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Mentre Booz
dormiva, Ruth, una moabita,
s’era distesa ai piedi de ’l vecchio, nuda il seno,
sperando un qualche ignoto raggio o ignoto baleno
se venìa co ’l risveglio la luce de la vita.
Ora Booz inconscio
dormiva sotto i cieli;
Ruth inconscia attendea, con pia serenità.
Una fresca fragranza salìa da li asfodeli,
e i soffi de la notte languìan su Galgalà.
Era l’ombra
solenne, augusta e nuziale.
Volavan forse, innanzi a li occhi stupefatti
de li umani, erranti angeli; però che in alto a tratti
apparivano azzurri lembi simili ad ale.[129]
Il largo respirare
di Booz dormïente
mesceasi de’ ruscelli a ’l romor roco e grave.
Era nel tempo quando la natura è soave:
i colli avevano gigli su la cima fiorente.
Ruth pensava;
dormiva Booz. L’erbe alte e nere
ondeggiavano; in pace respiravan li armenti;
una immensa dolcezza scendea da i firmamenti.
Era l’ora in cui placidi vanno i leoni a bere.
Ogni cosa taceva
in Ur e in Jerimàde.
Li astri riscintillavano su pe ’l cielo profondo;
il mite arco lunare, tra il giardino giocondo
de’ fiori de la luce, risplendea su le biade;
e Ruth, immota, li
occhi socchiudendo tra i veli,
chiedea: — Qual mietitore dio de l’eterna estate,
poi che le sue stellanti ariste ebbe tagliate,
gittò la falce d’oro ne ’l gran campo dei cieli?
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