consiglio delle fate va a chiamarla sulla riva del mare, ove dice:

Ah, Sirena di lu mari,
Bellu pisci mi fa' fari,
Com'anciulu canti e l'aceddi addurmisci,
Mànnami a suri, ca m'ubbidisci!

Caterina ode la voce del fratello e chiede alla sirena che la lasci andare per pochi istanti accanto a lui. Vien tolta la catena con sette anelli alla quale è legata; ella può salire sul mare, abbraccia il fratello e nel congedarsi da lui scuote i capelli dai quali cadono pietre preziose, oro, argento e grano. Ella ritorna presso la sirena, dalla quale giunge a farsi dire ciò che è necessario perché sia liberata. Sette fratelli operai dovranno rompere i sette anelli della catena. Essi vi riescono, Caterina ritorna sulla terra e sposa il re.141

Questo racconto ritrovasi pure con molte varianti in Terra d'Otranto, ove narrasi di una donna, la quale ha una figlia adottiva tanto bella, che vien chiesta in matrimonio dal re, il quale l'ha vista, essendo in giro nel suo regno, alla ricerca di una sposa.

Nel giorno stesso delle nozze, celebrate nel villaggio ove dimora la bella fanciulla, cinquanta carrozze sono pronte per gli sposi, che debbono partire per la capitale, e per tutto il loro seguito. La donna che ha fatto le veci di madre presso la sposa del re è furente, a cagione dell'invidia che la rode, perché al pari di colei che ingannò Biancofiore, ha una figlia bruttissima, e vorrebbe che divenisse regina, prendendo il posto dell'altra.

Si direbbe che vi sia in questo racconto una reminiscenza della storia di Berthe au gran pié; in ogni modo la donna chiede in grazia al re di stare insieme colla figlia nella carrozza della regina durante il viaggio. Il re le concede quanto ella desidera e tutti partono. Il re precede nella sua carrozza quella dove sta la regina, e quando giungono vicino ad un bellissimo castello, il re sporge il capo dallo sportello; chiama la sposa, e le dice che andranno a villeggiare in quel luogo. La regina non intende bene le parole del re, la donna si affretta a dirle: «Egli vi dice di togliere i vostri abiti di sposa e di darli alla mia figliuola».

La sposa ubbidisce, il re le parla ancora, ella non intende; la donna continua ad ingannarla, ed a poco a poco ella le sue gemme e la sua corona alla brutta fanciulla. Finalmente giungono presso il mare; il re dice alla regina che andranno insieme navigando nella barca reale, la donna le afferma invece che il re vuole ch'ella si gitti fra le onde; la poverina ubbidisce, si slancia nell'acqua e scompare.

Quando il re giunge con tutto il suo seguito nella reggia è stupito, vedendo che la sua sposa è tanto brutta; l'astuta madre gli dice:

«Maestà, passò la luna e le tolse la fortuna, passò il sole e le tolse lo splendore».

Il re disperato ritirasi nelle sue stanze dove passa tre giorni e tre notti senza veder nessuno; poi esce per passeggiare sulla riva del mare, ed una voce mestissima, che esce dall'acqua, gli narra quanto ha fatto la perfida donna.

Il re, fuori di sé, domanda che cosa deve fare per riavere la sposa diletta; la voce desolata risponde ch'ella è condannata a restare sempre nel mare, ma che domanderà alla madre sirena i suoi consigli.

Nel giorno seguente il re ritorna sulla spiaggia, e la voce della giovane gli dice:

«Per ottenere la mia liberazione, è necessario che sia versato in mare un gran carico di vino, insieme con un gran carico di formaggio e uno di pane, per dare da mangiare alle sirene ed ai loro prigionieri, che sorpassano in numero gli abitanti della terra».

In questa parte del racconto si ricordano certamente in qualche modo le oblazioni che si fecero al mare in tempi lontani, e dicesi che il re ordinò ad ogni suo suddito di gittare in mare formaggio, vino e pane. La fanciulla fu liberata e tornò collo sposo; la donna e sua figlia furono punite come meritavano.142

Fra le leggende popolari che dilettano i Lapponi a tanta distanza dal nostro cielo azzurro e dall'incanto delle nostre marine, ritrovai con qualche variante la leggenda calabrese di Biancofiore e quella della bella fanciulla di terra d'Otranto sposata dal re; e forse quando le donne dei nostri pescatori, riunite nelle casette presso le spiagge o sedute sull'arena al bel sole d'Italia, raccontano ai figliuoletti le avventure delle fanciulle raccolte in mare dalle sirene, altre donne verso il Polo ripetono in lingua tanto diversa, nelle capanne coperte di ghiaccio e sulle sponde desolate dell'Oceano glaciale lo stesso racconto, in cui la strana figura di Attjis-ene, malvagia donna del mare, fa le veci delle nostre sirene.

Dicesi in questa leggenda dei Lapponi che un fratello ed una sorella assai giovani fabbricarono una capanna in un deserto, e vivevano come meglio potevano. Avvenne un giorno che il figlio del re passò in quel luogo, vide la giovane, se ne invaghì e la sposò. Più tardi fu costretto a tornare presso i suoi, e disse ai due giovani che se gli fosse nato un figlio avrebbero dovuto raggiungerlo nel suo castello.

Il bambino nacque; il giovine e la sorella si procurarono una barca e partirono per andare presso il castello dove dimorava il figlio del re. Avevano già navigato a lungo quando Attjis-ene apparve sulla riva, li chiamò e li pregò vivamente di prenderla come cameriera. La sposa del re non voleva darle retta; ma il fratello le disse: «Perché non la vuoi come cameriera?». Ella acconsentì e la presero nella barca.

La sorella sedeva ad una estremità della barca, il fratello all'altra, Attjis-ene stava nel mezzo. Non potevano quelli che stavano alle due estremità della barca sentirsi; invece colei che sedeva nel mezzo sentiva ciò che dicevano. Essi navigarono ancora, finché videro in lontananza il castello del re.

«Metti i tuoi abiti migliori» disse il fratello alla sorella, «perché giungeremo presto vicino al castello». «Che cosa dice mio fratellodomandò la giovane.

Attjis-ene rispose: «Tuo fratello vuole che tu metta i tuoi abiti migliori e ti getti nell'acqua perché sei un'anitra».

La sorella prese a vestirsi.

«Affrettati», disse il fratello, «perché siamo vicino al castello».

«Che cosa dice mio fratellochiese di nuovo la sorella.

«Dice che devi mettere i tuoi abiti migliori e gittarti nell'acqua, perché sei divenuta un'anitra ed il principe non può amarti come prima».

La giovane si gittò nell'acqua, il fratello si provò a salvarla, ma essa, cambiatasi in anitra, se n'andò nuotando, mentre Attjis-ene afferrò il bimbo e lo tenne seco. Quando giunsero sulla spiaggia andarono nel castello, ma il giovine non disse ciò che era accaduto per via.

Nel giorno seguente prese il bimbo, andò sulla spiaggia e prese a gridare:

Oabbatsamaj
Boade gaddai!
Mannat tsierro,
Gûssat mäkko,
Boade gaddai!...

Queste parole strane significano in lingua nostra:

Amata sorella
Vieni sulla sponda
Il tuo ragazzo piange
La tua vacca mugge (?)
Vieni sulla sponda.

Un'anitra venne subito presso la sponda e, appena il giovine le dette il bambino, si trasformò nella sposa del re, la quale allattò il ragazzo, poi lo dette al fratello, che inutilmente si adoperò per trattenerla, ed essendosi mutata di nuovo in anitra se ne andò nuotando.

Mentre il fratello tornava nel castello pensava al mezzo di riavere seco la sorella, e stabilì di chiedere consiglio ad un Gieddagäts yalgjo. Questo stregone gli disse di procurarsi un mantello sotto il quale potessero stare due uomini, senza che uno di essi si vedesse. Doveva poi andare con un compagno nascosto accanto a lui sotto questo mantello, presso la riva, e chiamare di nuovo la sorella.

Il giovine fece quanto gli era stato detto, ed appena la sorella venne sulla spiaggia gli dette il ragazzo. L'altro uomo nascosto nel mantello si slanciò verso di lei e l'afferrò. Ella, trasformandosi rapidamente, siccome usarono certe divinità del mare, si mutò prima in un piccolo verme, poi in un pauroso rospo, in un mucchio di alighe, ed in altre cose; ma l'uomo non la lasciò mai, ed ella riprese finalmente il suo aspetto umano.

Il fratello accompagnò subito la sorella nel palazzo del re, e quando il principe seppe ogni cosa, fece scavare una fossa nella quale venne accesa molta pece; poi vi fece gittar Attjis-ene; e si celebrarono grandi feste in onore della sposa.143

In questa leggenda dei Lapponi la fanciulla si muta in anitra e questa è una variante della nostra leggenda calabrese sullo stesso argomento, in cui le oche scoprono l'inganno allo sposo di Biancofiore. Altre oche fanno lo stesso ufficio nel Pentamerone, in cui dicesi che Ciommo, fratello di Marziella, deve condurla dal re che vuole sposarla. Ma una vecchia zia invidiosa mette la propria figlia bruttissima al posto di Marziella, che fa cadere dai suoi capelli perle e fiori quando si pettina, e fa nascere gigli e viole sotto i suoi passi quando cammina.

Il re, sdegnato nel vedere la brutta fanciulla, manda Ciommo a pascolare le oche; egli le trascura, invece la sorella, salvata da una sirena, viene dal fondo del mare per nutrirle. Le oche ingrassano e, cantando presso il palazzo del re, dicono:

Pire, pire, pire
Assai bello è lo sole co la luna
Assai chiù bella è chi coverna a nuie.

Il re manda un servo dietro le oche e scopre ogni cosa. Egli vorrebbe sposare la bellissima giovane, ma la sirena la tiene legata con una catena d'oro. Il re con una lima che non fa rumore rompe la catena, libera Marziella e la sposa. Dice il De Gubernatis che una novellina di Santo Stefano di Calcinara è una variante notevole di questa leggenda, ed anche in essa troviamo le oche. La bella fanciulla che nutre le oche è travestita colla pelle di una vecchia; il principe le strappa la vecchia pelle e poi la sposa.

Se non ci fosse in queste novelle e leggende la solita favola della bella fanciulla liberata dal principe o dal re, che vien fuori dall'acqua dove è stata durante un tempo che può ricordarci la notte o l'inverno, basterebbe la parte che hanno spesso le oche nella narrazione per farci conoscere la loro antichissima origine aria. Ma fra tutte ha maggiore importanza un'altra novella dello stesso gruppo, anche ricordata dal Gubernatis, nella quale parmi che si trovi pure in modo palese il ricordo della bella leggenda indiana del mago Punchkin e di Balna, di cui tenni parola nel capitolo precedente, e così strettamente collegata all'altra leggenda nostra calabrese della Regina maga, a quella norvegese del Gigante che non ha il cuore nel corpo, a quella tanto popolare di Boots e ad altre numerosissime che sono fra le più importanti di Europa; poiché in esse, fra tutte le diverse varianti, par che si debba trovare una splendida prova del meraviglioso e stranissimo lavorio che tanti popoli europei hanno compito, indipendentemente gli uni dagli altri, intorno a miti ed a leggende antichissimi, non mai dimenticati da essi fra le vicende della loro vita turbinosa e nel volgere dei secoli, dopo la dispersione delle primitive genti arie.

In questa leggenda144 dicesi che sette principi hanno una bellissima sorella. Un imperatore stabilisce di sposarla, a condizione che se non la troverà di suo gusto potrà decapitare i sette fratelli. Essi partono insieme colla matrigna e con sua figlia. Lungo la via il sole è caldo ed il maggiore dei fratelli grida: «Solabella, difenditi dal sole, perché devi piacere al re». La matrigna le dice invece di togliere la sua collana e di metterla alla sorella. Il secondo fratello si lamenta a sua volta del caldo, e la matrigna dice a Solabella di togliere i suoi ornamenti d'oro e di darli alla sorella. In questo modo la matrigna riesce a farla spogliare, e quando giungono presso il mare la fa cadere nelle onde. Una sirena la prende e la lega ad una catena d'oro. I principi giungono colla brutta sorella presso il re che la sposa e fa troncar loro la testa. Quando Solabella va errando sul mare domanda al re delle anitre notizie dei fratelli, e sa che sono stati uccisi. Ella piange, le sue lagrime diventano perle e le anitre se ne nutriscono. Questo caso meraviglioso vien narrato al re che segue le anitre, e domanda alla giovine perché fugge la società degli uomini. Ella risponde: «Ahimè! come potrei fare diversamente, poiché sono legata al mare con una catena d'oro?». Ella racconta la sua storia al re; questi riconoscendo in lei la sua fidanzata, le dice di chiedere in quale modo, dopo la morte della sirena, potrebbe essere liberata, e se ne va. Il giorno seguente Solabella dice al re che la sirena non può morire, perché la sua vita si trova in una gabbia, chiusa in una cassa di marmo e in sette di ferro, delle quali essa ha le chiavi; e che se la sirena muore, un cavaliere, un uccello bianco ed una lunga spada sono necessarii per tagliare la catena. Il re le una certa acqua ch'ella fa bere alla sirena; questa si addormenta e la fanciulla può prendere la chiave ed uccidere l'uccellino nel quale sta la vita della sirena, siccome quella del mago indiano sta nel pappagallo ucciso dal figlio di Balna. Quando la sirena è morta, il cavallo bianco scende nel mare, e la spada taglia la catena; poi il re accoglie la sua bellissima fidanzata nel proprio palazzo, e la vecchia è bruciata in un vaso di pece. I sette fratelli sono unti con un unguento che ridà loro la vita, come avvenne per i figli della Regina maga.

Secondo certe tradizioni siciliane note nella contea di Modica, la sirena non ha la solita perfidia, e parmi che si assomigli alquanto a certe nordiche figure di sirene, che avvertono i marinai dei pericoli ai quali vanno incontro. Questa sirena siciliana vive nel fondo del mare, in una grotta di brillanti, di perle e di calamita, e solo una volta all'anno lascia la sua splendida dimora, quando ricorre la festa di San Paolo, dal 24 al 25 gennaio.

Ella s'avvicina alla spiaggia e si a cantare tutta la notte, profetizzando di avvenimenti che succederanno entro l'anno, e predicendo l'avvenire a coloro che l'ascoltano. Parmi che vi sia a questo proposito una certa somiglianza fra la sirena siciliana e una ninfa o sirena dell'Edda scandinava, conosciuta certamente dai Normanni, che si chiamava Skulda e prediceva l'avvenire, mentre una sua compagna, Urda, conosceva il passato e Veranda il presente. Anche Glauco, secondo la credenza dei Greci, dopo aver mangiato l'erba che lo fece compagno degli altri dei del mare, appariva una volta all'anno sulle coste profetizzando.

La sirena di Modica fa pure sentire il suo canto quando nasce un bambino sventurato, o, secondo altre canzoni, è perfida assai, ride quando uccide, e per combattere contro di essa bisogna aver molta forza e grande coraggio.

Certe leggende siciliane dicono che la sirena abita nel Faro di Messina. Altri narra che due sirene bellissime e perfide chiamate Sciglia e Cariddi dimoravano nel Faro e traevano le navi a perdizione. Un gigante affermò che le avrebbe prese entrambe; si fece legare ad una fune, si gittò nel mare, giunse al fondo, afferrò le malefiche sirene che portò a terra e consegnò al popolo.145

Non sappiamo se queste perfide figlie del mare, trasformazioni di mostri orribili, che atterrivano gli antichi marinai del Mediterraneo, venissero uccise sulla spiaggia, ma è certo che le sirene, potevano non solo essere mutate in rupi, ma anche morire, poiché Partenone morì e fu sepolta, ed anche la bella ninfa o sirena Amalfi fu sepolta sopra una spiaggia alla quale dette il suo nome.

Già alcune volte ho fatto cenno fra queste pagine della facoltà che hanno certe divinità dell'acqua di profetizzare l'avvenire, a quanto ci dicono le favole pagane e molte leggende popolari, e di questa facoltà tenne conto il gran poeta Camoens, dicendo che presso i naviganti seduti alla mensa imbandita da Teti, una sirena canta dolcemente, e predice la gloria di altri navigatori portoghesi, avendo nel poema dei Lusiadi ufficio simile a quello di Anchise nell'Eneide, e di Merlino nell'Orlando furioso.

Mentre essa canta

Sul pie' s'arresta la cervetta, e pende
Dal ramo l'augellin, tacciono i venti
Né la soggetta onda più frange, e appena
Un dolce mormorar rende l'arena.

Ma non sappiamo se ella avesse il tallone di perle, come la bella Leucotea, che prestò ad Ulisse la sua fascia immortale, o fosse simile alle sirene portoghesi e spagnuole, che sono per metà donne e per metà pesci.

In un canto dell'Andalusia dicesi che

La Sirenita del mar
Canta muy pulidamente;
El que la oye cantar
Cercana tiene la muerte.
La Sirenita del mar
Es una arrogante dama
Que por una maldicion
La tiene Dios en el agua.146

Nella Bretagna sonovi pescatori i quali affermano di aver veduto la sirena, che, al pari di certe sirene antiche, è in parte donna, in parte pesce. Come la Loreley del Reno e certe nordiche mermaids, ella trova gran diletto nel pettinare al sole i suoi capelli biondi con un pettine d'oro. È molto bella ed ha una voce dolcissima, che può far dimenticare a chi l'ascolta ogni cosa terrena. Il suo canto annunzia le tempeste, e dicesi che quando si sente cantare Margherita del cattivo tempo (Mac'harit ar gwall amzer) bisogna che le navi ritornino subito nel porto, perché

Quand la sirène est en train de chanter
Le pauvre matelot peut pleurer.

Certe belle sirene del mare, che non sono sempre perfide ammaliatrici, vengono chiamate dai Tedeschi «Meerfrau», dai Danesi «Moremund», dagl'Islandesi «Margyr», dai Bretoni «Marie Morgan», dagli Olandesi «Zee-wjf», dagli Svedesi «Sjotzold», dagli Anglo-Sassoni «Merewif», dagli Irlandesi «Merrow», dagl'Islandesi «Haff-fru», nelle Asturie sono dette «Xanas».147

Anche le sirene svedesi seggono sopra gli scogli e pettinano i loro capelli; hanno in mano uno specchio, o, come certe elfinnen, distendono biancheria al sole. Esse ingannano i marinai, e la loro apparizione precede sempre le burrasche. Dicesi che dimorano nel fondo del mare, dove hanno palazzi, castelli e gregge. Sono malvagie come certe ninfe, anche svedesi, che non sapevano perdonare le ingiurie e vivevano nei laghi. Una di queste salvò un giorno un cavaliere chiamato Gunnar, che era caduto nell'acqua. Costui aveva il suo castello presso il lago dove dimorava la sirena, e per mostrarle la sua riconoscenza andava a visitarla ogni otto giorni.

Una volta non le fece la solita visita, e la sirena si vendicò crudelmente: le acque si alzarono per invadere il suo castello, e mentre egli fuggiva in una barca, cadde nella dimora della figlia del lago. La pietra vicino alla quale annegò porta ancora adesso il nome di «Pietra di Gunnart», e quando i pescatori passano innanzi ad essa la salutano, sapendo bene che se non lo facessero non avrebbero fortuna nella pesca.148

Una leggenda svedese dice che una notte la porta della capanna di un pescatore fu aperta da una mano di donna. Nella notte seguente egli stette in agguato ad aspettare, e quando apparve la mano femminile l'afferrò senza tema, ma fu trascinato fuori della capanna e scomparve. Dopo qualche tempo, mentre tutti lo credevano morto, si celebravano le nozze di sua moglie con un altro pescatore, quando egli le apparve improvvisamente, e le raccontò che era stato costretto a vivere colla sirena, la quale, commossa dalle sue preghiere, gli aveva concesso finalmente di visitare la terra; ma eragli proibito severamente di ritornare nella propria casa. Egli non tenne conto di quel divieto, entrò nella sua casa, ma non vi stette a lungo, perché essa rovinò ed egli rimase sepolto sotto le macerie.

Andersen narra la storia di sei mermaids, che ebbero facoltà di apparire sulla superficie del mare, quando compirono il sedicesimo anno. La più bella s'innamorò di un giovine principe che stava a bordo di una nave, ed una strega del mare la mutò in fanciulla della terra, affinché potesse seguire sempre l'uomo amato. Questi la tradì; le altre fanciulle del mare le dettero un coltello per uccidere l'ingrato; ella fallì il colpo, cadde in mare ed annegò.

A Noirmoutier credesi che le sirene si avvicinano cantando a coloro che incontrano ed offrono loro danaro.149

In una delle sue belle poesie il Tennyson domanda chi vuole essere una mermaid, che canti sola sopra il mare, pettinando i suoi riccioli d'oro con un pettine di perle; poi risponde: «Vorrei essere una bella figlia del mare, per cantare sempre e pettinarmi con un pettine di perle; e nel pettinarmi canterei dicendo: Chi mi ama, chi non mi ama? Pettinerei i miei riccioli finché si sciogliessero per cadere giù, dalla mia corona, intorno a me come una fontana d'oro che zampilli sola con un dolce suono; giù dal trono, nel mezzo della sala. Mi pettinerei finché il grande serpente del mare, destatosi nell'abisso dal suo sonno profondo, si trascinasse sette volte intorno alla sala dove sederei, e guardasse verso la porta coi grandi occhi calmi, per amor mio; e tutti i mermen sotto le onde, sentirebbero morire l'immortalità nei loro cuori per amor mio. Di notte mi aggirerei lontano lontano, per portare in ogni luogo i miei lunghi riccioli, e trastullarmi coi mermen presso le scogliere. Fuggirei di qua e di , mi nasconderei nelle conchiglie di porpora, ed accetterei soltanto l'amore del re dei mermen».

Le Haff-fru dell'Islanda prendono i corpi dei naufraghi che non ritornano più a galla. Una di esse salvò dalla morte una fanciulla che erasi gittata in mare, sperando così di salvare coll'eroico sacrifizio una nave, che era sul punto di naufragare in mezzo ad una violenta burrasca. Un'altra mermaid fermò una nave che poté muoversi solo quando una regina, la quale viaggiava su di essa, promise alla figlia del mare di darle uno dei suoi figli per marito. Questo principe cavalcava un giorno sulla sponda del mare, quando in un attimo il suo cavallo si slanciò fra le onde, e lo trasportò in un palazzo del mare. Dopo aver compito certe imprese meravigliose il giovane poté tornare sulla terra, in compagnia della bellissima mermaid, che lo aveva sposato.150

In certe regioni presso il mare i Russi credono nell'esistenza delle Rusalke del mare, le quali, sopra alcune spiagge ed anche presso Astrakan, sono credute capaci di suscitare violenti temporali e di danneggiare le navi. Esse sono bellissime, hanno forme gentili, piccoli piedi ed occhi lucenti; i loro capelli sono verdi come l'erba del mare, si vestono con foglie verdi o portano una lunga camicia bianca. Quando escono dall'acqua pettinano i loro capelli, e se una persona appare sulla spiaggia usano mille lusinghe per farla discendere nell'acqua; ma solo le streghe possono prendere il bagno colle Rusalke senza riceverne offesa. Se i capelli delle Rusalke si asciugano esse muoiono; e per questo motivo non si allontanano mai dall'acqua. Quando si avvicina l'inverno scompaiono, e finché dura non si lasciano più vedere.

Vicino alle belle Rusalke ve ne sono altre coccole che possono navigare in un guscio d'uovo; ed i Russi credono che siano gli spiriti dei bimbi morti senza battesimo o nati morti. Essi usano qualche volta di togliere questi bimbi dalla loro tomba o dalla loro casa ove sono nati e di gittarli nell'acqua; dicono pure che nel giorno della Pentecoste, per sette anni consecutivi, gli spiriti di questi fanciulli ritornano sulla terra, chiedendo di essere battezzati. Quando una persona sente uno di essi che si lamenta deve subito dire le parole richieste per il battesimo; ma se durante sette anni il povero spirito non ha trovato chi lo battezzi, è per sempre accolto fra le schiere delle Rusalke.

Nel governo di Astrakan credesi che le Rusalke del mare abbiano per costume di apparire fra le onde, chiedendo ai marinai se è vicina la fine del mondo. Dicesi pure che trovansi fra le loro schiere le donne suicide, e tutte quelle che sono state uccise o che non ebbero sepoltura.151

Gl'Islandesi dicono ancora adesso che le Haff-fru hanno lunghi capelli gialli, spesso dormono nelle barche e qualche volta le fanno affondare. Si può solo vincere la loro malefica potenza ripetendo un inno sacro.

Le Mary Morgan, fate del mare, somigliano molto alle sirene a cagione della divina bellezza, ma non traggono a perdizione gli uomini. Dicesi che apparivano in altri tempi con molta frequenza nelle vicinanze del Finistere e del Morbihan. Stavano volentieri presso le spiagge, vicino alle grotte che si aprivano fra le alte scogliere, o, qualche volta, nel mezzo degli stagni dove chiamavano i giovani pescatori, i quali inutilmente si provavano a non darsi pensiero delle loro lusinghe. Essi venivano trascinati per forza nelle misteriose dimore, nei palazzi di madreperla, dove sposavano le Mary Morgan che li avevano rapiti, e non si lamentavano del loro destino, perché erano felicissimi nella nuova condizione.

Al pari delle sirene dei nostri mari quelle del Nord hanno la potenza di allettare gli uomini colla dolcezza del canto, ed usano quasi tutte le arpe d'oro per accompagnare le loro canzoni, in modo che possiamo trovare in esse, come in quelle rese famose dalla classica poesia greca e latina, la trasformazione degli stessi miti arii.

Già dissi che la dolcezza del canto delle sirene ci può indurre a crederle miti del vento; ora noterò ancora che, secondo certe credenze popolari, anche le ninfe, che hanno spesso tanta somiglianza colle sirene, possono affascinare gli uomini col canto; e non solo, fra tante altre, cantava la Loreley del Reno, per far precipitare nel fiume i miseri giovani; ma anche La fille qui chante ha trista fama nell'Alsazia. Essa è vestita di bianco, e nelle belle giornate esce da una foresta, poi discende sulla via di Geffenthal. Canta con voce così chiara e dolce che pare a chi l'ascolta di udire il suono di una campanella, che venga su dalla valle; e grave sventura minaccia il viaggiatore che passa in quel momento nella Geffenthal.

Anche gli elfi della terra e quelli della luce, i lutins ed i folletti di certi paesi suonano e cantano. In una ballata svedese di Keightley dicesi che una figlia dei Trolli suona tanto bene, che costringe tutti gli animali a ballare; nella saga dei Volsunghi, Sigurd, l'eroe della grande epica nordica, possiede un'arpa meravigliosa che fa ballare, come quella di Orfeo e di Wäinämöinen, anche gli oggetti inanimati, e la sirena che dovrà col suo sangue rendere tanto forte l'elmo di Orlando, non ha altra difesa che la dolcezza del canto da usare contro il conte, il quale non può udirla «Che ambe le orecchie avea di rose piene». E si direbbe che il nostro sommo Poeta non abbia voluto solo ricordare un suo dolce amico, ma anche far cenno della potenza meravigliosa data dai poeti e dal popolo alla dolcezza del canto, quando Casella canta soavemente,

Amor che nella mente mi ragiona,

e alletta non solo Dante, che appartiene ancora alla terra, ma anche Virgilio e gli spiriti buoni, i quali dimenticano di andare a farsi belli, ed ascoltano

Come a nessun toccasse altro la mente.152

Il Rambaud suppone che si parli di una sirena, figlia dell'acqua, in una leggenda russa, in cui dicesi pure di una divinità misteriosa chiamata il Fabbro del Nord.153 Costui ha preparato per l'eroe Sviatogor il suo destino, volendo ch'egli sposi una fanciulla che abita sulla sponda del mare. Sviatogor non vuole ubbidire e parte per andare ad uccidere la fidanzata, che gli è stata imposta dal Fabbro, il quale non lavora sull'incudine il fulmine o il ferro, ma il destino degli uomini. Egli la trova in una lurida capanna; è orribile nell'aspetto ed ha pelle somigliante alla ruvida corteccia di un albero. L'eroe la ferisce e le mette accanto una moneta, forse perché possa pagare qualche divinità, mentre l'anima sua compirà il misterioso viaggio dei morti.

La fanciulla non muore; è soltanto liberata di un involucro spaventevole nel quale è stata chiusa fin dall'infanzia, ed appare bella come il sole. Ella va sulla montagna santa dove sta Sviatogor, che se ne invaghisce e la sposa. Quando vede ch'ella ha la moneta d'oro ch'egli aveva lasciata vicino alla fanciulla ferita, e conosce la sua storia, è costretto a confessare che nessuno può opporsi al volere del gran Fabbro del Nord?154

Questa trasformazione del mostro in bellissima fanciulla, che pur ci ricorda non solo le solite trasformazioni di certi miti delle acque, ma anche quelle della bella natura, che partecipa al trionfo del sole sulle tenebre o sull'inverno, non è certamente più meravigliosa di quella che avviene, quando Giove vuole che le navi di Enea a lui care come figlie e sacre

Fendan coi petti e colle braccia il mare

ed esse liberate

De' lor ritegni, e di delfini in guisa,
Co i rostri si tuffaro. Indi sorgendo
(Mirabil mostro!) quante a riva in prima
Eran le navi, tante di donzelle
Si vider per lo mar sereni aspetti.155

Vicino alle mermaids, alle Mary Morgan, alle Rusalke, vivono ancora, secondo le leggende, innumerevoli uomini del mare; specie di Tritoni che prendono in certi paesi del Nord il nome di «mermen». Molti di essi hanno, come le sirene, volto umano. Spesso sono mariti delle mermaids, danzano sulle onde e cantano piacevolmente, o traggono le navi negli abissi del mare; rapiscono le belle figlie della terra e le portano nei loro palazzi in fondo al mare, ove le sposano e le custodiscono gelosamente, come usano pure altri spiriti del mare, dei quali già tenni parola.

Dicesi che i mermen sono anche forti e valorosi marinai, e col solo aiuto delle proprie braccia possono far percorrere ad una barca nove miglia all'ora.

Narrasi che uno di questi mermen fece un giorno un buco in una nave nella quale viaggiava una bella fanciulla; la trasformò prima in serpe, poi in mermaid, e la portò nel suo palazzo, dove la sposò.

Questi uomini del mare sono molto affezionati alle fanciulle, che hanno rapite sulle spiagge, e alle mermaids che sposano, e si mostrano con frequenza assai gelosi.

Il Tennyson chiede in un'altra delle sue poesie: chi vuole essere un merman, il quale segga solo, cantando sotto il mare, con una corona d'oro sul capo, e seduto sopra un trono? Risponde che vorrebbe essere un forte merman, per cantare tutto il giorno; ma la notte vorrebbe scherzare colle mermaids presso gli scogli, adornare i loro capelli coi bianchi fiori del mare o inseguirle ridendo allegramente, nella notte senza luna e senza stelle, fra le onde sonore, lo splendore delle saette ed il rimbombo del tuono, vivendo felice sotto il verde oceano.

Nella nostra leggenda calabrese di Fava d'oro, dicesi di una specie di gigante chiamato il Figlio del mare, il quale rassomiglia alquanto a certi nordici mermen. Questa leggenda narra che un re di Spagna non aveva figliuoli, ed era per questo assai dolente. Un giorno passeggiava sulla spiaggia, e sentì che una voce venendo dal mare gli diceva: «Che cosa vuoi, una figlia perduta o un figlio perditore?».

Il re meditò a lungo prima di rispondere, poi stimò che era meglio avere una figlia che fosse come perduta per lui, anziché un figlio che cagionasse la rovina del regno, e lo perdesse per sempre; così domandò al mare una bimba.

Dopo qualche tempo costei nacque, ma non vi furono grandi feste nella reggia, perché il re e la regina sapevano che per forza avrebbero dovuto separarsi da lei. Essi fecero costruire nel fondo del mare uno splendido palazzo di perle, di corallo e di cristallo e la mandarono a dimorare laggiù colle sue damigelle d'onore e le cameriere. Ella non tornò mai più sulla terra, che non conosceva, e viveva in pace, ricevendo con frequenza le visite dei suoi genitori, che l'amavano con tutta l'anima.

Un gigante, chiamato il Figlio del mare, che aveva i capelli d'alighe ed il petto coperto di squame, s'invaghì nelle profondità del mare della bella fanciulla e la sposò, all'insaputa dei suoi genitori. Dopo qualche tempo nacque una bambina alla figlia del re, e le sirene la portarono sulla terra, dove la deposero in un campo di fave. Ella era tanto bella che il contadino, il quale la raccolse, le diede il nome di Fava d'oro, e la portò dal re di quel paese che la tenne come figlia. Questo re aveva un ragazzo, il quale crebbe vicino a Fava d'oro, e quando entrambi furono grandi s'invaghirono l'uno dell'altra; ma il re non voleva che suo figlio sposasse Fava d'oro, e lo costrinse invece a sposare un'altra giovine. Nel giorno delle nozze la fanciulla fu invitata ad assistere alla festa; ella, essendo figlia di un possente figlio del mare, aveva molte facoltà soprannaturali; quando nel banchetto si giunse alle frutta si toccò le ginocchia, e ne fece uscire certi cocomeri. La sposa volle fare lo stesso, ma non vi riuscì e morì subito. Finalmente il mare mandò un messo dal re per fargli conoscere che il padre di Fava d'oro era il gigante del mare, e che ella era nipote del mare; il re acconsentì alle sue nozze, ed ella sposò il bel principe che l'amava.156

Non pare che appartenga alla grande famiglia dei mermen l'uomo pesce delle leggende bretoni, il quale non ha nessuna affinità colle Mary Morgan di quelle regioni. È un buon vecchio coi capelli e colla barba bianchi come neve; protegge i marinai e soccorre i naufraghi. Appare sulle onde nell'ora del pericolo.

Anche in Oriente ritrovasi una specie strana di uomini del mare, e vuolsi che un rais, il quale navigava verso Sumatra, approdò in un'isola dove comprò certi schiavi bellissimi, col corpo flessuoso e leggero, che avevano stranissime ale sui fianchi. Quando la nave sulla quale erano imbarcati gli schiavi arrivò in alto mare, essi saltarono tutti nell'acqua, e ridendo e cantando tornarono nella loro isola: solo una giovane non poté fuggire, perché il rais la fece legare strettamente. Quando tornò con lei in India la sposò, e ne ebbe sei figli; più tardi morì, ed i figli vollero liberare la madre loro, che era stata sempre prigioniera. Appena questa fu libera prese a correre verso il mare, come usarono sempre in simil caso tutte le donne cigni, foche e gabbiani, e, prima di sparire per sempre fra le onde, disse che una forza irresistibile la costringeva ad abbandonare i suoi.

Vuolsi che in certe leggende popolari, in cui dicesi degli uomini del mare, si celi il ricordo di qualche invasione avvenuta per via mare, e questo è possibile; ma dobbiamo cercare specialmente nelle loro bizzarre figure il ricordo di vecchi miti dei padri nostri, collegati strettamente a tutta la meravigliosa famiglia degli spiriti diversi delle acque.





140 Derceto, divinità del mare presso i Babilonesi, era anche adorata dai Fenicii; sulle monete di Ascalona è raffigurata colla luna sul capo ed ha ai piedi una donna col corpo di pesce.



141 Pitrè, op. cit., vol. XVII, p. 194.



142 Gigli, Superstizioni, pregiudizi, credenze e fiabe popolari in Terra d'Otranto, Lecce 1889.



143 Poestion, Lappländische Märchen, Wien 1886.



144 De Gubernatis, op, cit., vol. II, p. 313.



145 Pitrè, op. cit., vol. XVII, p. 195.



146 Coelho, Tradiçoes relativas as sereias e mythos similares, Archivio per le tradizioni popolari, 1885.



147 Il Coelho, nell'articolo già citato, raccoglie tradizioni del Brasile, del Perù, della Guiana francese, dell'isola di Haiti e di quelle del Capo Verde intorno alle Sirene. Di esse dirò in altro volume.



148 Basset, op. cit., p. 174.



149 «Mélusine», t. II, p. 452.



150 Basset, op, cit., p. 176.



151 Ralston, op. cit., p. 145.



152 Purgatorio, II.



153 Il Rambaud fa osservare in una nota che un dio Finno adorato nell'Estonia era Karelainen «il fabbro». Nel Kalevala trovasi il fabbro Ilmarinen; nei Veda vi è il fabbro Tvashtur. Parrai che anche il Taranis dei Celti, col capo circondato di martelli, andrebbe annoverato fra questi fabbri, divini al pari di Vulcano che «Batte all'incude i folgori di Giove».



154 Rambaud, op. cit., p. 43.



155 Eneide, IX.



156 Debbo questa leggenda alla cortesia di un professore calabrese.



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