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Il nuotatore | «» |
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La bella leggenda marinaresca di Cola o Nicola Pesce, della quale si conserva ancora viva memoria sulle nostre spiagge meridionali, fu detta di origine italiana; ma oso quasi affermare che invece la sua origine è molto lontana da noi, come avviene così spesso quando troviamo diffusa in mezzo al popolo ed in paesi diversi la stessa leggenda, la stessa novella popolare con molte varianti.
In questa leggenda dicesi di un nuotatore audace, il quale, secondo le diverse varianti delle leggende, è nato o a Messina o in Puglia o in Napoli, e per ubbidire ad un re del quale varia anche il nome, perché ora si chiama Guglielmo, ora è Ruggiero primo conte di Sicilia, poi re di Sicilia e di Puglia, o Federico II, si slancia nel mare e va a prendere una coppa d'oro, un anello o una palla di cannone.
Questa leggenda che piacque allo Schiller, il quale se ne servì per la sua ballata del Nuotatore, si ritrova in un lavoro di Walter Mapes, scritto fra il 1188 ed il 1193, prima che fosse canonico di Salisbury, e pare che egli l'avesse conosciuta in Italia. Dopo il Mapes, Gervasio di Tilbury, che aveva dimorato in Scilla ed in Napoli, narrò che Nicola Pesce era nato in Puglia, e per ordine di un re chiamato Ruggiero, che fu, a quanto pare, Ruggiero II, si gettò nel vortice di Scilla e Cariddi.
Fra queste due leggende il Graf nota una strana contraddizione, perché «in entrambe figura un re, che è causa della morte dell'uomo portentoso, ma nell'una questi muore perché tratto fuori dell'acqua, nell'altra perché costretto ad andar sino in fondo di essa». Da questo fatto egli crede che si abbia la prova che la leggenda era già in quel tempo tanto diffusa da avere parecchie varianti, e pensa pure che non sia improbabile che essa abbia un'origine storica, poiché forse nel XII secolo vi fu realmente in Sicilia o in Puglia un ardito nuotatore, chiamato Nicola Pepe o Papa, intorno al quale il popolo andò tessendo bizzarri racconti.
In una poesia del poeta provenzale Ramon Jordan, che scrisse verso la fine del XII secolo, trovasi anche un ricordo del nuotatore, che vien chiamato Nicola di Bari; ma vuolsi che fra tutti gli scritti in cui si disse del nuotatore, quello del Pontano, che fa parte del poema Urania sive de stellis, sia il primo in cui si trovino particolari più minuti.
Intanto, come già notai in altro capitolo, troviamo spesso nei più lontani ricordi di miti orientali i pesci ed il mare in relazione coll'oro, e notai pure che in una leggenda islandese, raccolta in tempi non lontani da noi, e strettamente collegata con racconti arii, si parla ancora di un anello d'oro, che circonda il verme del Lagarfliot. Un riccio di mare tira nel Rigvedas il carro della ricchezza; nell'Edda un nano sotto forma di un luccio, veglia sull'oro, e custodisce il famoso anello tanto affine all'anello meraviglioso di Angelica. Spesso un pesce luminoso o d'oro s'immerge nel mare per cercare una perla o un anello che l'eroe o l'eroina ha lasciato cadere; ora vomita ciò che ha inghiottito, cioè l'eroe, la perla, l'anello, che rappresenta il disco solare. Nel sesto atto di Sakuntalâ un pescatore trova nello stomaco di un pesce la perla dell'anello che il re Dushyantas ha dato a Sakuntalâ, per poterla riconoscere quando si sarebbero ritrovati. Nelle leggende russe un piccolo pesce unito al delfino, che può rappresentare a cagione delle due pinne che ha alle sue estremità anteriori, e del suo colore nero ed argento, i due corni solari e le fasi della luna, trae fuori del mare un cofanetto coll'anello del sultano.157 Anzi la leggenda dell'anello caduto nell'acqua e ritrovato da un pesce è forse l'argomento più interessante nel mitico ciclo dei pesci; e il De Gubernatis la chiama, per così dire, «la loro mitica impresa».
Noi la ritroviamo sotto altra forma nelle tradizioni greche, e questa volta non è un mitico pesce, è un eroe che scende a ricercare nel mare l'anello o il disco solare; poiché Pausania ricorda che quando Minos mette in dubbio che Teseo (detto in certe tradizioni figlio del mare) sia nato da Poseidone, e gli comanda, se egli è tale, di prendere un anello gittato in mare, Teseo affonda e riappare non solo coll'anello, ma pure con una corona d'oro, che Venere ha messo sul suo capo.
Ora io non potrei dimostrare con prove certissime che la leggenda di Nicola Pesce non sia altro che una variante italiana della solita impresa dei mitici pesci arii e di quella di Teseo, narrata in modo alquanto diverso in altri paesi, in cui si dice di qualche nuotatore; ma basta seguire le trasformazioni di tante leggende, di tante mitiche imprese narrate dai padri nostri, per non essere meravigliati se realmente sia avvenuto che il mitico pesce, cercatore dell'anello d'oro, si sia mutato in eroe, innanzi alla fervida fantasia dei Greci, ed abbia finito col diventare un pescatore italiano, francese o di altra nazione; mentre l'eroe, l'eroina o Minos, che aspettano l'anello, sono divenuti un principe normanno, un imperatore svevo o una capricciosa fanciulla francese.
Fra le molte versioni della leggenda di Niccolò Pesce raccolte con amore da Giuseppe Pitrè sonovi le seguenti:
«Fu in Messina ancora al tempo dei nostri vecchi un huomo chiamato Cola Pesce; ma era nativo di Catania, huomo veramente degno di cui si maraviglino gli huomini in tutti i secoli. Costui lasciando quasi la compagnia de gli huomini si viveva tra' pesci del mare di Messina, e perché ei non poteva star molto tempo fuori dell'acqua, però egli s'acquistò il cognome di pesce. Costui narrò agli huomini molte cose maravigliose e secrete di natura, e di quell'istesso mare, andando egli a nuotare a guisa di pesce marino per quei lunghi viaggi ancor nel tempo delle fortune e delle tempeste; i quali segreti di natura ancor ch'io n'habbia diligentemente interrogato, non è mai stato però alcun Messinese che me n'habbia saputo raccontar alcuno. Essendo dunque tenuto costui in pregio da' cittadini di Messina e riguardato come un miracolo, egli in certo giorno solenne, in presenza d'un grandissimo popolo, andò a ripescare una tazza d'oro, ch'havia gittata in mare Federigo re di Sicilia, il quale havea comandato a questo Cola ch'andasse per essa. Et havendola egli presa due volte, la terza volta che il re la gittò egli si tuffò per riaverla e non ritornò mai più su, benché fusse aspettato dal re e dal popolo gran pezza invano. Ogn'un si pensò ch'egli entrasse in quelle profondissime caverne del mare, e che non potendosi difendere dal corso e furor dell'acqua, vi si annegasse dentro. Così dicono i Messinesi che andò la cosa; ne è venuta la fama di costui di mano in mano insino ai nostri tempi, e molti honorati scrittori ancora n'hanno fatto memoria».158
«Sotto il pontificato di Gregorio IX noto fu in Sicilia un huomo marino chiamato Cola, che fu stimato pesce, tanta era la pratica del viver suo in mare, nuotando come pesce, e come pesce odiando e temendo la terra, e 'l giorno che non entrava in mare s'ammalava; imperò che notte et giorno ei stava come a diletto; e rivelò molti segreti del mare agli huomini».159
«Nella riviera della Sicilia era un huomo, e hebbe nome pesce Colano; dalla fanciullezza sì inchinato a star fra l'onda marina, che vi dimorava giorno e notte allegramente, e sarebbe durato nuotando 50 stadii, facendosi incontro amorevolmente ai naviganti, e vivendo con grand'ansietà fuori del mare... Proposto dal re Alfonso il premio a molti nuotatori, saltando anch'egli in mare, non si vidde più».160
Si disse che Nicola Pesce era costretto a star sempre nell'acqua, dopo che sua madre l'aveva maledetto; questo racconto venne anche ricordato da Fazio degli Uberti nel Dittamondo, quando egli scrisse:
Quel ch'io dico or nota e non sù soro
Per dar esempio a molte lingue adre;
Che dan cruda bestemmia ai figli loro.
Nicola bestemmiato dalla madre,
Ch'ei non potesse mai del mare uscire,
Convenne abbandonar parenti e padre
E poi volendo al precetto ubbidire
Di Federico, nel profondo mare
Senza tornar mai su si mise a gire.161
Egual cosa avvenne alla sirenita del mare nella canzone dell'Andalusia che trovasi nel capitolo precedente.
La tradizione orale della leggenda di Niccolò Pesce è importante al pari di quella scritta, e vien ripetuta dai nostri marinai di Napoli e di Sicilia. La seguente fu raccolta in Napoli dove, al Sedile di Porto, trovasi uno strano bassorilievo che rappresenta Niccolò Pesce. «Era costui un mirabile uomo, che viveva nei tempi antichi alla corte di un re di Napoli, ed aveva la virtù di partecipare alla natura dei pesci, e perciò si chiamava Niccolò Pesce. Poteva starsene lunghe ore e lunghi giorni nel fondo del mare, senza bisogno di respirare, come se si trovasse nel suo proprio elemento. Il re se ne servì più volte per aver diverse notizie: una volta, per esempio, volle sapere come era fatto il fondo del mare, e Niccolò Pesce, dopo averlo ben visitato, gli seppe dire che è tutto formato di giardini di corallo; che l'arena è cosparsa di pietre preziose, che qua e là s'incontrano mucchi di tesori, armi, scheletri umani, navi sommerse. Un'altra volta gli ordinò d'indagare come l'isola di Sicilia si regga sul mare, e Niccolò Pesce gli disse che posa su tre immense colonne, una delle quali è spezzata; un'altra volta ancora lo fece scendere nelle misteriose grotte del Castel dell'Uovo, e Niccolò Pesce ricomparve con le mani cariche delle gemme che vi aveva raccolte. Viaggiava in questo modo: si gittava nel mare, si faceva ingoiare intero intero da qualcuno degli enormi pesci che incontrava, e nel ventre di esso percorreva, in poco tempo, straordinarie distanze. Quando volea venir fuori tagliava con un coltello il ventre del pesce, e libero e franco facea le sue ricerche.162 Volle un giorno il re sperimentare fino a che punto potesse giungere nelle profondità del mare; lanciò una palla di cannone, e gli disse di riportargliela. "Maestà" rispose Niccolò Pesce, "io mi perderò, io non tornerò più, ma se così volete farò la prova". Il re insistette, Niccolò si slanciò allora nelle onde, nuotò con forza verso la palla e un tratto gli riuscì di raggiungerla; ma nel sollevare il capo si vide sopra le acque che lo coprivano come un manto sepolcrale, e s'accorse di trovarsi in uno spazio vuoto, tranquillo, silenzioso, senz'acqua. Invano tentò di risalire verso le onde e di riprendere il nuoto; restò lì chiuso e vi morì».163
Una delle tradizioni siciliane raccolte dal Pitrè dice: «Cola pisci era unu mezzu omo e mezzu pisci. Chistu avia summuzzato nni tutti li gurfi di lu munnu, e ddoppu avilli firriatu tutti, vinni a Siculiana. Cca piglià 'amicizia c'un arginteri e ddoppu 'na pochi di jorna misiru 'na scummissa, ca Cola avia a pigliari funni nni lu gurfu di Siculiana.
«Cola accunsentiu e cci dissi accussi: "Iu scinno ddà jusu; si ddoppu mezz'ura affaccia una scocca di sangu ti nni va' pi l'affari to', ca i nun vegnu cchiù". E daccussi successi. Lu puntu unni Cola Pisci murì è vicino lu scogliu d'u russeddu».
In queste due versioni orali raccolte in Napoli ed in Sicilia parmi che possiamo trovare in modo più palese il ricordo delle antiche narrazioni mitiche. Nella leggenda napoletana Niccolò torna dal fondo del mare colle mani coperte di gemme; ma ciò non basta; egli ha facoltà di farsi ingoiare da qualche pesce, di dimorare nel suo ventre, percorrendo straordinarie distanze, e di uscire liberamente da esso; la qual cosa avviene spesso nei racconti orientali ed in certe loro varianti europee.
Nella leggenda orale siciliana Cola pisci non ha forma umana, è mezzu omo e mezzu pisci, come i tritoni e le sirene, come miti assirii, babilonesi e fenicii, che in questa forma sono specialmente miti lunari; egli si trova pure in una certa relazione colle ricchezze, rappresentate dall'argentiere.
In un'altra tradizione siciliana dicesi che un marinaio induce una sirena a cercare sott'acqua un anello perduto. La sirena non può vivere a lungo sotto le onde, e gli dice: « Se fra mezz'ora non ritornerò, e vedrai a galla un po' di sangue, sarò morta». Il sangue appare sull'acqua, ed il marinaio se ne va.164
In tutte queste versioni italiane non parlasi d'amore, invece lo Schiller, nella sua ballata, dice che quando per la terza volta Federico gitta nelle onde vorticose di Cariddi la tazza d'oro, e promette al nuotatore di dargli per sua sposa la figlia,
D'un foco inusitato
Arde al giovine il core e la pupilla,
Vede arrossir la delicata guancia.
Vede ch'ella or s'imbianca ed or vacilla...
Ed a morte od a vita, affascinato
Dall'altissimo premio, in mar si lancia.
Ben giunge il flusso e spare,
Ben l'annunzia il crescente urto del fiotto,
E l'occhio, palpitando, ognun v'ha fisso.
Vien onda ed onda viene, e rugge or sotto,
Or con alto fragor di sopra al mare,
Ma nessun il garzon trae dall'abisso.165
Ed è pur diverso il bel giovane per il quale trema il core della regal fanciulla, dal mostruoso Nicola Pesce livido, orrido, descritto dal Pontano.
Narrasi ancora che Cola era un pescatore, nato a Messina e che dimorava a piè dell'Etna a Catania; egli si compiaceva nel rimanere sempre nell'acqua o sulla spiaggia. Federico li dava una grande festa nella città, e promise ai vincitori delle gare col remo un mantello ed una collana. Al più forte nuotatore avrebbe dato una coppa ed una spada. Il re prese una coppa più preziosa ancora e disse: «Questa apparterrà a Cola, il vincitore del mare», poi gittò la coppa nel vortice di Cariddi.
Il giovine esitò alquanto prima di slanciarsi nell'acqua, il re comandò che lo mettessero in prigione. Cola disse: «Questo non sarà mai; la patria non mi vedrà indegno di me stesso», e si precipitò nelle onde, afferrò la coppa; ma il mostro Cariddi balzò su di lui e l'uccise.
Nella canzone popolare, le plongeur, che ripetesi in gran parte della Francia, con molte varianti, dicesi di un uomo il quale gittasi in mare per raccogliere un anello o altro oggetto perduto da una fanciulla; e il Graf avverte di non confondere questa canzone colla nostra leggenda di Niccolò Pesce. Parmi invece che ritrovandosi pure in esse con frequenza il mitico anello dei nostri padri antichi gittato nell'acqua, la loro origine non debba essere diversa da quella che ha, con molta probabilità, la leggenda di Cola Pesce.
In una versione di Etretat (Normandia) un giovane gittasi in mare per trovare un anello; quando si avanza la prima onda è sul punto di annegare, quando giunge la seconda dice alla fanciulla alla quale appartiene l'anello di soccorrerlo, quando arriva la terza prende l'anello e chiede un bacio che gli è stato promesso.
Dicesi in un'altra versione di questa canzone, che ripetesi nella valle d'Ossan nei Pirenei, che sulla sponda di un fiume vi sono tre fanciulle da marito. La più giovane piange sempre; un pescatore le chiede: «Perché piangete, bella fanciulla, perché sospirate tanto?». «I fiocchi della mia cintura sono caduti nell'acqua». «Che cosa darete, bella bruna, a colui che andrà a prenderli?». «Gli darò una rosa ed un bacio». Il giovine balza nell'acqua; l'ultima onda porta i fiocchi della cintura: «Prendete, bella bruna, ecco i vostri fiocchi d'oro».
Ma non tutti i nuotatori ricordati nelle canzoni francesi sono fortunati, ed ottengono il premio ambito. In una canzone delle vicinanze di Lorient, dicesi che sul ponte di Nantes una fanciulla piange perché le sue chiavi sono cadute nell'acqua. Un giovine le chiede perché piange, e vuol sapere che cosa gli darà se si gitterà nell'acqua per cercare le chiavi. La fanciulla gli promette cento scudi. Il giovine dice che sono povera cosa per un uomo che mette a rischio la propria vita, pur si gitta nell'acqua, tocca il fondo e vede le chiavi; si gitta un'altra volta, e giunge appena a toccarle; si slancia la terza volta ed annega. Suo padre dalla finestra vede il caso doloroso, e prega Iddio di benedire le fanciulle, le fanciulle da marito.
Con parecchie varianti questa canzone ripetesi a Brest e a Morlaix; altre di simil genere diconsi in altre parti della Bretagna.
La seguente versione raccolta nel 1810 fu imitata dall'Uhland nella sua poesia, Die Königtochter. La figlia del re di Spagna vuole imparare un mestiere; vuole imparare a cucire ed a lavare. Quando la giovane ha lavato la prima camicia, l'anello che porta è dalla sua mano bianca caduto nel mare. La figlia del re era giovanissima e cominciò a piangere; passava in quel momento un nobile cavaliere: «Che cosa mi darete, bella giovane, se troverò l'anello?». «Darei volentieri un bacio per averlo». Il cavaliere salta nel mare e la prima volta non trova l'anello, gittasi un'altra volta e lo vede splendere; la terza volta annega. La figlia del re era giovanissima; cominciò a piangere, andò presso il padre e disse: «Non voglio più imparare un mestiere!».
In una versione del cantone di Bréhal (Manica) dicesi che una fregata si trova nel porto; un bel marinaio incontra una fanciulla che piange, e le domanda la causa del suo dolore; ella risponde che il suo anello d'oro è caduto in mare, e promette cento scudi d'oro al nuotatore, purché lo ritrovi. Questi gittasi a mare, e la prima volta l'anello d'oro risuona; la seconda volta egli porta solo un po' di sabbia, la terza volta annega.166
Come già notai, la leggenda di Cola Pesce, e quelle intorno alle sirene sono più di ogni altra leggenda marinaresca popolari in Italia; come se le sirene, che spesso rappresentarono innanzi ai nostri padri l'incanto delle marine italiane, dovessero eternamente, colla dolcezza del canto, la serena bellezza del volto e degli occhi splendidi, allettare ancora ogni essere umano, fra la schiuma dei nostri mari, e sulle nostre spiagge ridenti; e come se l'audace nuotatore dovesse ricordare ad ogni nuova generazione, che v'è pericolo il quale possa atterrire i marinai italiani.
Ed ora che importa se il nostro popolo ha dimenticato, a quanto pare, le Oceanidi e le Nereidi dal niveo piede, e nulla sa del vecchio Nettuno e di altre divinità del mare adorate dai padri suoi? Basta che il mondo ammiri e studii ancora la nostra classica poesia del passato; ed è meglio che non passino sulle nostre spiagge, fra la splendida luce del giorno o nelle notti serene, giganti e nani, re vittoriosi del mare e fate dai capelli verdi, colle vesti di conchiglie; ma invece dal Lido veneto fino alle spiagge siciliane, fino alla Riviera ligure si affolli gente operosa e forte, intenta alla costruzione di navi meravigliose, alla custodia della patria, ai commerci, che ricordi solo la gloria marittima dei padri suoi; e sia pronta sempre a tenere in alto, anche sui mari e sugli oceani lontani, la bandiera d'Italia.
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